26 giugno 2016

La poesia non canta più.

Leo Ferré durante un recital:
La poesia moderna non canta più... striscia.
Però ha il privilegio della distinzione... non frequenta le parole malfamate, anzi le ignora.
Si prendono le parole con le pinze: a "mestruale" si preferisce "periodico", e si ripetono dei termini medici che non dovrebbero uscire dai laboratori o dai trattati di medicina.
Lo snobismo scolastico che consiste nel non usare in poesia che certe parole ben definite, nel privarla di certe altre, che siano tecniche, mediche, popolari o dialettali, mi fa pensare al prestigio dei baciamano e delle vaschette lava dita.
Non sono le vaschette lava dita a rendere le mani pulite né il baciamano crea la tenerezza.
Non è la parola che fa la poesia, è la poesia che illustra la parola.
Gli scrivani che fanno ricorso alle dita per sapere se tornano i conti dei piedi, non sono dei poeti: sono dei dattilografi.
Oggigiorno il poeta deve appartenere ad una casta, a un partito o al bel mondo.
Il poeta che non si sottomette è un uomo mutilato.
La poesia è un clamore e deve essere ascoltata come la musica.La poesia destinata ad essere soltanto letta e rinchiusa in veste.tipografica non è ultimata. Il sesso le viene dato dalla corda vocale così come al violino viene dato dall'archetto.
Il riunirsi in mandrie è un segno dei tempi. Del nostro tempo.
Gli uomini che pensano in circolo hanno le idee curve.
Le società letterarie sono ancora la Società.
Il pensiero messo in comune è un pensiero comune.
Mozart è morto solo, accompagnato alla fossa comune da un cane e da dei fantasmi.
Renoir aveva le dita rovinate dai reumatismi.
Ravel aveva un tumore che gli risucchiò di colpo tutta la musica.
Beethoven era sordo.
Si dovette fare la questua per seppellire Bela Bartok.
Rutebeuf aveva fame.
Villon rubava per mangiare.
Tutti se ne fregano.
L'Arte non è un ufficio di antropometria. La Luce si accende solo sulle tombe.
Noi viviamo in un'epoca epica ma non abbiamo più niente di epico.
Si vende la musica come il sapone da barba. La stessa disperazione si vende, non resta che trovare la formula giusta.
Tutto è pronto: i capitali
La pubblicità
I clienti
Chi dunque inventerà la disperazione?
Con i nostri aerei che fregano il sole.
Con i nostri magnetofoni che si ricordano delle "voci ormai spente", con le nostre anime ormeggiate in mezzo alla strada, noi siamo sull'orlo del vuoto, confezionati come carne in scatola, a veder passare le rivoluzioni.
Non dimenticate che l'ingombrante nella Morale, è che si tratta sempre della Morale degli Altri.
I canti più belli sono quelli di rivendicazione.
I versi devono fare l'amore nella testa dei popoli. Alla scuola della poesia non si impara: CI SI BATTE.

21 giugno 2016

A Trapani va in pensione l'unico ginecologo non obiettore, impossibile abortire.

Mi piacerebbe sapere che senso ha la figura del medico obiettore. Se è un medico dovrebbe pensare alla salute del paziente, darsi da fare per farlo stare meglio e, se possibile, guarirlo dai suoi problemi. Un medico che rifiuta cure e terapie a una persona solo perché non la pensa come il paziente e quindi ritiene ingiusto applicare la terapia richiesta, secondo me, non può essere considerato un medico e non dovrebbe lavorare in una struttura pubblica. Sì, d'accordo, la legge prevede l'obiezione, ma che andassero a lavorare in una struttura privata cattolico-integralista dove, se solo si sussurra di aborti, si innestano terremoti, tuoni e fulmini dall'alto e per curare la gente si fa più uso di preghiere che di flebo.
A Trapani, l’unico medico non obiettore è andato in pensione.
Il che significa che da quelle parti una donna bisognosa di un intervento abortivo, dovrà andarsene altrove, sempre che trovi un ospedale ancora degno di tal nome e non un ritrovo di ipocriti benpensanti che magari, se insiste e gli lava la coscienza riempiendogli il portafoglio, la dirottano nella loro clinica privata dimenticandosi di Dio e della loro anima immaginaria.
Che si sia o meno d’accordo con questa pratica, l’aborto resta una libera scelta, a volte necessaria per la salute della donna e un medico che si definisce tale e ha scelto quella professione, qualsiasi sia la sua convinzione personale, dovrebbe intervenire per offrire alla paziente la terapia richiesta, pensando alla sua salute e non alla presunta dannazione eterna.
Se no, e lo ripeterò fino alla nausea, che facciano qualcos'altro e preghino tutto il giorno!


P.S. Guardacaso stamattina sono incappata in quest'articolo...non che noi si sia allo stesso livello dell'Iran...però...leggere non fa mai male...
"L'aborto come strada per la libertà", http://www.mifacciodicultura.it/2016/06/21/laborto-come-strada-per-la-liberta/

20 giugno 2016

Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati.

