26 dicembre 2015

Io non cerco la felicità.

Me ne sono resa conto da poco, un po' tardi vista l'età, ma ora che sono in questa condizione di equilibrio in cui mi muovo abbastanza agilmente e che mi permette di godere di me stessa e delle mie percezioni nonostante le difficoltà e le incazzature in cui nuoto quotidianamente, ho capito che è quello che cercavo, o almeno è ciò che mi fa stare bene. Non la posso chiamare felicità perchè non lo è: sono sola, non ho soldi, ho un lavoro di merda, sono costretta a vivere in un sistema che aborrisco, ogni giorno mi mordo la lingua per non mandare affanculo troppa gente, ovvio che non lo è, però non mi sento nemmeno di dire che sono infelice. Forse non è nemmeno equilibrio, potrebbe essere semplicemente una pacificazione interiore, un escamotage per trarre il meglio possibile da ciò che buono non è per niente, per non cadere nella trappola dell'effimero e del bisogno a tutti i costi, una specie di coerenza con me stessa per garantirmi ampi margini di lucidità in un contesto che di lucido ha ben poco. 
Forse è questa la maturità.....



O forse sto solo invecchiando....

25 dicembre 2015

E' Natale, la festa esprime ciò che la vita soffoca.

Bernard Charbonneau

Noi pagani chiediamo alle feste di salvarci dalla vita di tutti i giorni, e Natale è la più importante. Ridurla nei termini del linguaggio quotidiano parrebbe quasi un sacrilegio, se il figlio di Dio quel giorno non avesse scelto come tempio una stalla abbandonata. Nel più buio dell'inverno ogni anno ritroviamo l'ultima delle festività: in fondo alla notte dei tempi brilla ancora il sangue aguzzo degli agrifogli. Scende la sera, ma il bagliore delle braci penetra, intatto, l'oblio delle ceneri e il cuore tiepido del focolare batte al respiro regolare dei suoi figli addormentati. La casa nel gelo è una nave ancorata in cui il silenzio si tende e freme d’un tratto nel corso del tempo. L'ora risuona ed annuncia una presenza. Ci perdiamo nella luce del sole, ed eccoci a ripercorrere quest'altra strada che penetra nelle nostre tenebre. E che si dirige insondabilmente verso quella stella che ci fissa nella più azzurra oscurità. Sempre più profonda, verso questo giorno il cui grido esplode nel parossismo della notte: Natale!
Il tempo passa; guerra e pace, ed imperi. Ma il Natale ritorna. Il suo simbolo è un vegliardo antico come il mondo che distribuisce i suoi doni ai bambini. Va verso le case che l'inverno chiude in se stesse, ma sorge dalla natura più ostica, come il verde abete dalla neve. E i suoi doni non sono ricchezze, sono giocattoli, variopinti coi freschi colori del mattino. Il vecchio Natale ritorna, carico di giocattoli per i nostri bambini e, per noi, di doni dell'infanzia. Nel momento più grigio dell'anno, apre la porta e un soffio di aria pura e gelata ci svela tutta la distesa di neve e di foreste vergini. Ma soprattutto, in un mondo in cui la natura è vinta, ci fa intravedere l'impenetrabile bosco vivente dove fremono ancora bestie e spiriti. E nelle profondità del suo mistero, un albero dell'Eden brilla di mille fuochi. In questo giorno di Natale ritorniamo all'innocenza, ma dopo Adamo la nostra innocenza è troppo spesso quella del bruto.
Il ritorno del Natale sembra affermare l'invincibile infanzia degli uomini e le società più razionalizzate gli devono un culto tanto più fervente; perché la festa esprime ciò che la vita quotidiana soffoca. San Nicola infesta la metropolitana di Londra e gli edifici di New York; e lo stesso mondo totalitario non riesce ad esorcizzare il vecchio fantasma. In quel giorno il fuoco sulle trincee si fa meno fitto; e il Terzo Reich rende a Natale un culto in cui cerca di eliminare ogni elemento cristiano. Natale resiste anche alla rivoluzione sovietica. Il comunismo puritano degli inizi aveva cercato di respingere la superstizione nelle ultime chiese; il realismo staliniano non poteva accettare che il popolo, nonostante le promesse della propaganda, continuasse a rifornirsi di sogni al mercato nero. E Babbo Natale è diventato un funzionario del piano.
Natale ritorna; e il numero di Natale. Ma perché il rito familiare pesa di colpo come una menzogna? Forse è colpa di questo bambin divino la cui nudità miserabile e viva è un insulto alle ricchezze accumulate dalla nostra goffa società. Il Natale dei pagani ritorna in eterno come il solstizio d'inverno, ma gli tocca nascere per sempre. E i suoi occhi si aprono sul mondo, come dovrebbero aprirsi i nostri.
Perché questo mondo non è più l’Eden innocente ed eterno delle origini. Due avvenimenti l'hanno cambiato, uno è stato voluto dall'uomo e l'altro da Dio: la Caduta e l'Incarnazione. E due segni si inseriscono ormai nel nostro cielo, uno dei quali è il sole urlante di guerra e di fiamme, se l'altro è sempre la chiara stella di mezzanotte. Il vecchio Natale pagano non è più di questo mondo; il bianco paese delle renne è lordato dagli pneumatici dei quadrimotori e noi abbattiamo le foreste del Nord per costruirci un finto Natale su nevi di carta. Per questa festa l'albero verde dell'infanzia può brillare di luci, la maturità dell'uomo ha innalzato anche il suo la cui ombra incombe ormai su ogni giorno.
A dispetto della nostra vita, nelle contrade che la polizia interdice in modo più sicuro dei ghiacci o dei demoni, ora sorge l'albero della morte il cui tronco è fiamma, le fronde di ceneri, la linfa, energia divorante. Ma il demone che lo rinchiude nell'inferno più nero della nostra incoscienza indossa la maschera della paura sul volto dell'angoscia. E noi ci rassicuriamo pensando che Natale è pur sempre Natale; perché se la vita è quotidiana, le feste sono tradizionali. Domani la vita continuerà, e ritroveremo le nostre abitudini! i piccoli interessi o i piaceri individuali. In mancanza, le grandi passioni ideologiche e politiche: due grandi esempi che innalzano, ad est e ad ovest del nostro mediocre orizzonte, le loro due colonne di fuliggine vomitate dalla terra e dal mare. Il nulla sarà russo o americano? A meno che non sia inglese o francese: è tutto qui, è la nostra ultima possibilità. Ma non illudiamoci, la nostra mediocrità non potrà accedere a tale onore.
Notte santa; il silenzio ti raccoglie, come il vasaio tiene la tazza di argilla fresca tra i palmi delle mani. Ma chi la contempla, ora sa che è rotta. Chi la ascolta, ne sente il fremito del rimbombo delle forze di cui ogni forma fu costituita: il tempo passa e il suo sangue sgorga a fiotti di fiamme dalle vene aperte della terra. Festa di Natale, donata ai bambini, i soli che possano ancora raccogliere i frutti dell'albero magico, il che significa per noi, che dobbiamo loro non solo dei giocattoli ma un avvenire? Sotto le sue ghirlande pacchiane e la sua neve chimica, rimane solo un albero secco destinato alla spazzatura. Festa ridicola, meno ridicola della scenografia di grandi uomini e di falsi problemi che nasconde il nostro vuoto quotidiano.
Ma perché turbare questo Natale evocando i segnali dell'Apocalisse? L'Apocalisse non è opera nostra. Anche quando l'inaudito è alla porta, dobbiamo inventarci un meraviglioso fittizio giunto da un altro pianeta; perché solo il prossimo è terribile. Perché, in questo giorno in cui ognuno di noi chiude la sua porta al mondo per voltarsi verso la sua famiglia, aprirla così sul vuoto? Nulla ci costringe, se non questa notte di Betlemme: perché se tutto finisce, tutto comincia. E il segno del nero prodigio può invadere il cielo, non è niente in confronto al prodigio di Natale: il minuscolo lampo di luce punta la sua spada nel cuore delle tenebre. Alla fine dei tempi, ancora più sorprendente, risponde la sua origine; alle tenebre della morte, il sole dell'amore. Ma si incarna qui nel sorriso di questa innocenza promessa alla croce, le cui mani stringono il serpente del fulmine.
Suona la mezzanotte. Buon Natale! Che qualcuno lanci qui questo grido, se osa farlo.
 

(La Réforme, 11 dicembre 1954)

Da Finimondo


24 dicembre 2015

E' bello fare i pezzenti a natale.

Sarcasmo e cinismo segnano sempre la coraggiosa poesia di Rocco Scotellaro, che si fa urlo, oltre che canto. Perché ci vuole coraggio a segnare di pragmatismo e schiettezza un momento come quello del natale. Ma sempre con grazia e bellezza. Grazie a Parole in Fuga che me lo ha fatto conoscere già in altre occasioni.

"È bello fare i pezzenti a natale
perché i ricchi allora sono buoni;
è bello il presepio a Natale
che tiene l'agnello
in mezzo ai leoni".

Lo so, è natale. Meglio tacere.




22 dicembre 2015

Eutanasia: l'abc dei diritti spacciato per frontiera estrema.

