25 febbraio 2015

Processo Eternit. Cassazione: tutto prescritto prima di iniziare.

I giudici di terzo grado annullano tutti i risarcimenti: "Reato non oltre il 1986. Ma dovevano essere contestate lesioni e omicidi". Infine la "censura" del mancato adeguamento delle normative nonostante gli effetti dell'amianto fossero noti già dalla fine degli anni Settanta.
Sono in sintesi gli elementi delle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che ha mandato assolto Stephan Schmidheiny, magnate svizzero di Eternit finché la società non è fallita nel 1986. dopo che la Corte d’appello lo aveva condannato a 18 anni di reclusione.
Il verdetto ha tra l’altro annullato i risarcimenti ai familiari delle vittime. In tutto le morti legate a patologie provocate dall’esposizione all’amianto nelle zone in cui operava Eternit (Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera, Bagnoli) sono state circa 2mila.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/23/processo-eternit-cassazione-prescritto-prima-iniziare-politica-lenta-norme/1447992/

Nous sommes Stephan.
di (uno pseudo) Alberto Prunetti per Carmilla on line

Finalmente dopo giorni di attesa sono arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione sul processo Eternit. Sono 148 lunghe pagine colme di considerazioni giuridiche che i giornali stanno riassumendo con uno strano senso di stupore e meraviglia. Non vedo di che stupirsi. A quanto pare, un minuto dopo aver fatto un fallimento strategico la Eternit non aveva altri obblighi verso il territorio che aveva inquinato per anni. E quindici anni dopo esser scappata all’estero, la multinazionale dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny era ormai aldilà del bene e del male e quindi ingiudicabile rispetto alla morte dei suoi lavoratori. Mi sembra doveroso. Il processo non andava neanche fatto. A saperlo, i manager della Eternit potevano quasi rimanere in Italia. O almeno lasciare le valigie al deposito bagagli.
Una sentenza che farà testo. Ne tenga conto chi sta facendo start-up d’impresa. Gli imprenditori adesso possono ritornare. Tanto più che qui ora si licenzia a nastro, abbiamo asfaltato l’asfaltabile e il nuovo progetto di legge sui reati ambientali pare sia stato rottamato prima ancora di passare sulla Gazzetta ufficiale. Inoltre la responsabilità della presenza dell’amianto non è del capitale ma del settore pubblico che non ha bonificato cinque minuti dopo che la Eternit era andata ai Caraibi dimenticando per la fretta le porte della fabbrica aperte. Dov’è lo scandalo? Il privato si arricchisce e poi giustamente si aspetta che lo stato pulisca. Sennò che ci sta a fare il pubblico? Così invece si crea sinergia: il privato incassa e sporca e il pubblico ripulisce. E’ la prima pagina del corso di ogni master di economia.
Il mondo gira così. Garantito al limone. Non fa una grinza. Perché, c’era da aspettarsi altro?
Se vi sembra una logica al rovescio, è perché ragionate come i contadini maremmani o i montanari o i vignaioli delle Langhe. Quelli che credono che  il diritto sia il contrario dello storto. Ma chi ha studiato, chi ha fatto l’università come noi, chi capisce le ragioni e gli impedimenti dirimenti e il latinorum dell’economia e del diritto, non può non considerare quella sentenza assolutamente garantista.
Io direi, volendo proprio cercare il pelo nell’uovo, che quella sentenza ha un unico difetto. E’ troppo lunga. 148 pagine sono troppe, per una cosa che riguarda solo 2mila morti. Operai s’intende, non quattrinai. Duemila operai. Quando in fondo ne muoiono ogni giorno tre solo in Italia, di operai, sul lavoro. Ma tanto giustamente tutti dicono che gli operai non ci son più e quindi anche se muoiono in ogni caso il fatto non sussiste.
Pertanto sì, tornando ai miei dubbi sulla sentenza, si potrebbe individuare in quelle 148 pagine uno spreco di carta, di risorse e di tempi. E in anni di austerity è bene risparmiare. Che poi c’è anche da incollarci il bollo.
In conclusione, la sentenza andava scritta più semplicemente, nel rispetto dei principi economici e giuridici che ispirano il nostro ordinamento, con le seguenti tre parole:
andare, camminare, lavorare.
Tutto qui. Andare camminare lavorare.