Visto che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito per oggi la giornata mondiale del rifugiato, parliamone.
La Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, conosciuta anche come la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, è un trattato multilaterale delle Nazioni Unite che definisce chi è un rifugiato e definisce i diritti dei singoli che hanno ottenuto l'asilo e le responsabilità delle nazioni che garantiscono l'asilo medesimo. La convenzione stabilisce anche quali persone non si qualificano come rifugiati, ad esempio i criminali di guerra. La convenzione prevede anche di viaggiare senza visto per i titolari di documenti di viaggio rilasciati ai sensi di questa.
La convenzione si basa sull'articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948,
che riconosce il diritto delle persone a chiedere l'asilo dalle persecuzioni in altri paesi.
Un rifugiato può godere di diritti e benefici in uno stato in aggiunta a quelle previste dalla convenzione. (Da Wikipedia)
Vediamo ora qualche articolo, ad esempio il primo che stabilisce la seguente definizione di rifugiato:
"Chiunque nel giustificato timore d'essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi".
Oppure l'articolo 31:
"Gli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell’articolo 1, per quanto si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari".
O ancora l'articolo 33:
"Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche".
E questi sono gli Stati firmatari:


E' abbastanza chiaro che oggi tutto questo assume un grande rilievo per le drammatiche vicende che si sono susseguite negli ultimi mesi. Di fronte ai muri, ai fili spinati, ai respingimenti, alle migliaia di persone morte in mare, a quelle incastrate ai confini dell'Europa, alle strategie di chiusura, oggi più che mai è necessario difendere e promuovere il diritto d'asilo e la cultura dell'accoglienza che sembriamo aver dimenticato, altrimenti verrà un giorno in cui guardando indietro ci vergogneremo per aver lasciato migliaia di donne, bambini, anziani e uomini in attesa di un rifugio salubre e sicuro. Quello sarà il giorno in cui la Storia chiederà conto ad un mondo che ha rinnegato ciò che lo poteva far grande.

Intanto in Turchia...http://enricocampofreda.blogspot.it/2016/06/turchia-fuoco-sui-rifugiati-siriani.html



IDOMENI – 23 MAGGIO 2016 – IL FILMATO DI STEFANO SCIALOTTI 

19 giugno 2016

Magari ci fosse davvero un giorno senza notizie! "C'è un'aria..."


Dagli schermi di casa un signore raffinato
e una rossa decisa con il gomito appoggiato
ti danno il buongiorno sorridendo e commentando
con interviste e filmati ti raccontano a turno
a che punto sta il mondo.
E su tutti i canali arriva la notizia
un attentato, uno stupro e se va bene una disgrazia
che diventa un mistero di dimensioni colossali
quando passa dal video a quei bordelli di pensiero
che chiamano giornali.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria...
Ed ogni avvenimento di fatto si traduce
in tanti "sembrerebbe", "si vocifera", "si dice"
con titoli ad effetto che coinvolgono la gente
in un gioco al rialzo che riesce a dire tutto
senza dire niente.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca
l’aria,
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria.
Lasciateci aprire le finestre,
lasciateci alle cose veramente nostre
e fateci pregustare l’insolita letizia
di stare per almeno dieci anni senza una notizia.
In questo grosso mercato di opinioni concorrenti
puoi pescarti un’idea tra le tante stravaganti
e poi ci sono le ricerche, tanti pensieri alternativi
che ti saltano addosso come le marche
dei preservativi.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria...
E c’è un gusto morboso del mestiere d’informare,
uno sfoggio di pensieri senza mai l’ombra di un dolore
e le miserie umane raccontate come film gialli
sono tragedie oscene che soddisfano la fame
di questi avidi sciacalli.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria
che manca l’aria.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria
che manca l’aria.
Lasciate almeno l’ignoranza
che è molto meglio della vostra idea di conoscenza
che quasi fatalmente chi ama troppo l’informazione
oltre a non sapere niente è anche più coglione.
Inviati speciali testimoniano gli eventi
con audaci primi piani, inquadrature emozionanti
di persone disperate che stanno per impazzire,
di bambini denutriti così ben fotografati
messi in posa per morire.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria...
Sarà una coincidenza oppure opportunismo
intervenire se conviene forse una regola del giornalismo
e quando hanno scoperto i politici corrotti
che gran polverone, lo sapevate da sempre
ma siete stati belli zitti.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca
l’aria,
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria.
Lasciateci il gusto dell’assenza,
lasciatemi da solo con la mia esistenza
che se mi raccontate la mia vita di ogni giorno
finisce che non credo neanche a ciò che ho intorno.
Ma la televisione che ti culla dolcemente
presa a piccole dosi direi che è come un tranquillante
la si dovrebbe trattare in tutte le famiglie
con lo stesso rispetto che è giusto avere
per una lavastoviglie.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria...
E guardando i giornali con un minimo di ironia
li dovremmo sfogliare come romanzi di fantasia
che poi il giorno dopo e anche il giorno stesso
vanno molto bene per accendere il fuoco
o per andare al cesso.
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria...
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria...
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria
che manca, che manca, che manca
l’aria.