Da Libernazione.
Vediamo di chiarire una cosa: non è una questione di retorica, di sentimenti, di belle parole. Quelli possono starci o non possono starci, a seconda dei gusti, ma il punto è un altro.
Il punto è che l’eutanasia, tra tutti i cosiddetti “temi etici”, è il meno controverso e controvertibile che si possa immaginare.
Niente presunti interessi di terzi, nati o nascituri, da tutelare, nessuna possibilità di imponderabili cambiamenti di idea in stato di incoscienza, nessun impatto su fantomatiche “sensibilità” potenzialmente suscettibili di “turbare” la convivenza civile: solo esseri umani, individui, la cui capacità di intendere e volere può essere accertata attraverso strumenti che possiamo ormai considerare banali, che decidono cosa fare della propria esistenza.
Nient’altro.
Meraviglia un po’, quindi, che nell'immaginario collettivo il tema dell’eutanasia sia tuttora considerato la frontiera più estrema delle battaglie per i diritti civili: mentre in realtà, date le premesse, non lo è affatto. Anzi, dovrebbe essere la più facile da vincere, quella più pacifica, quella su cui c’è meno da obiettare o da discutere.
Meraviglia un po’, da un lato. E dall'altro spaventa parecchio, perché continuare a negare il diritto all'eutanasia significa uscire definitivamente allo scoperto, senza neppure poter utilizzare i soliti alibi sbilenchi legati a agli “altri”, ai “terzi”, per dichiarare senza mezzi termini che no, in questo paese un individuo non è libero manco di decidere sulla propria vita o sulla propria morte.
Insomma, quando parliamo di eutanasia non siamo sul crinale audace e incerto delle avanguardie, ma all'abc del diritto all'autodeterminazione: chiediamo una cosa che dovrebbe essere scontata, la più scontata di tutte, e che diventa un tabù soltanto nella narrazione fumosa di chi si ostina a proibirla.
Davvero, siamo seri. Anche basta.

21 dicembre 2015

Se questa è informazione.

A parte la mentalità da stravolgere completamente, abbiamo bisogno più che mai di un giornalismo differente perché il giornalismo italiano continua a parlare di femminicidi e violenza contro le donne definendoli "folli gesti". 
Perché non vogliamo più leggere "storia d'amore finita male". 
Perché siamo stanche delle continue giustificazioni nei confronti del carnefice descritto come il poveretto che quella "bella ragazza" aveva lasciato. 
Perché se ti porti dietro una pistola non sei andato da lei "per l'ultimo tentativo di riconquista".
http://www.lastampa.it/2015/12/19/italia/cronache/uccide-lex-moglie-e-si-suicida-tragedia-della-gelosia-a-frosinone-dWh11NhgYYtmjAevsD8fdL/pagina.html


 I servizi dei tg sono lo stesso schifo. Un tripudio di:
- lei, bellissima e molto benestante, lui (foto coi denti storti), orfano di padre, con una famiglia numerosa a carico e proprietario di una bancarella al mercato
- lui soffriva tanto, tantissimo, ma era un ragazzo semplice e aveva sempre il sorriso sulle labbra
- dopo la rottura lui ha tentato moltissime volte di riavvicinarsi a lei, per parlare, per riallacciare un rapporto, ma ahimè lei (sottinteso: 'sta stronza) non ha mai voluto.
Al solito, l'accento viene posto sulla sofferenza del maschio invece che sul fatto che questa poveraccia per mesi è stata stalkerata dal suo ex, che adesso l'ha spedita all'ospedale mezza morta.
Non riesco proprio a capire come si faccia a dire che in Italia non c'è un problema di genere.

20 dicembre 2015

Naziyah Mahmood: io sono io, fattene una ragione!

Sulla sua pagina Facebook, Naziyah Mahmood, combattente poetessa, astrofisica, ingegnere aerospaziale, ha pubblicato questa lettera che credo assolutamente degna di essere divulgata. (Grazie a Cruth per averla tradotta e a laglasnost per averla ripresa e condivisa).


“Alla signora che, preoccupandosi per me, ha detto che non dovrei sprecare il mio tempo su cose come ‘combattere, i bastoni, le spade’ perché è qualcosa che una ragazza non dovrebbe fare. Grazie per esserti preoccupata, ma non ho bisogno del tuo permesso per fare le cose che amo.Se il potenziamento di me stessa è qualcosa di strano per le tue norme sociali riguardo a cosa ‘le ragazze dovrebbero e non dovrebbero fare’, allora sono contenta di essere io la persona che fa tremare il tuo mondo.Al misogino che ha sorriso e con così tanta sicumera mi ha detto che il mio amore per le scienze è solo una frode, e che la mia esperienza accademica e industriale nei campi dei sistemi spaziali, ingegneria areospaziale e astrofisica erano solo ‘decorativi’- Non ho bisogno della tua approvazione per portare avanti i miei interessi in questi campi, o per sentire quella sensazione di valere qualcosa nei miei risultati.Oh, anche, per chi ha banalizzato la cosa al livello di ‘una ragazza a cui hanno aperto una facile via’, sono passata per arrivare dove sono attraverso più difficoltà di quanto tu possa probabilmente comprendere.Sono fiera del mio lavoro in questi campi.(P.S. In uno dei tuoi recenti post, hai fatto un GROSSO errore nei tuoi calcoli di un raggio di Schwarzschild usando 2c invece di c^2 – ho pensato solo di indicartelo, non che IO sappia qualcosa riguardo all’Astrofisica, giusto?)Alla persona che ha detto che il mio hijab non riflette la mia cultura ‘Inglese’ – Non ho bisogno della tua approvazione o del tuo permesso riguardo a come mi vesto.Io provengo da un background incredibilmente variegato e siedo sulla linea di confine di molte culture.Ho la libertà di vestirmi come voglio e il mio hijab non ce l’ho addosso per offendere qualcuno.Per caso credi che salterà giù dalla mia testa per venirti a strangolare?Se voglio vestirmi come una Jedi, lo farò.Se voglio vestirmi con un costume da panda, bene per me.Se voglio, come faccio normalmente, completare la mia uniforme da marzialista qualcosa che rappresenta il mio credo e chi sono, allora lo farò.Non temere, lo abbinerò per bene e sarò splendida con quel look.Ma più di tutti… ai media che sembra abbiano creato un nuovo stereotipo di come il Musulmano ‘moderno’ dovrebbe essere – il tipo che dovrebbe saltare in piedi e scusarsi per ogni atto di terrorismo o crimine che non ha nulla a che fare con lui, il tipo che deve dare prova di sé stesso alla comunità con un impegno molto più duro degli altri se vuole dimostrare di essere un civile cittadino britannico, il tipo che si deve fasciare la testa con i colori nazionali-Io NON ho bisogno della vostra approvazione per vivere.Quel che avete fatto è creare un nuovo set di regole su “come puoi essere più Inglese e integrarti con la società” per un ampio gruppo di persone che sono GIÀ parte della società.VOI li demonizzate, poi gli comandate di vivere in un certo modo per ‘reintegrarsi’ nel mondo in cui vivevano già normalmente.Il colore della mia pelle, i vestiti che indosso o il mio background culturale non sono motivi per creare un nuovo set di regole per me se io sto già vivendo pacificamente come tutti gli altri.Finché non sto facendo del male a nessuno, esisterò come voglio esistere, farò quello che voglio fare e sarò quello che voglio essere.Se ti spaventa, sai cosa? Non ho bisogno del tuo permesso per nulla di tutto questo, quindi fattene una ragione. Smettetela di incasellare le persone".

Il Natale secondo Pier Paolo Pasolini.

"Tanti auguri ai fabbricanti di regali pagani! Tanti auguri ai carismatici industriali che producono strenne tutte uguali!

Tanti auguri a chi morirà  di rabbia negli ingorghi del traffico e magari cristianamente insulterà  o accoltellerà  chi abbia osato sorpassarlo o abbia osato dare una botta sul didietro della sua santa Seicento!

Tanti auguri a chi crederà  sul serio che l’orgasmo che l’agiterà  – l’ansia di essere presente, di non mancare al rito, di non essere pari al suo dovere di consumatore – sia segno di festa e di gioia!

Gli auguri veri voglio farli a quelli che sono in carcere, qualunque cosa abbiano fatto (eccettuati i soliti fascisti, quei pochi che ci sono); è vero che ci sono in libertà  tanti disgraziati cioè tanti che hanno bisogno di auguri veri tutto l’anno (tutti noi, in fondo, perché siamo proprio delle povere creature brancolanti, con tutta la nostra sicurezza e il nostro sorriso presuntuoso).

Ma scelgo i carcerati per ragioni polemiche, oltre che per una certa simpatia naturale dovuta al fatto che, sapendolo o non sapendolo, volendolo o non volendolo, essi restano gli unici veri contestatori della società. Sono tutti appartenenti alla classe dominata, e i loro giudici sono tutti appartenenti alla classe dominante".

Da "Saggi sulla politica e sulla società", di P.P. Pasolini

19 dicembre 2015

Preferisco....

Preferisco pensare che ci sia sempre qualcosa da leggere e sempre qualcuno che scriva, perché oggi voglio conoscere più di quanto ho saputo ieri.

Preferisco il cinema.
Preferisco i gatti.
Preferisco le querce sul fiume Warta.
Preferisco Dickens a Dostoevskij.
Preferisco me che vuol bene alla gente 
a me che ama l’umanità.
Preferisco avere sottomano ago e filo.
Preferisco il colore verde.
Preferisco non affermare
che l’intelletto ha colpa di tutto.
Preferisco le eccezioni.
Preferisco uscire prima.
Preferisco parlare coi medici d’altro.
Preferisco le vecchie illustrazioni a tratteggio.
Preferisco il ridicolo di scrivere poesie
al ridicolo di non scriverne.
Preferisco in amore gli anniversari non tondi, 
da festeggiare ogni giorno.
Preferisco i moralisti
che non mi promettono nulla.
Preferisco una bontà avveduta a una credulona.
Preferisco una terra in borghese.
Preferisco i paesi conquistati a quelli conquistatori.
Preferisco avere delle riserve.
Preferisco l’inferno del caos all'inferno dell’ordine.
Preferisco le favole dei Grimm alle prime pagine.
Preferisco foglie senza fiori a fiori senza foglie.
Preferisco i cani con la coda non tagliata.
Preferisco gli occhi chiari, perché li ho scuri.
Preferisco molte cose che qui non ho menzionato 
a molte pure qui non menzionate.
Preferisco gli zeri alla rinfusa
che non allineati in una cifra.
Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale.
Preferisco toccar ferro.
Preferisco non chiedere per quanto ancora e quando.
Preferisco considerare persino la possibilità
che l’essere abbia una sua ragione.


Wisława Szymborska


15 dicembre 2015

La strega dei boschi.