E poi, scusate, cos’è è questo mugugnare di operai che vengono qua sotto a chiedere giustizia? Al lavoro. Andare. E guai a chi si lamenta. Guai a chi tossisce. Il prossimo che tossisce lo denuncio per diffamazione d’imprenditore.
Anzi. Cominciamo a denunciare tutti quelli che hanno scritto del processo Eternit, banda di rancorosi, che c’hanno tutti qualche morto in famiglia per l’amianto e scrivono ad personam. Ovvio che sono tendenziosi. Anche quello che scrive queste righe, che fa satira. Perché se voi siete Charlie noi siamo Stephan. E forbice vince su carta, cari miei. Dovreste saperlo, voi che giocate sempre a morra, in quelle bettole che frequentate.
E poi insomma, bisogna anche saper stare al proprio posto. Che è tutta questa plebe che invade le aule dei tribunali? E mica dalla parte che le compete, che è quella dell’imputato. No, addirittura portare il padrone alla sbarra. E con quale diritto? Se il diritto sta dalla parte del padrone, la sbarra si alza e lo fa passare. Perché lui è il padrone e voi non siete nulla. E noi? Ripetiamolo: Nous sommes Stephan e voi non siete un cazzo
Pertanto, in nome del popolo italiano: andare, camminare, lavorare.
[Post scriptum non satirico: Agli amici e ai compagni di Casale Monferrato dedico queste righe che, nella loro deformazione caricaturale e satirica di una tragedia umana, da un lato possono apparire ciniche, dall’altro fotografano forse una situazione in cui il paradosso è il tratto più veritiero. In conclusione per noi che non siamo Stephan, valgono altre considerazioni, forse retoriche, ma che possono scaldare il cuore e aiutare a continuare la lotta. Primo: come dicevano le Madres de Plaza de Mayo, e come ha sottolineato di recente Giuliana, una signora di Casale, l’unica lotta che si perde è quella che si abbandona. Secondo, ricorderete il mito di Sisifo, costretto a ripartire sempre da capo, ad arrampicarsi sulla montagna con un masso sulle spalle. Così si sente la gente di Casale adesso, come Sisifo. Ecco, uno che se ne intendeva, ha scritto che bisognava immaginare Sisifo felice. E io non ho mai visto nessuno più felice e più dignitoso della gente di Casale, che in un mondo ingiusto ha cercato la strada della giustizia senza usare la retorica del vittimismo. Nonostante tutto. Per questo aveva senso arrivare fin qui e ha senso oggi ripartire da capo. Terzo, come cantano i Gang, non finisce qui. ] A.P.



23 febbraio 2015

Ieri mattina al supermercato ho visto un signore anziano con un cappotto liso che si infilava qualcosa in tasca. Si è accorto che lo guardavo e per un attimo i nostri sguardi si sono incrociati. Avrei voluto dirgli: "Te lo pago io", ma non ne avevo la possibilità, avevo a malapena da pagare quello che avevo comprato io e mi serviva tutto. Alla cassa ha mostrato un kg di farina e un sacchetto di patate, il resto no. 
Io non ho detto niente.

La scomparsa dello sguardo.


L’esperienza di guardare ed essere guardati è tramontata, gli occhi sono stati ingoiati 
da quei prodigiosi apparecchi 
che sono i moderni cellulari. 
Abbiamo perso gli sguardi sul mondo reale, 
con cui alludere a un comune destino.

La scomparsa dello sguardo Paolo Mottana

Il Pinone.


Una volta tanto parlo del mio paese. Di una cosa in particolare: il Pinone, un maestoso esemplare di Cedro del Libano, simbolo del Parco Ducale, citato tra i cento monumenti vegetali più importanti d’Italia, che è stato danneggiato dalla nevicata di due settimane fa e adesso ha bisogno di aiuto. 

