31 gennaio 2017

Per una politica commossa (di Franco Arminio, paesologo).

Viviamo in una democrazia zippata, dove tutti parlano e questo parlare produce solo altre parole. È l’apocalisse del chiasso inconcludente, dell’agonia ciarliera. La Rete è una nave che ti imbarca anche se non ti presenti al porto. E allora si tratta di navigare controcorrente in questo mare senz’acqua, dove sembra finta perfino la vita più convinta. Bisogna combattere contro l’autismo corale, darsi cura di accendere focolai di condivisione nella realtà più che nel virtuale.
Dobbiamo difendere il diritto all’uguaglianza, difendere le ragioni dei deboli, in Italia e altrove. Questo lavoro ha una sua urgenza civile, ma è anche una necessità interiore. Ci vuole una politica scrupolosa e lirica.

Abbiamo bisogno di conflitto e di anima. Ci vuole un impegno commosso per questa terra e per tutte le creature che la abitano. Mettere nella politica qualche furbizia in meno, qualche incanto in più.
La politica deve avere un sapore di alba, di operai che vanno al lavoro, di gente che sa fare il pane e riconosce il vento. La politica deve drenare l’egoismo dalla pozzanghera dell’attualità.
Conoscere un luogo e abitarlo, questo è importante. Sapere a che punto è il grano, come stanno le vacche, che fine faranno le api. Sapere dove stanno le sorgenti, dove fanno il nido gli uccelli, conoscere i colori delle porte chiuse.
Più che la foga della crescita, ci vorrebbe il culto dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.
Aiutare i vecchi. Aiutare le persone che vivono nelle periferie e nei paesi più sperduti e affranti. Democrazia e dolore. Considerare che oggi il margine può essere più fecondo del centro. La politica deve sapere più di altipiani che di palazzi romani.
La politica difenda i malati, i beni comuni, la bellezza, la comunità dei vivi e dei morti, degli italiani e degli stranieri, degli animosi e dei contemplativi. Abbiamo bisogno di strategie per assicurare reddito a chi non ce l’ha, ma anche di conservare paesaggi inoperosi, luoghi salvi dalla catena del consumare e del produrre.
Politica e poesia intrecciate ogni giorno, in ogni luogo. È un lavoro per anime nuove. Molti lo stanno già facendo. Non stanno in Parlamento e non è importante che ci vadano, c’è già un fare luminoso che accade nelle mille
Italie che ancora resistono. L’ Italia deve essere la federazione di queste gioiose resistenze, di queste piccole luci circondate da un mare di buio.
Si muore e prima di morire tutti hanno diritto a un attimo di bene. Bisogna ascoltare con clemenza, bisogna coltivare il rigore e lottare fino a rimanere senza fiato. Diffidiamo degli opinionisti, l’Italia ha bisogno di percettivi. Cediamo la strada agli alberi.


Franco Arminio

24 gennaio 2017

In poche parole.

Da che mondo è mondo la natura fa il suo corso e si modifica, fa la sua vita, che non tiene per niente conto di quello che l'uomo vuole per sé.
Da che mondo è mondo ci sono vulcani che si risvegliano, terremoti, valanghe, esondazioni, diluvi e maremoti che non guardano in faccia nessuno. A volte può essere crudele, ma siamo noi che mettiamo in atto delle sfide...e di solito perdiamo, perché la legge della natura è più forte e senza appello.
Se solo imparassimo ad accettarla, rispettarla e guardarla con umiltà...
Se solo non avessimo come dio il denaro...

21 gennaio 2017

Una bella notizia in mezzo a tanta disperazione: sono state individuate delle persone vive dentro all'hotel Rigopiano. Vedendo il salvataggio mi sono commossa, pochi momenti sono emotivamente più coinvolgenti e umanamente più condivisibili. Sono attimi in cui la realtà mostra tutta la sua potenza vitale, annientando qualsiasi tentativo di mistificazione. Bravissimi i soccorritori che stanno facendo l'impossibile anche per tanti altri che si trovano in difficoltà in tutti quei paesini dispersi fra le montagne.
La situazione è emergenziale e credo che qualsiasi analisi e ricerca di responsabilità sia fuori luogo, bisogna capire che ci sono degli eventi eccezionali imprevedibili di cui nessuno è responsabile. Dobbiamo finirla di cercare un capro espiatorio per ogni cosa e scaricare colpe l'uno sull'altro. E' successo, una concatenazione di eventi ha fatto degenerare una situazione già critica e traballante. Ora basta, ora bisogna uscirne come meglio si può e rimediare come si può.


"Il cuore degli altri" di Franco Arminio.

