27 agosto 2016

Un bel paese.

Non si ferma la conta dei morti. Non si ferma la terra e non si fermano i crolli. Così come non si ferma il bieco opportunismo dei media e della politica che ha modo di esprimersi in tutta la sua ignobile fame di audience, visibilità e raccolta di consensi. Anche i social, luogo di condivisione a oltranza, fanno la loro parte nel rivelare il loro lato più becero con la storia degli immigrati, delle punizioni divine, le battute sarcastiche e le polemiche inutili.
Non c'è rispetto in tutto questo: nelle infinite e ripetitive sequele di pareri di pseudo-esperti o nel morboso insistere dell'informazione pronta a passare sui cadaveri, letteralmente. Lo sappiamo cosa succede in questi casi, lo sappiamo perché abbiamo vissuto il Belice, il Friuli, l'Irpinia, L'Aquila, l'Emilia. Ogni anno, tra un terremoto e un alluvione, facciamo da spettatori o vittime dell'orrore. Sappiamo anche come vanno le cose dopo, quando l'informazione decide di non stare più "sul pezzo", quando la politica torna alle corruttele e agli intrighi di palazzo mentre le vittime rimangono vittime a vita, aggiunte alle altre, anch'esse a vita, tra baracche e promesse mai mantenute.
Non c'è rispetto nel dire che per sanare l'Italia servono troppi soldi quando basterebbe rinunciare a qualche privilegio da parte di chi loda i soccorritori circondato da guardie del corpo o costringere la parte più ricca del nostro paese a disfarsi di una parte del suo odioso benessere costruito anche sullo scempio del territorio. Non c'è rispetto quando si comprano gli F16 considerandoli più importanti della sicurezza della nostra gente o si lodano "le grandi opere", quelle imprese faraoniche inutili o direttamente dannose che hanno sottratto e sottraggono risorse ed energia alle altre piccole opere che potrebbero prevenire le catastrofi o perlomeno ridurne gli effetti. 
Un bel paese sì, ma afflitto dall'ignavia, dal cinismo, da affaristi e ladroni che di questa bellezza e della bontà della gente continuano ad approfittare.
Non c'è molto da dire, la lezione ancora non è servita. Servirà questa ennesima tragedia o la rumorosa e costosa logica dell'emergenza continuerà a dominare? Difficile dirlo, per ora di sicuro c'è solo la pacata e silenziosa ordinarietà che, ancora una volta, è rimasta sepolta sotto le macerie.

25 agosto 2016

Voglio solo dire grazie.

Non sprecherò parole, ne leggo, ne sento, ne sono inondata e schiacciata. Io voglio solo dire grazie a tutti coloro che non hanno esitato un attimo per cercare di salvare delle vite, ricacciando indietro la disperazione. Quelli che non hanno aspettato nessuno e si sono mischiati alle pietre e alla polvere senza inutile e ripetitiva propaganda governativa. A tutta quella gente meravigliosa dedico tutta la mia stima auspicando che, almeno per una volta, lo sciacallaggio e la speculazione restino lontani.
Un abbraccio forte a chi soffre, ai parenti delle vittime, a chi dà una mano forte e concreta, a chi mette a disposizione tempo ed energia. 

Ecco un esempio edificante di solidarietà che proviene da chi ha sofferto nei luoghi di origine. Per tutti coloro che, a cuore freddo, vorrebbero scacciare il clandestino dall'albergo e deportarlo a spalare.


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24 agosto 2016

Non è un buon giorno.