Chiamato dai pavullesi “Pinone” è stato messo a dimora dal giardiniere tedesco Carlo Huller che disegnò e realizzò il Parco per il duca Francesco IV e presenta una circonferenza di m. 5,50 e un’altezza di m. 38. La specie, originaria del medio oriente, venne introdotta in Europa nel 1683. In Italia i primi esemplari furono piantati nel 1787 nell’Orto Botanico di Pisa. Oggi è molto diffuso nei giardini per il suo bellissimo portamento e per il suo tronco potente, ramificato fin da basso. Il suo legno è forte ed estremamente durevole. Gli antichi egizi distillavano dal legno un olio particolare che usavano per l’imbalsamazione dei defunti. In epoca biblica, per la sua solidità e durevolezza, il legno del cedro era spesso usato per la costruzione dei templi e palazzi. Si ricorda che, durante l’ultima guerra il Pinone ha corso il rischio di essere abbattuto dai soldati tedeschi per ricavarne legna da ardere; tale intenzione fu scongiurata dall’intervento dell’allora podestà Ghibellini. 


Come ho detto, è stato danneggiato abbastanza gravemente dal peso della neve che è caduta copiosa in poco tempo, e adesso, dopo una messa in sicurezza tempestiva e competente degli arboricoltori certificati della SIA, bisogna aspettare la primavera per mettere in atto un intervento di concimazione e controllo con biostimolanti, per aiutare la pianta nella ripresa vegetativa. In ogni caso, il Pinone necessita di tempo per reagire al danno subito alla chioma e per mettere in atto le strategie botaniche di compensazione che gli permettano di continuare l’attività vegetativa.
Gli esperti hanno informato che se dovessero pertanto verificarsi eventi meteorologici particolarmente avversi come quello dei giorni scorsi non è possibile escludere il verificarsi di caduta di ulteriori rami quindi, in caso di eventi meteo di portata eccezionale, l’Amministrazione terrà costantemente monitorata la situazione.
E' stato istituito anche un gruppo di lavoro che si occuperà di come recuperare e riutilizzare il legname.
E infine è allo studio anche la possibilità di indire un concorso di idee dal quale trarre ulteriori indicazioni utili.
Pertanto se mai qualche esperto capitasse in questo blog e avesse qualche idea....sarà il benvenuto! 

20 febbraio 2015

Cantacronache: un mito della canzone attraverso le sue immagini e la sua musica.

Quello che segue è un estratto da un libro in corso di preparazione che ricostruisce, attraverso documenti d'archivio per lo più inediti, il percorso di questo collettivo che anticipò la canzone d'autore, la canzone popolare e di protesta in Italia. La terra della pace, del lavoro... dell'amore.

 

Un giorno nel mondo finita fu l'ultima guerra,
il cupo cannone si tacque e più non sparò,
e privo del tristo suo cibo dall'arida terra,
un branco di neri avvoltoi si levò.
Dove vola l'avvoltoio, avvoltoio vola via
vola via dalla terra mia che è la terra dell'amor.

