25 ottobre 2020

Per questo non vorrei soccombere ad uno stronzo virus qualunque...

E' domenica. Una domenica di fine ottobre in cui è tornata l'ora legale. Poca gente in giro e più silenzio del solito. Vado a comprare alcune cose. La vestizione è diventata la prassi, ormai non la dimentico più la mascherina anche perché un po' l'atmosfera si è appesantita, è innegabile. Ho 68 anni e, anche se mi sento in forma e non mi metterei spontaneamente nella famosa categoria a rischio, un po' ci penso. Ci penso sì, ma non è la paura di morire che mi preoccupa, sono convinta che ce la potrei fare e comunque, anche se non ce la facessi, pazienza, la mia vita bene o male l'ho vissuta, qualche sogno l'ho realizzato e non credo di poter ribaltare il mondo da ora in poi, quindi.. Penso solo al fatto che se mi ammalassi il mio cane si sentirebbe perso. E' vecchio anche lui, 14 anni di affetto ci uniscono, è sordo, ha qualche acciacco alle zampette ed è talmente dipendente da me che mi segue in ogni stanza della casa, non si sposta se non mi sposto, abbiamo dei rituali consolidati che lo rassicurano e rassicurano me nell'accudirlo. Penso al mio cane e non penso ai miei figli. Dovrei? Anche se può sembrare strano, no, non ci penso. Hanno una loro vita, prendono le loro decisioni e ne sono consapevoli. Potrebbero soffrire certo, ma sono indipendenti, adulti e capaci e la mia assenza non modificherebbe niente, anzi, forse risolverebbe anche qualche piccolo problema che non sto qui a specificare. La mia scomparsa non pregiudicherebbe niente...tranne...la sopravvivenza del mio cane! E' lui che mi preoccupa più di tutti. Non riesco a immaginarlo affidato ad altri o, peggio, rinchiuso in un canile. Non ce la farebbe e vorrei che gli ultimi anni della sua vita fossero belli, amato e coccolato come si merita e come desidera. E solo io sono in grado di poterlo fare perché è con me da quando è nato, lo conosco in ogni sua manifestazione e percepisco il suo umore. Un estraneo non avrebbe abbastanza tempo per imparare a farlo.

Per questo non vorrei soccombere ad uno stronzo virus qualunque: per il mio cane.



20 giugno 2020

Tempo e priorità.

Chiunque capiti da queste parti non si faccia ingannare dal titolo roboante. Non è una dissertazione né un'analisi filosofica. Sono solo pensieri, anche piuttosto terra terra che sto scrivendo mentre aspetto che Pucky (il mio cane) finisca di mangiare per poi portarlo a fare un giretto. 
Ho constatato che mi riesce difficile tener fede alla promessa che mi ero fatta di aggiornare in modo continuativo questo blog. Sono in pensione, ho raggiunto una certa serenità d'animo, non ho più nessuno che mi dia ordini e posso fare quello che voglio senza costrizioni o impegni indesiderati. Eppure nella scaletta delle cose che desidero fare, quelle che non potevo fare prima, scrivere su questo blog non è la priorità. Da qualche parte ho letto che è più facile scrivere quando si soffre, c'è più pathos da estrinsecare e più voglia di condividerlo per avere una seppur limitatissima possibilità di consolazione. In questo momento per me questa teoria trova conferma. Non dico di essere felice che è un concetto ben lontano dalla mia condizione attuale, però sono pacificamente immersa in un quotidiano leggero e forse anche un po' superficiale, lo ammetto, che non ha bisogno di essere esternato. Cosa si può dire quando si sta bene? Che si sta bene, ma la cosa finisce lì. Credo sia normale che non mi venga voglia di gridarlo ai quattro venti anche perché mi sembrerebbe di sminuire le tantissime situazioni di disagio e sofferenza che ogni giorno la maggior parte delle persone deve affrontare. Io sono fortunata, loro no. Quindi perché calcare la mano su una cosa che non interessa nessuno? Senza contare che ho sempre provato un certo disagio di fronte a certe espressioni esagerate di gioia di vivere, di ottimismo immotivato ad oltranza, di ringraziamento per esistere in un mondo che di positivo ha ben poco, dove per raggiungere uno status accettabile bisogna lottare con le unghie e coi denti e la sopravvivenza è un traguardo che non a tutti è concesso. Io l'ho raggiunto dopo 68 anni di sgomitamenti  forsennati e non è nemmeno il massimo, anzi, ma mi va bene così e l'unica cosa che mi viene da fare è esprimere solidarietà per coloro che ancora non ce l'hanno fatta. 
Per concludere: posto che il più delle volte questo mio diario virtuale ha connotazioni abbastanza personali e intimiste, prevedo assenze più o meno prolungate, come è sempre successo d'altra parte, non è cambiato niente. Quindi se ho voglia di scrivere lo farò, altrimenti non lo farò, semplice no? E se l'assenza dal blog comporta di conseguenza l'assenza di lettori e commentatori...pazienza, non sono mai stati numerosi e non me ne sono mai fatta un cruccio. Per fortuna ho di che occupare piacevolmente questo tempo che ora, finalmente, mi è concesso e non darò priorità a niente che non sia il desiderio del momento. E ora il mio desiderio è andarmi a godere con Pucky questa bellissima giornata finalmente estiva! 

