Una storia.

Al tempo che verrà.

Ho un desiderio grande, impossibile: dimenticare te.

Perché sei nella mia testa più di quanto vorrei.

Vorrei dimenticarti per smettere di fare paragoni e riuscire a scaldarmi un po’ il cuore.

Dimenticarti per non sentirmi più tanto sola,

dimenticarti per non sentire più l’amara consapevolezza di aver avuto un’unica possibilità e di averla persa.

Dimenticarti per avere ancora uno spiraglio, una speranza di poter riversare tutto questo sentimento che ho dentro su qualcuno che non ti assomigli, che non abbia la tua lucidità, la tua fragilità, il tuo sguardo che parla.

E anche il tuo sarcasmo, la tua vigliaccheria, il tuo egocentrismo, i tuoi mille difetti.

Ci sono momenti, come questo, in cui sento più forte la realtà della tua assenza,

l’ingiustizia di una privazione di qualcosa che mi era dovuto,

e non mi basta tuffarmi nella malinconia dei ricordi, ora mi fanno male.

Non mi basta pensare di aver vissuto una volta certe emozioni,

le rivoglio adesso, nel mio presente,

perché quel passato non è passato, non si è sviluppato, non ha avuto un corso, un epilogo.

Io sono rimasta ferma ad allora, a quelle situazioni, col fiato sospeso fra realtà e desiderio.

Sono ancora la stessa, fragile e avventata.

Ancora tanto ingenua da pensare che qualcosa cambierà.

Ancora tanto bambina da credere nei sogni.

E credo che rimarrò sempre la stessa, fino a che qualcosa cambierà o finirà del tutto.

Riceverai questa lettera, non so come, non so quando, forse mai o forse domani.

Ho voglia di affondare il coltello nella piaga, se piaga è ancora.

Voglio che tu sappia che non riesco ad amare nessuno, non sono mai più riuscita a farlo nonostante i migliori propositi.

Ho sempre ingannato me stessa, consapevole di farlo.

E di questo tu hai tutta la responsabilità.

Non ti faccio gli auguri per il nuovo anno, non voglio che tu sia felice, anzi, voglio essere un tormento per te come tu lo sei per me.

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Potrebbe sembrare la fine della storia. Non lo è, e nemmeno ci sarà una fine.

E non è nemmeno l'inizio, sarebbe troppo ovvio cominciare da quando ti ho incontrato; quel giorno è stata solo fisicità, due corpi che si sono sfiorati lungo strade diverse mentre due anime si riconoscevano.

Un'evoluzione, ecco cos'è, una maturazione ancora acerba e indefinita che cambia giorno dopo giorno, anno dopo anno.

E quelle parole dettate da una notte emozionalmente diversa, sono solo l'espressione di una parte infinitesimale di una ragnatela di pensieri.

Non è una storia d'amore perché gli standard fanno nascere l'amore, lo fanno crescere, affievolirsi o morire. Questa è una storia di qualcosa che era già dentro di me, dovevo solo portarlo a galla. Qualcosa che difficilmente potrà cambiare, indipendente dalla nostra fine banale e distratta.

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Sono stata bambina spensierata in una tipica famiglia contadina e un mondo di natura e animali come compagni di giochi. Poi adolescente con i brufoli, qualche piccolo complesso e grandi ideali come altri milioni di adolescenti. Quindi non c'è niente che giustifichi complicate regressioni per analizzare la mia personalità e i vari percorsi delle mie esperienze. Sono normale, ho solo cominciato un po' tardi a dare ascolto ai miei pensieri, diciamo verso i trent'anni, un po' tardi, vero?

E' che prima non ho avuto tempo....

Mi sono sposata nemmeno diciottenne, il classico matrimonio riparatore dei non ancora sufficientemente progrediti anni '70. A vent'anni, due figli, un lavoro nuovo e un mondo adulto che sembrava solo aspettare di vedermi fallire la prova, mi hanno catapultato in un bailamme di responsabilità onerose e doverose che hanno intimidito quel timido virgulto di equilibrio che stava aspettando di far capolino da un terreno apparentemente ben coltivato.