I Cantacronache si materializzarono – ancora senza volto – il primo maggio del 1958, in Piazza Castello, durante la manifestazione sindacale a Torino: la loro prima incisione veniva diffusa da un camioncino debitamente attrezzato. La sera stessa avrebbero tenuto il loro primo concerto.
C'è dunque uno strano filo simbolico che lega la prima apparizione dei Cantacronache ai moderni cortei dei nuovi ribelli, dalle proteste del movimento No-Global di fine anni '90/inizio 2000, alla parata dei Centri Sociali che sfila per le vie di Milano ogni primo di maggio: la Mayday Parade. Non tanto per le tenute dei manifestanti, che allora sfilavano con tanto di giacca e cravatta, né per gli striscioni piuttosto smorti, quanto perché il corteo era accompagnato da un furgoncino, attrezzato con altoparlanti, che diffondeva musica. Il progenitore insomma di quello che oggi si chiama sound system. La canzone che più lascerà il segno, fra quelle che accompagnavano quel primo di maggio del 1958 a Torino, era come le altre nuovissima.
L'autore della musica, un bravo e inquieto compagno di 28 anni, militante comunista iscritto al partito, vulcanico musicista di formazione colta, ebreo che ha conosciuto il disonore delle leggi razziali e l'orgoglio della lotta di liberazione, Sergio Liberovici. A rendere però, da allora, particolarmente notevole la colonna sonora di quella manifestazione è l'autore del testo, uno degli scrittori italiani più importanti e noti del secondo '900: Italo Calvino.
Quanti sanno che a lui, e a un manipolo d'intellettuali torinesi, si deve l'inizio della canzone d'autore italiana?
Il brano Dove vola l'avvoltoio – che viene registrato con altri due dai Cantacronache nel loro primo sperimentalissimo 78 giri, e diffuso dagli altoparlanti proprio quel primo di maggio del '58 – è, per la cultura musicale del nostro paese, il prototipo della ballata antimilitarista d'autore. Il tema della denuncia dell'atrocità della guerra è già presente nel canzoniere popolare, ma di tale repertorio c'è per il momento solo una percezione vaga, anzi, il contributo dei Cantacronache sarà fondamentale nel dettare le regole di raccolta e diffusione di tale repertorio. Incideranno loro per primi, nel secondo volume dei “Canti di protesta del popolo italiano”, O Gorizia tu sei maledetta, la canzone che di lì a pochi anni detonerà lo scandalo e le denunce dello spettacolo “Bella Ciao” (giugno 1964).
Il tema antimilitarista è quasi ossessivamente presente anche nei Songs di Brecht (Legende vom toten Soldaten, Kanonen song, ecc.), nelle chansons di Prévert, Brassens o Vian (Barbara, La mauvaise reputation, Le deserteur), che sono fonti d'ispirazione per l'intero gruppo.
Dove vola l'avvoltoio però costituirà in Italia il riferimento per le canzoni che seguiranno, a partire dalla celeberrima La guerra di Piero di Fabrizio De André, che ne cita l'incipit:


L'avvoltoio andò dal fiume
ed il fiume disse “No
nella limpida corrente
ora scendon carpe e trote
non più i corpi dei soldati
che la fanno insanguinar”
(Calvino)


Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente.
(De André)

http://www.arivista.org/?nr=395&pag=54.htm




Questa canzone ancora la si canta, anche perché purtroppo questa non è la terra della pace, né quella del lavoro. Ma sulla ruggine che prima o poi coprirà l'ultimo inutile cannone ce lo scriveremo che questa è la terra dell'amore.

Non imparerò mai.

No, non credo che riuscirò mai a farlo, sono troppo vecchia ormai e si sa, invecchiando i difetti su acuiscono. Non imparerò mai a chinare la testa, a dire sì anche quando c'è da dire no, a sottomettermi. Anche quando voglio bene. Anche quando le persone sono importanti per me. Perché credo che quando mi feriscono lo facciano consapevolmente, quindi altrettanto consapevolmente posso mandarle a fanculo. Perché altrimenti non capiranno mai che non sono il centro del mondo ma che sono importanti solo ed esclusivamente nella misura in cui io le ritengo tali. 
Ad essere stronzi son capaci tutti e anch'io non me la cavo male.

18 febbraio 2015

Per te. Per me. Per tutti i nostri rapporti.

Mi piacerebbe che qualcuno mi dicesse queste parole:

Rispetto quello che tu Sei,
la tua strada, la tua verità, la tua storia.
Camminiamo insieme per ammirare lo stesso orizzonte, 
non per non spostare mai lo sguardo oltre noi.
Desidero che tu sia chi cammina accanto a me
e non quello che mi impedisce di percorrere la mia via.
Ti libero da tutte le aspettative, 
lascio andare tutto quello che credo 
 "dovresti essere", 
ti libero di tutto ciò che dovresti fare 
per soddisfare i miei bisogni.
Ti libero anche dal pensiero di quello 
che credo dovrebbe essere l'amore, 
libero anche me da questo, 
perchè rispetto la tua sacralità e la mia.
Ci meritiamo di più di quello 
che abbiamo sempre chiamato amore.
Noi siamo benedetti con un amore diverso, 
che non fa male, 
che non ha aspettative, 
e dona perchè dare è la sua essenza, 
un amore che libera onorando l'altro, 
un amore che prevede lo stare insieme 
ma anche la possibilità di solitudine 
e vive esclusivamente nel presente.
Perchè è nel presente, qui e ora , 
che noi stiamo costruendo
con un nuovo filo, un filo forte, una tela diversa, 
che sostiene senza giudicare essendo composta di comprensione reciproca.
Per te
Per me
Per tutti i nostri rapporti.

