27 marzo 2017

Subdolamente...

Basta guardare la tv, sfogliare riviste o semplicemente guardare cartelloni pubblicitari. Ce n'è un po' dappertutto: trucchi, suggerimenti, inviti ad essere belle, snelle e sembrare giovani il più a lungo possibile. E non certo per ragioni di salute ma per "piacere" (a chi poi non è dato sapere). Reggiseni push-up che modellano il seno spingendolo verso l’alto grazie a particolari imbottiture secondo cui i nostri seni dovrebbero essere a prova di gravità. Costosissime creme antirughe e tinture di capelli che dicono che l’età è qualcosa da dissimulare ad ogni costo. Maquillage per nascondere le lentiggini, modellare la dimensione degli occhi del naso o degli zigomi. In primavera poi impazza la "prova bikini" che altro non significa che se una donna non ha un corpo perfetto, il mare se lo deve scordare per decenza. Per non parlare del proliferare degli interventi estetici (vere e proprie brutalizzazioni del corpo) che propongono miracoli e ci rendono tutte meravigliosamente uguali, copie perfette delle bambole di plastica. Tempo fa in rete ho letto anche di una strana diavoleria: l’"esaltatore delle labbra" in sostituzione del botox. Il suo funzionamento si basa su una specie di meccanismo di aspirazione, di risucchio delle labbra, che va ad influenzare la circolazione del sangue, facendo sembrare la bocca più grande. E non ci vuole molta fantasia per immaginare i commenti dei maschietti a corredo dell'articolo.
Ecco, per me anche tutto questo è violenza, subdola e pericolosa. Una violenza simbolica non fisica ma indiretta, che viene esercitata attraverso l'imposizione di una determinata visione del mondo e dei ruoli sociali, rafforzando gli stereotipi e incasellando ognuno in un suo spazio predefinito. Una violenza talmente interiorizzata e naturalizzata al punto da credere che le cose "sono sempre state così", rendendo i valori e gli spazi all'interno della società non solo indiscutibili ma persino immutabili. Violenza subdola è convincere le donne che i loro corpi non sono perfetti e hanno bisogno di un ritocco. Violenza subdola è suggerire comportamenti per adeguarsi agli stereotipi.
Per sottrarsi a questa violenza bisogna prendere coscienza di sé, incrementare l'autostima e l'autodeterminazione, essere consapevoli delle scelte, decisioni e azioni sia nell'ambito delle relazioni personali che in quello della vita sociale. 
E sottrarsi a questa violenza significa non alimentare il bisogno di riaffermazione dell'egemonia patriarcale che trae sostentamento dalla trasmissione di valori culturali e morali che giustificano posizioni dominanti e privilegi inconsistenti. 

22 marzo 2017

Sono giorni strani...

Sarà l'accavallarsi di tante sensazioni diverse, o forse solo la stanchezza di tanti giorni frenetici. 
Fatto sta che inseguo solo i ghirigori dei miei pensieri. 
Sono giorni in cui, piuttosto che esprimermi, osservo, perché ho fame di capire, come se ancora ci fossero talmente tante cose da sapere che quel poco che so non può farmi stare tranquilla.
Sono giorni in cui le persone, anche quelle a cui voglio bene, mi danno insofferenza, una strana sensazione di disagio, e mi viene da chiedermi chi è che sta dentro ad una gabbia: sono io che guardo gli altri dietro alle sbarre o sono gli altri che guardano me rinchiusa?
Ricordo un particolare: da piccola guardavo degli uccellini dentro una grande voliera e pensavo che anche loro mi vedevano attraverso una rete, e forse anche loro potevano pensare di me la stessa cosa. Sapevo che era il loro lo spazio più piccolo e chiuso, ma non riuscivo a togliermi dalla testa che fossi io in un'enorme gabbia e che il mondo fosse dentro la voliera. Lo dissi a mia madre e lei mi chiese come mi venissero in mente certe cose. Mi venne da piangere.
Ci sono dei giorni strani, come quei giorni qui, colmi del disagio del non capire. 
Ed io li sento in bocca, un po' sgradevoli, come una forchetta con i rebbi storti. Ci si può mangiare lo stesso, ma non è la stessa cosa.
O forse più semplicemente c'è qualcosa di sbagliato in me, da sempre.  

04 marzo 2017

Un pezzo di carta non fa da scudo.

E' di questi giorni la sentenza della Corte di Strasburgo che condanna l'Italia per l'inefficienza riscontrata nel difendere le donne vittime di violenza. Non mi sembra che sia la prima volta, correggetemi se sbaglio, e forse non sarà nemmeno l'ultima, perché di inefficienze siamo esperti.
Elisaveta aveva fatto ripetute richieste d'aiuto alle autorità, inascoltate. Aveva ricevuto protezione in una struttura, ma poi aveva dovuto lasciarla perché non c'erano più fondi per pagare la sua accoglienza. E infine l'epilogo, tragicamente prevedibile. Lei l'ha scampata ma il figlio che la difendeva no.
Le condanne ci sono state, per il colpevole del delitto e per la mancata protezione, ma i fatti restano, implacabili, a svelare condizioni inaccettabili per storie che si ripetono quotidianamente: mali evitabili se si desse il giusto peso e ascolto e se ci si mettesse d'impegno a riempire i vuoti e a correggere gli errori del sistema.
E' inutile la retorica di coloro, spesso rappresentanti delle istituzioni, che di fronte alle violenze, invitano le donne a denunciare. Denunciamo sì, ma poi? Un pezzo di carta non fa da scudo, ci vuole consapevolezza, responsabilità e, soprattutto, volontà di fare, tutte cose di cui la politica altisonante è molto carente.
E prima, prima ancora di certe misure a posteriori, ci vuole rispetto, e non solo per le donne: rispetto per tutte le persone, per i diritti e per la libertà di ognuno. E se non sappiamo più che vuol dire, impariamolo di nuovo, insegniamolo, ficchiamocelo nella testa a martellate che senza di quello non si va da nessuna parte se non nell'abisso in cui stiamo cadendo.
Già, ma che lo dico a fare? Una rivoluzione culturale di tale portata è praticamente un miraggio...
Coraggio donne, che fra poco è l'8 marzo e ci inonderanno di mimose...ma un po' di giallo in mezzo a tutto quel rosso non potrà certo cancellarlo...

01 marzo 2017

Ecco cosa significa proibire, nel 2017.

Che è ben lontano dal prevenire o dall'impedire, come i benpensanti nostrani vorrebbero far intendere. Disconoscere il diritto all'autodeterminazione personale vuol dire solo creare due strade differenti per la sofferenza a seconda del peso del portafoglio. Per uno come Fabo che drammaticamente ha scelto di liberarsi dalla prigione del proprio corpo, tanti altri, in silenzio e senza riflettori, sono condannati al martirio di una vita che non è più. Senza ulteriori considerazioni su chi si arroga il diritto di scegliere per gli altri, trincerarsi ancora dietro al mantra della "tutela della vita dalla nascita alla morte", come vorrebbe un dio che è di casa sul suolo italiano e finanche in parlamento, è solo uno spregevole e vile atto di ipocrisia.