E' stato lì che la mia crescita ha avuto uno scossone: che ne sapevo io di maternità, di affari, denaro e burocrazia, di come si deve sgomitare anche per mantenere ciò che già ci appartiene? Senza contare che non avevo ancora imparato a riconoscere i sentimenti, le pulsioni, non conoscevo me stessa, quella timida e ingenua ragazza che scambiava per inferiorità quel senso di disagio interiore che avvertiva nell'adeguarsi a ruoli predefiniti.

C'erano delle priorità: la famiglia innanzitutto, che richiedeva presenza e attenzione costanti; il lavoro, anche quello indispensabile per un opportuno inserimento nel sistema; i rapporti sociali, da coltivare per convenienza, amicizia o semplice opportunismo, ma comunque impegnativi dal punto di vista organizzativo. E io mi sentivo spaesata e inadeguata come se avessi saltato qualche passaggio importante: non c'era più niente di divertente nel giocare agli adulti, ma non potevo smettere; e i sogni, prima leggeri e fluttuanti, erano diventati scuri, sudaticci e faticosi. E soprattutto mi sentivo sola e inerme, non avevo armi a disposizione, non conoscevo la vita e la vita non conosceva me.

Qualcuno potrebbe spontaneamente chiedersi: “Ma l'uomo, il marito, il padre di quei figli, il compagno di gioie e tribolazioni, l'amato che affronta con te qualsiasi cosa tenendo il suo braccio sulla tua spalla, che scambia umori, parole, sensazioni, desideri e soddisfazioni, dove stava?”

Non lo so.

O meglio, non lo sapevo. Adesso lo so, lo vedo nitidamente nella sua estrema precarietà. Precarietà familiare, sia chiaro, perché altrimenti era molto costante e attiva la sua partecipazione alle serate con gli amici, la dedizione ai suoi interessi personali, la coltivazione del suo ego. Percepisco ora la sua presenza un po' distaccata dalle banalità quotidiane che non lo toccavano più di tanto, non ci teneva a farsi venire l'ulcera per problemi economici e nemmeno a scervellarsi per cercare di capire le crisi pseudo-esistenziali di una donna che si faceva troppe masturbazioni mentali e che si lasciava influenzare da ”certe” cose scritte su “certi” libri. Lui arrivava, fresco di hobbies, si informava, si arrabbiava se le cose non funzionavano, elargiva consigli e poi spariva, probabilmente per farmi esprimere appieno le mie capacità. E io non lo capivo! Io, povera e ingenua donna-bambina, non riuscivo a capire perché quel ruolo che avevo visto sostenere con estremo altruismo da mia madre, sottomesso, silenzioso anche nel pianto, mi stava così stretto. Ero disorientata da pensieri contrastanti: nel mio immaginario c'era un rapporto paritario, sincero e confortante, dove si ride e si piange insieme, dove si ascolta, dove si cerca un equilibrio e un piacere comune. Perché la realtà mi faceva desiderare la fuga verso una libertà che immaginavo soltanto, ma che sentivo sempre più insinuante e risolutiva?

Ma come si affronta ciò che non si conosce? Bisogna sentirsi in grado di scegliere, essere molto coraggiosi, e allo stesso tempo imprudenti e impulsivi, bisogna essere consapevoli della differenza fra desideri e miraggi, bisogna essere pronti a raccogliere cocci e sensi di colpa.

Io non avevo niente di tutto questo, ero sempre stata educata, sollecitata, guidata, sospinta, costretta da circostanze fortuite e perbeniste. Avevo solo paura, tanta paura, di non essere all'altezza delle aspettative, di avere un cervello distorto, di non saper seguire gli schemi.

Ed è così che ti ho incontrato, mentre gli anni mi stavano ormai imponendo una composta rassegnazione e i desideri assomigliavano sempre più ai miraggi.

Come hai fatto a guardare dentro di me prima ancora che riuscissi a farlo io?