Il terremoto con la neve. La sedia rotta su cui stanno seduti i paesi. Ci sono giorni in cui non ha senso pensare agli affari propri. Ci sono giorni in cui bisogna avere il cuore degli altri, il cuore tuo da solo non serve a niente. Devi stare dentro il batticuore di tutti. E invece ora siamo in questo gioco in cui ognuno si espone al mondo col suo corpo, con un pensiero, col suo niente, e in questo modo sfama la noia, in questo modo facciamo amicizia con il nulla invece di avversarlo, invece di piangere per chi trema. Adesso c’è chi ha paura di arrivare al sonno, c’è chi ha freddo. Pensate a chi in quelle terre è malato, pensate ai vecchi, pensate all’osso rotto, allo stomaco che non digerisce, pensate al tumore alla gola, pensate al lutto, pensate ai brutti, pensate a chi non si è mai trovato in un abbraccio. Oggi abbiamo fallito di nuovo come umanità, oggi abbiamo allestito una nuova Caporetto, una al giorno, una disfatta continua che disfa legami, simpatie. Ogni giorno che siamo senza dolore dovremmo gettarci con foga a salvare il mondo, salvarlo ora con gentilezza, ora con rabbia, ora in silenzio, ora gridando. Viva la foga, la furia, la forza di dimenticarsi. Oggi era un giorno per dimenticarsi. Contava solo la neve e il terremoto, nient’altro.


Scritto il 18 gennaio 2017

19 gennaio 2017

Io non so che dire...

Penso a quella povera gente, alla loro disperazione e mi si stringe il cuore, ma a nulla servono la commozione e la solidarietà. E' tutto inutile, il parlarne, lo scriverne e il farne polemiche assurde. Bisogna solo aiutarli. Spero solo che chi ha la capacità e la possibilità di farlo abbia quel minimo di cuore che serve per lasciar perdere tutto il resto e investire tutte le risorse e le energie in quella drammatica situazione.
http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2017/01/18/forte-scossa-di-terremoto-avvertita-anche-a-roma_046bb43b-b009-46f8-b086-5546866be7e7.html

15 gennaio 2017

L'armonia è rotonda.

Ho sempre pensato che l'armonia abbia una forma sferica e sia la base per l'equilibrio. Tutto ciò che ci circonda, le nostre cose, le persone, i fatti che ci succedono, noi stessi, tutto avrebbe bisogno di avere linee morbide, non spigolose, come un cerchio dentro il quale tutto si inserisce senza rompere la continuità. Come per la musica: se c'è una stonatura rompe la melodia e ferisce le orecchie. O per una frase: se c'è una parola sbagliata rompe la logica e non si capisce niente. Le parole d'amore sono rotonde, si dicono con voce morbida, mentre l'odio è stridulo. Le carezze  sono rotonde, senza spigoli, mentre la violenza è acuminata e fa sanguinare. Un gesto di solidarietà porge la sua rotondità e avvolge chi lo riceve, mentre il disprezzo è un muro piatto e duro che respinge. Il grembo di una madre è rotondo. Anche l'universo intero appare rotondo: il sole, la luna, i pianeti, le circonvoluzioni, tutto gira in rotondo. E tutto ha bisogno di continuare così in modo che non avvengano collisioni: ogni percorso deve essere in armonia con tutto il resto per non creare disordini pericolosi.
E credo anche che l'armonia sia da preferire alla felicità perché, anche se spesso il nostro umore altalenante o uno stato d'animo doloroso possono smarrirci, l'armonia rimane intorno a noi come rimangono le stelle nel cielo anche se di giorno non le vediamo, come la terra che continua a girare anche se non ce ne accorgiamo. 
L'armonia è rotonda e potrebbe proteggerci. Dovremmo solo seguire la sua traiettoria, chiudere il cerchio e non farci pungere dagli spigoli, il resto viene da sè.

14 gennaio 2017

"Donne al quadrato" di Antonia Storace: "Quello che mi colpisce in un uomo..."

"Quello che mi colpisce in un uomo, è la capacità di giocare in detrazione. L'acume di chi sa tacere, sa quando non dire, quando non insistere, non andare oltre. La sottrazione non è avarizia, non è sciatteria o disinteresse. Certe volte, ha a che fare con l'eleganza. Less is more, dicono gli inglesi. Ci hanno cresciute col mito delle cento rose rosse, delle proposte di matrimonio sull'Empire State Bulding, dei corteggiamenti incalzanti. Quasi che l'amore fosse amore solo quando esagera, quando eccede, quando monta a neve come gli albumi di una torta e si fa spumoso e gonfio. Di quanto possa essere romantico anche un bacio sulla fronte, non parla mai nessuno. Ed è un peccato. Io adoro essere baciata sulla fronte. E preferisco i cactus, alle rose rosse. Con quella piccola corona di fiori che cresce loro sul capo, e che non ti aspetteresti mai da una pianta buffa e spinosa: un sussulto di meraviglia e di grazia, sopra un letto di aghi. Ecco. Io sono un cactus. Di un uomo, oggi, mi piace la capacità di sorprendere con poco. Ci vuole intelligenza e cuore grande per amare una donna in un dettaglio, in un gesto riservato che non cerca di strafare ad ogni costo. Nell'eccedenza, a volte, si cela la finzione, il manierismo, l'artificio. E' come guardare la bella foto di una coppia all'apparenza perfetta e poi scoprire che lui la tradisce, che lei non lo ama. Resto convinta che i sentimenti non si mettano in posa, che i baci sotto il portone di casa siano, senza dubbio, i più belli. Sono un sigillo, il vero happy ending di qualunque storia d'amore, un rischio di felicità che si è ancora disposti a correre. Se vi amate, o state per amarvi, baciatevi sotto i portoni. Corteggiare è un'arte per la quale vale il detto: "Tutto fumo e niente arrosto". La spallina di un abito riaccompagnata educatamente al suo posto; stare seduti di fronte, invece che accanto, durante una cena; la mano di lui poggiata sopra la schiena di lei, quando attraversa la strada. Basta questo. Fidatevi. Basta questo. A riconoscere la verità di certi sentimenti..."