Dal blog di Maria G. Di Rienzo.

Simona Kossak (1943 – 2007), polacca, era una scienziata, un’ecologista che ha lottato per la protezione delle più antiche foreste d’Europa, una documentarista pluripremiata e una conduttrice radiofonica, nonché una zoopsicologa. Per più di trent’anni ha vissuto in una capanna nella foresta di Białowieża, senza elettricità o accesso all’acqua corrente. La chiamavano strega, perché parlava con gli animali, aveva allestito un rifugio per loro e uno studio veterinario per curarli: una lince dormiva nel suo letto e una femmina di cinghiale, Żabka, visse con lei per 17 anni; allevò una cucciolata di cervi che la ritenevano la loro madre e strinse amicizia con il famoso corvo-terrorista che faceva dispetti a tutto il mondo, fuorché a lei.

I brani seguenti sono tratti dal libro di Anna Kamińska “Simona. Opowieść o niezwyczajnym życiu Simony Kossak”, uscito nel luglio 2015. Le immagini sono di Lech Wilczek.

“La gente chiamava il corvo un villano domestico e un ladro. Terrorizzò metà dell’area di Białowieża. Rubava pacchetti di sigarette, spazzole per capelli, forbici, arnesi da taglio, trappole per topi e blocchetti per appunti. Attaccava i ciclisti e quando cadevano faceva a pezzi i sedili delle biciclette. Rubava le salsicce ai taglialegna nei boschi e faceva buchi nelle borse delle spesa. La gente pensava che Korasek – perché così si chiamava – fosse una forma di castigo per i peccatori.” Agli amici di Simona rubò di tutto, chiavi della macchina, documenti, eccetera ma bastava promettergli un uovo e insistere un po’ e Korasek, anche se di malavoglia e con ben poca grazia, restituiva il bottino.

“Simona raccontò: Un giorno i cervi, che avevo allevato con il biberon e che per molti anni mi seguirono nei boschi, manifestarono segni di paura e non vollero entrare nella foresta a pascolare. Come mi ci diressi io si fermarono, le orecchie rizzate e il pelo diritto sul fondoschiena. In apparenza doveva esserci qualcosa di assai minaccioso nella foresta. Attraversai metà dello spazio aperto e mi fermai, perché i cervi stavano producendo un terribile coro di latrati alle mie spalle. Mi voltai e ce n’erano cinque, rigidi sulle zampe, che mi guardavano e chiamavano: Non andare, non andare, c’è la morte laggiù! Devo ammetterlo, restai di stucco ma alla fine andai. E trovai che c’erano tracce di una lince, una lince aveva attraversato la foresta. Trovai le sue feci più avanti. Cos’era successo? Un carnivoro era entrato nella fattoria, i cervi lo avevano notato ed erano spaventati. Poi hanno visto la loro “madre” andare verso la morte, completamente inconsapevole, e dovevano avvisarla – per me, lo dico onestamente, quel giorno fu una conquista. Avevo attraversato il confine che ci divide dagli animali, un muro che non sembrava possibile abbattere. Se mi avevano avvisata voleva dire una sola cosa: sei un membro del branco, non vogliamo che tu sia ferita. Ho rivissuto questo momento molte volte e persino oggi, quando ci penso, provo un senso di calore al cuore.” La madre cerva si era avvicinata alla capanna, aveva accettato lo zucchero offertole da Simona e poi aveva partorito i suoi cuccioli in quel luogo ospitale.

“Con il tempo, altri animali apparvero nel rifugio di Simona accanto alla casa. Una cicogna nera per cui Simona allestì un nido nella propria stanza, un bassotto e una lince femmina che dormivano con lei, pavoni. Li curava, li abbracciava, li osservava. Allevò due alci orfani. Portava il ratto femmina Kanalia nella manica, perché la bestiola temeva gli spazi aperti. Ospitava i grilli in un contenitore di vetro. Prediceva che tempo avrebbe fatto studiando i pipistrelli che abitavano in cantina. Il serraglio aumentava ogni anno.”

“Nell’inverno del 1993, Simona cominciò la sua battaglia per salvare linci e lupi di Białowieża dall’estinzione. I ricercatori dell’Accademia polacca delle Scienze avevano in mente di effettuare studi telemetrici, mettendo collari con trasmettitori radio agli animali. Ma prima dovevano catturarli. Si scoprì che i ricercatori avevano messo trappole per lupi e linci, del tipo proibito dalla legge polacca. Simona Kossak mostrò ai giornalisti ciò che aveva trovato nei boschi: pesanti ganasce metalliche. Ci volevano due uomini per aprirle. Poco dopo la denuncia di Simona e la rimozione delle trappole, un branco di lupi si avvicinò alla sua casa nella foresta, ululando tremendamente. “E’ stato un inno di gratitudine per aver salvato le loro vite. – disse l’ecologista ai giornalisti – I lupi non si avvicinano mai agli edifici se possono evitarlo, sono troppo spaventosi per loro. Forse hanno percepito l’aura amichevole che emana dalla capanna.” 

Maria G. Di Rienzo

13 dicembre 2015

Rapina alla gioielleria all'Eliseo.

La notizia è questa: 
La gioielleria Chopard davanti all’Eliseo a Parigi è stata rapinata da un uomo armato, fuggito con un bottino ricco: secondo i primi riscontri la refurtiva ha un valore di circa un milione di euro. Maneggiando una pistola, forse finta, il rapinatore è riuscito a farsi consegnare i gioielli e poi ha lasciato la zona indisturbato. In poco tempo, ha fatto perdere le tracce. In pratica, ha beffato tutti. Il reato è avvenuto intorno alle 10 della mattina di venerdì 11 dicembre. E secondo le prime testimonianze l’artefice del furto sarebbe un uomo sulla quarantina, che «si presentava bene». Con fare discreto, il malvivente è stato «abile a non attirare l’attenzione». Il colpo è avvenuto in una delle zone più sorvegliate della capitale, piena di telecamere, al civico 72 della rue du Faoubourg Saint-Honoré, nel cuore blindatissimo di Parigi. In queste ore si moltiplicano critiche e interrogativi sull’efficacia del dispositivo di sicurezza in quella che a un mese dalle stragi jihadiste di venerdì 13 novembre è una delle aree più sensibili della capitale.
Non è una gran notizia, se non per il fatto che è quantomeno strano che, con le misure di sicurezza così spianate, possa essere accaduto. Quella che invece voglio riportare è la descrizione che ne fa Brèves du désordre e che ho trovato tradotta su Finimondo. E' fantastica!

E' arrivato tranquillamente. 

È arrivato tranquillamente, un venerdì mattina, e si è diretto verso la parte ovest di Parigi. In una zona satura di polvere per un vertice internazionale ancora in corso, e uno stato d'emergenza in vigore già da troppo tempo. Attorno a lui brulicano uomini in uniforme, con armi da guerra in spalla, e altri ancora in civile, pronti a sfoderarle. Alcune decine di metri più in là, i balletti di berline coi vetri oscurati non augurano nulla di buono a tutti i nemici interni.
In rue du Faubourg-Saint-Honoré non esiste il numero 13, soppresso dalla superstizione bigotta dell'imperatrice Eugenia, un ordine scrupolosamente rispettato da tutte le Repubbliche successive, benché lo Stato, la scienza e l'economia siano diventati gli Dei più visibili della spazzatura che ne popola i vertici. Che importa, l'uomo non si cura di questi aneddoti, non è con la storia che ha appuntamento ma con se stesso. Prosegue il suo cammino fino al numero 72, incorniciato da due piccoli alberelli di Natale tanto falsamente innevati quanto ridicolmente kitsch. Suona alla porta. Gli viene aperto. Suona una seconda volta, e la seconda porta reagisce allo stesso modo. Alcuni minuti più tardi sta nuovamente percorrendo il medesimo marciapiede, nel cuore della zona rossa più protetta di un paese in guerra. Con la tasca un po' più pesante. Leggermente più pesante, ma solo lui ne è consapevole. Si allontana da quel quartiere malfamato così come era arrivato, tranquillamente. Qualche metro più in là, gli assassini giurati dell'Eliseo, della residenza ufficiale dell'ambasciatore degli Stati Uniti e del ministero degli Interni continuano il loro sporco lavoro, imperturbabili.
L'allarme viene dato troppo tardi. Verso le 11, quattro vetrine della gioielleria Chopard sono state svuotate dei loro orologi di lusso da un uomo solo, «che si presentava bene» e «non destava preoccupazione», sotto il naso e in barba di tutti i dispositivi di sicurezza delle strade limitrofe. Per più di un milione di euro. Qualcuno ha allungato il braccio — armato di determinazione e di audacia — per alleggerire un negozio dei suoi valori concentrati in abbondanza. Oggetti che non mancheranno a nessuno, e che ora fanno dell'uomo uno dei più ricercati della capitale, di questa capitale in cui nulla deve più accadere. Solo una settimana prima, il potere si era vantato di un calo del 16% di furti nella regione parigina dopo il 13 novembre. L'uomo avrà forse sorriso ascoltando quelle cifre. Non è certo lui che contribuirà ad alimentarle!
Una radio locale passa la notizia in maniera intermittente, con un tono al tempo stesso scandalizzato e spaventato. Dall'altra parte delle onde, nessun dubbio viceversa che diversi ascoltatori si siano rallegrati per lo sconosciuto dalla determinazione intatta. Alcuni, con la rabbia nel cuore e la libertà per passione, si saranno forse domandati a bassa voce: e se, invece di restare su una posizione difensiva protestando (invano) contro uno stato d'emergenza destinato a permanere, non sarebbe piuttosto ora di sfidare il terrorismo di Stato continuando a sviluppare (fruttuosamente) le nostre attività sovversive nonostante lo stato d'emergenza? Perché con un po' di fantasia ed immaginazione, tutto è sempre possibile per quegli individui che non si rassegnano.