Ancora una volta il terremoto ha devastato una larga zone di quest'Italia martoriata. E' successo stanotte, nel centro Italia, tra Lazio, Umbria e Marche. Il bilancio è ancora provvisorio, ma ci sono crolli, morti e feriti e interi paesi distrutti. Ancora una ferita nel cuore del nostro paese. Serve solidarietà. Oggi, ma soprattutto domani facendo esperienza di tante ricostruzioni mancate, occasioni per giunta di mille corruttele e frodi. Anche stamattina, come per L'Aquila, qualcuno si starà fregando le mani pensando ai possibili affari. Ma non basta la solidarietà. Il sisma di stanotte colpisce un'area a altissima pericolosità sismica. Una delle tante che fa del nostro paese, un po' come per il Giappone, un luogo di terremoti annunciati. Lì, in Giappone, il governo del territorio è fatto di messa in sicurezza di uomini e cose. Da noi, ad ogni tragica occasione, si contano i morti e le distruzioni, si straparla e si fa business, ma un vero piano di messa in sicurezza del territorio non è mai partito. Eppure sarebbe occasione di sviluppo ed occupazione qualificata, un dovere civico cui chiamare la nostra gioventù ed in cui impegnare i tanti che da tutto il mondo cercano rifugio e speranza dalle nostre parti. Una valorizzazione e protezione di quello che per tutti è il paese più ricco di storia e più bello del mondo.


20 agosto 2016

Dov'è il limite?

L'abbiamo visto tutti, il piccolo Omran, coperto di polvere e sangue, toccarsi la faccia e pulirsi le mani sulla sedia dell'ambulanza. La sua foto, come quella di Aylan, il piccolo naufrago di Kos, si è moltiplicata all'infinito, fuori da quell'inferno di tribolati. E' un simbolo oppure un’arma, uno strumento di propaganda, un particolare inutile, un bersaglio perfetto, una provocazione, un dettaglio, un peso? Che volete che siano i bambini quando, come avviene in Siria, i morti si contano a centinaia di migliaia? Eppure ogni bambino è unico, ognuno di loro che scompare nel mare o nei quartieri accartocciati di Aleppo, ognuno di loro vede, in un tempo troppo breve, un mondo che non era mai stato visto. Forse pensavano fosse un gioco la prima volta che sono stati strappati dai loro lettini, poi hanno capito che si trattava di questo, di morire. Mi chiedo come questa consapevolezza si faccia strada in loro, quali terribili lacerazioni facciano a pezzi il loro non sapere dell'infanzia, strappandogli l'ingenuità come una benda dagli occhi.
Sono un simbolo sì, ma delle nostre viltà e delle nostre rassegnazioni. In realtà il bambino di Aleppo è completamente solo, costretto a fare i conti con una disperazione che gli toglie il futuro, derubato dell'ebrezza dell'infanzia, di quella prima saggezza innocente assassinata dalla crudele sapienza dei grandi. Quel bambino, quei bambini, sono il termometro della nostra ipocrisia. 
E allora mi chiedo dov'è il limite. Non c'è. Da troppo tempo è stato superato.
E allora come fare oggi per richiamare le coscienze alla decenza della pietà per farla diventare rimedio? Basteranno le loro foto? Vorrei che non fosse una domanda assurda, che ci fosse ancora un argomento in grado di farlo. Ma sembra che davvero non ci sia se questa è l'orribile realtà: portare aiuti ad Aleppo oggi è impossibile. E ancora più difficile è negoziare anche solo una tregua: stop alle bombe per 48 ore a settimana
La soluzione? Una, l'unica, la stessa per ogni scenario di guerra: che finiscano. 
Non c'è cosa buona che possa venire da una guerra, un cessate il fuoco ha senso solo se permanente. Visto che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, bisogna che la politica vi rinunci, altrimenti è inutile piangere per i bambini feriti. Troppi ne moriranno ancora nell'indifferenza generale se ci si limita a immortalarli in qualche foto da condividere. Foraggiare il pietismo è funzionale alla logica dello sterminio, o quanto meno ritardante per una vera opposizione civile a tutto quello che concorre alle guerre, con le missioni, le produzioni belliche, i respingimenti e i silenzi assordanti. Mentre si muore in quantità e di continuo, sbarriamo gli occhi di fronte un bambino estratto dalle macerie di un bombardamento. Credo che sia meglio condividere la vergogna della contemplazione, invece del falso sdegno. 


Bella come Beirut
Esausta come Damasco
Timida come il Cairo
Distrutta come lo Yemen
Ferita come Baghdad
Dimenticata come la Palestina.
  
Rasha Aly

19 agosto 2016

La salute prima di tutto!