Ma le lenti da sole...cercano compagnia? ;-)

Da italianinsane.
Ho visto… un binario morto che aspettava di essere sepolto
Ho visto… un cartello per la strada con scritto: ESSO a 1200 m, ma lui non sono riuscito a vederlo
Ho visto… un gallo puntare una sveglia per paura di essere licenziato
Ho visto… gatti neri rincorsi da cani razzisti
Ho visto… genitori molto attempati mettere al mondo dei nipoti
Ho visto… fare assegni circolari con un compasso
Ho visto… astronauti al ristorante chiedere il conto alla rovescia
Ho visto… un atleta mangiare 2 primi 3 secondi e 4 decimi
Ho visto… un caffè fare un errore ed essere corretto dalla grappa
Ho visto… dei cannibali leccarsi le dita e dire: era una persona veramente squisita
Ho visto… un contadino soffiarsi il naso nel suo fazzoletto di terra
Ho visto… diabetici morire in luna di miele
Ho visto… donne talmente affezionate al loro marito da usare quello delle loro amiche per non sciupare il loro
Ho visto… un uomo riportare una leggera ferita al suo legittimo proprietario
Ho visto… una cicala ereditare una fortuna da una formica morta di stress
Ho visto… donne conservare in frigo il terziario avanzato
Ho visto… gondole cambiare canale con il telecomando
Ho visto… un libro con l’indice fratturato
Ho visto… una moschea piena di zanzare
Ho visto… pescatori morire di fame perché non sapevano che pesci pigliare
Ho visto… un uomo con un occhio pesto e uno ragù
Ho visto… un’attrice diventare pornostar per aver preso tutto sottogamba
Ho visto… una porta chiudersi in un ostinato mutismo
Ho visto… preti guariti negare di essere stati curati
Ho visto… un grande regista girare l’angolo
Ho visto… la Madonna di Fatima andare in vacanza a Lourdes
Ho visto… sci con attacchi epilettici
Ho visto… servizi segreti con la tazza nascosta dietro al bidet
Ho visto… un topo d’appartamento inseguito dal gatto delle nevi
Ho visto… un torero incornato dal marito di una entraineuse
Ho visto… un verme battersi per farsi chiamare single e non solitario
Ho visto… canguri aver le tasche piene dei loro figli
Ho visto… animali in via di Estinzione cambiare indirizzo
Ho visto… cannibali starnutire e dire: era una ragazza tutto pepe
Ho visto… giardinieri innaffiare le piantine della città
Ho visto… giocatori di calcio dare botte ad un pallone gonfiato
Ho visto… donne di servizio apparecchiare una tavola numerica
Ho visto… dentisti estrarre la radice quadrata di un dente…
Ho visto tutto questo, ma ancora adesso non riesco a capire una cosa molto importante…
ma le lenti da sole… cercano compagnia?
Ci sono due cose che nella società si sono perse:‭ ‬il sapere che,‭ ‬per ottenere qualcosa sia sul piano materiale sia su quello del pensiero,‭ ‬è necessario impegnarsi‭; ‬senza impegno non vi è alcuna trasformazione della nostra vita,‭ ‬né della società in cui viviamo‭; ‬e l’altra cosa è la capacità di riflettere su quanto accade a noi e intorno a noi in modo critico.‭ ‬E questo perché i principali media cercano di conquistare la nostra attenzione e la nostra emotività,‭ ‬evitando che si possa avere il tempo di riflettere sul messaggio,‭ ‬e quindi di prendere per buone le notizie che ci danno superficialmente.‭ ‬E la cosa peggiore è che,‭ ‬dopo,‭ ‬prendiamo decisioni velocemente e passando sopra ogni cosa.‭ ‬Dimenticando che le decisioni hanno bisogno di tempo per essere prese.‭
‬Con le condizioni di globalizzazione che viviamo oggi,‭ ‬dove la possibilità di accesso alle informazioni è semplice e veloce‭ ‬-‭ ‬con un semplice click si possono avere migliaia di informazioni in pochi secondi‭ – ‬è sconcertante che,‭ ‬nonostante ci siano maggiori probabilità di acquisire nuove conoscenze,‭ ‬molti preferiscano ancora il sensazionalismo,‭ ‬trascinati dall’impostazione dei media,‭ ‬senza obiezioni‭; ‬la grande maggioranza preferisce ancora basarsi su quello che si legge sui media‭ ‬per sviluppare la propria opinione,‭ ‬e non per quello che il pensiero critico le dice.

16 giugno 2016

Dio e lo Stato (Michail Bakunin)