Parigi, venerdì 11 dicembre 2015

“Una donna italiana quarantenne intreccia una relazione con un tunisino di 26 anni. Lui l’ammazza come un cane. Non voglio vedere il suo nome nella lista delle "martiri". Dire che se l’è cercata è il minimo. Se fosse sopravvissuta l’avrei insultata. Nel rispetto della morte provo pena per sua figlia.”


Questo è il commento di Rosanna Lau, consigliera grillina e delegata del sindaco di Civitavecchia, alla notizia dell'assassinio di Alessia Della Pia, ammazzata di botte dal suo convivente Mohamed Jella in quel di Parma.
Il post è stato cancellato subito, ma ormai se l’erano già copiato in troppi e la bufera ha infuriato sino a che la signora Lau ha rassegnato le dimissioni. Nell’accettarle, il sindaco Cozzolino definisce la signora Lau, “una brava persona”, che ha semplicemente fatto dichiarazioni “erronee” ovvero “esternazioni che non possono essere condivise” perché “la violenza è sempre da condannare”, poi la ringrazia per aver “lavorato per la collettività” e per “quanto di buono fatto finora”, ecc. ecc. Insomma, secondo Cozzolino l'ex delegata ha fatto uno sbaglio, la sua è stata una caduta di stile relativa alla posizione pubblica rivestita. Perciò, se fosse stata la classica casalinga di Voghera a dire le stesse nefandezze facendo la spesa al mercato, la cosa non avrebbe avuto alcuna importanza. 
Credo che il sindaco si sbagli perchè il nodo è proprio lì, nel fatto che l'opinione della Lau, a prescindere dalla sua connotazione politica e dalla sua posizione pubblica, sia condivisa ancora da centomila altri sprovveduti. Probabilmente non ha la stessa risonanza, ma importanza ne ha tanta, eccome! 
E' proprio l'idea che le donne provochino, istighino, accettino e meritino la violenza, che è ancora così largamente diffusa e condivisa, che rappresenta fin troppo bene, purtroppo, l'idea di una società che collude con chi usa violenza e facilita la creazione di spazi sicuri per chi gode dell’abusare di altri esseri umani . 
Si chiama biasimo della vittima.
I media riportano i casi di violenza contro donne e bambine/i analizzando le ragioni che possano aver portato i perpetratori a tali gesti. Gli uomini violenti sono descritti come "travolti dal raptus", quasi costretti alle botte o all’assassinio perché "infuriati dall’ennesimo litigio" o perché "lei lo aveva lasciato/voleva lasciarlo", coinvolti in un "disgraziato incidente" o in una "tragedia domestica". Quando stuprano è perché lei "sembrava starci", magari era ubriaca, o era fuori alle 4 di mattina, o era vestita in modo provocante o rompeva semplicemente le palle. I violenti non hanno scelta, povere creature. Sono preda di irresistibili, devastanti, testosteroniche emozioni provocate dal comportamento delle "femmine". 
Questa è la minestra avvelenata che ci buttano giù per la gola ogni giorno, più volte al giorno, su ogni tipo di media.
E' ovvio che, seguendo queste direttive, non si può dedurre altro che debbano essere le donne a fare delle scelte e comportarsi in centocinquantamila modi diversi per evitare gli abusi. E non importa che tonnellate di studi e testimonianze abbiano ormai provato a ogni livello che ciò è irrilevante per abbassare il tasso di violenza. 
Ed è questa minestra che Rosanna Lau ha digerito metabolizzando il suo spensierato commento sull'omicidio di Alessia Della Pia. 
Non è diverso, nuovo, trasgressivo. Fa parte del nostro attuale contesto sociale.

12 dicembre 2015

Fragilità.


L'hanno elogiata in tanti la mia forza, quelli che mi conoscono bene, che sanno della mia vita, dei miei errori e delle mie pazzie. Me l'hanno detto quando ogni volta riuscivo a rialzarmi, un po' pesta ma pronta a rimettermi in gioco. 
Non credo sia così vero. 
Forse è quello che mostro: lucidità, razionalità, disponibilità e una leggera vena di ottimismo. Ma quello che ho dentro non si vede quando mi chiudo nei miei silenzi e lascio fuori il mondo perché non lo capisco. 
Quando quel che riesco a fare non sembra bastare mai e quel senso di impotenza mi buca i pensieri. 
Quando vorrei ma non posso. 
Quando non trovo il coraggio e non mi lascio abbracciare e quando il coraggio ce l'ho e mi mancano gli abbracci. 
Quando abbasso gli occhi per non farmi troppo male e giro la testa per non mostrare le lacrime. 
Quando dico che va tutto bene e penso che saper mentire in fondo ha i suoi vantaggi. 
Quando non riesco a mentire e nessuno mi ascolta. 
Quando vorrei liberare tutte le mie fragilità e non trovo spazio adeguato.
Forse è quella la forza che mi manca.....ce ne vuole tanta per mostrarsi fragili...

11 dicembre 2015

Il grande circo.

Due settimane fa un uomo si è suicidato perché ha scoperto che tutti i suoi risparmi erano scomparsi e la notizia è uscita solo ieri. Troppo difficile parlarne. 
Viene fuori anche il padre della Boschi
E' un'ingiustizia palese difficile da distorcere. 
Mentre si fanno dissertazioni, supposizioni, previsioni, teorie sul salvataggio delle 4 banche che truffavano i clienti. Un salvataggio di 4 associazioni a delinquere. 
Il ministro dell'economia definisce "aiuto umanitario" il provvedimento che stanzia dei soldi da restituire ai truffati (cioè, ripeto perché incredula: la restituzione di soldi rubati è un aiuto umanitario?!?!) senza che nessuno lo porti alla neuro o da un prete a confessarsi. 
Ecco, il circo Barnum, a confronto dell'allegra brigata che simula il governo di una nazione ad uso media ed orfani del cavaliere mascarato, è un consesso di grandi saggi.

10 dicembre 2015

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http://www.corriere.it/esteri/15_dicembre_09/migranti-nuovo-naufragio-a-un-isola-greca-morti-5-bambini-1186dc70-9e4f-11e5-a090-5b8c3aeb1ca0.shtml
Ogni volta che succede, in me non nasce nessuna idea politica, nessuna strategia, nessuna visione, nessuna retorica, nessuna fottutissima manipolazione. 
Solo persone. Individui. Vite. Dolore immane.
Solo inarrestabile grido di disgusto verso qualsiasi potente seduto su qualsiasi trono. 

Fate schifo. 
Fate pena. 
Fate vergognare madre terra e padre cielo e qualsiasi dio a cui avete la presunzione di credere.
Per ogni vita persa dolore senza bandiera.

L'uomo con i libri sottobraccio uscì di casa e il mondo non c'era.....


Guardò meglio e vide che c'era ancora, ma una fitta nebbia lo nascondeva, forse per salvarlo da qualche pericolo. Era il solito mondo e l'uomo ne vide alcuni dettagli ai suoi piedi: una crepa sul marciapiede, un brandello di aiuola, una foglia morta per i poeti, palminervia per i botanici, caduta per gli spazzini. Poi gli apparvero il tronco di un albero, lo scheletro di una bicicletta senza ruote e una luce gialla al di là della strada.
Lì si diresse.
Aspirò una boccata di umida brezza del mattino e fece entrare azoto, ossigeno, argon, xenon e radon, vapore acqueo, monossido di carbonio, biossido di azoto, piombo tetraetile, benzene, particolato di carbonati e silicati, alcune spore fungine, un'aeroflotta di batteri, un pelo anonimo, un ectoparassita di piccione, pollini anemofili, una stilla di anidride solforosa convolata da una remota fabbrica, e un granello di sabbia proveniente da Tevtikiye, Turchia occidentale, trasportato dallo scirocco della notte.
Insomma, respirò l'aria della città.
Stefano Benni: "Achille piè veloce"

09 dicembre 2015

Desaparecidos, chiamatemi Bergoglio.

Non volevo parlare nè del Papa, nè dell'operazione vergognosamente mediatica che in questi giorni si sta facendo con l'uscita del film a lui dedicato e con il Giubileo, perché mi ero riproposta di non occuparmi di ciò che non mi interessa. Però mi sembra giusto ora riprendere il discorso perché vedo con raccapriccio quanto tutto questo influenzi chiunque e quanto questo ottimo esponente manipolatore stia accreditando un'immagine simpatica, umana e gradevole alle masse credenti e non (in un momento tra l'altro in cui tende a crescere la contrapposizione cattolica all'islamismo). A questo proposito, mi sembra ottimo questo lungo ma esauriente articolo di Roberto Massari che ho trovato su www.utopiarossa.blogspot.com, dove, oltre alla recensione del film, vengono prodotte alcune documentazioni interessanti sulle responsabilità di Bergoglio all'epoca della dittatura argentina. Sono informazioni inedite, utili come antidoto alla mistificazione del film stesso.