Non accenna a diminuire il dibattito sulla legalizzazione della cannabis. C'è chi dice sì, c'è chi dice no, c'è chi ci ripensa e chi invece non demorde. 
Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, non demorde e pensa alla salute degli Italiani: 
“Uno Stato democratico non può permettersi il lusso di legalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini”. 
                                                            
Ecco.


 Direi che qui l'ipocrisia c'è tutta.

Prescindendo da questo sporco opportunismo, vorrei citare solo l'esempio del Portogallo, modello unico nel suo genere, che è descritto molto bene in questo articolo, Decriminalizzare tutte le droghe: l’esperimento del Portogallo , e che dimostra  che un approccio alle droghe centrato sulla cosiddetta riduzione del danno, che non considera l’utilizzatore un criminale e che si concentra sul rendere disponibile assistenza, se desidera utilizzarla, produce risultati concreti. 
Alla faccia di chi pensa di essere competente a priori.

18 agosto 2016

Ma pensa un po'!

E io che credevo che i veri problemi fossero la povertà, l'inquinamento, lo scioglimento dei ghiacciai, la guerra, il terrorismo, la corruzione, i dittatori, il razzismo, l'omofobia e l'ignoranza, il lavoro minorile, il lavoro nero, l'infibulazione, le dimissioni in bianco e il turismo sessuale. E invece scopro che il problema del mondo è il burkini
Ma la vogliamo piantare con queste fregnacce? Non è un problema! Che ognuno si vesta come gli pare, per scelta, per religione, per qualsiasi altro motivo, ma facciamola finita! Non esiste che si debba fare un regolamento su chi, come e dove indossare il costume da bagno! Cosa dovrebbero fare? Non andare in spiaggia? Oppure vogliamo delimitare una zona solo per loro? Come per i nudisti. E allora perché non farlo anche per le cicciottelle, o le anoressiche o le donne disabili magari, che potrebbero urtare la la nostra sensibile e democratica vista. E le suore? Sì, anche una spiaggia per le sole suore! Tutti ben divisi, inscatolati, con dei muri belli alti, anche per questo, così che le nostre sane e meritate vacanze non siano disturbate da panorami non graditi. 
Che poi arriva la Zanardo con queste sue perle di saggezza. Ovviamente ha tenuto a precisare che ha molte amiche egiziane:"Io femminista vi dico: vietare il burkini è giusto, è di sinistra".
Ma ragazze mie, pensateci un momento: queste donne al mare vestite non devono neanche fare la prova costume, non si fanno venire i patemi se hanno una smagliatura in più o il lato b che fa la guerra con la forza di gravità, o il peletto all'inguine che è ricresciuto di un nano millimetro. Non siamo forse noi schiave delle mode, del corpo magro e sodo, della depilazione e di mille altre paranoie?  
Donne in burkini, insegnateci ad essere felici anche senza il pushup!





17 agosto 2016

Perché una canzone non è mai soltanto una canzone....

....ogni nota, ogni parola porta dietro odori, sapori, ricordi, rimpianti, lacrime, sorrisi, felicità, malinconie ....ogni strofa porta brandelli immacolati delle colonne sonore della nostra vita...


