25 febbraio 2018

Riflettere.

Sto percependo uno strano malessere nelle persone. Vedo gente, a prescindere dall'età, dalla condizione sociale e dal sesso, che sembra essere contagiata da un virus abbastanza subdolo da non essere riconosciuto, una specie di disagio che affiora lentamente e non dà consapevolezza. Vorrei dargli un nome ma non posso farlo se prima non cerco di individuarne le cause. E credo di averne scoperta una: il vuoto. Quel vuoto che, con il passare del tempo, si annida nel cervello mentre si cerca di sopravvivere alle regole imposte dal sistema. Un sistema che sta sostituendo giorno dopo giorno, anno dopo anno, l'originalità e la fantasia di ogni essere umano con una stirpe omologata di consumatori in nome di qualcosa che ha un nome autoritario e altisonante: legge di mercato. Una legge che sollecita fortemente la commercializzazione e la spettacolarizzazione e che viene inculcata quotidianamente nelle esistenze di cittadini potenziali consumatori. Bisogna commerciare di tutto e di tutto si fa spettacolo perché sia commerciabile così che l'economia possa girare e tutti ci possano guadagnare. E allora via che ci si danna l'anima per produrre, possedere e consumare sempre di più, per sostenere quell'economia che in cambio dà solo assuefazione, come una droga che istupidisce e svuota. Si produce vuoto per consumare vuoto. Ingabbiati, ormai da secoli, all'interno di questo meccanismo e occupati solo a sopravvivere, si accettano i dogmi di chi dice di sapere ciò che è funzionale spacciando per verità inoppugnabili menzogne, ricatti e violenze di ogni genere, mascherandoli da democrazia e libertà, che nella legge del mercato trovano compiuta espressione. Viene a meno la forza di riflettere e di discernere e subentra la rassegnazione.
Riflettere è sempre stato pericoloso e lo è ancora. Riflettere può significare farsi domande che cercano risposte, può risvegliare quella fame di senso che non accetta i soliloqui dei poteri di qualsiasi tipo perché si arriva a comprendere che il potere è solo autoreferenziale e quindi falso. Può ridare la consapevolezza che vivere dignitosamente possa voler dire riscoprire sé stessi, la propria vitalità e identità liberandosi dai condizionamenti che dissacrano l'esistenza favorendo la perpetuazione di caste oligarchiche che da secoli usano catene fisiche o mentali per soggiogare le menti.
Ognuno di noi può essere artefice di una verità che collimi con il senso e la gioia della vita e non esistono autorità di alcun genere a cui ci si debba inchinare come a sommi sacerdoti depositari di strane verità rivelate. Siamo noi che abbiamo la responsabilità del nostro patrimonio intellettuale ed emotivo. Siamo noi i proprietari di quel mondo di energie che ci vengono sottratte e incanalate ogni giorno nella direttrice del consumo per generare profitti secondo la sacra legge del mercato. Siamo noi e nessun altro.
Riflettere è pericoloso, porta a ribellarsi e quindi a rinascere. A riscoprire quello spirito libero, quella fierezza della propria indipendenza che porta a sottoporre tutto al vaglio della ragione, la nostra. 

18 febbraio 2018

Non so se ho l'età per farlo...

Non so se ho l'età per farlo, ma ogni tanto mi piace ancora ragionare sull'amore, sui rapporti di coppia, quelli che io non ho e credo non avrò più ormai. Ho ribadito più volte il mio piacere nella solitudine e non lo rinnego affatto, però vorrei soffermarmi su di un altro modo di essere in coppia: un rapporto che preveda lo stare insieme senza doversi per forza fondere in un'unica entità, senza pianificazioni e obiettivi comuni da raggiungere per essere definiti innamorati. Quello che ho inseguito tutta la vita e che non sono mai riuscita a costruire con nessuno perché, di solito, quando ci si riconosce in una coppia subentrano meccanismi di possesso, fedeltà, convivenza e convenienza che, a mio parere, non fanno altro che inibire le personalità. Non dico che non siano giusti (a parte il possesso), ci sono coppie che riescono a stare insieme tutta la vita e ne sono entusiaste ma credo che per arrivare a questo ci sia un prezzo da pagare: l'uno deve per forza adeguarsi all'altro, smussare le diversità, fare finta, insomma, che tutto vada bene anche se in realtà si tratta solo di sopportare. So che questo ragionamento farà storcere il naso ai tanti che diranno che per amore si fa questo ed altro ed hanno ragione: le diversità sono ovvie e se si ama qualcuno lo si ama per le sue caratteristiche, i suoi pregi e i suoi difetti. Però, siccome niente è per sempre (e questa me la dovete passare perché è vero!), passato l'entusiasmo e la passione dei primi mesi, o anche anni non dico di no, in cui tutto sembra superabile e persino divertente, arriva il momento dei compromessi: ci si comporta in un certo modo per non dispiacere all'altro, anche se quel certo modo può non esserci così congeniale. Anche questo può essere giusto, bisogna però dimenticarsi della libertà di essere sé stessi. Ci si adegua per amore, si soffocano gli istinti per amore, si modificano le abitudini per amore. Ma allora, se l'amore ci costringe a cambiare, è ancora amore o solo voglia di stare insieme a qualcuno e lo si fa per paura di rimanere soli?
Ammetto che questo mio modo di pensare può derivare da esperienze non del tutto positive che hanno acuito una certa insofferenza ai compromessi coercitivi (anche se nella vita di tutti i giorni e specialmente nel lavoro sono già ampiamente costretta ad accettare), però questa idea dell'amore l'ho sempre coltivata...con continui insuccessi ovviamente. 
Ed è proprio questa: 
Rispetto quello che si è, per la strada, per la verità e la storia dell'uno e dell'altro.
Camminare insieme anche se gli orizzonti potranno essere diversi.
Liberarsi da tutte le aspettative, lasciar andare tutto quello che si crede "dovrebbe essere" e di tutto ciò che si "dovrebbe fare" per soddisfare i bisogni dell'altro. 
Liberarsi anche dal pensiero di quello che si crede dovrebbe essere l'amore per rispettare la propria unicità. 
Un amore che non giudichi, che non faccia male, che non imponga e non tolga. 
Un amore che liberi onorando l'altro, un amore che preveda lo stare insieme ma anche la possibilità di solitudine e viva esclusivamente nel presente.