 Da vari decenni i desaparecidos argentini chiamano Jorge Bergoglio (Provinciale dell'ordine dei Gesuiti al momento della loro morte), ma lui continua a non rispondere. E ora, anche da papa, Francesco non sembra intenzionato a chiedere perdono per il comportamento suo e dell'alta gerarchia cattolica negli anni di maggior ferocia dei militari al potere (1976-79, nel quadro di una dittatura durata dal 1976 al 1983). Quelli furono anche gli anni più propizi per la sua carriera ecclesiastica: fu infatti Provinciale - la massima autorità nazionale dei gesuiti - proprio dal 1973 al 1979, l'anno in cui al vertice della Celam a Puebla si batté in prima linea nella condanna della teologia della liberazione. A partire da quell'anno fatidico, la sua carriera fu tutta in salita, fino ad arrivare dove sappiamo.
In questi giorni è in uscita un film - Chiamatemi Francesco, diretto da Daniele Luchetti e prodotto da Taodue, di proprietà del gruppo berlusconiano Mediaset - che torna su quelle tragiche vicende, col preciso impegno di assolvere papa Francesco proprio in relazione a ciò che fece (e soprattutto non fece) negli anni peggiori della dittatura. Non trascura nemmeno le accuse specifiche riguardo al sequestro di due suoi confratelli (Jalics e Yorio) che furono subito rivolte contro di lui dai diretti interessati e poi riprese agli inizi di questo millennio in due libri del celebre giornalista Horacio Verbitsky (entrambi tradotti in italiano dalla Fandango, anche se ben pochi lo sanno, visto che su questi due libri vige la più ferrea congiura del silenzio).
Si tratta di un'operazione cinematografica un po' maldestra di camuffamento delle responsabilità di Bergoglio, anche se il film non esita a mostrare una parte della colpa che ebbe la gerarchia cattolica per i massacri di quegli anni terribili. Il film, infatti, compie un'operazione politica molto precisa: mentre abbandona l'alta gerarchia cattolica argentina al giudizio della Storia (visto che le sue colpe sono indifendibili e comunque appartenenti a un sempre più lontano passato), allo stesso tempo tenta disperatamente di salvare il soldato Bergoglio (in fondo era pur sempre un subordinato, un gesuita sottoposto a disciplina quasi militare nei confronti del suo Superiore, Pedro Arrupe, Preposito Generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983).
Va però detto che anche la denuncia delle responsabilità della Chiesa nel film è tendenziosamente insufficiente, visto che non compare mai il nome del numero uno della gerarchia cattolica che fu il maggior complice dei militari: Pio Laghi, nunzio apostolico in Argentina dal 1974 al 1980. Per avere un'idea del suo ruolo (oggetto di polemiche anche in ambienti cattolici), basti dire che con il generale piduista Massera giocava a tennis, mentre nel Paese scomparivano ad opera dei militari circa 30.000 persone, molte dopo indicibili torture e trattamenti disumani d'ogni genere.
È certamente un'ironia della società dello spettacolo che il compito di assolvere il Papa argentino-astigiano sia affidato a un regista laico, dotato alle spalle di una robusta cinematografia di denuncia (Il portaborse, Mio fratello è figlio unico, La scuola) della quale io rimango personalmente grande ammiratore, nonostante la caduta verticale e abissale di questo film. Uno di quegli autori, per giunta, che non hanno mai capito bene cosa sia stato lo stalinismo e quindi si dichiarano ancora «nostalgici del vecchio Pci» e si vantano di aver fatto parte della Fgci (intervista a Vittorio Zincone sul suppl. Sette del 4/12/15, p. 42). E proprio questo serviva al Vaticano: un regista laico, fin qui onesto e attendibile, non accusabile di clientelismo o clericalismo, che fosse disposto a farsi carico della triste bisogna. Operazione andata «miracolosamente» in porto, sia pure attraverso un canale berlusconiano - cosa che farà storcere il naso a qualcuno, ma non al sottoscritto.
Non si pensi che il film abbia perlomeno il merito di denunciare le malefatte dei militari argentini, svolgendo una funzione di risveglio delle coscienze su tale tema fuori del Paese. Perché il tema invece è mondialmente conosciuto, arcipubblicizzato e dibattuto non solo tramite le centinaia e centinaia di inchieste giornalistiche (che non sembrano finire mai, anche grazie al lavoro delle Madres e delle Abuelas de la Plaza de Mayo), ma anche con i libri, i processi nei tribunali di vari Paesi (Europa e Italia inclusa), le rappresentazioni teatrali, i documentari e i molti film che cominciarono a uscire appena finita la dittatura. Ecco un elenco dei soli lungometraggi, escludendo quindi i documentari: La storia ufficiale, di Luis Puenzo (1985); La notte delle matite spezzate, di Héctor Olivera (1986); La morte e la fanciulla, di Roman Polanski (1994); Garage Olimpo, di Marco Bechis (1999); Figli - Hijos, di Marco Bechis (2001); Immagini, di Christopher Hampton (2002); Cronaca di una fuga - Buenos Aires 1977, di Adrián Caetano (2006); Complici del silenzio, di Stefano Incerti (2009).
L'operato di Luchetti non può quindi giustificarsi nemmeno all'insegna orrida del fine che giustifica i mezzi, e cioè che egli avrebbe scelto di fornire una copertura a Bergoglio allo scopo di far risaltare meglio la denuncia delle mostruosità dei militari argentini. No. Il compito era chiaramente e programmaticamente stabilito: salvare il soldato Bergoglio, come già detto, anche a costo di lasciare indifesa la gerarchia argentina. E Paola Casella - che nella sua recensione in mymovies.it si sbilancia fino ad affermare che Luchetti e il produttore Valsecchi non hanno chiesto la collaborazione del Vaticano - non deve aver visto il film sino alla fine. Perché proprio nell'ultima scena (di repertorio) compare il Papa neoeletto, quello vero, mentre pronuncia la storica frase di saluto al pubblico in piazza S. Pietro. E il diritto (copyright) di utilizzare una simile storica scena non sarebbe mai stato concesso alla produzione, senza un accordo preliminare e un'attenta analisi della sceneggiatura da parte vaticana. Di questo si dà conto nei titoli di coda che, peraltro, scorrono troppo rapidi per poter vedere chi ha effettivamente aiutato per la realizzazione del film. Io ho fatto appena in tempo a individuare 3 o 4 istituzioni militari argentine; ma sarebbe interessante stabilire quali, esattamente - cosa che potrò fare solo quando sarà disponibile il DVD.
E in effetti, l'altro grande assente - oltre al Vaticano (Paolo VI fino al 1978, poi Giovanni Paolo II, la Curia romana sempre) e alle personalità dell'alta gerarchia cattolica argentina - è proprio il potere, quello vero, quello che utilizzava i militari assassini per porre termine a un periodo di grande insubordinazione sociale, cominciato all'epoca del Cordobazo (1969) e proseguito col ritorno di Perón nel 1973. Jorge Rafael Videla compare in un'intervista televisiva, ma non viene tirato in ballo nessun partito politico, nessun alto comando o arma militare, nessun'azienda o gruppo di potere finanziario: nemmeno quell'ala destra della burocrazia sindacale (coi suoi criminali matones) che trasse enormi vantaggi dall'assassinio sistematico delle avanguardie operaie.
Nel coro prevedibile di recensioni entusiaste o comunque favorevoli al film, abbiamo trovato ben poche voci critiche. Va quindi citata in modo particolare quella che ci è parsa più precisa e coraggiosa (Valerio Caprara su Il Mattino).
Le critiche riguardano ovviamente la mistificazione operata dal film. Ma la mistificazione non va intesa solo in senso storiografico: in ultima analisi, non sarebbe infatti compito del cinema stabilire l'esatta sequenza degli avvenimenti e le modalità del loro svolgimento. Questa è opera dello storico. Il linguaggio del cinema opera diversamente, avendo a disposizione molteplici e quasi infinite possibilità tecnico-artistiche.
Per es. in questo caso Luchetti basa gran parte del film sulla rappresentazione filmica di cosa Bergoglio potrebbe aver pensato in occasione di determinati assassini, di arresti, di incontri con tanta povera gente ecc. Ebbene, questo procedimento del film è in primo luogo monotono e ripetitivo. Ricorrono situazioni molto uguali fra loro (per lo più drammatiche) che si riflettono senza grandi variazioni nelle espressioni un po' statiche del volto del povero Rodrigo de la Serna (qui impegnato a rendere vero l'impossibile), che invece era parso magnifico nella parte di Alberto Granado nei Diari della motocicletta (a differenza del collega Gael García Bernal nei panni del giovane Ernesto).
In secondo luogo è arbitrario: la sofferenza interiore di Bergoglio viene data come fatto certo, gli si mettono in bocca parole e riflessioni tutte uguali, incontrovertibili, senza sconnessioni, cambiamenti di opinione o momenti di eroismo (mentale) od opportunismo (anch'esso mentale). Un fatto che certamente contribuisce a costruire l'immagine del santino (indubbio l'intento agiografico anche nel tipo di inquadrature, i primi piani accattivanti, la modestia nel vestire, l'essenzialità dei movimenti) che qualcuno ha già timidamente riconosciuto nella figura attoriale del futuro Papa.
Del resto, diciamocelo una volta per tutte: questa indagine retrospettiva di cosa può aver provato Bergoglio davanti allo sterminio dei suoi connazionali e, concediamolo pure, magari davanti alla propria impotenza nel porvi termine, avviene oggigiorno, a tanti anni di distanza e solo perché Bergoglio è diventato papa. Altrimenti la sua storia personale, il suo tormento interiore e gli accomodamenti che deve aver trovato con la propria coscienza per non essere travolto dai complessi di colpa, sarebbero scomparsi nell'anonimato come tanti altri. La sua vicenda interiore si sarebbe dissolta nel nulla, alla pari dei molti altri prelati responsabili come lui, alcuni certamente complici, che rifiutarono di fare alcunché per fermare i militari e impedire lo sterminio di un'intera generazione intellettuale e militante, la «meglio gioventù argentina».
Il film opera una mistificazione cinematografica ancor più grossolana, ma che purtroppo avrà presa sulla fantasia degli spettatori, facendo vedere per gran parte del tempo Bergoglio impegnatissimo a nascondere persone (in genere seminaristi), a far uscire ricercati dalla cintura di Buenos Aires, insomma a fare cose di nascosto per salvare vite umane.
E su questo aspetto fondato su leggende postume e testimonianze di comodo - che ho denunciato in alcune mie lettere a un sacerdote amico, dotato di spirito critico e onestà intellettuale - emerge la vera truffa del film: a) di queste attività segrete non vi è alcuna traccia documentaria (né potrebbe esservi - quindi mistificazione storiografica), ma solo resoconti verbali registrati a decine di anni di distanza e soprattutto dopo l'elezione di Francesco; b) non sono questi gli interventi che ci si attende da un Provinciale che voglia impedire lo sterminio: un alto esponente della gerarchia deve procedere per via gerarchica, deve far pesare la propria carica, deve utilizzare l'arma della denuncia pubblica e se non basta anche quella dello scandalo pubblico, per salvare vite umane. In tal modo non ne salverebbe una dozzina o due (come viene fatto vedere nel film, ipocritamente e forse anche falsamente), ma ne salverebbe centinaia, addirittura migliaia se il suo esempio diventasse contagioso e si estendesse ad altri prelati, ad altri membri della gerarchia. Certo, rischierebbe di essere ucciso, ma in assenza di questo suo impegno sono altre migliaia di persone che vengono uccise al suo posto, e tra queste anche dei sacerdoti di base.
Non mi stancherò mai di estendere questo ragionamento a tutti coloro che detengono incarichi di potere pubblico e mirano ad accreditare un proprio presunto interessamento per le vittime fondato su iniziative private, personali, clandestine e misteriose. Ne è un triste e massimo esempio Pio XII, che dopo aver lasciato inerme il popolo ebraico in mano alla furia nazista ha incaricato la propaganda vaticana di inventare suoi personali interventi a favore di questo o quell'ebreo, di questo o quel ricercato dai nazisti. Truffa di basso livello, che però ha presa su chi vuole crederci. Come Papa aveva a disposizione il prestigio di un presunto vicario di Dio sulla terra e il potere dell'apparato vaticano mondiale. A quel livello si sarebbe dovuto muovere, ma di quel livello non esiste la benché minima traccia scritta o documentaria che possa attestare una sua opposizione alle persecuzioni naziste. Lo stesso vale, sia pure in scala minore, per l'indifferenza di Bergoglio nei confronti dell'eccidio perpetrato dalla dittatura militare durante il suo Provincialato.
La regia del film è monocorde, ha la forma di un documentario privo di agganci storici reali, di un documentario senza documentazione, per giunta di un documentario che vuole presentarsi come una fiction storicamente fondata. Le riprese in esterni battono ripetitivamente sul tema della miseria, dando così un'immagine terzomondistica dell'Argentina, il che è ridicolo soprattutto per una delle più moderne città «europee», come Buenos Aires. La sceneggiatura è fatta di dialoghi improbabili, irrealistici, retorici e ovviamente reticenti. Ma la cosa peggiore del film è che non c'è mai un guizzo di fantasia, un qualcosa che non appartenga al mondo interiore di un Bergoglio presuntamente sofferente e ci riservi qualche sorpresa, qualche contrappunto filmico. Insomma, manca l'arte cinematografica. Quella che invece c'era, tanto per fare un esempio, in un film per molti aspetti analogo - La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo - che senza allontanarsi troppo dalla realtà politica riusciva veramente ad appassionare lo spettatore, facendolo sbandare, cadere e riprendersi, parteggiando e allo stesso tempo provando sgomento nell'identificazione coi personaggi sullo schermo. Ma quella era arte, anche se di parte, e non importa che stesse dalla parte «giusta», a differenza del film di Luchetti, schierato in una presunta terza posizione neutra mentre si compie un massacro epocale sotto i suoi occhi. Quella di Pontecorvo era un'opera d'arte che faceva anche propaganda a favore di certe idee anticoloniali e antimperialistiche. Questo è un film servile, di mera propaganda, studiato a tavolino, commissionato dal Vaticano o da chi intendeva fare un regalo a Francesco (magari per difenderlo dalle congiure di palazzo interne alla Curia, delle quali si mormora da un po' di tempo in qua), e comunque utile nel presente e nel futuro per dare una copertura al passato di questo Papa testimone diretto e attivo/passivo di una delle più grandi e più crudeli tragedie del dopoguerra.
Pio Laghi, Jorge Videla e Leopoldo Galtieri
E poiché la società dello spettacolo nel suo insieme - della quale Francesco mi sembra un ottimo esponente manipolatore - sta accreditando un'immagine simpatica, umana e gradevole di questo Papa, per le masse cattoliche e non (in un momento tra l'altro in cui tende a crescere la contrapposizione cattolica all'islamismo), la mistificazione di questo film avrà certamente facile presa anche sui non credenti, e anche gli spettatori laici gli perdoneranno facilmente il fatto d'essere monotono, retorico, agiografico e cinematograficamente poco gradevole.
Ecco, se potessi io farei invece un film al limite del surreale sugli incubi notturni di quest'uomo che, a differenza di Luchetti, sa bene di quali colpe si è macchiato nell'ambito della Chiesa argentina, ma non intende chiedere perdono. E quindi è giocoforza pensare che ai desaparecidos toccherà ancora per molto tempo, forse per sempre, continuare a chiamarlo per nome dal buio vortice del loro martirio: Jorge Bergoglio.