Tutte le religioni coi loro Dei i loro semidei e i loro profeti, i loro messia e i loro santi, furono create dalla fantasia credula degli uomini non ancora giunti al pieno sviluppo e al pieno possesso delle loro facoltà intellettuali.
Più il cielo divenne ricco, e più l’umanità e la terra divennero povere.
Dio appare, l’uomo si annienta; e più la Divinità si fa grande, più l’umanità diventa miserabile. Ecco la storia di tutte le religioni.
Nella storia, il nome di Dio è la terribile vera clava con la quale tutti gli uomini divinamente ispirati, i "grandi geni virtuosi", hanno abbattuto la libertà, la dignità, la ragione e la prosperità degli uomini.
È evidente che sino a quando avremo un padrone in cielo, saremo schiavi sulla terra.
Sino a quando crederemo di dovere obbedienza assoluta a Dio − e non esiste altra obbedienza di fronte ad un Dio − dovremo necessariamente ed acriticamente sottometterci alla santa autorità dei suoi intermediari e dei suoi eletti: messia, profeti e legislatori ispirati da lui; imperatori, re e tutti i loro funzionari e ministri, rappresentanti e sacri servitori delle due grandi istituzioni − la Chiesa e lo Stato − imposte perché stabilite dallo stesso Dio per dirigere gli uomini.
La libertà degli uomini sarà piena solo allorquando essa avrà completamente distrutto la nefasta finzione di un padrone celeste.
Le idee generali o astratte sulla divinità e sull’anima, idee completamente assurde, ma inevitabili, fatali nello sviluppo storico dello spirito umano il quale, pervenendo soltanto molto lentamente ed attraverso i secoli alla conoscenza razionale e critica di sé e delle proprie manifestazioni, parte sempre dall’assurdo per giungere alla verità e dalla schiavitù per conquistare la libertà; idee approvate dall’ignoranza generale e dalla stupidità dei secoli, oltre che dall’interesse ben calcolato delle classi privilegiate, al punto che, ancora attualmente, non ci si saprebbe pronunciare apertamente e con un linguaggio contro di esse, senza provocare lo sdegno di una notevole parte delle masse popolari e senza correre il pericolo di essere lapidati dall’ipocrisia borghese.
La maggioranza degli uomini, appartenenti non soltanto alle masse popolari, ma alle classi privilegiate che sono spesso più colte delle masse, si sentono tranquilli e in pace con se stessi solo quando, nei pensieri e in tutte le azioni della loro vita, seguono fedelmente, ciecamente, la tradizione e la consuetudine. “I nostri padri hanno pensato ed agito cosi, perché dovremmo pensare ed agire diversamente da tutti gli altri?”. Queste parole esprimono la filosofia, la convinzione e la pratica del 99% dell’umanità, presa indifferentemente in tutte le classi della società. E, per come ho già rilevato, ciò costituisce il più grande ostacolo al progresso e all’emancipazione più rapida della specie umana.
Private generalmente e sistematicamente di ogni educazione scientifica, grazie alle paterne cure di tutti i governi e delle classi privilegiate le quali traggono utilità nel mantenerle il più a lungo possibile nell’ignoranza nella devozione e nella fede − tre sostantivi che esprimono all’incirca la stessa cosa − le masse non conoscono neppure l’esistenza e l’uso di quello strumento di emancipazione intellettuale che si chiama critica, senza la quale è impossibile una completa rivoluzione morale e sociale.
Le masse che hanno tutto l’interesse a ribellarsi contro l'ordine stabilito delle cose, sono ancora più o meno legate ad esso a causa della religione dei loro padri, che è la provvidenza delle classi privilegiate. Le classi privilegiate − che non hanno più oggigiorno né la devozione né la fede, anche se dicono il contrario − sono a loro volta, legate a quest’ordine di cose a causa del loro interesse politico e sociale. 
È evidente che chiunque ne ha bisogno per la sua felicità, per la sua vita, deve rinunciare alla ragione, e ritornare se può, alla fede ingenua, cieca, stupida; ripetere con Tertulliano e con tutti i credenti sinceri queste parole che riassumono la quintessenza stessa della teologia: Credo quia absurdum. Allora ogni discussione cessa, e rimane la stupidità trionfante della fede.
Se Dio esistesse, non ci sarebbe per lui che un solo mezzo per servire la libertà umana: e questo sarebbe ch’egli cessasse d’esistere.
Se Dio esistesse, bisognerebbe abolirlo.




Dieu et l'état, 1871 (postumo, 1882)

13 giugno 2016

Ecco contro cosa stiamo combattendo: "Colpa del demonio se ha ucciso moglie e figlioletto".