Le grida della strada
i passanti i negozi
dove come in un insulto
ti vai a rispecchiare
tra gioielli da poco
e biancheria da niente
ombre
in occhi di donna
che ti vedono passare
tutti questi rumori
dentro i quali ti immergi
nei quali ti esilio
per amarti da lontano
in un gioco sottile
questi trucchi un po' pazzi
tutto questo è il tuo stile
il tuo stile il tuo culo
il tuo culo il tuo culo
E la mia legge a cui ti pieghi
maledetta
a quel fuoco che accende
ogni mia sigaretta
e l'amore in ginocchio
non conosce stallo
il tuo stile il tuo culo
il tuo culo il tuo culo
i porti nella notte
quel figlio che vorremmo
e non vogliamo più'
a un tuo minimo segno
quando noi mescoliamo
nel fondo del tuo bene
sangue della mia uva
a vino della tua vigna
tutto questo riappare
come in nostra memoria
dentro i mondi perduti
dell'anno ottantamila
quando non ci saremo e
torneremo a nascere
questi trucchi un po' folli
tutto questo è il tuo stile
il tuo stile il tuo culo
il tuo culo il tuo culo
il tuo diritto
quanto diritto al tuo stile
e il gioco dell'inferno
giocato a testa o croce
e l'amore che tace
quando non ha più voce
e il tuo stile il tuo culo
il tuo culo il tuo culo
chi vuol saper troppo
non conosce più niente
di te mi piace ciò'
che posso immaginare
inseguendo nell'aria
i contorni di un gesto
la tua bocca inventata
al di là del volgare
per le strade di notte
il mio viso gelato
quando non riconosci di me
che un certo stile
quando rendo me stesso
un altro immaginato
questi trucchi imprudenti
tutto questo è il tuo stile
il tuo culo il tuo culo
il tuo culo
e la tua legge a cui mi piego
maledetta
la cenere perduta di
ogni mia sigaretta
e l'amore che spegne
i suoi fuochi e muore
il tuo cuore il tuo cuore
il tuo stile il tuo cuore
il tuo stile
il tuo cuore 

Profitti che grondano sangue.

L' Italia ripudia la guerra come strumento di aggressione e di risoluzione di questioni politiche. Ma per fare affari va sempre e comunque bene
L’attacco all’ospedale yemenita di Msf è avvenuto con bombe fabbricate in Italia (in Sardegna), e lo stesso accade in molti altri teatri di guerra. 
Circa il 50% delle armi prodotte in Sardegna, nello stabilimento della Rwm Italia Spa, controllata del colosso tedesco degli armamenti Rheinmetall, raggiunge l’Arabia Saudita, paese alla guida della coalizione che dalla scorsa primavera bombarda lo Yemen. Armi impiegate dai sauditi in un conflitto che a dicembre aveva già causato oltre 6 mila morti, metà dei quali civili, 25 mila feriti, un milione di sfollati, 21 milioni di persone che per sopravvivere hanno bisogno urgente di aiuti umanitari.

15 agosto 2016

Buon ferragosto!


Il bandito ciclista.



Il testo del brano trae spunto da una storia vera, l'amicizia giovanile fra il grande campione, Costante Girardengo, e il pericoloso bandito, Sante Pollastri, entrambi originari di Novi Ligure. Un legame nato ai tempi delle strade sterrate intrise di sudore e fatica, passioni e sentimenti.
Luci e ombre sull'asfalto, un ricordo struggente del ciclismo che fu e un'amara riflessione su ciò che non sarebbe mai dovuto diventare.
Di Girardengo sappiamo tutto, vita morte e miracoli, era talmente bravo che proprio per lui venne coniato per la prima volta l'appellativo di campionissimo, meritatamente ereditato in seguito da Fausto Coppi.
Di Sante Pollastri al contrario conosciamo ben poco; soprannominato il "bandito anarchico" trascorse gran parte dell'esistenza combattendo un'impari lotta contro le forze dell'ordine fino all'inevitabile sconfitta.