16 febbraio 2015

I giovani avranno il lavoro promesso da Renzi: andranno a morire per gli interessi dei padroni.
http://www.huffingtonpost.it/2015/02/14/italia-guerra-libia_n_6683622.html

Invariant

Articolo pubblicato da Alessandra Daniele su Carmilla on line

Ve lo ricordate il capodanno del 2000? Era così atteso. È arrivato. Ed è passato. Da quindici anni.
C’è una una sola delle legittime speranze che avevamo per il 2000 che non sia stata delusa?
Non parlo di macchine volanti e colonie marziane, ma almeno di opportunità di lavoro migliori, diritti civili non condizionati dal Vaticano, un governo che non sia un monocolore democristiano che scardina e svuota la Costituzione nottetempo come un topo d’appartamento, una politica estera che non sembri una versione steampunk del colonialismo giolittiano-fascista, con le sue guerre per la Tripolitania.
Che cazzo di fine ha fatto il futuro?
Mi torna in mente il racconto “You See But You Do Not Observe” (1995) di Robert J. Sawyer, che descrive il nostro mondo come un sub-universo senza vita, un binario morto dimensionale nel quale una riscrittura del passato ha cancellato il futuro.
Niente di quello che sarebbe dovuto succedere è successo, e non solo, sono state deluse anche le aspettative più modeste.
Non credevo che saremmo stati pronti ad accogliere visitatori alieni, ma nemmeno ad annegare migranti umani pur di respingerli.
Non m’aspettavo che dal web sorgesse un’intelligenza artificiale sovrumana, ma nemmeno il twitter di Gasparri.
C’è da chiedersi se questi ultimi trent’anni siano passati davvero.
L’Ucraina dimostra come anche la celebrata fine della Guerra Fredda sia stata solo un’illusione.
Persino Philip K. Dick, col suo pessimismo profetico, se potesse vederci adesso ci direbbe “ancora così state?”
Siamo (apparentemente) da quindici anni nel terzo millennio, e la cosa più moderna che abbiamo era già stata immaginata nel 1943:
«Tirai fuori il mio comunicatore portatile, e glielo porsi. Lo osservò con crescente meraviglia, e fu deliziato quando gli mostrai il proiettore, lo stereo, e i biauricolari incorporati. Non propriamente semplice, comunque esattamente il tipo di evoluzione nel campo dell’elettronica che uno scienziato dell’epoca avrebbe associato al futuro.» Dal racconto breve di John R. Pierce ”Invariant” del 1943.
Lo scienziato in questione non sa d’essere in realtà rinchiuso in un museo, perché ha reso il suo cervello invariabile, cioè indistruttibile, ma anche incapace di registrare nuove memorie.
Incapace di ricordare il futuro.
A noi è andata anche peggio, siamo invariabili senza nemmeno essere indistruttibili. Sepolti vivi in un museo, e tenuti buoni con dei giocattoli mentre ci decomponiamo.
Dovremo incazzarci per questo, non per i lavavetri ai semafori.
Ma forse non siamo più abbastanza vivi per farlo.

15 febbraio 2015

Antidoto ai luoghi comuni di ieri

Posto oggi perché non ho voluto guastare niente a nessuno, che ognuno sia libero di esprimere ciò che vuole a chi vuole, anche in termini ipocriti e convenzionali. Non posso fare a meno però, almeno ora, di dire anch'io qualcosa su questo argomento e lo faccio brevemente: 
l'amore è qualcosa di meraviglioso, ma se mentre si dice di amare si lasciano scie di sangue, forse si sbaglia ad affermarlo.

La leggenda narra che la piuma di una giovane aquila
cadde  accanto ad una donna ed ella, contemplandola,
imparò il segreto del volo.