Ti ho conosciuto ammirandoti e invidiandoti, avevi una capacità per me irraggiungibile: ti ribellavi, difendevi i tuoi princìpi senza paura di essere giudicato, ed erano princìpi che mi piacevano molto, uno fra tutti, che intuivo importante e basilare: la libertà di essere sé stessi. Ma in te mi attraeva anche la lucidità di comprensione di un mondo che non ammetteva questa libertà, il tuo farti carico di questa impotenza, la tua infaticabile ricerca di espressione personale che rasentava l'autodistruzione.

Non immaginavo che mi avresti riconosciuta, la mia vita scorreva al riparo del copione che recitavo. Quel primo bacio quasi rubato mi ha sorpreso sì, un piacere elettrizzante e ancora sconosciuto, e l'imprevedibile è stata la mia rivalutazione.

Abbiamo vissuto per un paio di anni quella che comunemente si chiama “relazione extraconiugale”, quelle che costringono a raccontare un sacco di balle e a fare i salti mortali per non far scoprire una cosa di cui tutti si accorgono immediatamente. Un vissuto fatto di passione, di piaceri desiderati e appaganti, ma anche di complicità intellettuale che mi sorprendeva di volta in volta per la sua naturalezza. Sì, era naturale capirti, capirci, provare la stessa esaltazione e insoddisfazione del vivere l'attimo per avere almeno quello, anche se non bastava. No, non bastava, almeno a me. Imparando a conoscerti avevo lasciato che emergesse in me quella vivacità fisica e mentale della cui positività avevo sempre dubitato e che invece mi faceva star bene, con me stessa e con gli altri. I miei pensieri mi facevano sempre meno paura, anzi, era sempre più forte la voglia di espormi, di scrollarmi di dosso quella confortante vigliaccheria di cui ero schiava da sempre, volevo vivere, perché sentivo che fino a quel momento non lo avevo fatto, volevo smettere di fingere di essere quella che non ero.

Ma ti rendi conto della responsabilità che ti sto dando? Mi hai affrancato, emancipato, liberato da catene interiori che la scarsa stima di me stessa non mi permetteva di riconoscere. Forse non ne sarei stata capace se tu non fossi comparso a darmi le conferme di cui avevo bisogno, forse mi sarei adeguata alle circostanze reprimendo incompatibili originalità e stranezze caratteriali.......e forse....

avrei avuto un po’ di problemi in meno....

Sì perché la mia pur fervida immaginazione non mi ha comunque aiutato a preventivare le reali conseguenze delle drastiche scelte che sentivo sempre più impellenti. La paura era scomparsa, ma ignoravo che le ripercussioni sarebbero diventate un patrimonio personale che mi porterò dietro tutta la vita.

Ma veniamo a noi, all'evoluzione della nostra "storia clandestina". Non siamo stati colti in flagrante come succede nelle migliori famiglie, abbiamo semplicemente smesso di ingannare chi, meritatamente o meno, aveva diritto al nostro rispetto. Abbiamo detto sì, quello che tutti sospettano è vero, siamo "amanti", facciamo l'amore con reciproca soddisfazione e siamo stanchi di ridicole messinscene. Lo abbiamo fatto perché eravamo convinti, e io, nonostante tutto, lo sono tuttora, che la sincerità paga, che non c'è libertà senza verità, che nell'inganno non c'è terra fertile per crescere e misurarsi con la vita.

Utopie? Molti definirebbero tali queste convinzioni e capisco, ora, che è quasi impossibile mantenere propositi così assoluti, si fa sempre troppa fatica e i risultati sono, di solito, potenti testate contro muri di gomma. La realtà, la quotidianità, la sopravvivenza, la società stessa in cui si vive, impongono ruoli di derivazione ancestrale e le abitudini comportamentali insieme all'influenza educativa collaudata da secoli fanno le "regole".

E regola vuole che chi non si adegua venga punito.