Sante Pollastri non era il miglior amico di Girardengo, come nella canzone. La poesia cerca di sintetizzare ed esporre le storie in maniera emblematica. Ma spesso la realtà è più banale: Sante era semplicemente un fan. Al massimo un conoscente, che frequentava gli stessi ambienti dei ciclisti. E Girardengo potrebbe essere stato colui che lo ha tradito.
Non è facile ricostruire la storia di questo bandito, spietato uccisore di carabinieri e poliziotti, amico e benefattore di agitatori anarchici, diventato leggenda anche a causa della censura che il fascismo esercitava su tutta la cronaca nera e su di lui in particolare. Forse se le sue imprese fossero state conosciute nei dettagli, sarebbe stato meno popolare.
Sante Pollastri, o Pollastro, come si trova a volte nei documenti, nasce il 14 agosto 1899 a Novi Ligure, stessa città di Girardengo, e di certo la passione per la bicicletta ce l’hanno entrambi. Nessuno sa veramente da dove derivi il suo odio per le forze dell’ordine, perché su questo suo tratto caratteriale sono state imbastite le storie più disparate: c’è chi parla di un fratello morto da militare, chi di una sorella violentata. C’è chi dice che fu pestato da una squadraccia fascista dopo aver sputato una caramella troppo vicino agli stivali di uno del gruppo.
L’uomo riconosceva di avere ucciso almeno 7 persone in scontri a fuoco, tra cui una coppia di carabinieri e una di poliziotti. I suoi crimini erano cominciati con un furto di carbone, ma poi era passato a obiettivi importanti in tutto il nord Italia, come l’oreficeria Zanetti, e infine in Francia, con il famoso colpo alla gioielleria Rubel. Spesso la sua banda ospitava ed era ospitata da agitatori e simpatizzanti anarchici. Sarà uno di questi, Renzo Novatore, a convincerlo infine di essere lui stesso un anarchico. La frequentazione con Sante però non porterà però fortuna al nichilista italiano: Novatore muore infatti durante uno scontro a fuoco, una trappola imbastita proprio per catturare Pollastri, il Nemico pubblico numero uno della cui sorte si interessa ormai lo stesso Mussolini.
Forse per questo il bandito si trasferisce in Francia, dove mette in piedi una banda di un centinaio di persone. Qui incontra Girardengo, poi testimone al processo, durante una sei giorni a Parigi. Non è impossibile che il ciclista abbia fornito informazioni. L’arresto però viene effettuato in grande stile dal commissario Guillaume,  il “vero” Maigret a cui si ispirerà Simenon.
Sante confessa. L’avvocato cerca in tutti i modi di evitargli l’estradizione, ma l’Italia è irremovibile e la Francia cede. In Italia Pollastri scampa miracolosamente alle torture e alla pena di morte, e in carcere si comporta da detenuto modello, tanto che il Presidente Gronchi lo grazierà nel 1959.
Una volta libero passerà il resto dei suoi giorni facendo il venditore ambulante per guadagnarsi da vivere. Sante Pollastri morì solo e dimenticato il 30 Aprile 1979, questa l'unica cosa certa, tutto il resto è leggenda.

Tratto da youtube e Italia criminale

14 agosto 2016

Giusto per offrire un assaggio delle mie convinzioni.

Premetto che ormai sono vecchia per molte cose, quel po' di energia rimasta mi serve per cercare di sopravvivere come meglio mi è permesso di fare, e non è il meglio ma il meno peggio. Ciò nonostante quell'utopismo che da sempre alberga nel mio cuore continua a farsi sentire e a spingermi a blaterare di ribellioni e sovvertimenti radicali. L'idea giovanile di poter cambiare il mondo si è forse un po' ammorbidita, ma resta la convinzione che se il mondo non cambia finirà per distruggersi e mi sembra che siamo ad un buon punto, forse al punto di non ritorno, dal quale, spero, si potrà ricominciare...ma a che prezzo!
Fatta questa premessa, ripongo tutte le mie speranze in coloro che si affacciano alla vita vera in questo momento e trovano una realtà sfibrata, dissoluta e priva di valori di riferimento. Passo il testimone e spero che il cambiamento li trovi protagonisti. A loro mi sento di dare un incoraggiamento perché non sarà facile.
Non è facile, ma le cose importanti non sono mai state semplici. Non è facile restare lucidi, troppi condizionamenti, troppi messaggi sbagliati, troppi specchietti per allodole scavano fosse nelle quali si cade agevolmente, quasi senza pensare, senza rendersene conto. Si cade nel buco nero dell'ambizione, del possesso, della prevaricazione e dell'arrivismo...e si arriva all'odio, quello che sta percorrendo in lungo e in largo questo mondo martoriato. "Homo homini lupus", un'affermazione che ho sempre osteggiato e che non è mai stata tanto vera e tanto seguita. Ci si cade dentro e non si sa più come uscirne perché ci si dimentica di tutto il resto. Ci si rinchiude nel cemento, si è prigionieri di case blindate per paura che rubino "le cose", si costruiscono muri e confini per isolare, si vuole ciò che non si ha, a tutti i costi, e si disconosce l'altro, l'essere umano.
Ecco, bisogna invece dimenticare tutto questo e far riaffiorare la sensibilità, il banalissimo amore, la voglia di esserci, di stare insieme e di starci bene. Ma per questo bisogna strapparsi di dosso vestiti logori e pesanti, che puzzano di armi e denaro, e vestirne di nuovi, leggeri, allegri, di tanti colori diversi e senza tasche da riempire, perché tutto è di tutti e non serve tenerlo per sè. Se proprio si vuole riempire qualcosa, lo si può fare col cervello, aprendolo a tutto ciò che non si conosce, curiosando nella varia umanità da cui si è circondati.
Lo so, a dispetto degli anni che passano impietosi e deludenti, sono ancora un'irriducibile, ribelle, anacronistica e romantica figlia dei fiori...e morirò tale...

