25 aprile 2014

25 aprile sempre!

Una mattina mi son svegliato, 
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao, una mattina mi son svegliato 
ed ho trovato l'invasor: 
parlava inglese, 
si appellava alle sacre leggi della finanza 
e alla volontà del mercato, 
identificava la libertà 
con la liberalizzazione integrale, 
nascondeva i suoi gesti criminali 
dietro la volontà impersonale dei mercati, ed era pronto a condannare 
ogni forma di violenza che non fosse quella istituzionalizzata, anonima e silenziosa, dell’economia. 
O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao.

Diego Fusaro

24 aprile 2014

Razzisti stranieri che rubano il lavoro ai razzisti italiani

Chi ama la satira e i suoi paradossi non può che apprezzare la spericolata campagna elettorale di Magdi “Cristiano” Allam. Lo straniero nazionalizzato che gioca la carta della xenofobia ci mancava, ed è raro come il leone vegetariano. Eppure quella di Magdi è una success story: italianizzato, cattolicizzato, politicizzato, famosizzato e persino, incredibilmente, ogni tanto intervistato. E’ uno che potrebbe dire ai migranti: vedete? Si può. Invece li ammonisce, li criminalizza e strepita dai manifesti “Prima gli italiani” che sarebbero “sottomessi agli immigrati”. Si dirà che una simile scemenza non può funzionare. E invece no, funziona, e persino un sincero democratico può ritrovarsi a dire: “Ecco! Questi stranieri che vengono qui e rubano il lavoro ai razzisti italiani!”. - See more at: http://www.pagina99.it/news/piede-libero/5295/Zio-Tom.html#sthash.thjI1uRj.2yxlqmxo.dpuf

Chi ama la satira e i suoi paradossi non può che apprezzare la spericolata campagna elettorale di Magdi “Cristiano” Allam. Lo straniero nazionalizzato che gioca la carta della xenofobia ci mancava, ed è raro come il leone vegetariano. Eppure quella di Magdi è una success story: italianizzato, cattolicizzato, politicizzato, famosizzato e persino, incredibilmente, ogni tanto intervistato. E’ uno che potrebbe dire ai migranti: vedete? Si può.
Invece li ammonisce, li criminalizza e strepita dai manifesti “Prima gli italiani” che sarebbero “sottomessi agli immigrati”. 

Si dirà che una simile scemenza non può funzionare. 
E invece no, funziona, e persino un sincero democratico può ritrovarsi a dire: “Ecco! Questi stranieri che vengono qui e rubano il lavoro ai razzisti italiani!”.

Alessandro Robecchi per Pagina99

21 aprile 2014

Faber


Dizionario


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Soffri di stress?
Intestino pigro?
Sei Stanco?
Sei nervoso?
Sei depresso?
Non riesci a dormire?

Combatti le cause, non gli effetti.

Non hai bisogno di medicine,
ma di mandare affanculo il sistema.

Chi ama la libertà


Chi ama la libertà 
e ha accettato in sé, definitivamente, l’idea che l’uomo sarà libero quando lo sarà la società, 
ma che la società della libertà può essere creata soltanto da uomini interiormente liberi, 
comincerà da se stesso e nel suo ambiente l’opera di liberazione. 
Egli non sarà lo schiavo di nessuno 
e saprà che non è schiavo 
soltanto colui 
che non vuole più essere padrone di nessuno.