16 maggio 2020

Mi sono sentita strana quel giorno.


L'avevo fatto. Avevo detto no. Un no che mi costava tanto, un no che avrebbe cambiato la mia vita senza sapere come sarebbe cambiata. Era quasi salito da solo dalla gola dopo tanti sì obbligati che lo spingevano giù. Si era arrampicato ed era cresciuto piano piano come un seme che sta germogliando e che alla fine spacca prepotente il terreno che lo teneva rinchiuso.
Mi sono sentita strana perché non lo avevo mai fatto e non sapevo di essere capace di farlo, anche se lo desideravo. Avevo sempre e solo pensato alle conseguenze, a quello che avrebbe innescato in coloro che lo avrebbero subito: incredulità, delusione, ostilità, ripudio. Tutte cose che sembravano pesare troppo di più dei miei bisogni inconfessati sulla bilancia dei sensi di colpa. 
Quel giorno l'ho detto e ho sofferto perché ho dovuto essere esattamente come gli altri mi hanno visto: fredda, determinata e anche un po' cattiva perché ho pensato solo a me stessa. Quella stessa fredda determinazione che mi ha permesso di non voltarmi più indietro e scrollarmi definitivamente di dosso i retaggi che provavano a riaffacciarsi. La mia vita è cambiata, non certo io che quel no ce l'avevo sempre avuto dentro. Gli anni mi hanno dimostrato che vale sempre la pena dire no se l'istinto è quello, se dirlo è espressione di sé, scardinamento di porte chiuse, rifiuto del perbenismo interessato, dell'ipocrisia e dell'ingiustizia. Vale sempre la pena buttare all'aria l'insostenibile e ricominciare da zero se farlo è rivalutazione personale.
Non credo di essere né fredda né cattiva, determinata sì, anche se con qualche inevitabile cedimento di percorso. Quel primo e sofferto no mi ha aiutato a dirne altri senza paura, a camminare lungo la strada che mi suggerisce la coscienza e a mantenere intatta la mia dignità. Ne è valsa davvero la pena.



09 maggio 2020

Il potere evocativo.