13 agosto 2016

La dea che è in me.


“Rispetta quella bambina dentro di te.
Ricorda chi eri prima di preoccuparti di come apparivi.
Prima di conoscere la ferita del rifiuto. 
Prima che ti venisse detto che non avresti potuto, 
o non saresti stata 
o che non avresti avuto.
Sei ancora quella bambina; 
prima dei ruoli, 
delle etichette e dei dolori, 
quella bambina continua a vivere.
Lei è la dea in te.”

(S. C. Lourie, “Tender to my soul”)

09 agosto 2016

E nella democratica Europa neanche allora, come oggi per i morti della Thyssenkrupp o per la Eternit di Casale e di tanti altri casi ancora, i colpevoli pagarono per i loro crimini.

Marcinelle, 8 Agosto 1956. 
 Di Franco Astengo
Ancora e sempre per non dimenticare, ancora e sempre per testimoniare la sofferenza, la fatica, il martirio del lavoro. Non dovrà mai esserci tregua per chi sfrutta il lavoro altrui in modo ignobile e disumano. A sessant’anni da Marcinelle assistiamo, oggi come sempre, alla realtà del senso disumano dello sfruttamento del lavoro e – ancora – si considera chi lotta per una società giusta come un sovversivo dell’ordine costituito, un perturbatore dei tranquilli ozi delle classi agiate. Oggi come allora. Dalle classi dominanti non arriva mai un segnale di comprensione della vastità dei delitti da esse commesse nella grandezza e nella complessità del procedere storico: anzi verifichiamo una intensificazione, un accanimento, che i Governi agevolano e i possessori dell’informazione non solo giustificano ma anzi esaltano in un crescendo di ignobile mistificazione. Oggi qualcuno farà finta di piangere lacrime di coccodrillo. Marcinelle però non ci richiama semplicemente al lutto e al dolore. Marcinelle richiama all’eternità insuperabile della lotta di classe, all’insopprimibile realtà dello sfruttamento e alla necessità della lotta per sovvertirne il corso soffocatore di tutte le istanze di libertà e di dignità umana. “PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNITEVI !” L’8 agosto del 1956, 136 minatori italiani trovarono la morte nella miniera di carbone Bois du Cazier, in Belgio, insieme a 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino. In totale, morirono 262 minatori su un totale di 274 presenti: 12 lavoratori vennero tirati su il primo giorno, mentre i famigliari degli altri dovettero aspettare fino al 22 agosto, tra angoscia e speranza, quando i soccorritori dichiararono: “Tutti cadaveri“. L’incidente – il terzo più grave per gli italiani all’estero dopo quello di Monongah, in Virginia, dove morirono 171 connazionali, e di Dawson, nel Nuovo Messico, dove ne morirono 146 – avvenne alle 8,11 del mattino, quando un errore di manovra agli ascensori al livello 975 provocò un massacro .La tragedia di Marcinelle, rievoca anni bui della storia italiana. Alla fine della Seconda guerra mondiale, la necessità di una ricostruzione industriale porta il governo belga a lanciare la ‘battaglia del carbone’. La prima volontà delle autorità è quella di evitare di ricorrere alla manodopera straniera, ma ben presto si comprende che l’obiettivo non potrà mai essere raggiunto contando unicamente sulla manodopera belga. Si rende così obbligatorio il ricorso all’immigrazione massiccia degli stranieri e poiché l’Europa dell’Est e, più in particolare, la Polonia non sembra più una potenziale riserva di manodopera, il Belgio si rivolge all’Italia, che esce esangue dalla II guerra mondiale dopo 20 anni di fascismo. Il protocollo di intesa italo-belga del 23 giugno 1946 prevede l’invio di 50.000 lavoratori italiani in cambio della fornitura annuale di un quantitativo di carbone, a prezzo preferenziale, compreso tra due e tre milioni di tonnellate. Per convincere gli uomini a lavorare nelle miniere belghe, si affiggono in tutta Italia manifesti che presentano unicamente gli aspetti allettanti di questo lavoro (salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato). In realtà, le condizioni di vita e di lavoro sono veramente dure. All’arrivo a Bruxelles, comincia lo smistamento verso le differenti miniere, dopodiché i lavoratori vengono accompagnati nei loro ‘alloggi’, le famose ‘cantines‘: baracche, insomma, o ‘hangar’, gelidi d’inverno e cocenti d’estate, veri e propri campi di concentramento dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra. La mancanza di alloggi decenti, previsti peraltro dall’accordo italo-belga, impedisce alla maggior parte dei minatori il ricongiungimento con la propria famiglia. Trovare un alloggio in affitto è infatti quasi impossibile all’epoca. Senza contare la discriminazione.
Spesso sulle porte delle case da affittare, i proprietari scrivono a chiare lettere ‘ni animaux, ni etranger‘ (né animali, né stranieri). Un’integrazione difficile, dunque, a cui si sommano le condizioni di lavoro particolarmente dure e insalubri, nonché le scarse misure di igiene e sicurezza. Tra il 1946 e il 1955, quasi 500 operai italiani trovarono così la morte nelle miniere belghe, senza contare il lento flagello delle malattie d’origine professionale, tra cui la silicosi. Una mostra con le immagini dei minatori di oggi nel mondo è aperta fino a dicembre al Bois du Cazier, il sito a sud di Charleroi diventato un museo del ricordo e che dal 2012 è diventato Patrimonio dell’umanità dell’Unesco.