13 gennaio 2017

Se ancora non è chiaro...

E' così che funziona. Noi, popolo miserabile che lavora (quando il lavoro ce l'ha) dalla mattina alla sera e anche oltre per avere il minimo indispensabile, che se ci azzardiamo a non pagare una rata del mutuo che copre quel tetto sudato che abbiamo sulle nostre teste possiamo dirgli addio definitivamente, che se abbiamo la malsana idea di avviare una misera attività autonoma e abbiamo bisogno di una banca (perché non se ne può fare a meno) ci carichiamo di avvoltoi che ci beccano fino a spolparci all'osso, che conosciamo solo la sopravvivenza e la mancanza e ci chiediamo perché mai siamo costretti a vivere visto che questa non ha nessuna caratteristica di quella che comunemente si chiama vita. 
Noi, dicevo, noi che abbiamo le tasche vuote e potremmo anche essere felici lo stesso se non fosse che dobbiamo riempire, abbiamo riempito e riempiremo le tasche di qualcun altro. E chi sono costoro? Sono i grandi imprenditori che giocano con i miliardi, gli immobiliaristi che si divertono come bambini coi Lego, le cooperative rosse, bianche o nere, ecc. ecc. Tutti impegnati a fare grandi cose, a sobbarcarsi l'onere di guidare l'economia, a spargere i loro semi manageriali per usufruire degli intrecci tra finanza e politica, per farci vedere come "si diventa qualcuno".
E tutti, indistintamente, ammalati di indebitamento facile. 
E noi paghiamo. Paghiamo il prezzo del capitalismo, il prezzo di un sistema corrotto e fallace a cui tutto è permesso tranne l'onestà e la sensibilità. Poi non mi interessano i meccanismi, gli avvitamenti, le contorsioni, gli asservimenti, i clientelismi o tutte quelle sigle e paroloni che si inventano, la sostanza è questa: noi paghiamo tutto e molto caro, spesso anche con la vita.
Continuiamo così, forse riusciremo ad estinguerci.

01 gennaio 2017

Questa mattina, passeggiando nella deliziosa ed ovattata solitudine dell'alba del 1° gennaio 2017....

....mi è tornato in mente un capodanno di parecchi anni fa, passato al mare, anche lì in completa e voluta solitudine, quando ancora le crisi esistenziali mi davano molto da fare e mi spingevano a scappare da me stessa. Un treno e via, là dove il desiderio di fuga mi portava. Un mare d'inverno, grigio, ventoso e solitario anch'esso, che prendeva la malinconia delle stelle che si stavano spegnendo e l'accostava sulla sabbia, che lentamente, gentilmente, ne assorbiva l'umore e lo disperdeva nei suoi infiniti granelli. I miei passi silenziosi la trattenevano per un attimo per unirla allo sguardo sull'orizzonte ancora titubante di chiarore e goderne gli odori. Echi di vita, suoni di emozioni. Tutto in quell'attimo si raccoglieva indisturbato nel sale di una goccia, o di una lacrima, chissà. Continuavo a camminare su quei ricordi, su quel sale che mi bruciava l'anima e sembrava che bruciando si estinguessero la rabbia, il dolore e l'impotenza, fino a che la luce del giorno riusciva a ridisegnare qualche contorno. Poi sono tornata, forse un po' più docile, ma anche più decisa e consapevole. Un bagno catartico di cui avevo bisogno per non scappare più.



Uomo libero, tu amerai sempre il mare!
Il mare è il tuo specchio; 
contempli la tua anima
nello svolgersi infinito della sua onda.
E il tuo spirito non è un abisso meno amaro,
ti piace tuffarti nel seno della tua immagine.
L’accarezzi con gli occhi e con le braccia 
e il tuo cuore
si distrae a volte dal suo battito
al rumore di questa distesa indomita e selvaggia.
Siete entrambi tenebrosi e discreti.
Uomo, nulla ha mai sondato 
il fondo dei tuoi abissi.
O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze.
Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti!
E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli
vi combattete senza pietà né rimorsi,
talmente amate la carneficina e la morte.
O eterni rivali, o fratelli implacabili!
Charles Baudelaire

Credo che le poesie connotino abbastanza la persona che le sceglie per cui non si può parlare di poesie belle o meno belle, ma solo di appropriate per chi le sente risuonare in sé.