Qualche giorno fa, approfittando del fatto che sono finalmente libera dalla costrizione del lavoro, ho deciso di mettere un po' d'ordine nei cassetti. Non quelli dei sogni che in quelli c'è troppa muffa, ma in quelli delle cose che appoggi lì e dici poi le metto a posto. Un cassetto in particolare non vedeva la luce da decenni tanto che nemmeno ricordavo quello che c'era. L'ho aperto, l'ho svuotato completamente e in fondo c'era una giacca appartenuta a mia madre che avevo conservato ma mai usata. L'ho avvicinata al viso per sentirne la morbidezza e ho sentito, impolverato dal tempo, quel profumo di tenerezza, quel calore che mia madre emanava quando mi abbracciava. E all'improvviso una sensazione durata pochissimi secondi ma sufficienti per essere percepita distintamente. Ho rivisto me stessa bambina che mi rifugiavo fra le sue braccia piangendo per una sbucciatura al ginocchio. Ho risentito l'odore del suo abbraccio che mi avvolgeva con la morbidezza di quella giacca.
Non è la prima volta che mi succede ed è una sensazione bellissima, emozionante. L'odore che ho sentito ora è lo stesso che avevo sentito allora, da bambina, facendomi consolare. C'è stato un collegamento: ricordando quell'odore ho ricordato quel momento. Un momento che non ha la minima importanza...eppure l'ho ricordato. 
E allora ho pensato a quanti ricordi conserviamo inconsapevolmente, anche se non li percepiamo utili, non usati. Per esempio: ricordiamo dove abbiamo messo le chiavi di casa perché ci servono ma non ricordiamo dove eravamo il giorno del nostro decimo compleanno perché non ci serve. Però poi succede che, per un motivo o per un altro, salta fuori quel ricordo che non eravamo assolutamente coscienti di avere. Un odore, un sapore, un panorama o qualsiasi altra cosa e avviene una specie di corto circuito che fa collegare le due cose, anche lontanissime nel tempo. 
Non so se succede solo a chi ha una certa età come me però ho provato spesso a pensare ad un anno della mia adolescenza e cercare una canzone che allora era la prima in classifica, la più famosa insomma. Chiudo gli occhi, mi rilasso e ascolto. E arriva tutta una serie di situazioni, persone, umori, discorsi, che sembravano assolutamente sepolti dal tempo. Io lo chiamo potere evocativo ma rimango comunque sempre meravigliata di quante cose sembriamo dimenticare mentre invece sono sempre lì, in quello spazio ristretto e magicamente complicato che è il cervello, conservate per sempre e incancellabili. 

26 aprile 2020

Ho fatto un casino ma sono felice.

Ebbene sì, non sono riuscita a controllarmi. Davanti ad una palese sfruttamento mi sono ribellata e, come succede di solito in casi del genere, mi sono data la zappa sui piedi. 
Racconto la storia perché altrimenti non si capisce. 
E' da quando mi sono separata, dal lontano 1998, che, pur di mantenermi, ho sempre dovuto accettare di lavorare in nero rinunciando ai miei diritti. Non sono mai riuscita a trovare alternative nonostante la buonissima volontà! E non ho mai chiesto sussidi allo Stato né tantomeno reddito di cittadinanza. Troppo onesta o troppo stupida? Non so, giudicate voi, io ho la coscienza a posto. Sono andata avanti comunque a denti stretti fino al raggiungimento dell'età pensionabile. 
A fine 2019 arrivo finalmente a percepire la pensione minima di anzianità: una miseria. Ragion per cui ho pensato di integrarla continuando a lavorare fino a che le energie mi avessero sostenuto. 
Arriva il covid19. Da metà marzo tutto chiuso, niente lavoro e niente soldi perché la cassa integrazione non mi spetta, non è prevista per gli irregolari. Però, da eterna illusa, spero che mi sia comunque riconosciuto qualcosa. Passa un mese abbondante in cui non vedo un euro se non l'esiguo importo della pensione (e meno male!). 
Arriva finalmente il momento in cui bene o male si ricomincia a fare qualcosa e arriva anche l'emolumento del mese tronco. 
Un'elemosina: 200€ per 15 giorni lavorativi.
A quel punto non reggo. 
Ho pensato al mio stramaledetto vizio che mi impone sempre e comunque di mettere l'anima in qualsiasi cosa faccia e a quante volte questo mi abbia messo nelle condizioni di essere sfruttata e ho deciso: smetto di farmi sfruttare, ne va della mia dignità. Sopravviverò anche senza l'elemosina di schifosi padroni opportunisti. Farò sacrifici ma li farò per me stessa senza sottopormi a compromessi.
Ed eccomi qua: a fine mese sarò pensionata con tutte le condizioni attinenti, una pensionata come milioni di altri che si devono arrabattare quotidianamente per sopravvivere. 
Ma sono stranamente felice perché non mi farò più sfruttare.
Mi sento libera. E questo vale la pena.