"Il giorno in cui una donna potrà non amare 
con la sua debolezza ma con la sua forza, 
non scappare da se stessa ma incontrarsi, 
non umiliarsi ma affermarsi, 
quel giorno l'amore sarà per lei, come per l'uomo, 
fonte di vita e non un pericolo mortale".

Simone de Beauvoir

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Donne mie illudenti e illuse 
che frequentate le università liberali,
imparate latino, greco, storia, matematica, filosofia;
nessuno però vi insegna ad essere 

orgogliose, sicure, feroci, impavide.
A che vi serve la storia se vi insegna che il soggetto
unto e bisunto dall’olio di Dio è l’uomo 

e la donna è l’oggetto passivo di tutti i tempi? 
A che vi serve il latino e il greco
se poi piantate tutto in asso per andare
a servire quell’unico marito adorato
che ha bisogno di voi come di una mamma?
Donne mie impaurite di apparire poco femminili, 

subendo le minacce ricattatorie dei vostri uomini, 
donne che rifuggite da ogni rivendicazione 
per fiacchezza di cuore e stoltezza ereditaria 
e bontà candida e onesta. 
Preferirei morire piuttosto che chiedere a voce alta 
i vostri diritti calpestati mille volte sotto le scarpe.
Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite,
sappiate che se volete diventare persone e non oggetti, dovete fare subito una guerra dolorosa e gioiosa, 

non contro gli uomini, 
ma contro voi stesse che vi cavate gli occhi
con le dita per non vedere le ingiustizie che vi fanno. 

Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, 

delle rivali, degli oggetti altrui; 
contro chi vi ingiuria tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l’idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, 

possedendo per bagaglio solo un amore teso, 
lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so)
un’ amore senza scelte, istintivo e brutale.
Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura.


Dacia Maraini

10 febbraio 2015

Nei corridoi suburbani della Supercittà

Nei corridoi suburbani della Supercittà, 
gli agenti dell’Intelligenza pubblica
domanderanno ai passati, 
se ne restano, 
le loro “idee”, 
il loro permesso di ideologia sorvegliata e, 
nella maggior parte dei casi, 
il loro “uit” (unica idea tollerata).
Coloro che non saranno in regola verranno arrestati 
e condotti verso il blocco
operatorio culturale e universale.
L’elucubratore li condurrà alla cancelleria della colpevolezza collettiva 
e della responsabilità comandata.
Là, i grandi manipolatori perforeranno loro 
il biglietto socio-cerebrale 
e saranno rimessi in libertà trattabile 
manovrabile e manipolata.

Jacques Prévert (1972)

Il rischio è quello che Prévert, in maniera sublime in questi versi, ha descritto più di quarant’anni orsono, quello di barattare il futuro col futuralismo, il tempo della disumanizzazione assoluta, abitato solo da corpi senza organi né memoria atti a fungere da mere protesi di un potere senza più limite alcuno.

06 febbraio 2015


Il silenzio è l'elemento più straordinario che ci sia in natura; lo puoi interpretare in chiave artistica, metafisica e filosofica ma, alla fine, è sublime perchè costituito semplicemente dall'assenza di rompicoglioni negli immediati paraggi. 
Una gran cosa dopo quindici giorni di pressing. 
Grazie neve!

05 febbraio 2015

Per il bambino di due o tre anni, la vita non è altro che un gioco. Con l'arrivo dello Stato, della civiltà, del denaro, della scrittura, della scuola, del progresso, tutto crolla.

"La vita come un gioco
di Philippe Godard. 