Tramontato l'uso della gogna, oggi si fa uso di ben più laceranti e subdoli ricatti psicologici: per esempio comunicare a sbalorditi e ignari figli che la loro mamma è cattiva perché fa soffrire il papà e che li lascerà perché vuole più bene a un altro uomo che alla sua famiglia. E' umanamente impossibile opporsi a questo genere di vessazioni: le madri hanno questo tallone d'Achille che le porta inevitabilmente al sacrificio di sé stesse sull'altare del quieto vivere. E io non ne sono immune, anche se, con te accanto, avrei affrontato questo ed altro.

Ma non ce n'è stato bisogno, il tuo altruismo ti ha spinto ad alleviare le pene della tua compagna e hai disinnescato la bomba. Potevo continuare da sola, è vero, in nome della nuova e più decisa consapevolezza di me stessa, ma mi sono mancate le forze. Avevo bisogno che i miei figli, almeno loro, capissero, e in quel momento non erano in grado di farlo. Ma non mi sono arresa, ho solo rimandato, convinta di poter pianificare i miei obiettivi.

Ho pianificato per 15 anni, anni in cui sono stata madre attenta e moglie sottomessa, ho lavorato fuori e dentro casa, sola come sempre, nascondendo nei pensieri insoddisfazioni e aspirazioni. Sicuramente in fondo a me avevo la speranza di poter rivivere quel tempo insieme a te, ma era secondaria, l'esigenza che sentivo prioritaria era di liberare la mia personalità, di avere la possibilità di mettere in pratica il mio modo di vedere le cose, i miei valori, di credere in me stessa, di sbagliare e di correggermi se necessario, di prendere decisioni, fare delle scelte e di prendermene la responsabilità.  

Ma 15 anni non sono stati sufficienti a impedire la deflagrazione.

La decisione definitiva l'ho presa d'impulso, in un momento di esasperazione assoluta. Litigi, ripicche, imposizioni, fallimenti di ogni genere mi hanno portato a pensare che qualsiasi cosa, anche il niente più assoluto, sarebbe stato meglio che continuare a vivere in quel modo, accanto a un uomo a cui non ero più legata da nessun sentimento e che non aveva mai smesso di imputarmi ogni insuccesso come conseguenza della mia inettitudine e poca serietà. Nemmeno lui mi amava più, lo so per certo, gli sono bastati 10 giorni per riscattare la sua immagine di marito abbandonato. La sua rivincita aveva 20 anni meno di lui. Ma non è stato questo che mi ha colpita, la mia gelosia era tale che poteva avere anche un harem di diciottenni, non avrei alzato nemmeno il sopracciglio.

La ferita grossa me l'hanno provocata proprio loro: i miei figli. Non hanno capito, non hanno accettato, mi hanno giudicata lasciandosi influenzare dalla vigliaccheria e dalla cattiveria del padre nonostante la maturità e autonomia che sembravano avere. Mi hanno accusata e disprezzata con un immenso dolore negli occhi, tanto che ho pensato di non riuscire a sopportarlo.

Mi sono dilaniata nei sensi di colpa incapace di difendermi usando le stesse armi che mio marito aveva usato contro di me. Potevo farlo, potevo dir loro che era stato infedele da sempre, che non si era mai occupato di loro se non per arrogarsi la vanteria di avere due figli maschi belli e intelligenti, che non era mai stato capace di  contribuire responsabilmente e qualitativamente alla stabilità economica della famiglia. Potevo farlo, ma non sono quel genere di persona. Io sono quella convinta che la verità paga sempre prima o poi, ma deve venire da sola e da dentro, e purtroppo questo percorso è soggetto a infinite deviazioni e influenze settarie, quindi difficile, tortuoso e non quantificabile in termini di durata.

Ho aspettato pazientemente di essere riconosciuta mentre mettevo a dura prova la mia capacità di sopravvivenza, sostenuta soprattutto da una nuova energia che mi derivava dall'autonomia assoluta, autonomia che non avevo mai sperimentato e che spesso ho anche usato male. Ho aspettato che i miei figli arrivassero in fondo alla loro ricerca senza mettermi in mezzo, senza piatire, fidandomi ciecamente delle mie convinzioni. E ce l'hanno fatta, forse non del tutto, perché i genitori sono due e può risultare innaturale schierarsi, ma credo che abbiano accettato quella parte di me che voleva sottrarsi, nei limiti del possibile, a condizionamenti e compromessi indesiderati.