Erich Mühsam

17 aprile 2014

Gli irresponsabili

di Nicoletta Vallorani
Partiamo dalla radice. Proviamo a capire cioè perché un responsabile viene definito tale. Il sostantivo arriva dal medesimo tema di RESPONDERE, con l'aggiunta della terminazione – BILEM, che di per se stessa indica la facoltà di operare. Ne consegue che il responsabile è chi risponde, e così facendo si rende garante di qualche cosa o per qualche persona.
Bene.
Se nel rispetto delle parole, come credo, sta l'indice di libertà di cui godiamo, dobbiamo prendere atto del fatto che alla scomparsa del senso di questa parola siano imputabili innumerevoli forme di libertà che nelle istituzioni cui apparteniamo si manifestano di continuo. Sono piccole cose, infinitesimali ma innumerevoli perdite di tempo che si fanno sempre più frequenti nel nostro quotidiano, moltiplicando il tempo necessario per ogni piccola incombenza. Oggi come ieri, nel mio ormai imbarazzante lavoro di dipendente dello stato, nella forma specifica di un'istituzione universitaria, ho passato una buona mattinata a rimbalzare – per fortuna non di persona ma al telefono – da un ufficio all'altro solo per capire chi fosse, appunto, il responsabile di una banale pratica burocratica. Ho risalito la scala gerarchica dall'impiegato neoassunto al vertice dell'amministrazione. Posso dire senza tema di smentita che la frase che mi è stata ripetuta più spesso è: “Guardi, signora, non dipende da me”. L'affermazione, che di norma dovrebbe essere seguita dall'indicazione della persona a cui rivolgersi, veniva sempre seguita da un misterioso, suggestivo silenzio, come se il mistero della burocrazia potesse essere spiegato solo da qualche oscuro ministro del culto.
Ho perso una mattinata, la calma e pure la libertà di smaltire questa insignificante vicenda in tempi rapidi. E ne sono venuta a capo quando, in cima alla piramide, ho parlato con un dirigente che mi stava appunto dicendo che non dipendeva da lui. In un'impennata di revanchismo autoritario, che certo non mi appartiene ma tutti hanno il loro punto di rottura, ho chiesto: “Allora, chi è il capo qui dentro?” Solo a questo punto ho ottenuto le mie risposte. Non per senso di responsabilità, badate bene, ma solo per lesa maestà. L'ultimo interpellato voleva solo dimostrare, appunto, di essere il capo. E in questa gara di centimetri, ho finalmente avuto la mia risposta.
Responsabile, appunto, è colui che risponde. E se risponde male, se ne assume la responsabilità. Perché la risposta sbagliata ha conseguenze. E ha conseguenze perché provoca un danno. Lede la libertà individuale. A volte anche gravemente. Perciò se uno è responsabile – e normalmente occupa un posto e guadagna uno stipendio per questo – non è che può dare delle risposte. Deve darle. Etimologicamente. È il suo compito, ed è un compito che implica una responsabilità.
Bene. Tutto chiaro fin qui.

Confrontiamo questi elementari assunti con quel che ci vediamo intorno. Consideriamo cose semplici, che vanno dalla richiesta elementare di informazioni su una procedura burocratica allo svolgimento di un ruolo amministrativo, politico, ideologico, o di qualsiasi tipo. E ci rendiamo conto che stiamo parlando a vanvera. L'assunzione di responsabilità è un comportamento socialmente sanzionato che è soggetto a pene pesanti, quelle sì. Esso mette in discussione una prassi consolidata nella quale la verità è un gioiello perduto che non interessa, non si può quotare in borsa, non produce profitto e anzi mette in imbarazzo, perché rivela una falla nel sistema. Ammesso che ci sia, un sistema, che per quanto discutibile implicherebbe una qualche forma di razionalità. In altri termini, se io mi assumo una responsabilità, non solo metto in difficoltà il mio collega che se ne è lavato le mani invocando un'astrattissima quanto fumosa legge, ma verrò messo alla berlina o temuto, a seconda dei casi. E quasi sempre accusato di star sempre lì a mettere i puntini sulle i. Sempre trasformato nel bersaglio di una gara di freccette in cui tutti si divertiranno molto tranne, appunto, il malcapitato responsabile autodenunciato.
Ora, io credo che il nodo centrale, la radice della nostra schiavitù, qui e ora, in questo contesto svirgolato, stia nell'impossibilità di sapere con chi prendersela. Nel garbuglio inestricabile che è, nel piccolo e nel grande, la ricostruzione della responsabilità, sta ben nascosto il segreto di un potere che ci ammanetta all'inanità, all'impossibilità di ricostruire un senso. E alla fine, quel che dobbiamo concludere, di nuovo, appare curiosamente vicino alle strane storie che ci racconta Vonnegut, quando si inventa un dio che non ha alcun interesse per le sue creature. Quando esse gli vengono a noia, si limita a concludere che dovrebbero avere il buonsenso di suicidarsi.
Ora, come sempre per me, al centro di questo dibattito sta la formazione, il genere di cultura che stiamo costruendo, insegnando, impartendo, elargendo a piene mani ai ragazzini di oggi, che saranno, forse, gli adulti di domani. E gli adulti di domani oggi sono del genere descritto da una mia amica che insegna in una scuola media e che si è vista consegnare un compito in classe sul quale era scritto, tra parentesi di fianco a una risposta sbagliata: “Questa l'ho copiata dalla mia vicina di banco, perciò se è sbagliata è colpa sua”.
Appunto.
È colpa del gatto, mamma, se gli ho pestato la coda.