Mentre la società globale va precipitosamente verso il suo prevedibile e previsto crollo, i suoi mediocri dirigenti pensano soltanto a dirigere. In questo modo, essi si avviano tutti insieme verso una globalizzazione ancor più assoluta: l'illusione delle nazioni riunite in un governo unico del mondo, che, con non poche difficoltà, tentano di organizzare a scadenza più o meno breve. In ciò, essi sono consapevoli di essere supportati dal mediocre pensiero socialista-statalista che, con Marx, postula che se i filosofi finora non hanno fatto altro che capire il mondo, ora si tratta di trasformarlo. Ebbene, qualsiasi trasformazione del mondo porta a negare la libertà di coloro che sono costretti a muoversi e vivere in questo mondo trasformato da persone che non sono loro. Infatti, trasformare e imporre una trasformazione significa privare gli altri della loro capacità di farlo in prima persona, se è quello che vogliono, e negare loro qualsiasi forma di inventiva. Così, l'islamismo che si sviluppa nelle periferie francesi o imperversa sulle montagne afgane deriva da questo rifiuto di vivere in un mondo imposto da qualche burocrate di Goldmann Sachs o del Fondo monetario internazionale, aiutati da qualche profondo pensatore di Hollywood, del MIT o del Collège de France.
Certo, oggi il mondo è in gran parte distrutto, e questa era l'unica direzione che poteva imboccare la sua trasformazione, poiché ogni trasformazione del mondo da due millenni a questa parte ha sempre implicato un processo totalitario di distruzione dei mondi multiformi che lo avevano preceduto. Non ci resta (resterebbe) che trasformarlo in meglio, dato che, in effetti, questo nostro mondo attuale, questo mondo contemporaneo, non è migliore di tutti i mondi che sono venuti prima di noi. Ma questa trasformazione positiva dell'esistente è un'illusione: poiché il mondo converge verso un modello unico, il capitalismo sfrenato, esso si distrugge in quanto tale. Il “mondo” è un concetto che implica un'unica realtà: l'infinito dell'orizzonte e degli esseri. Se questa infinita diversità resiste, evolve, se certe culture scompaiano, ma altre vedono la luce, allora il mondo è mondo. In caso contrario, non è che una prigione a livello globale.
In origine, ogni cultura inventata dall'uomo è stata soltanto un gioco: esseri umani inventarono cosmogonie, come i bambini immaginano una situazione nel mondo; si diedero regole e modi di vivere come fanno i bambini nei loro giochi del momento. Il fatto che questi giochi di culture, divenendo complessi, siano diventati altrettanti ostacoli alla libera realizzazione degli esseri e dei desideri non impedisce che il gioco resti all'origine del mondo umano: la vita è un gioco, e il bambino sa che cos'è il gioco di vivere.
Creando le proprie regole partendo dal niente, inventando in questo modo una civiltà a propria misura, il bambino rileva fino a dove arriva l'alleanza con gli altri, che giocano o non giocano con lui, che rientrano o non rientrano nel suo gioco di vivere. Per il bambino di due o tre anni, la vita non è altro che un gioco, e così è stato nel corso del 99% della storia umana. Con l'arrivo dello Stato, della civiltà, del denaro, della scrittura, della scuola, del progresso, tutto crolla.
Scopo della civiltà è quello di far entrare tutti i neonati, tutti i nuovi venuti al mondo, nel busto rigido dell'ordine e del rispetto; per questo, è necessario far sì che abbandonino il loro amore per il gioco di vivere il più presto possibile. I giocattoli sono la negazione di questo gioco di vivere, organizzata dalla civiltà mercantile: tutti i giocattoli sono portatori di un solo modo di giocare, o, nel migliore dei casi, di alcuni, ma concepiti all'esterno del mondo del bambino che giocherà con questi giocattoli, e soltanto nel modo in cui sono stati concepiti. Per questi giocattoli e questi bambini significa né più né meno che rientrare nella civiltà che li produce...
Il Ventesimo secolo è stato contraddistinto dalla distruzione di massa delle culture umane. In questo secolo terribile i Selvaggi sono tutti scomparsi. E il Ventunesimo cerca di ridurre ai minimi termini quel che resta di culture che ancora si oppongono ai sistemi statuali e alla religione monoteista. Molti socialisti e altre varianti di adoratori dello Stato auspicano un governo mondiale, dunque unico, per andare verso una sorta di pace perpetua e di età dell'oro del progresso e della tecnica. Così facendo, a scomparire sarà il gioco di vivere. Infatti non sarà più possibile alcuna invenzione, seppure temporanea, di civiltà attraverso il gioco. La vita sarà soltanto un adeguarsi all'ordine della Megamacchina che pensa se stessa, in funzione dei nuovi sviluppi tecnici aperti da tutte le evoluzioni precedenti. Così il motore di ricerca informatico ha aperto la possibilità di conoscere i gusti e le opinioni di tutti; e ora bisogna canalizzare questi gusti e queste opinioni e distruggere coloro che si collocano ai margini del movimento.