Venerdì c’è stato il funerale dell’uomo, Luigi Alfarano, che a Taranto ha ucciso Federica De Luca e suo figlio di 4 anni perché non accettava la fine della loro relazione. Nella chiesa, tra assurdi applausi al feretro, il prete ha espresso dal pulpito quello che in troppi pensano, che in tanti alimentano e che sotto sotto alla maggior parte piacerebbe credere: l’assassino non è veramente responsabile della morte della donna e del bambino. Era una brava persona che lavorava in una Onlus che assiste i malati oncologici e anche solo per questo, ha detto il parroco nell’omelia,"sarà già in paradiso". Secondo questa mentalità non conta che Luigi Alfarano abbia ucciso due persone innocenti. Non conta nemmeno che avesse precedenti penali per tentata violenza sessuale su una giovane collega. Uccidere una donna e il suo bambino, se erano “la tua” donna e “il tuo” bambino, è stato decretato dal pulpito di quella chiesa come un peccato minore, giusto una macchiolina sul curriculum per il cielo, un errore veniale che non può compromettere la stima di amici e parenti, tantomeno quella di Dio. Il fatto che l’assassino si sia suicidato è sufficiente a includerlo nel novero delle vittime e rubricare tutto come una “tragedia” familiare, una specie di imprevedibile evento del destino che ha colpito tutti allo stesso modo, senza colpevoli. Il senso assolutorio di questa visione lo si vede bene anche il messaggio di cordoglio sul sito dell’ANT, la Onlus per cui Luigi Alfarano lavorava:
“Il fondatore e il presidente di Fondazione ANT Italia ONLUS Franco e Raffaella Pannuti si stringono ai congiunti di Luigi Alfarano e Federica De Luca per l’immane tragedia che ha travolto le loro famiglie. In qualità di dipendente amministrativo, Luigi Alfarano ha contribuito allo sviluppo logistico e alla promozione delle attività di ANT a Taranto, dove ogni giorno la Fondazione nata a Bologna nel 1978 e presente in Puglia dagli anni ‘80 assiste gratuitamente 400 malati di tumore.”
Notevole, eh? A leggere questa roba si potrebbe persino credere che siano stati investiti da un TIR, o che gli sia caduto addosso un asteroide, se non sapessimo che quell’uomo così probo e efficiente ha picchiato e strangolato a morte Federica De Luca prima di sparare in testa a sangue freddo al suo bambino di 4 anni. Tutte le parole che evocavano l’ipotesi di un colpevole del fatto – assassinio, femminicidio, omicidio, uxoricidio, infanticidio – sono state accuratamente evitate. Lo stesso effetto di assoluzione/deresponsabilizzazione lo si ottiene dicendo e scrivendo che l’uomo era “disperato, ferito, sofferente, addolorato, affranto, spaventato” e simili, inducendo chi sente e chi legge a empatizzare con le ragioni dell’uccisore, piuttosto che con quelle della donna assassinata e di suo figlio. L’effetto che si ottiene è surreale: gli uccisi sono la donna e il bambino, ma la vera vittima è il loro assassino. Vittima di cosa? Ovvio: della decisione della donna di chiedere la separazione, evento che ha scatenato la sua sofferenza e la sua reazione. Questo, è bene metterlo in chiaro, non lo pensa solo il prete. Radio 101 cinque giorni fa nel notiziario dava la notizia proprio in quel modo: “LA SEPARAZIONE ALL’ORIGINE DI UN’ALTRA TRAGEDIA FAMILIARE A TARANTO”. La separazione, eh. Mica lui. Se lei non si fosse separata non sarebbe successo niente, sarebbe ancora viva e il suo bambino domani andrebbe all’asilo come tutti i suoi compagni. Il sottinteso è evidente: donne, non separatevi! Non rendetevi responsabili della sofferenza degli uomini che vogliono che la famiglia resti unita, non costringete queste brave persone a diventare i vostri assassini e i trucidatori dei vostri figli. Perché date inizio a queste tragedie familiari? State al vostro posto e vedrete che nessuno si farà male. Diversamente l’ineluttabile tragedia potrebbe colpire anche la vostra vita, la vostra famiglia, e fare un sacco di vittime di cui nessuno ha colpa (tranne voi).
E’ chiaro contro cosa stiamo combattendo? 

Michela Murgia

Che cosa si sarebbe detto se l’assassino fosse stato musulmano?
Se la sua associazione avesse pubblicato un comunicato così assolutorio?
Se la sua comunità avesse applaudito la sua bara?
Se l’imam della sua moschea l’avesse commemorato dicendo “sarà già in paradiso”?

Volete espellere qualcuno perché la sua cultura non rispetta i diritti umani?
Cominciate dagli italiani.

08 giugno 2016

Racconti da Kobane sull'amore per la vita.

Abu Layla, "l'eroe di Kobane" è stato ucciso da un cecchino.
Sorrideva sempre, anche nel momento più feroce dei combattimenti. Anche quando per l'ennesima volta veniva ferito. Una leggenda. Che i suoi uomini credevano "immortale". Che persino i nemici del Daesh rispettavano. Ma dopo due anni di battaglie Faisal Abu Layla è caduto, centrato da un cecchino durante la grande offensiva contro lo Stato Islamico. Divenne celebre per un atto di clemenza a favore di un soldato nemico del Daesh: nel novembre di due anni fa lo salvò quando era rimasto imprigionato sotto le macerie, affermando: "Volevo fare vedere al mondo che noi amiamo tutti gli uomini, contrariamente a loro che odiano e seminano morte dovunque vanno. Noi lo salveremo, lo cureremo e lo manderemo dalla sua famiglia".

Mi piace ricordare un'evento simile a quello di Kobane accaduto a Roma il 2 febbraio 1977. Un poliziotto viene colpito alla testa da un proiettile durante una manifestazione a Piazza Indipendenza e Alexander Langer va in suo soccorso (http://www.internazionale.it/opinione/franco-lorenzoni-2/2015/07/02/alexander-langer)
Queste "piccole cose", proprio perché distanti nel tempo e nello spazio, sono in realtà degli importanti semi. Semi che ci mostrano come anche nelle situazione più dure, dove la disumanizzazione raggiunge livelli altissimi, ci sono persone che provano ad andare controcorrente, "restando umane".
Sono esempi che dobbiamo imparare a riprendere.

Libertà, pensiero e responsabilità.

Di Emilia de Rienzo.