PER COMPLETARE LA RECENSIONE DEL FILM SOPRA ESPOSTA E PER FORNIRE AL LETTORE QUALCHE ARGOMENTAZIONE SULLE RESPONSABILITÀ DI BERGOGLIO ALL'EPOCA DELLA DITTATURA, SIA IN GENERALE, SIA IN PARTICOLARE PER LA VICENDA DEI DUE GESUITI SEQUESTRATI DOPO CHE LUI AVEVA TOLTO LORO LA COPERTURA DELLA VESTE SACERDOTALE, ALLEGHIAMO LE LETTERE SCRITTE DA MASSARI NEL 2013 A UN SACERDOTE CHE AVEVA SOLLECITATO UNA SUA OPINIONE. SONO LETTERE INEDITE, UTILI COME ANTIDOTO ALLE MISTIFICAZIONI DEL FILM DI LUCHETTI. [la Redazione]

 Caro don F.,
questa mattina ho finito di leggere il libro di Horacio Verbitsky [L'isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, Fandango, 2006] e dire che sono sconvolto è dire poco. Il fatto è che uno le cose per grandi linee le sa, ma finché non entra nei dettagli non si rende conto veramente di cosa può essere accaduto. Credo che dopo il Gulag staliniano, l'Olocausto nazista e il genocidio degli Armeni, il crimine dei militari argentini degli anni '70 possa rientrare al quarto posto nella graduatoria dei grandi crimini dell'umanità e contro di essa nel Novecento. Lascio da parte l'Inquisizione perché la sua azione si è svolta nei secoli passati e non si è conclusa nel giro di pochi decenni o pochi anni. E quindi la si può collocare fuori graduatoria.
Detto questo, le responsabilità dei vertici della Chiesa argentina (ma indirettamente anche di quella di Roma) sono gravissime. Tutti i principali dirigenti dell'epoca sono stati coinvolti moralmente, psicologicamente, sul piano informativo e nella consegna del tacere. Nessuno di loro si è differenziato, nessuno di loro ha denunciato nulla, nessuno di loro ha rinunciato alla carica che ricopriva pur di non assistere a quel mostruoso massacro, fatto anche di torture, menzogne, depistaggi e richieste di benedizioni cristiane. Queste non sono mai mancate. Così come non sono mancati rapporti amichevoli tra i carnefici militari, gli alti prelati e addirittura il nostro Licio Gelli della P2.
Pazzesco. Pio Laghi (capo della Nunziatura apostolica argentina) giocava a tennis col sanguinario Massera (a sua volta membro della P2). C'è chi dice «spesso»; lui dice «solo» 4 volte…
Non si può ovviamente condannare la Chiesa argentina in blocco, perché molti sacerdoti hanno cercato di opporsi, alcuni sono stati uccisi, apertamente come Mugica o desaparecidos come vari altri. Anche delle suore sono state uccise. Il tutto sempre senza alcuna protesta ufficiale da parte della gerarchia cattolica. I cognomi più celebri di questa gerarchia sono Laghi, Grasselli, Bergoglio, Aramburu, più o meno nell'ordine in cui li ho citati. Il silenzio della gerarchia sui sacerdoti torturati e uccisi ricorda quello di Pio XII sulle rappresaglie naziste e il suo legame stretto col Terzo Reich.
Per quanto riguarda Bergoglio, nella questione dei due poveri sacerdoti, Yorio e Jalics, diventa secondario stabilire fino a che punto egli sia stato coinvolto. Sulla base della documentazione si ha certezza fino al punto seguente: Bergoglio squalificò i due sacerdoti impegnati nel sociale tra i poveri, tolse loro la copertura della Chiesa ufficiale e quindi li lasciò inermi nelle mani dei torturatori. Se li abbia anche denunciati come delatore non si saprà forse mai e in fondo è secondario: quanto sopra già basta. Inoltre non fece nulla per salvarli per almeno cinque lunghissimi mesi. Se poi sia veramente interceduto al momento del loro rilascio, non si saprà forse mai. Tutte le attuali testimonianze a favore suo sono ridicolmente false e create post hoc. Così come lo sono i passi indietro compiuti da Jalics sul terreno della denuncia delle responsabilità di Bergoglio.
Ma a me il crimine nei confronti dei due sacerdoti (e almeno di altri due, stando a vecchie testimonianze) sembra niente rispetto alla complicità - più o meno attiva, più o meno silenziosa - con tutta l'operazione repressiva dei militari contro il popolo argentino e contro la sua parte più progressista. Capisco che per il sensazionalismo giornalistico è più importante cogliere il Papa con le mani nel sacco rispetto al sequestro dei due sacerdoti. Ma per la mia coscienza morale è molto ma molto più grave il coinvolgimento morale, sia pure passivo, sia pure indiretto in quel folle massacro ai danni della parte migliore del popolo argentino.
Riguardo a Verbitsky. Il suo primo articolo sui desaparecidos è di settembre del 1990. Da allora si è trasformato nella massima autorità sul tragico tema. Il suo primo libro El vuelo (Il volo, Fandango, 2006) uscì nel 1995. L'attuale libro [El silencio (L'isola del silenzio, Fandango, 2006)] uscì nel 2005, prima della morte del precedente Papa e quindi non in tempo per sapere che vi sarebbe stato un ballottaggio tra Ratzinger e Bergoglio. [Vai a capire perché già allora la stella di Bergoglio fosse ascesa così in alto… Una spiegazione viene quasi automatica, ma di ciò si può parlare in altro momento, rientrando essa nel campo della politica e non di denuncia della ferocia e della vigliaccheria umana.]
Il libro di Verbitsky contiene un capitolo supplementare, un epilogo per l'ed. italiana, in cui Verbitsky scrive:

    «Una siffatta concomitanza [il ballottaggio tra Ratzinger e Bergoglio] ha conferito a questa inchiesta storica su fatti avvenuti tre decenni addietro nella ESMA un'attualità che non ho mai cercato e che non potevo prevedere, ma che non posso eludere ora che Benedetto XVI si avvicina agli ottant'anni e non è da escludersi che in un futuro conclave si prenda nuovamente in considerazione il nome di Bergoglio, che ha avviato un'aperta campagna di proselitismo».