In questo senso credo di aver vinto la mia guerra, anche se ho perso altre mille battaglie che non so se definire importanti o meno visto che, alle soglie della pensione, mi ritrovo ad avere ancora voglia di innamorami di qualcuno che non esiste. Perché tu mi hai affrancato e poi ti sei defilato senza però rivelarmi che gli ideali sono tali solo nella propria mente, quando si prova a trasferirli nella realtà diventano chimere.

Ho provato in tutti questi anni a inseguirne qualcuna, speravo di ritrovare quella magia e quella curiosità reciproca che aveva contraddistinto il nostro tempo insieme. Mi sono  lasciata ingannare da adorazioni opportuniste e sono scappata ancora, un po' più velocemente però, l'esperienza insegna.

Ora ho delle armi a disposizione e potrei persino nascondermi dietro questa forza che mi ritrovo per essere opportunista a mia volta, per approfittare di ciò che posso finché posso ed eludere questi miei valori che sembrano ormai obsoleti per questo nostro tempo dimentico del coraggio della sincerità.

Ora sono abbastanza forte da poter usare l'ipocrisia e il conformismo a mio piacimento, perché mi conosco e so di averne un'allergia congenita.

Ma credo di essere altrettanto forte da poter fare a meno di tutto ciò, anche se a volte la solitudine pesa più del necessario.

E' da tanto che non ti vedo e non ti sento, il tempo trascorre avvolgendo nella nebbia i cambiamenti che si lascia dietro. Ora sto vivendo una storia strana, piena di punti interrogativi, che non so se sarà storia.
Perché, a volte, quando la stanchezza prevale sulla speranza, si cade nell'errore di credere che sia vero ciò che si desidera che lo sia. Tu sicuramente mi diresti di lasciar perdere, come mi avresti detto per gli altri uomini che ho avuto accanto e che avrei voluto farti conoscere. Già, chissà perché ho sempre avuto questo desiderio, come se
 mi fidassi più del tuo giudizio che di me stessa
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forse non sono così forte e sicura come voglio sembrare. 

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Ecco, questo potrebbe essere l'inizio della storia, la storia di una donna che sta cercando la sua dimensione, in uno spazio temporale già saturo e poco propenso  all'accoglienza. Per ora il mio mondo è racchiuso, come sempre, in uno spazio infinito: i miei pensieri. Mi circonda una realtà che vede solo una proiezione razionalmente adeguata di me stessa, aspetto che qualcuno senta il desiderio di scoprire la fonte.
Aspetto, perché non sono capace di inventare le storie.

4 commenti:

  1. Risposte
    1. E questa è un po' la mia storia, una come tante, quella che, alla fine, mi ha fatta diventare quella che sono, con le tante lacune, i dubbi mai risolti e le poche certezze, tanto che sono certa fino in fondo di una cosa sola: la mia autonomia.
      Ciao Furio, grazie di essere passato di qua. A presto!

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  2. Un abbraccio. Ho da poco letto l'ultimo libro di Gramellini e mi ha colpito l'idea, espressa ad un certo punto da un angelo, che si nasce per "fare esperienza" cioè imparare. E più la vita sarà travagliata più sarà stato utile e importante viverla. Per la nostra evoluzione.(Non mi ricordo esattamente, ma ho recepito così….) Mi è piaciuta come idea e te la passo…a me un po' di consolazione l'ha data!!!!

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    1. Credo anch'io che la vita sia questo, mi dispiace solo che ci sia poco modo di godere di questa "esperienza" perchè non si finisce mai di "imparare". Però devo dire che per ora sono abbastanza soddisfatta della mia evoluzione, oserei dire quasi orgogliosa, vedremo più avanti come prosegue...:))

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