Si fa presto a pensare di voler essere persone libere. La libertà è sicuramente la premessa essenziale perché la nostra esistenza possa dispiegarsi e realizzarsi, la libertà è elemento fondante di ogni democrazia che voglia essere davvero tale.
Ma la libertà può diventare un contenitore vuoto dentro cui si può mettere di tutto e in questi ultimi anni abbiamo visto lo scempio che hanno fatto di questo grandissimo valore conquistato a duro prezzo da chi è vissuto prima di noi. Oggi sta a noi comprendere cosa vuole dire davvero per noi essere persone libere.
Mi faccio guidare dal pensiero di Hanna Arendt che dopo aver vissuto il tempo del nazismo e dell’olocausto ha riflettuto molto sul significato di questa parola.
Secondo la Arendt per diventare cittadini veramente liberi bisogna imparare l’arte del pensiero, arte che sembra non interessare più a molti o quanto meno si dà per scontata di averla. E scontata non è.
Basti pensare a come i nostri discorsi sono intessuti di luoghi comuni, di frasi fatte, che molto spesso sono ancorate a ideologie già preconfezionate che non lasciano spazio a critiche e revisioni.Di questo bisogna prendere coscienza. Viviamo in un certo momento storico, in un certo tipo di società, di famiglia, di ceto sociale... Tutti siamo oggetto dei messaggi mediatici, e siamo immersi dentro il mormorio continuo della gente...

In realtà quello che ci spaventa è la complessità dei problemi, quella problematicità che rende più difficile trovare risposte certe e per sempre. Siamo alla ricerca di “ricette”, di esperti che ci dicano cosa fare, come comportarci,  tendiamo a delegare la soluzione dei problemi di fronte a cui in modo quotidiano ci troviamo di fronte. 

Il più delle volte agiamo senza interrogarci sul senso che vogliamo dare al nostro agire, venendo meno a quella responsabilità che dovremmo sempre avere presente di fronte ad una decisione da prendere che richiede consapevolezza e attenzione.
Agiamo sotto la spinta di quello che fanno gli altri, di quello che ci viene richiesto, della moda del momento e così via.  La libertà ci fa paura. Così scriveva Erich Fromm:
L'uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni e le decisioni comportano rischi. Se invece si sottomette a un'autorità, allora può sperare che l'autorità gli dica quello che è giusto fare, e ciò vale tanto più se c'è un'unica autorità – come è spesso il caso – che decide per tutta la società cosa è utile e cosa invece è nocivo.
Secondo Hanna Arendt la libertà di pensiero, l’evitare di interrogarsi di fronte a ciò che accade ci impedisce di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato perché, secondo la filosofa:
Il pensare è quell'attività che produce precisi effetti morali, trasformando chi pensa in qualcuno, in una persona o personalità.
L’interrogazione che dovrebbe accompagnarci è quella di come dare forma a un modo di vivere che sia degno di questo nome per noi e per gli altri, è pensare a costruire un mondo, il nostro mondo, a misura di uomo, di qualsiasi uomo o donna. Questo vuol dire mettersi in cammino sapendo che non si potrà mai arrivare a trovare criteri certi e indiscutibili nella ricerca di ciò che è giusto, ma che proprio per questo dobbiamo esercitarci, metterci alla prova e continuamente in gioco.
Un criterio guida fondamentale è che nessuno può pensare al posto mio, nessuno  può pensare al posto degli altri. Bisogna cioè opporsi alla tendenza di alcuni a pensare e a decidere per altri cosa è meglio per loro. Questo vuol dire sminuire l'altro, non averne rispetto. L’altro, qualunque sia il grado di intelligenza o di elaborazione del pensiero, è sempre competente su se stesso e su ciò che lo riguarda. Se non è in grado di pensieri razionali elaborati, è però in grado di comunicare ciò che gli fa bene o male, ciò che gli piace o no. Ma su questo meriterebbe aprire un altro capitolo. 

In sintesi è importante prendere pienamente coscienza che per essere liberi bisogna assumersi la responsabilità della scelta e del rischio che si corre sempre quando si devono prendere decisioni sul da farsi in una situazione particolare, nelle relazioni con gli altri e con il mondo.
E ci accorgiamo che pensare e riflettere su questioni scottanti in cui i più la pensano in un modo che non condividiamo, può risultare difficile, difficile è fare scelte controtendenza, come avveniva per esempio "in tempi bui", come li chiama la Arendt, o come su questioni che allarmano la'opinione pubblica: i profughi, gli emigranti e la diversità in genere. 

E’ più facile esercitare il nostro pensiero critico su questioni che non ci toccano direttamente o si manifestano lontano da noi, piuttosto che nel nostro piccolo quotidiano. Certe scelte possono creare momenti di solitudine, di isolamento quando non di rottura. Ma è proprio con queste scelte che possiamo fare la differenza. Possiamo per lo meno tentare di indicare percorsi diversi, mettere sul tavolo domande su cui aiutare anche altri a riflettere, prendere posizione, quando si operano da parte degli altri scelte discriminanti e non rispettose dell’altro.
Solo l’individuo che saprà pensare e giudicare in modo critico un evento, senza appoggiarsi come ad una ringhiera a criteri generali e riconosciuti a prescindere come validi, senza crearsi alibi, senza staccarsi dalla realtà, e senza abituarsi subito ai nuovi criteri di giudizio usandoli come unico metro, saprà comprendere il mondo e cambiare la sua direzione. Sarà capace di difendersi quando l’umanità proverà ad avviarsi verso altri atti di violenza nei confronti di sé stesso, così come sono stati i totalitarismi, che, attenzione, non sono finiti: hanno solo cambiato forma.
Anche nei tempi più oscuri abbiamo il diritto di attenderci una qualche illuminazione. Ed è molto probabile che essa arriverà non tanto da teorie o da concetti, quanto dalla luce incerta, vacillante, spesso fioca che alcuni uomini e donne, nel corso della loro vita e del loro lavoro, avranno acceso in ogni genere di circostanze, diffondendola sull’arco di tempo che fu loro concesso di trascorrere sulla terra. 
Hanna Arendt 

06 giugno 2016

Mito e utopia.