07 agosto 2016

Le cose del passato.

Oggi mi sono concessa una passeggiata senza scopo. Nessun obiettivo, niente contatto con la natura, solo e puro cazzeggio per le strade del mercatino del passato. E niente compere perché di soldi da spendere non ne ho. Ma penso comunque, mentre cammino in mezzo alle bancarelle colme di cose che hanno avuto una vita e un'altra ne cercano. Penso che mi sto sempre più riferendo al passato, al vissuto, a quello che si dice comunemente "esperienza", che poi sono ricordi e basta perché dubito sempre di più che il passato, o la famosa "esperienza", servano a qualcosa, se devo sbagliare sbaglio comunque in barba a tutto quello che mi possono aver insegnato i miei trascorsi  e va bene così.
Mi riferisco al passato perché sempre più spesso mi lascio andare alla nostalgia....e di cosa se non del passato? Ebbene sì, la struggente bellezza della nostalgia, quella che scatena una tempesta di emozioni che vorremmo quasi catturare per impedirne la fuga, una fuga che sembra quasi doverosa per un presente che non consente pause oziose di nessun genere. Concentrati come siamo nel voler trasmettere sempre un’immagine positiva di noi, così come richiesto da una società proiettata sempre verso il futuro, cacciamo via una parte del nostro essere per non apparire fragili nemmeno ai nostri occhi.
Mentre trovo così bella la nostalgia, quella lacrima che scivola lentamente e si trasforma in un sorriso. Quell'intenso momento in cui si ha l'impressione di poter afferrare una mano che non c'è più.
Niente è per sempre...sembra sussurrare la nostalgia...e quel desiderio di tornare indietro mi rammenta il mio legame indissolubile con il passato, con quella parte di me che sembra andata via per sempre, ma che continua a scorrere dentro di me rendendomi la persona che sono, in grado di smarrirmi nella nostalgia senza paura. Accettandola, in qualsiasi momento arrivi. Perché la nostalgia arriva improvvisa, non è solo la tristezza a farla emergere, anzi, non lo è quasi mai. Può essere un breve momento di felicità, una bella sensazione che sgorga improvvisa da un'atmosfera particolare a far riafforare un passato lasciando che la mente indugi in quell'istante che non potrà mai più ripetersi.
Non è tristezza, non è felicità....è nostalgia. E' l'ascolto di una canzone, il guardare una fotografia, leggere lettere ingiallite scritte tanti anni fa, la scena di un film, una panchina solitaria . E' lasciarsi coinvolgere da un'emozione che risveglia un ricordo e rendersi sonto di essere stati felici in quel momento, di averlo vissuto e ritenersi privilegiati per questo...