25 aprile 2020

Le cose necessarie.


Viviamo una crisi che molti definiscono epocale, che non finirà con la quarantena e avrà sicuramente conseguenze che forse nessuno riesce davvero a preventivare. Ci pensiamo, cerchiamo di capire, ma credo che ne avremo coscienza vera solo nel momento in cui ci troveremo ad affrontarle. Abbiamo già comunque dovuto modificare la nostra quotidianità, cambiare le priorità perché avere qualcosa a disposizione non dipende più unicamente dalla volontà di procurarcelo o dal portafoglio più o meno fornito. Abbiamo dovuto riscrivere la scala dei valori. Se prima le cose necessarie sembravano essere molte perché facevamo, utilizzavamo, sfruttavamo senza renderci conto dell'importanza, ora, in questi giorni un po' "strani" siamo stati OBBLIGATI a limitarci, ci siamo dovuti reinventare tempi e modi e abbiamo dovuto, PER FORZA, RINUNCIARE. Ci dicono che è per noi, per gli altri, per il futuro, ma intanto la cosa più importante, indispensabile, vitale quanto l'ossigeno non ce l'abbiamo più: la libertà. Ci siamo accorti che anche il semplice gesto di mettere il naso fuori di casa, abbracciare, baciare, parlare, divertirsi è libertà. Certo, possiamo protestare, inveire contro questo o quel nemico, celebrare, godere, esternare...solo virtualmente però, dentro quattro mura, dietro finestre già sbarrate da altre precedenti paure, dietro maschere che nascondono il sorriso, la spontaneità, la verità.
L'ho già detto: questa emergenza non mi ha scombussolato la vita, non ho subito tante limitazioni in più di quelle che già mi procura la mia condizione, ma il solo fatto di pensare che non posso agire liberamente nel momento in cui decidessi di farlo mi mette ansia. 
Davvero le cose necessarie sono così tante? Non credo. Le sole cose irrinunciabili sono la libertà, l'autonomia, l'indipendenza. Riflettiamo su queste parole tanto usate e tanto abusate. Sono diritti di cui non dovremmo mai essere privati, sono segni distintivi della nostra esistenza, tutto il resto può aspettare. Già da prima non ne potevamo usufruire a mani pienissime...figuriamoci adesso!

16 aprile 2020

Amicizie.


Non posso vantarne tante, di quelle vere e concrete intendo. Ma credo che sia dovuto in parte al mio carattere un po' selettivo: mi allontano istintivamente e repentinamente da persone che non mi dicono niente, che non capisco o non mi capiscono. Non ne ho tante, dicevo, si possono davvero contare sulle dita di una mano e, non so come mai, sono tutte maschili. Davvero non so spiegarmelo: sono solidale con le donne, le difendo a spada tratta, sento fortemente le ingiustizie e le disuguaglianze che ancora persistono nei nostri confronti, ma non posso dire di avere "l'amica del cuore". Mentre i miei amici maschi sono davvero "amici" ormai consolidati nel tempo anche se ognuno di loro ha una vita ben distinta dalla mia, con vissuti personali anche molto diversi dai miei. Uno di loro, per esempio, resiste al mio fianco (si fa per dire) da più di trent'anni e riesce sempre ad esserci al momento giusto nonostante a volte lo abbia quasi ignorato persa com'ero nei casini che combinavo. Un altro che ha raccolto confidenze che non ho mai svelato a nessun altro e credo mi conosca meglio di me stessa, con cui ho un dialogo profondo e sincero. C'è l'amico dei tempi del liceo che ho ritrovato e riscoperto dopo tantissimo tempo e con cui condivido ideali, contenuti e spesso anche una buona bottiglia di vino. Poi c'è quello che mi dà consigli indesiderati che ricambio con altri altrettanto indesiderati a cui mi lega un profondo affetto scaturito da una relazione amorosa un po' troppo travagliata per essere portata avanti come tale. 
E sono quattro. 
Potrebbero essercene altri ma i rapporti sono più freddi e inconsistenti per essere definiti amicizie. 
Rimane comunque il fatto che sono tutti uomini. 
Qualcuno dovrà spiegarmelo prima o poi.