Parole preveggenti che hanno precorso la scelta del conclave. E ancora: possibile che i cardinali lì riuniti ignorassero i trascorsi di Bergoglio? possibile che non avessero un'altra carta da giocare, magari sempre latinoamericana e ugualmente utile per contrastare lo spostamento politico a sinistra delle società latinoamericane e quindi, inevitabilmente, anche del loro clero?
Francamente non riesco a darmi una risposta a questi ultimi interrogativi.
L'epilogo quindi è stato scritto nel 2006, in tempi ancora insospettabili, mentre la documentazione fornita è tutta o quasi tutta degli anni '70. Questi dati cronologici rendono il libro serio, attendibile e inconfutabile (se non con la «scoperta» successiva di testimonianze e carte a discapito, sulle quali si chiederà un atto di fede, quasi come sulle stimmate di Padre Pio…).
Horacio Verbitsky
Resterebbe anche da chiedersi perché della traduzione del libro di Verbitsky in italiano nel 2006 si è parlato pochissimo nei giorni della nuova elezione. A parte il caso tragicomico mio (che il libro non sapevo di averlo in casa e ignoravo addirittura che esistesse in lingua italiana), rimane il fatto che è stato messo a tacere tutto subito. Il nome di Verbitsky non è affiorato seriamente da nessuna parte. E ovviamente nessuna televisione si è premurata di andarlo a intervistare (che io sappia, ma visto che non ho la televisione sono fonte poco attendibile…)
Non ti scrivo questo per aggiungere turbamento o per fare propaganda anticlericale. E non desidero nemmeno avviare una discussione sul tema (con la documentazione fornita da Verbitsky c'è poco da discutere: è un capitolo chiuso in termini storiografici). Lo faccio perché non ritengo giusto tacere su queste responsabilità della Chiesa argentina (e quindi su quelle di Bergoglio come Provinciale, capo supremo dei Gesuiti, al suo interno). Ciò non significa misconoscere o minimizzare ciò che di buono potrà fare papa Francesco. Lo dissi subito e lo confermo: ben venga ogni atto di progresso che questo Papa vorrà fare o stimolare. Significa semplicemente che devo dire ciò che è vero, storicamente vero e inoppugnabile - tacere (se interpellato) farebbe di me un complice postero o postumo della tragedia intercorsa.
Dopodiché i Cristiani possono anche perdonarlo, come è loro richiesto dalla dottrina evangelica (beh, non tutta - Zarcone docet…). Non vorrei però trovarmi nella posizione del cattolico o della cattolica argentina che abbiano perso dei parenti in quel periodo (in quel modo disumano) e che siano allo stesso tempo consapevoli della complicità delle alte gerarchie cattoliche. La dottrina chiederebbe anche a loro di perdonare. Ma sarebbe umano attendersi che essi possano riuscire a farlo?
E come corollario mi chiedo: esistono argentini parenti delle vittime dei militari che si sono sentiti violentati una seconda volta per l'elezione di Bergoglio al soglio pontificio, nonostante si conoscessero le sue responsabilità, pubblicamente perlomeno dal 2005?
E se esistono, è giusto che tacciano, in omaggio al principio del fine che giustifica i mezzi? Dixi et salvavi (parzialmente) animam meam.
Saluti,
Roberto
(4 dicembre 2013)

 Caro don F.,
ho riletto l'articoletto che mi hai mandato (che non è l'articolo della Frankfurter, bensì un riassuntino fatto da uno dei più inattendibili grandi quotidiani italiani, cioè Repubblica). Tenendo conto che leggiamo solo frasi tratte dalle lettere di Bergoglio e niente di ciò che gli devono aver scritto i parenti implorando probabilmente il suo intervento [per i due sacerdoti gesuiti: Jalics e Yorio], ne ricavo alcune conclusioni logiche:
1) Il Neopapa (all'epoca Provinciale dei Gesuiti) non aveva fatto nulla o quasi nulla per liberare i confratelli, altrimenti avrebbe riferito qualcosa al fratello di uno dei due sacerdoti o ai parenti, magari senza nomi e cognomi, ma certamente riferendosi ad atti concreti. Foss'altro che per alleviare la pena dei parenti. (Aggiungo che se si fosse mosso, avrebbe sicuramente ottenuto dei risultati. In fondo i militari si erano permessi il sopruso solo perché lui aveva tolto la copertura ecclesiale a quei due poveri disgraziati. Poteva sempre rimettercela.)
2) Dice di aver sempre saputo che erano vivi, ma lo dice all'indomani della loro liberazione. Quindi o mentiva in quel momento (in realtà non ne sapeva più nulla) o non aveva fatto alcun passo concreto in precedenza, perché in tal caso avrebbe saputo che erano vivi e lo avrebbe comunicato ai parenti.
3) La pubblicazione di queste lettere risparmia allo studioso la fatica di andare a cercarne altre. Se esistessero, le avrebbero prodotte «loro». Pur di arrampicarsi sugli specchi, hanno deciso di gonfiare riferimenti insignificanti e ipocriti (dai quali però si arguisce che Bergoglio non aveva mosso un dito per i confratelli).
4) Fanno bene i giornali argentini che ricordano che il problema in quegli anni non era solo Bergoglio, ma l'insieme della gerarchia ecclesiastica connivente in un modo o nell'altro con i militari assassini. Bergoglio non era l'eccezione, ma la regola.
5) Ridicola l'accusa a Horacio Verbitsky di utilizzare vecchi materiali. E che deve fare un giornalista coscienzioso che si è già occupato nel passato di queste cose: deve inventarne di nuovi? Casomai dovrebbero giustificarsi i cardinali del Conclave che, pur esistendo da tempo questi materiali, hanno ritenuto ugualmente di poter nominare Bergoglio. (Domanda ingenua e maliziosa allo stesso tempo: ma veramente non potevano trovarne un altro, diciamo «incensurato», da eleggere?)
Emilio Massera
6) Oggi i giornali parlano di un comunicato della Corte suprema (giudiziaria?) argentina che scagiona Bergoglio da qualsiasi accusa di complicità con i militari assassini. Insomma, il vicario di Dio in terra esce assolto per insufficienza di prove da una sentenza dell'apparato giudiziario argentino. Fossi Dio mi arrabbierei un po'. Ma poi, al pensiero di quante ne ho dovute vedere nella storia della Chiesa degli ultimi duemila anni, ben peggiori di queste, mi calmerei e procederei al perdono, come ha generosamente fatto padre Jalics. Io (in quanto Roberto M. e non Dio) non ne sarei stato capace. Lo ammetto. Il perdono è una grande invenzione del Nuovo Testamento assente per lo più dall'Antico che non ha mai fatto breccia in me. Il perdono io posso intenderlo solo come un recupero, uno scambio alla pari: hai fatto tot male e la società ti perdona solo se ripaghi con tot bene. È un principio che in parte rientra nella moderna giurisprudenza volta al recupero del peccatore (criminale) piuttosto che al castigo.
7) Rimane il fatto che la macchia sul passato di papa Francesco esiste, è documentata, è pubblica, è conosciuta e si tramanderà nel tempo, passando di bocca in bocca, come del resto sta già accadendo sulla stampa e in Internet.
8) Vedo due conseguenze politiche, una cattiva e una buona: a) la cattiva è che papa Francesco dovrà essere grato al governo di Cristina Kirchner (o chi dopo di lei) per non aver voluto approfondire la vicenda e comunque per non aver voluto approfittare. Quindi Papa condizionabile da parte del governo argentino. b) La buona è che il nuovo Papa dovrà stare attento non solo a non benedire altri dittatori e feroci aguzzini (come hanno sempre fatto i suoi predecessori, da Paolo VI in poi), ma dovrà anche dimostrare con le azioni che quelli sono «errori di gioventù» e che oggi è diventato molto più buono, sia verso i poveri che verso gli oppressi. Chissà che alla fine non ci guadagnino qualcosa anche i gay e i malati terminali. Per l'atteggiamento verso le donne, invece, continuo a vederla brutta.
La parola all'Avvocato del diavolo (che in questo caso dovrebbe dimostrarsi favorevole alla santificazione di papa Francesco, al contrario di quanto accade nei processi di canonizzazione).
Saluti,
Roberto
(9 dicembre 2013)