Una riflessione profonda sulla nostra libertà

Come se l'ottenebramento non fosse abbastanza forte, sappiamo che ci stiamo dirigendo verso il crollo della nostra civiltà, in un processo che etnologi ed economisti hanno già descritto – Collasso, di Jared Diamond, è un best-seller mondiale e poco importa che l'opera possa prestare il fianco ad alcune critiche, perché la base della sua tesi è assolutamente conforme a una civiltà, la nostra, che vede la propria salvezza soltanto nella fuga in avanti tecnologica e monostatuale. L'immagine degli abitanti dell'Isola di Pasqua che si autodistruggono senza poter mai intervenire contro se stessi per salvarsi corrisponde appieno allo stato attuale di una civiltà finanziaria e tecnica, che si crede superiore a tutte quelle che l'hanno preceduta. Purtroppo, la fuga in avanti non è la prima responsabile di questa distruzione del mondo; ma ancor più fondamentale è la semplice idea che noi lo trasformeremo – come gli abitanti dell'Isola di Pasqua hanno voluto trasformare la loro isola innalzando le loro favolose statue. Trasformandolo, noi priviamo del loro “gioco di vivere” coloro che volevano continuare a giocare il mondo, i creatori di civiltà.
L'anarchia – che non ha niente a che vedere con il caos – è una delle sole idee che corrisponde al gioco di vivere quale è stato praticato dall'umanità da un milione di anni. Il non-agire dei taoisti è un'altra di quelle idee che ridanno la speranza in un rapido crollo di questa civiltà. Infatti, dopo il crollo, il gioco di vivere resterà intatto, perché è radicato nei geni di tutti i mammiferi, non soltanto in quello dei neonati umani. In tal modo, l'unico vero progresso consisterà nel fatto che il gioco di vivere diventerà l'unica regola, a imitazione del “fai ciò che vorrai” di un altro anarchico di un'altra epoca, Rabelais. Ci si dimentica troppo spesso che Rabelais era un uomo colto e che il suo “gioco del mondo” implica una riflessione profonda sulla nostra libertà…
È possibile che il crollo si verifichi soltanto tra qualche secolo. Dopo tutto, l'impero romano è già stato un processo totalitario di distruzione dei mondi e della loro integrazione forzata in un insieme unico e gerarchizzato. Quanto a noi, fin da ora, osserviamo questo gioco giocato dai nuovi venuti con il mondo che li circonda e che è anche il nostro. Favoriamolo, per quanto è possibile, lasciando liberi i bambini e sottoponendo noi adulti alla loro scuola del mondo!

Philippe Godard

traduzione di Luisa Cortese

Ho camminato sulla neve fresca, 
vergine di orme, 
leggera come piume, 
immacolata, 
silenziosa,
catartica.

01 febbraio 2015

Sono stanca, di tutto. E' banale dirlo, non è altrettanto banale esserlo. Di quella stanchezza che fa dire chissenefrega, a culo tutti e tutto, voglio stare sola, annullarmi, isolarmi. E' un momento così. Sì, passerà, tutto passa, anche il dolore o la fatica, o la delusione, l'umiliazione, l'inconsistenza. Sono stanca perché è tutto troppo difficile, non solo tirare avanti con poco più di niente, è difficile trovare uno stimolo, un qualcosa che faccia dire: "ne vale la pena". Sono difficili i rapporti con le persone, è difficile il rapporto con me stessa, sempre combattuta fra l'orgoglio, la dignità e la necessità o i doveri necessari. Sono sempre stata poco incline a chinare la testa, non ci riesco, è più forte di me, però ci sono costretta e non posso fare altro. Sono sempre stata orgogliosa dei miei ideali e adesso mi sembra di rinnegarli. Vecchia sognatrice incallita, quando imparerai che i sogni sono solo sogni e che la realtà è tutt'altro?