14 aprile 2014

Che fai nella vita? Cosa vuoi dalla vita? Cosa vorresti essere? Sei felice?


Che fai nella vita?
Cerco.
Cosa vuoi dalla vita?
Non lo so, ogni volta che trovo qualcosa me lo tengo.
Per ora so che vorrei tanti momenti come questo.
Vorrei sentirmi spesso così, 
parte di qualcosa che mi avvolge, come il calore di una coperta che mi scalda senza pesarmi, leggero da respirare senza fatica e intenso da togliere il fiato.
Cosa vorresti essere?
Quella che sono, per continuare ad esserlo, 
per sorridere ancora davanti alla bellezza, 
per lasciare scendere una lacrima senza vergogna, 
sicura che qualcuno capirà senza spiegare, 
per collezionare ricordi che non bastino mai.
Sei felice?
Non ho ancora capito cos'è davvero la felicità. 
Potrei dare questo nome a tante cose, 
un albero, una pietra, un lago, un colore, un'emozione, 
un viaggio, una risata. 
Ad un silenzio, 
ad uno sfiorar di labbra, 
ad uno sguardo, 
ad un appoggiare la testa su di una spalla, 
a due mani che si stringono
......ad un saluto....
a presto.


07 aprile 2014

Domenica.


Domenica passata nell'atmosfera amichevole 
di alberi semisvestiti,
nel silenzio di boschi attenti al calore di un sole 
sempre meno timido.
Voglia di serenità, lontano dai rumori molesti 
di parole inutili.
Voglia di parlare di tanto, di tutto, anche di niente,
di ricordi e di passioni mai lasciate andare,
di scoprire, di lasciarsi il tempo alle spalle.
Gesti lenti con gli occhi mai sazi, sempre distratti.
Che hai fatto? Gli innesti hanno tenuto? Speriamo. 
Poi facciamo un giro.
Hai fame? L'acqua bolle, butta la pasta.
Audacia e vivacità di vino e peperoncino.
La mano sorpresa dal sonno che lascia la presa
mentre i cani riposano all'ombra.
Poi ancora odore di terra e di muschio, di prati e sentieri,
dolcemente spalmati fra salite e discese verdi 
macchiate di giallo.
E infine....dobbiamo tornare, lasciare il sogno 
nella sua realtà perché lo conservi, 
intatto così come lo abbiamo trovato.
Domani è lunedì.

05 aprile 2014

Silenzi


Il primo livello di sapienza è saper tacere,
il secondo è saper esprimere molte idee con poche parole,
il terzo è saper parlare senza dire troppo e male…
Si deve parlare solo quando si ha qualcosa da dire, che valga veramente la pena, o, perlomeno, che valga più del silenzio.

Hernàn Huarache Mamani