"L'uomo può costruire fuori di sé solo quello che ha innanzitutto concepito dentro di sé", ammoniva uno studioso. Per costruire un mondo senza autorità, bisogna prima concepirlo. Non programmarlo, schematizzarlo o misurarlo. No, solo concepirlo, nel suo duplice significato: pensarlo è fecondarlo. Ma per concepire un mondo che non sia un mero riflesso di quello circostante, occorre che la conoscenza corra sfrenata a saccheggiare gli arsenali della memoria e dell'immaginazione. La scoperta delle trasgressioni del passato dà spunti e suggerimenti indispensabili per riuscire ad immaginare e far immaginare una vita priva di rapporti di potere nel futuro. E viceversa. Allora, le esperienze del passato e le possibilità del futuro prendono appuntamento sul campo di battaglia del presente. Ed è qui che si incontrano il mito e l'utopia.
Per quanto entrambi si muovano sul filo dell'immaginazione, mito e utopia si collocano su versanti diametralmente opposti. Il mito è uno sguardo rivolto all’indietro, allude a una felicità perduta, è una narrazione di fatti mai avvenuti la cui funzione è quella di inventare un passato leggendario al fine di giustificare gli elementi fondamentali di un gruppo (spesso altrimenti insostenibili). L'utopia è uno sguardo rivolto in avanti, intravede una felicità potenziale, è un luogo che non esiste la cui funzione è quella di evocare un futuro appassionante al fine di affermare teorie e pratiche conseguenti (spesso altrimenti insostenibili). Per quanto possa apparire verosimile, il mito ha la consapevolezza di sguazzare nella finzione. Invece, per quanto possa apparire inverosimile, l'utopia ha la determinazione di bagnarsi nella verità. Sia il mito che l'utopia possono essere apprezzati o criticati. Il primo per il suo fascino o per il suo artificio, la seconda per la sua innovazione o per la sua illusione.
Continua su finimondo.

04 giugno 2016

In una poesia (di Ishak Alioui)

Caro passante
Cerca, tu cerca tra le mie parole
E dentro ad ognuna troverai
Lacrime amare, versate nei giorni più tristi
Dolore e freddo pungente
Provato nei giorni dove non c’era il sole
Cerca, tu cerca tra le mie parole
E dentro troverai intere notti insonni
Passate a scrivere, passate a raccontare
Troverai solitudine e paura
Esperienze di vita vissuta sempre fino in fondo
Cerca, tu cerca tra le mie parole
E dentro troverai emozioni e sensazioni
Accarezzerai la mia anima, il mio pensiero
Ti renderai conto di come sono fatto
Vivrai un poco delle mie esperienze
Cerca, tu cerca tra le mie parole
E dentro troverai la voglia di vivere
Le mie giornate di pioggia perenne
E le mie giornate di sole raggiante
Cerca, tu cerca tra le mie parole
E dentro troverai la storia della mia vita
Le emozioni degli amori passati
Il sapore del mio primo bacio
E la paura della mia prima volta
Cerca, tu cerca tra le mie parole
E dentro troverai
L’essenza del mio vivere……
Solo una cosa ti chiedo caro passante,
non leggere con gli occhi.
Ma fatti trasportare dalle emozioni
Che il tuo cuore sa captare
Ci vuole poco, basta andare oltre,
basta andare oltre le semplici parole,
arrivando a sfiorare l’intensità del mio essere

02 giugno 2016

Grazie.


Pomeriggio di sole e nuvole, uno di seguito all'altro, nella più classica interpretazione della primavera inoltrata. Non fa freddo ma non è ancora abbastanza caldo per godere completamente dell'aria aperta. Quindi me ne sto qui, nel mio rifugio, nel mio intimo rilassarmi del dolce far niente. Mi coccolo. Ho imparato a farlo bene nei miei lunghi tempi di solitudine voluta e percepita come necessaria per non lasciarmi sopraffare dal quotidiano, reazione forse istintiva ma evoluta, elaborata nei dettagli, consequenziale ad un rigetto di compromessi indesiderati. Un aperitivo alla mia salute, a cui tengo moltissimo e che è l'unica cosa che mi permetterà di arrivare indenne a quella miserrima pensione che mi gratificherà solo in parte di un lavoro lungo una vita. Un pranzo frugale ma assaporato nell'idea del desiderato: quella cosa lì, piccola, forse insignificante, ma la voglio e me la posso permettere, tutto il resto è superfluo. E i pensieri, quelli belli, quelli dettati dall'istinto che mai mi abbandona, senza riserve, senza rimpianti. Quando mi trovo in questa condizione mi ritengo fortunata ad avere ancora queste sensazioni. Che sicuramente appartengono ad  un passato, ad un tempo che non avrà più modo di essere presente, ma che comunque ho vissuto, sentito nel profondo, ed è e sarà sempre e solo mio: l'amore. Questo meccansimo così indecifrabile e complesso da non poter essere mai espresso in modo esplicativo e comprensibile. L'amore. Così unico e irripetibile da non poter essere in alcun modo rimpianto. Quello di una volta sola. Quello da ringraziare per ciò che ha dato e ciò che ha preso. Lungo una vita, che allunga e compensa la vita. Grazie. E adesso un sonnellino...cullata dai ricordi..