"La nostalgia è un luogo mobile che appare e scompare sulle carte della fantasia ma sta ben saldo nel cuore di ognuno di noi". (José Saramago)


04 agosto 2016

L'amore è un'altra cosa.

La follia: tu puoi esistere se sei solo mia, se non è cosi ti cancello.
Le ennesime vittime di uomini arroganti, convinti di avere diritto di vita e di morte.


http://firenze.repubblica.it/cronaca/2016/08/03/news/pisa_non_ce_l_ha_fatta_la_donna_aggredita_e_data_alle_fiamme-145283771/?ref=HREC1-2

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2016/08/03/news/caserta_femminicidio-145284451/

61 donne uccise dall'inizio dell'anno per mano di chi si sente padrone, di chi scambia l'amore per possesso.

Quante ne leggeremo ancora? Quando tutte le donne del mondo decideranno di amarsi, chiudendo la porta a chi le ritiene un oggetto da distruggere se non è più disposto a servirlo?



02 agosto 2016

2 Agosto 1980

2 agosto 1980. Stazione di Bologna, ore 10.25: una bomba a tempo, contenuta in una valigia abbandonata, esplode nella sala d’aspetto della seconda classe. Perdono la vita 85 persone. Oltre duecento i feriti.

Parlare di una strage avvenuta 36 anni fa potrebbe sembrare anacronistico, vista la situazione mondiale in cui ci dibattiamo e gli attentati che così frequentemente ci colpiscono, direttamente o indirettamente. Ma è difficile dimenticare perché ero lì, a poca distanza, in piazza 8 Agosto, dove si svolgeva il mercato. Non sono stata coinvolta, ma ho sentito il boato, ho visto il fumo e ho sentito l'odore. Poi la piazza è stata fatta sgombrare, siamo scappati dal caos, dalle sirene, dallo spettacolo del terrore. E a casa, al sicuro, a chiedersi cosa fosse successo e chi fossero i responsabili. 
Ecco, chi fossero i responsabili è una domanda che ancora, 36 anni dopo, non ha ottenuto completa risposta. I tasselli mancanti sono ancora tanti e le prove restano confuse, o meglio, tenute ben nascoste. Ci sono stati processi e condanne, ma i depistaggi e la disinformazione hanno fatto sì che i mandanti siano ancora sconosciuti e coloro che forse conoscevano questi segreti ormai non possono più svelarli. Francesco Cossiga e Licio Gelli, due protagonisti degli anni cupi della nostra storia che con le loro azioni e soprattutto i loro silenzi hanno contribuito a renderla ancora più oscura e falsa, si sono portati nella tomba, oltre ai morti sulla coscienza, anche pesantissime verità che coinvolgono servizi segreti, neofascismo e crimine organizzato.
E questo è solo uno dei tanti silenzi che da sempre logorano il nostro paese. Per questo forse è utile ricordare, per non fare uscire dalla coscienza popolare la voglia di verità e per non farsi abbindolare da quelle tecniche distorsive e manipolatorie che così bene la "strategia della tensione" (leggi: destabilizzare per instaurare un regime autoritario) ha imparato ad usare.

"...E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: Noi ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi. E verrà il giorno in cui saremo in grado di ricordare una tal quantità di cose che potremo costruire la più grande scavatrice meccanica della storia e scavare, in tal modo, la più grande fossa di tutti i tempi, nella quale sotterrare la guerra." 
(Ray Bradbury "Fahrenheit 451")