10 aprile 2020

E che si fa in questo periodo?


Un giretto fuori con il cane, un altro per un po' di spesa ma solo una volta a settimana, una sosta in cortile a fare due chiacchiere, a debita distanza, con i vicini, e poi si legge e si prova a ricominciare a scrivere sul blog. O almeno questo faccio io. E ne sono contenta, il tempo non manca ora, come non mancano le occasioni di riflettere. E riflettendo sono arrivata alla conclusione di essere fortunata. Già. E dire che ho una pensione miserevole. Però penso che è arrivata giusto in tempo e, anche se miserevole, è molto di più di quanto hanno tante altre persone che in questo momento non si vedono arrivare un euro in tasca. Poi sono sola e la solitudine non mi è mai pesata, anzi! Sono sola e non devo sopportare nessuno se non me stessa mentre tante altre persone potrebbero avere problemi di convivenza forzata che prima non emergevano in maniera così evidente. Devo ammetterlo: questa pandemia non mi ha cambiato troppo la vita. Sì, avverto queste limitazioni nella libertà di movimento e un po' mi dà fastidio ma non sono catastrofica al punto da pensare che sia il preludio ad un regime militaresco o ad una prova di dittatura. Non credo ce ne siano le condizioni. Sono invece preoccupata per la crisi che seguirà questo lockdown. Per le conseguenze che ne deriveranno, per la povertà che inasprirà ancora di più l'assetto già precario di un sistema che non ha sicuramente a cuore l'uguaglianza. Però spero anche che ne possa derivare anche qualche piccolo insegnamento: il covid19 non fa distinzioni di razza o ceto e la salute è preziosa per tutti. Chissà! Qualcuno potrebbe avere ripensamenti sulla gestione di un'economia che ha sempre messo il profitto al primo posto e ripensare a quanto possa essere iniquo questo feticismo della ricchezza, tipico del capitalismo in cui il prodotto domina l'uomo, dimenticando il valore dei rapporti umani. Sono sempre la solita idealista? Forse sì. Ma qualcosa cambierà e...perché non sperare in meglio?

Bene, questo è il primo post che faccio dopo un lungo silenzio. Continuerò a provarci, a scrivere intendo, anche se mi sento un po' arrugginita. Poi mi sento anche un po' diversa, meno arrabbiata, più condiscendente e più vogliosa di nutrire la mente piuttosto che dispensare parole che potrebbero facilmente non interessare nessuno. Per questo ho ritrovato il piacere di leggere, mai perso ma solo sopito. Ho appena finito di leggere "Cecità" di Josè Saramago che non poteva essere più consono al momento che stiamo attraversando. Una drammatica realtà surreale che racconta di un'improvvisa pandemia di cecità. Non voglio fare recensioni perché non ne sono all'altezza, ma posso dire che mi è piaciuto nella narrazione dei personaggi, delle situazioni e delle conseguenze derivate da un evento così tragico e impossibile da prevedere. Non mi è piaciuto invece nella conclusione che lascia troppi punti in sospeso, ma non dico di più per non spoilerare. 
Ora invece sto leggendo "Il trombonista innamorato  e altre storie di jazz" di Aldo Gianolio. Tutt'altro genere. Sono quaranta storie brevi di altrettanti jazzisti più o meno eminenti raccontate in maniera tutt'altro che autobiografica e convenzionale, condite con un pizzico (forse anche di più di un pizzico) di leggerezza e ironia che le rendono godibilissime. Credo che molto sia frutto di fantasia, ma sembrano comunque ritratti tanto più realistici quanto meno corrispondenti alle biografie ufficiali a cui non si rifanno in alcun modo perché non raccontano di successi o analisi musicali ma di piccole storie di esistenze allo sbaraglio quotidiano. Mi piace. 

Ciao lettore occasionale di questo blog. Non prometto che se tornerai troverai delle novità, ma ci proverò.