Buona festa della Repubblica.

Con l'articolo 3 della nostra Costituzione, quella che, più che cambiata, sarebbe bello vedere applicata.









Con questa scheda, il 2 giugno 1946, il popolo italiano,appena uscito dalla II guerra mondiale, scelse la Repubblica. Quel giorno, per la prima volta in Italia, votarono le donne. Mi piace pensare che fecero la differenza.

Poi vorrei anche ricordare anche un altro 2 Giugno, quello del 1981, quello in cui moriva il grande e ancora incompreso Rino Gaetano. Per far questo propongo un suo video musicale: Aida, a mio avviso, uno dei più belli e significativi. Un pezzo dedicato proprio alla storia di questa Repubblica sgangherata ed oggi rottamata...

 

Sarà progresso?

"Mind sharing". La tecnologia sta sempre più prendendo piede, si sta evolvendo e rinnovando giorno per giorno. Una volta bisognava andarsele a cercare fisicamente le persone: al bar, al telefono, a cena con gli amici. Si condivideva tutto lì, parlando, discutendo, ridendo, incazzandosi e dandosi le pacche sulle spalle. Oggi è immediato: si va su Facebook,Whatsapp, Instagram o altro, un click e tutto quello che si vuol far sapere si condivide col mondo intero, anche con quelli a cui non gliene frega niente. 
Non è una critica, è un dato di fatto, perché nemmeno io sono immune dalla facilità con cui si può entrare in contatto con le persone e dalle numerose possibilità che offre il progresso tecnologico, anche se ultimamente ho preso un po' le distanze dai vari social perché ho l'impressione che l'abuso superi l'uso. Anch'io mi servo di Whatsapp e lo trovo utile e divertente, ma le più belle chiacchierate non sono certo virtuali. E comunque ho sempre avuto una certa reticenza a mettere alla mercè di chissà chi certe mie personalissime informazioni o postare accadimenti, cose e pensieri che non hanno alcuna rilevanza comune. Tutto questo per dire che in me permane una certa diffidenza, un non volermi esporre oltre un certo limite perché certi pensieri preferisco rimangano solo miei e perché penso che certe sensazioni non si possano trasmettere via etere. Forse perché sono nata nel secolo scorso e sconto una certa nostalgia nei confronti delle comunicazioni lente, sfoglio ancora con piacere i libri di carta e inchiostro, adoro far scivolare su un foglio una stilografica, ricordo con una certa emozione quando scrivevamo le lettere e le imbucavamo dopo aver leccato il francobollo con l’ingenua speranza che non arrivassero troppo tardi. Credo che ben poche generazioni abbiano dovuto subire una così grande accelerazione nella comunicazione come la nostra. Ricordo ancora l’emozione del giorno in cui a casa ci consegnarono il primo televisore a colori e conservo ancora il mio primo telefono cellulare (costato uno sproposito e al confronto di quelli odierni sembra un ferro da stiro). Nonostante questo però ho sempre cercato di adattarmi all'evoluzione tecnologica, la sfrutto in tutte le occasioni che posso perché dà accesso a contenuti altrimenti difficili da reperire e semplifica la vita. 
Ma c'è una cosa che mi spaventa un po' e fa crescere la diffidenza: il "mind sharing". 
Pare che entro il 2020 avremo un dispositivo indossabile simile a uno smartphone in grado di farci comunicare con gli altri direttamente con il pensiero. Questo nuovo modo di comunicare basato sulla condivisione dei nostri pensieri è il più eclatante dei 10 trend del futuro teorizzati nel report annuale dell’Ericsson ConsumerLab, documento che analizza i nostri usi e costumi digitali cercando di lanciare lo sguardo sul mondo che verrà. Secondo gli 85 milioni di utenti di smartphone dai 15 ai 69 anni interpellati a livello globale il salto avanti dai tasti alla mente è dietro l'angolo.
Una visione estrema di un futuro ipertecnologico. Credo sia normale che spaventi un po'. Anche il primo uomo preistorico che accese la prima fiamma immagino si sia spaventato non poco. 
Sarà un progresso? Probabilmente sì, ma come ogni evoluzione può portare con sé anche qualche pericolo. Già da adesso non sappiamo più cos’è la vera privacy perché tutto è intercettato, copiato, controllato. Di libero ci rimane solo il pensiero, ma in futuro sarà ancora così? 
Ai posteri l’ardua sentenza…