 Caro don F.,
sei libero di utilizzare il mio testo come meglio ti sembra. L'ho scritto in forma affrettata, ma avevo veramente chiuso le ultime pagine del libro di Verbitsky, quindi avevo tutto il contenuto fresco e presente alla memoria. Cosa che non si ripeterebbe tra una settimana o due. Se don Strazzari [autore di In Argentina per conoscere papa Bergoglio, Ed. Dehoniane, 2013] vuole farla circolare ulteriormente ha da subito il mio consenso.
Per Adolfo Pérez Esquivel vale il discorso che faccio da molti anni sulla nomenklatura filocastrista (che include un paio di decine di latinoamericani e rari europei). Sono persone arrivate alla gloria in momenti diversi (quando c'era l'Urss anche grazie alla diplomazia sovietica), ma per lo più grazie ai cubani (il Premio Casa de las Américas è stato il trampolino di lancio di quasi tutti - di grandi scrittori, ma anche di nullità). Tieni conto che una certa ripartizione delle onorificenze esisteva all'epoca della guerra fredda e influenzava anche i premi Nobel. Quelli per la pace, poi… Basti pensare che un anno premiarono Arafat e Begin insieme.
Della nomenklatura filocastrista (poi anche filochavista) più o meno filosovietica hanno sempre fatto parte l'argentino Pérez Esquivel e Rigoberta Menchú, tra i Nobel. Gli altri sono scrittori, poeti, cineasti che ai cubani (e fino a un certo punto ai sovietici) devono molto o tutto. E quindi si sdebitano restando a disposizione di Cuba e del Venezuela (con parentele secondarie a seconda dei paesi e degli eventi, in Bolivia, Brasile ecc.). Li riconosci facilmente perché sono sempre pronti a firmare tutto: che si tratti di dire che a Cuba non ci sono prigionieri politici o che gli Usa sono imbecilli (cosa verissima), le loro firme vengono raccolte nel giro di poche ore. E la firma di Pérez Esquivel non manca mai, ma proprio mai - come ho potuto verificare negli anni.
Quindi se costui si è rimangiato le cattiverie che aveva detto su Bergoglio qualche tempo prima con tanta celerità vuol dire che da Cuba gli è arrivato l'invito a farlo. Ed io capisco che Cuba, già spalancatissima ai due Papi precedenti che l'hanno visitata, non avesse nessuna intenzione di inimicarsi l'attuale Papa, che per giunta è latinoamericano. Ti dirò in più che Fidel Castro deve ancora farsi perdonare l'aiuto politico che diede in extremis alla Giunta assassina argentina quando questa cercò di salvarsi inventandosi la guerra delle Malvinas. Fu una cosa atroce che la sinistra finse di non vedere, ma che certamente ha lasciato degli strascichi in Argentina. Insomma, Pérez Esquivel è un tipico rappresentante della nomenklatura filocastrista (un tempo filosovietica), come lo è Frei Betto, per restare in campo religioso. Betto lo è in maniera più smaccata, Adolfo Pérez ecc. lo è in maniera più ufficiale.
Tu stesso, poi, adombri la possibilità che egli ricavi anche «adeguamenti redditizi». Adombra, adombra… perché c'è probabilmente anche questo, nel contesto però dell'autopromozione ormai pluridecennale di questa nomenklatura latinoamericana.
A risentirci,
Roberto
(9 dicembre 2013)

 Caro don F.,
ho letto l'articolo di Chierici. Non ne capisco il senso. L'articolo mira addirittura a fare di Bergoglio un salvatore di vittime della dittatura, che è ciò che il Vaticano sta cercando di accreditare, ma guarda caso a decenni di distanza e solo per rispondere a Verbitsky. E mi stupisce che uno come Chierici si presti al gioco. Resta il fatto che l'articolo è pessimo, sembra scritto da un focolarino. Non cita alcun fatto documentabile (le testimonianze retrospettive a decenni di distanza non hanno valore «probatorio») e s'inventa che Verbitsky (di cui sbaglia addirittura a scrivere il nome) abbia riconosciuto di essersi sbagliato. Un giornalista come Chierici avrebbe il dovere di mettere una breve parentesi sul come e il quando ciò sarebbe accaduto. A me che seguo attentamente la vicenda, non risulta. Ma ovviamente posso sbagliarmi: di qui la necessità di indicarmi data e luogo. Altrimenti è puro menar fumo.
Divertente (ma in realtà macabro) il suo tentativo di mostrare la gerarchia cattolica divisa tra il vescovo militare Tortolo e Pio Laghi. In Argentina gli riderebbero dietro, perché il nome di Pio Laghi è ormai storicamente associato alla dittatura militare. È meglio che cerchi di salvare il nome di Bergoglio, perché quello di Laghi è insalvabile (davanti alla Storia e, se per caso esiste, anche davanti a Dio). Chierici sembrerebbe non aver letto il libro di Verbitsky, ma solo quello di Nello Scavo [La lista di Bergoglio, Ed. Missionaria Italiana, 2013] - un libro prevedibile e giustificativo. E già so che se mi capiterà di chiedergli come sia arrivato a scrivere un simile articolo, mi dirà che lui in fondo si è limitato a riportare la sostanza di Scavo, senza necessariamente condividerla. I giornalisti hanno sempre questa scappatoia, e anche per questo io mi offendo quando capita che nelle conferenze mi presentino come giornalista. Ciò che Grillo sta dicendo pubblicamente su questa ignobile casta oscurantista italiana è del tutto vero.
Papa Pio XII
Insisto, però, perché non ci si perda nel dettaglio, ma si abbia un quadro d'insieme di come si comportarono le massime autorità cattoliche nel periodo della guerra sucia argentina. Chi vuole intendere intenderà e chi vuole giustificare Bergoglio (che al momento debito dovrà anche essere fatto santo, come si tenta con Pio XII) lo giustificherà. Anzi, lo trasformerà in un salvatore di vittime, come Pio XII fu un salvatore di ebrei, al punto che, per meglio aiutarli, consentì che si desse rifugio ai gerarchi nazisti nei conventi e che di lì fossero aiutati a emigrare in America latina, soprattutto… toh, guarda caso… soprattutto in Argentina.
Buon inizio di settimana,
Roberto
(15 dicembre 2013)

Caro don F.,
mentre apprezzo il tono fraterno delle critiche che mi rivolge Carlos María Galli (che, pur dandomi completamente torto, mi riconosce una «alta valoración de la verdad histórica y del amor evangélico»), devo dire che non le condivido nella sostanza. L'argomento del non aver vissuto in Argentina è trito e ritrito. Nessuno di noi ha vissuto nei lager nazisti o nel Gulag staliniano, eppure parliamo di questi orrori, leggiamo libri e formuliamo giudizi non necessariamente giusti o uguali tra loro. Ci sono anche russi che hanno vissuto quel periodo, perso dei parenti e sono però convinti che il Gulag sia stato tutto sommato un bene. Idem per i nativi d'America, gli zingari o il povero popolo ceceno e così via.
L'argomento è fallace, perché potrei presentargli centinaia se non migliaia di argentini che hanno vissuto quel periodo e che gli darebbero torto. Per la cronaca, anch'io ho perso dei compagni tra i desaparecidos, ma questo non mi dà nessun vantaggio teorico.
Ciò che scrive Verbitsky (qui ridotto a un pennivendolo da strapazzo al servizio dei Kirchner) mi stimola ad approfondire la conoscenza del personaggio. Evidentemente si dev'essere scatenata contro di lui una campagna diffamatoria senza precedenti. Eppure il tono del suo libro era sereno e rispettoso nei confronti di Bergoglio.
Infine ho conferma di ciò che avevo anticipato fin dai primi giorni, e cioè che si sarebbe lanciata una campagna per dimostrare che Bergoglio si è impegnato seriamente per salvare le vittime del terrore negli anni della dittatura, anni in cui effettivamente avrebbe avuto la possibilità di fare qualcosa. E a questo riguardo la volontà agiografica fa perdere di vista i più semplici dettami della logica; ci si affanna a descrivere sotterfugi, appostamenti portuali o nascondigli nel cofano della macchina da parte sua - stiamo parlando del Provinciale dei gesuiti argentini, figura numero due o numero tre dell'apparato cattolico in quel Paese - e così facendo si devia l'attenzione dalla sua veste ufficiale, quella che gli avrebbe consentito di salvare apertamente, dall'«alto», non due, tre, quattro o cinque persone, ma centinaia e centinaia, se non migliaia.
E se ciò facendo fosse caduto vittima a sua volta del terrore, avrebbe lasciato un esempio imperituro, come l'arcivescovo Romero. Oggi la Chiesa cattolica avrebbe una bandierina in più (autentica) di cui esser fiera, invece di dover stare a mettere insieme i pezzi di un puzzle artificiale (totalmente postdatato) che consenta di beatificare Bergoglio, trasformandolo da complice morale della dittatura in un gesuitico Schindler. (Altra storia in gran parte falsa, pure quella di Schindler…)
In Italia abbiamo già assistito alla stessa procedura con Pio XII e le sue connivenze col nazismo. E se non ci fosse la comunità ebraica che continua a opporsi alla sua santificazione, anche questa vergogna passerebbe impunita.
Mi rendo conto, però, che in questa campagna contro la verità che cerco di difendere (con strumenti non miei, ma presi a prestito) - come in tante altre della mia vita (basti pensare a quella sulle vittime dello stalinismo, la denuncia delle complicità assassine di Togliatti ecc. che mi hanno visto pagare dei prezzi molto cari in un Paese come l'Italia) - alla fine sono costretto ad arrendermi. La potenza dell'apparato mediatico che si è mosso in difesa di Bergoglio è tale da triturare anche giornalisti celebri e robusti (sto ripensando anche all'articolo di Maurizio Chierici che mi hai mandato…). Fu lo stesso con l'apparato propagandistico del vecchio Pci (Pcus e Pc cubano inclusi).
Figuriamoci se posso contrastarla io una simile campagna. La questione è già diventata oggetto di fede: chi vorrà credere che l'alta gerarchia cattolica argentina in quegli anni non fu complice morale dello sterminio, continuerà a crederlo, pur non avendo la benché minima pezza d'appoggio: un telegramma, un comunicato, una protesta scritta, un gesto in televisione, un'intervista mirata, una via crucis espiatoria, un'intimazione di tono biblico, un libro pubblicato all'estero, una parola detta nel luogo giusto al momento giusto - niente, niente di niente di niente.
In fondo si torna sempre all'imperituro conflitto tra fede e ragione, rendendo sempre più lontano e utopico il motto di Anselmo d'Aosta (già espresso in parte da Agostino): non quaero intellegere ut credam, sed credo ut intellegam. Che anche in questo caso diventa un quaero credere ne intellegam.
Non mi riferisco a te e alla tua corretta posizione interrogativa - che apprezzo e rinsalda la nostra amicizia - ma ai libri che stanno pubblicando senza la benché minima documentazione che risalga a quegli anni e che sia quindi scevra da sospetti.
Roberto
(16 dicembre 2013)