16 maggio 2020

Mi sono sentita strana quel giorno.


L'avevo fatto. Avevo detto no. Un no che mi costava tanto, un no che avrebbe cambiato la mia vita senza sapere come sarebbe cambiata. Era quasi salito da solo dalla gola dopo tanti sì obbligati che lo spingevano giù. Si era arrampicato ed era cresciuto piano piano come un seme che sta germogliando e che alla fine spacca prepotente il terreno che lo teneva rinchiuso.
Mi sono sentita strana perché non lo avevo mai fatto e non sapevo di essere capace di farlo, anche se lo desideravo. Avevo sempre e solo pensato alle conseguenze, a quello che avrebbe innescato in coloro che lo avrebbero subito: incredulità, delusione, ostilità, ripudio. Tutte cose che sembravano pesare troppo di più dei miei bisogni inconfessati sulla bilancia dei sensi di colpa. 
Quel giorno l'ho detto e ho sofferto perché ho dovuto essere esattamente come gli altri mi hanno visto: fredda, determinata e anche un po' cattiva perché ho pensato solo a me stessa. Quella stessa fredda determinazione che mi ha permesso di non voltarmi più indietro e scrollarmi definitivamente di dosso i retaggi che provavano a riaffacciarsi. La mia vita è cambiata, non certo io che quel no ce l'avevo sempre avuto dentro. Gli anni mi hanno dimostrato che vale sempre la pena dire no se l'istinto è quello, se dirlo è espressione di sé, scardinamento di porte chiuse, rifiuto del perbenismo interessato, dell'ipocrisia e dell'ingiustizia. Vale sempre la pena buttare all'aria l'insostenibile e ricominciare da zero se farlo è rivalutazione personale.
Non credo di essere né fredda né cattiva, determinata sì, anche se con qualche inevitabile cedimento di percorso. Quel primo e sofferto no mi ha aiutato a dirne altri senza paura, a camminare lungo la strada che mi suggerisce la coscienza e a mantenere intatta la mia dignità. Ne è valsa davvero la pena.



09 maggio 2020

Il potere evocativo.


Qualche giorno fa, approfittando del fatto che sono finalmente libera dalla costrizione del lavoro, ho deciso di mettere un po' d'ordine nei cassetti. Non quelli dei sogni che in quelli c'è troppa muffa, ma in quelli delle cose che appoggi lì e dici poi le metto a posto. Un cassetto in particolare non vedeva la luce da decenni tanto che nemmeno ricordavo quello che c'era. L'ho aperto, l'ho svuotato completamente e in fondo c'era una giacca appartenuta a mia madre che avevo conservato ma mai usata. L'ho avvicinata al viso per sentirne la morbidezza e ho sentito, impolverato dal tempo, quel profumo di tenerezza, quel calore che mia madre emanava quando mi abbracciava. E all'improvviso una sensazione durata pochissimi secondi ma sufficienti per essere percepita distintamente. Ho rivisto me stessa bambina che mi rifugiavo fra le sue braccia piangendo per una sbucciatura al ginocchio. Ho risentito l'odore del suo abbraccio che mi avvolgeva con la morbidezza di quella giacca.
Non è la prima volta che mi succede ed è una sensazione bellissima, emozionante. L'odore che ho sentito ora è lo stesso che avevo sentito allora, da bambina, facendomi consolare. C'è stato un collegamento: ricordando quell'odore ho ricordato quel momento. Un momento che non ha la minima importanza...eppure l'ho ricordato. 
E allora ho pensato a quanti ricordi conserviamo inconsapevolmente, anche se non li percepiamo utili, non usati. Per esempio: ricordiamo dove abbiamo messo le chiavi di casa perché ci servono ma non ricordiamo dove eravamo il giorno del nostro decimo compleanno perché non ci serve. Però poi succede che, per un motivo o per un altro, salta fuori quel ricordo che non eravamo assolutamente coscienti di avere. Un odore, un sapore, un panorama o qualsiasi altra cosa e avviene una specie di corto circuito che fa collegare le due cose, anche lontanissime nel tempo. 
Non so se succede solo a chi ha una certa età come me però ho provato spesso a pensare ad un anno della mia adolescenza e cercare una canzone che allora era la prima in classifica, la più famosa insomma. Chiudo gli occhi, mi rilasso e ascolto. E arriva tutta una serie di situazioni, persone, umori, discorsi, che sembravano assolutamente sepolti dal tempo. Io lo chiamo potere evocativo ma rimango comunque sempre meravigliata di quante cose sembriamo dimenticare mentre invece sono sempre lì, in quello spazio ristretto e magicamente complicato che è il cervello, conservate per sempre e incancellabili.