30 settembre 2011

Que reste-t-il de mon amour?

Ogni tanto leggo (mi sforzo di leggere) l’Unità, e, ahimè, non riesco a trarne grosse soddisfazioni. Soprattutto negli ultimi tempi la sua principale occupazione, oltre a quella di tenere la linea del partito di Penati e di Tedesco, di Renzi e di Ichino (sforzo sovrumano, ammettiamolo), sembra essere la difesa della Marcegaglia dagli attacchi dei giornali di Berlusconi. Il giornale fondato da Antonio Gramsci ridotto a succursale del Sole 24 Ore.
E la domanda mi sorge spontanea: che cosa è rimasto della sinistra?
Solo vent’anni fa esisteva in Italia il più grande partito comunista (lasciamo da parte i distinguo) d’Europa. Attualmente la sinistra italiana non è in grado di esprimere non solo un grande partito comunista o genericamente di sinistra, ma nemmeno un grande partito semplicemente laico, ci sono metastasi cattoliche ovunque! Nemmeno un po’ di opposizione alle banche, ai vari diktat imposti al mondo del lavoro dalla non più riservata lettera, o meglio, dell’ordine di servizio che Draghi e Trichet hanno inviato al governo Berlusconi: le prescrizioni sembrano scritte non da banchieri ma da agenzie di consulenza delle associazioni padronali!
E la sinistra? Distratta e reticente. Vent’anni fa il partito comunista era il pilastro per la difesa del mondo del lavoro, ora i sindacati, nati nelle fabbriche, vanno a braccetto con gli industriali.
Cosa è rimasto della sinistra? Il ricordo, la nostalgia e qualche bandiera. Piccoli gruppi che si scomunicano a vicenda, papi e antipapi, che non riescono a trovare un filo comune nemmeno per bere un caffè assieme.
Mi viene in mente il questurino del film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” che, dopo l’arresto di decine di manifestanti, dice al commissario: “Appena messi in gabbia hanno cominciato a dividersi in maoisti, trotzkisti, stalinisti … Per fortuna, altrimenti ci avrebbero fatto un mazzo tanto!”.

Chiudo questo post con una canzone, che ritengo attualissima, del mio cantautore preferito, il sempre mitico signor G.


29 settembre 2011

La famiglia è sempre unita.


Saverio Romano è salvo: i 315 no hanno prevalso sui 294 che lo volevano fuori dal governo. Nonostante il clima teso che si è consumato in aula l'esito della votazione è parso davvero scontato, nessuno si è stupito più di tanto.
Evidentemente, dalle parti della maggioranza, che ha avuto il piacere di dimostrarlo con chiarezza al paese, l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, per la quale è indagato il ministro, è un fatterello su cui si può soprassedere. Una questione secondaria, da battaglia politica, robetta insomma. 
Quello che conta è la fedeltà alla linea, la capacità con la propria, seppur misera e oscura presenza, di puntellare i numeri di cui il governo ha necessità per andare avanti, per proseguire nel disegno di portare all'agonia il paese.
 
Un progetto solido, quello di garantire sempre e comunque continuità a Silvio, tanto che Romano non ha mostrato, nei giorni prima del voto, nessun sentimento di timore, non ha dato cenni di titubanza, di dubbio. Per esempio oggi, sul proprio sito , ha preferito affrontare l'urgente tema dei fondi comunitari. Dopo aver parlato, qualche giorno fa, delle pesche in spiaggia, iniziativa per la quale pare essersi speso in prima persona. Temi d'emergenza, questioni prioritarie, altro che mafia, che a pensarci bene, poi, avrà pensato Saverione, mica esiste.
 
Aveva ragione Dell'Utri, grande amico di Silvio: è solo un modo di pensare, sostenne il buon Marcello, di sentirsi, intendeva forse, come in una famiglia. Proprio come accade nel Pdl: si accorre sempre per salvare gli uomini della cerchia, i protagonisti un po' squallidi di Casa Berlusconi. 
Perché le vicende di questi ultimi anni di governo potrebbero essere intese così, come una sit com tragica, che ruota tutta intorno alle vicende del padre di famiglia. Romano è solo uno dei personaggi secondari, di quale pasta sia fatto non conta. Eppure passerà alla storia, il ministro, per aver definitivamente, e suo malgrado, rivelato la sostanza più profonda del partito degli onesti: sono uniti da un clima cameratesco, da combriccola, ambiente nel quale, sembra che Romano si trovi a proprio agio. 

E allora cosa è la legalità, cosa contano la competenza e una certa trasparenza di fronte alla capacità di puntellare, con la propria presenza, i numeri utili a Silvio per gridare ancora, come l'amico Lavitola: «Avanti!». Avanti, sì: verso il definitivo degrado delle istituzioni, lordate in maniera becera, senza alcun rispetto, oggetto, ormai, di sospetto da parte dei cittadini, di cattiva reputazione. 

Il partito degli onesti dovrebbe cambiare nome in quello degli amici di famiglia. 
Niente altro li caratterizza già da tempo.