Questo è quanto e questa è anche la ragione per cui la mia anima gemella si deve essere persa in qualche viaggio extraterrestre nel tentativo di cercarmi. 

09 febbraio 2018

Poveri e disagiati costituiscono un problema didattico.

Non ho figli che devono andare al liceo ma se li avessi mi informerei sul sito del ministero dell'istruzione per decidere quale scegliere in base alle valutazioni che ciascuno da di sé. E a giudicare dalle autopromozioni potrei far istruire i miei figli in uno di questi fulgidi esempi, il Liceo classico D'Oria di Genova:

“Il contesto socio- economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale (come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia, nonché all'analisi delle specifiche esigenze formative nell'ottica di una didattica davvero personalizzata”.

Esempio che hanno seguito anche i più prestigiosi di Roma e Milano puntando sul classismo e facendosi un vanto del fatto di avere fra i propri iscritti una percentuale molto bassa di neri, nomadi e handicappati, cosa che, secondo loro, favorirebbe la coesione e l'apprendimento.
La denuncia è partita da Repubblica e la ministra Fedeli è insorta, ci mancherebbe. Mi viene però da chiedermi perché c'è bisogno di questa alzata di scudi. Ogni genitore dovrebbe boicottare questi istituti senza se e senza ma, isolarli e privarli dei contributi economici di cui si vantano per sostenere "l'ampliamento dell'offerta formativa". E' la prima cosa da fare che mi viene in mente per combattere questo classismo mai estinto....poi penso che siamo in un periodo di conformismo malato, di paure collettive dalle quali si pensa di scappare chiudendosi nei propri limiti. C'è diffidenza esasperata e rifiuto a priori delle differenze. E cerco di capire come qualche genitore possa sentirsi rassicurato da chi offre un processo di apprendimento al riparo dalle mescolanze, credo che pensino di proteggere i propri figli. E' ovvio che sentendo la parola "prestigio" si possa pensare ad un futuro migliore, è quello che tutti sperano. Ma poi dico no, le menti non si aprono se si percorre sempre la stessa strada in circolo. Per imparare, imparare veramente, c'è bisogno di uscire dal cerchio ristretto del "noi" e conoscere quello che c'è al di fuori, aprirsi alle mille sfumature della vita, comporre il puzzle della realtà con tutte le tessere di tutte le forme e colori.
Ora non voglio fare di tutta l'erba un fascio, le scuole sono tante, diverse e per fortuna non tutte hanno quel tipo di ambizioni ma tutte, indistintamente, dovrebbero veicolare messaggi di inclusione e uguaglianza, sono princìpi irrinunciabili che non vanno modificati, mai. 
Altrimenti diventa pura ipocrisia lo stupore per il consenso popolare del killer di Macerata.

04 febbraio 2018

Sconcerto.

Sono di pochi giorni fa le celebrazioni del giorno della memoria in cui si sono espresse condanne a non finire e in cui si è ribadito da più parti l'allarme per una certa ideologia nostalgica che non si nasconde più e si sta estendendo a macchia d'olio. Tante belle parole per celebrare, come si fa da tempo come un bel compitino, e a cui da tempo avrebbero dovuto seguire fatti concreti mai messi in atto.
Ed eccolo il fascismo che si copre le spalle con la bandiera tricolore per ribadire la sua appartenenza, e saluta a mano tesa, orgoglioso del suo passato e perentorio nel suo gesto. 
Tutti a condannare certo, la politica delle parole non si tira indietro, ma ci sono troppi ma...
C'è Salvini che rifiuta la violenza ma sposta la colpa sui tanti mali causati dall'immigrazione. 
C'è Cangini, candidato con Forza Italia nelle Marche, che afferma che non sarebbe successo niente se Macerata non fosse tra i comuni italiani con la più alta percentuale di immigrati rispetto alla popolazione residente e se un nigeriano senza permesso di soggiorno non fosse stato lasciato libero di fare a pezzi una ragazza di appena 18 anni. 
C'è Minniti che fa un timido riferimento all'estremismo di destra ma non accenna nemmeno a mettere fuori legge certi movimenti nazionalisti.
Ed ecco il risultato di questi tentennamenti, di queste giustificazioni, di queste non-prese di posizione netta, di questo lassismo menefreghista: 


La pagina ha smesso di essere visibile ma non mancano le esaltazioni su altri gruppi.

Poi c'è questo:


Un comunicato delirante, perfettamente in linea con ciò che è accaduto. E' razzismo. E' fascismo. E fascisti sono coloro che lo inneggiano. A Macerata e ovunque, anche se nessun politico o leader nazionale dalla destra alla sinistra, si azzarda a parlarne troppo apertamente. Non sia mai che la verità faccia troppo male perché fra poco avranno bisogno dei voti e non si può scontentare nessuno, nemmeno i paranoici distorti.
Un consiglio: diffidare sempre e comunque di chi, dopo aver condannato una violenza, aggiunge subito un ma...

Per fare da contraltare alle dichiarazioni di cui sopra, eccone altre di tutt'altra natura: