28 novembre 2013

Lo psicodramma di Berlusconi

di Fabrizio Casari
Il Senato della Repubblica ha votato la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Un voto che rappresenta una prassi consolidata, un esercizio dovuto a seguito di condanne penali o civili che implichino l’interdizione dai pubblici uffici. La sceneggiata delle donne di Forza Italia vestite a lutto, con lui che associa la magistratura alle Brigate Rosse è il degno epilogo di una avventura politica e di costume che del paradosso e della sfacciataggine, dell’ignoranza e del vittimismo, ha fatto il suo marchio di fabbrica.
Comincia ora una nuova fase politica, con la destra italiana sempre più desiderosa di una crisi parlamentare a breve, che consenta di consumare possibili vendette pur a fronte di incerte vittorie. Dal momento però che comunque Berlusconi non potrà essere eletto nella prossima legislatura, la voglia di tornare alle urne vive solo dello sfruttamento emotivo in un arco temporale breve della vicenda berlusconiana, ieri trasformatasi da storia di successo in storia di persecuzione.

La persecuzione, il complotto, le trame e i tradimenti. Questi gli ingredienti della tragedia di un uomo privo del senso del ridicolo, ultra potente che si è cosparso di ridicolo. Un personaggio che ha dimostrato come le condizioni avverse del quadro di sistema rendano impossibile l’elaborazione di una strategia politica capace di ribaltare il piano. Affidatosi ai pasdaran, primi della fila Santanchè e Sallusti, (sempre più identificati come i Rosa e Olindo del biscione), il risultato non poteva essere migliore di quel che è stato. Scarsa lucidità, incapacità di lettura politica, assenza di ragionevolezza nel trattare la vicenda interna sono stati i caratteri principali dell’avventura dal sapore donchisciottesco consumatasi in queste ultime settimane.

A voler ascoltare o anche solo leggere quanto Silvio Berlusconi ha affermato alla vigilia del voto, c’era da domandarsi davvero dove finiva la realtà e cominciava la fantasia, cioè dove il terreno del diritto individuale cedeva il passo all’ego ipertrofico del cavaliere quasi decaduto. Giacché se per il primo aspetto il condannato annunciava un ricorso per la revisione del processo (che a giudicare da quanto anticipava sembrava però una solenne patacca, diffusa al solo scopo di evitare il voto sulla decadenza), su quello della personalità malata si è assistito al tanto peggio tanto meglio.

Lancio di appelli a deputati e senatori affinché non si macchiassero di quello che deve tuttora sembrargli, fondamentalmente, un regicidio. Le ha provate tutte. Alla vigilia ha persino chiesto a tutti di votare in suo favore "in modo da non doversi un giorno vergognare di fronte ai propri figli", ricalcando così la scenetta mediatica di quando giurò sulla testa dei suoi a meri fini elettorali. E pensare che aveva sempre definito le istituzioni politiche come un “teatrino”, salvo non voler a nessun costo veder scendere il sipario.

Deve essere proprio il convincimento che l’applicazione delle norme e delle sentenze giudiziarie, quando riguardino la sua persona, siano un regicidio, dal momento che in un delirio ormai inarrestabile condito con grida manzoniane, il cavaliere di Arcore denunciava un ridicolo colpo di Stato, omettendo che, letteralmente, un colpo di Stato mira a ribaltare un sistema e a cacciare chi lo rappresenta istituzionalmente; nella storia non si è mai saputo che un colpo di Stato viene realizzato per ridurre il margine di manovra di un oppositore.

La stessa pretesa per la quale Napolitano avrebbe dovuto concedergli la grazia è parte del suo convincimento malato di essere al di sopra di tutti e della stessa legge. Perché oltre a rappresentare un atto individuale di clemenza a totale discernimento del Capo dello Stato, sentito il parere del Ministro di Grazia e Giustizia, la grazia non può essere concessa se la persona cui è destinata è sottoposta ad altri procedimenti giudiziari in itinere (e Berlusconi ha altri tre processi aperti).

Oltre a ciò, la grazia viene concessa in presenza di un evidente ravvedimento del condannato, non certo mentre lo stesso accusa magistratura, presidenza della Repubblica, Senato e Camera dei Deputati di colpo di Stato ai suoi danni. Men che meno quando il condannato esalta la figura del suo stalliere mafioso, cui dedica parole di stima per non essersi pentito come già in precedenza aveva fatto Dell’Utri.

Utilizzando l’arcinota metafora del marziano che fosse sbarcato sulla terra e che avesse letto quanto avviene in questi giorni sulla vicenda Berlusconi, ascoltando o leggendo quanto egli affermava e afferma, avrebbe potuto pensare di trovarsi di fronte ad un uomo che, rinchiuso nel braccio della morte, si proclama innocente alla vigilia dell’iniezione letale. Invece, si trattava solo del voto sulla decadenza da senatore del condannato Silvio Berlusconi. Voto che, addirittura, è un ulteriore passaggio garantista verso l’applicazione della sentenza definitiva del quale ha usufruito solo in quanto parlamentare della Repubblica.

Andrebbe semmai evidenziato come, nonostante le reiterate sentenze di colpevolezza, che lo identificano quale diretto responsabile di alcuni dei peggiori reati amministrativi, civili e penali, Berlusconi verrà solo privato del titolo di Senatore della Repubblica, ma non conoscerà né prigioni né confino, non dovendo scontare altro che una leggerissima condanna ai servizi sociali. Per qualche tempo, insomma, dovrà diventare una persona normale colpito da una leggerissima condanna

Sosteneva ieri, in conversazioni private fatte filtrare alla bisogna: “Ricevevo gli uomini più importanti del mondo ed ora mi trovo a dovermi figurare come portatore di vassoi in qualche centro di recupero o di assistenza”. Insomma si è dipinto come statista (dipinto di chiara impronta onanistica) e ha il terrore di diventare un cameriere, ha vissuto tra i ricchissimi e teme di dover incrociare i poverissimi.

La fine dell’immunità, per chi si è arricchito all’ombra di poteri tenebrosi e amicizie politiche, che ha acquistato soprattutto con mezzi illeciti tutto ciò che valeva la pena possedere, coprendosi così con un manto di potere che avvolgeva ogni ganglo del corpo del Paese, rende il momento particolarmente difficile.

Dover abbandonare i sogni monarchici procura in soggetti come Berlusconi la tipica sindrome abbandonica della star del cinema invecchiata e dimenticata, che senza più disporre delle platee adoranti, rivede ossessivamente i film che la videro protagonista illudendosi di esserlo ancora. Il suo amico Putin, non a caso, gli ha ricordato come il sostegno all’inizio è ampio, poi si riduce e infine svanisce.

Ci sono due livelli che s’incastrano perfettamente nella novella berlusconiana: la perdita di prestigio istituzionale e, ancor più sostanziosa, quella dell’immunità parlamentare. I suoi sicari nelle redazioni dei suoi diversi house-organ paventano ordini di cattura che sarebbero pronti ad essere emessi non appena l’immunità dovesse cessare, ma sono solo una parte della guerra mediatico-politica che dichiara un uomo impaurito dalla normalità, terrorizzato dall’associazione tra diritti e doveri riguardante ogni cittadino.

Sono mesi che la condanna definitiva è stata emessa e fin troppo tempo era passato. Ogni possibile manovra destinata a impedirne o anche solo ritardarne l’esecuzione è stata approntata. Per schivare il voto decisivo non si è risparmiato: bombardamento mediatico tramite i suoi sicari nella pubblicistica, minacce dirette e insulti ad ogni istituzione, cambiamento politico della sua formazione, ritiro del sostegno al governo Letta.

A definire ancora una volta la singolarità del caso avevano provveduto le intromissioni non richieste di chiunque, direttamente o no, sia a suo libro paga. Un ciarpame urlante di scarsa dignità. Che non ha aggiunto niente a quanto già si conosceva ma che ha confermato quanto il valore del denaro e del potere sia la condizione perché in un mondo di teoricamente uguali, qualcuno sia più uguale degli altri. Ribadendo con ciò quanto l’assioma secondo il quale “la legge è uguale per tutti” sia, nella migliore delle ipotesi, un simpatico auspicio.
 

24 novembre 2013

A domanda rispondo...a modo mio.



Mi si chiede perché mi definisco anarchica. Io sinceramente preferirei non definirmi, ma è ovvio che se certi miei ideali corrispondono ad un pensiero e ad una filosofia che ha una sua precisa collocazione e definizione, ci sto. Ci sto soprattutto a definirmi libera nel pensiero, libera da condizionamenti oppressivi di una morale ipocrita che tutti subiamo e viviamo quotidianamente, libera nelle scelte personali, sessuali, politiche e nello stile di vita. Ma ci sono arrivata per gradi, passando attraverso dubbi infiniti (che ancora oggi non sono finiti), ponendomi domande alle quali non potevo rispondere senza sentirmi incompresa e sola con le risposte che mi salivano in gola. Ci sono arrivata attraverso problematici confronti con tutto ciò che mi circondava e che fino ad un certo punto aveva rappresentato tutto quello su cui avevo basato la mia vita. Ci sono arrivata perché tutto quello non mi bastava più, perché ne sentivo l’oppressione e l’imposizione e non riuscivo più a sopportarne il conformismo. Ci sono arrivata perché ad un certo punto mi sono trovata ad un bivio immaginario, un bivio mentale, e dovevo scegliere: o l’omologazione, il quieto vivere, infangandomi spesso e facilmente in patetiche condizioni di viltà, oppure il rispetto di me stessa e quindi la negazione di certi comportamenti imposti.

È stato difficile e faticoso, imparare a conoscersi è una lunga strada in salita di cui, comunque, non si dovrebbe mai vedere la cima. Ancora adesso è piuttosto impegnativo continuare a sostenere certe mie posizioni e opinioni, confrontarmi con le persone cercando di avere rispetto di me e degli altri che di me non hanno rispetto. Ancora adesso devo purtroppo spesso assoggettarmi all’ autoritarismo e alla presunzione di sedicenti difensori della libertà che non fanno altro che limitare quella altrui. È una battaglia continua contro tanti pregiudizi e mentalità per sentirmi il più libera possibile. Ma questa mia….rivolta antiautoritaria (vogliamo chiamarla così?) parte semplicemente da una questione di dignità personale: ribellarmi ad un modo di vivere ingiusto, indignarmi di fronte alle prevaricazioni e sostenere l’uguaglianza e l’autodeterminazione di ogni individuo, aspirare alla pace e al benessere non solo mio ma di tutti, perchè ciò che è di tutti è anche mio, è ciò che mi fa sentire meglio con me stessa, orgogliosa di un modo di essere che mi appartiene, grattato, scavato e scoperto spontaneamente, senza intermediari.

Se tutto questo vuol dire essere anarchica, ebbene, lo sono, ma in modo molto spontaneo. E credo che come lo sono io possano esserlo in tanti, forse tutti lo siamo, solo che molti non sanno di esserlo.


Urla al golpe e pretende la grazia dal Colle, ma quel miliardo e 277 milioni di fondi neri dove lo mettiamo?



Ieri sera un amico (che mi vuole molto male) mi ha mandato un sms per dirmi di sintonizzarmi su rai news. C’era Berlusconi che parlava alla platea dei giovani di Forza Italia. Il primo istinto era quello di spegnere immediatamente la tv, ma qualcosa di masochistico mi ha fermato e ora posso tranquillamente dire che raramente ho sentito una tale escalation di menzogne dette con tanta protervia.

Tra una baggianata e l’altra, il “piccino” di Arcore, per niente in forma devo dire, ha fatto un appello al presidente Giorgio Napolitano: “Mi dia la grazia senza richiesta perché ho la dignità di non chiederla. Non abbia esitazioni e cancelli l’ignominia di affidarmi ai servizi sociali”. “Nei prossimi giorni in una conferenza stampa dimostrerò con le carte di non avere responsabilità. Il 27 novembre 2013 (voto sulla decadenza) contro di me andrà in scena un colpo di Stato, per fare fuori il leader del centrodestra, ma sfidiamo apertamente questa sinistra che non ha mai rinnegato la sua ideologia più criminale del mondo e reagiremo”.

I soliti termini ripetuti all’infinito: “libertà”, “comunismo”, “magistratura” e poi il lunghissimo estenuante racconto di come ha deciso di scendere in politica cercando di giustificare ogni caduta e ogni guaio politico o giudiziario con gli attacchi dei suoi nemici di sinistra e soprattutto la corrente di Magistratura democratica.

La noia più totale. E stanotte ho dormito malissimo. Però stamane mi sono rifatta.

Ecco un articolo dell’Infiltrato che mi ha riconciliato con l’informazione:


Un bilancio complessivo fornito dalle inchieste della magistratura dal 1989 svela un fiume di denaro occultato all'estero da Berlusconi e dal suo gruppo - Solo la condanna definitiva di agosto quantifica in 368 milioni il totale dei fondi neri ma da All Iberian ai conti alle Bahamas il totale supera 1,2 miliardi di euro…


In Italia c'è abbondanza di evasori. Ma anche in questo campo Silvio Berlusconi non ha rivali. Dopo la condanna definitiva per frode fiscale, consacrata il primo agosto 2013 dalla Cassazione, ora è possibile fare un primo bilancio completo e documentato sui fondi neri scoperti in vent'anni d'indagini sul proprietario della Fininvest. Il conto finale è da primato: almeno un miliardo e 277 milioni di euro. Per guadagnare la stessa cifra un maresciallo della squadra anti-evasione della procura di Milano, che ha uno stipendio di 2 mila euro al mese se fa gli straordinari, dovrebbe lavorare per 53 mila e 208 anni.

Nel video-messaggio del 18 settembre Berlusconi si è proclamato “assolutamente innocente” e ha accusato la magistratura di averlo colpito con “una sentenza mostruosa e politica”. La riprova del complotto sarebbe la presunta esiguità dell'evasione per cui è stato condannato: 7 milioni e 300 mila euro, nulla per un miliardario come lui.

In realtà quella frode è l'unico pezzo di processo che è riuscito a sopravvivere alla legge ex Cirielli, approvata nel 2005 dai suoi parlamentari, che ha dimezzato i termini di prescrizione dei reati. Ma in tutti i gradi di giudizio le sentenze definiscono “colossale” la massa di denaro nero che si è riversata sulle società offshore gestite dal gruppo Fininvest e risultate “di proprietà personale di Berlusconi”.

L'accusa ha dimostrato che i prezzi dichiarati al fisco per i film americani comprati da Fininvest e Mediaset venivano costantemente gonfiati, per portare soldi all'estero. La condanna definitiva quantifica in 368 milioni e 510 mila dollari il totale dei fondi neri creati, con i contratti truccati, nel solo quinquennio esaminato nel processo, che va dal 1994 al 1998.

Di questa “sistematica frode fiscale”, spiegano i giudici, Berlusconi è stato “l'ideatore, l'organizzatore e il beneficiario finale”: i soldi finivano su conti offshore gestiti dai suoi tesorieri personali. E le stesse sentenze precisano che questa è solo una parte di un enorme patrimonio segreto accumulato “fin dagli Ottanta”.

Ora un libro-inchiesta di Paolo Biondani e Carlo Porcedda ("Il Cavaliere Nero", edito da Chiarelettere) ricostruisce come si è formato e in quali paradisi fiscali è stato nascosto l'intero tesoro nero di Silvio Berlusconi, pubblicando per la prima volta i documenti originali che comprovano le accuse.

Il processo Mediaset è nato da una costola delle indagini di Tangentopoli, che già negli anni Novanta avevano portato alla scoperta delle prime 64 società offshore del gruppo Fininvest, attive tra il 1989 e il 1994-95. La tesoreria centrale si chiamava All Iberian: un sistema di conti esteri “non ufficiali” che ha finanziato “operazioni riservate” per un totale di 1.550 miliardi di lire (775 milioni di euro).

Un fiume di denaro nero utilizzato, tra l'altro, per pagare tangenti a politici come Bettino Craxi e per corrompere il giudice civile romano che ha regalato il gruppo Mondadori alla Fininvest. Per questo primo tesoro offshore il Cavaliere aveva ottenuto l'impunità, dopo le elezioni del 2001, grazie alla contestatissima legge che ha trasformato quel gigantesco falso in bilancio in una semplice contravvenzione a prescrizione ultra-rapida: le sentenze definitive però spiegano che Berlusconi “non può certo dirsi innocente”.

Il processo Mediaset, quello che ha portato alla condanna finale, è partito dalla scoperta dei depistaggi organizzati per fermare Mani Pulite: documenti sottratti alle perquisizioni, conti svuotati per far sparire i soldi, fino alla corruzione del testimone chiave, l'avvocato inglese David Mills.

L'obiettivo di tante manovre di “inquinamento probatorio”, come le ha definite il pm Fabio De Pasquale, era nascondere le offshore personali di Berlusconi, tra cui spiccano le società Century One e Universal One: due forzieri esentasse con almeno 252 milioni di dollari. Le carte fatte sparire nel 1996, e ritrovate solo nel 2003-2004, riguardano anche la società Bridgestone, intestataria di uno yacht e di una villa da 12 milioni di dollari alle Bermuda: un regalo offshore di papà Silvio alla figlia Marina Berlusconi.

Il Cavaliere, inoltre, controlla personalmente un sistema di conti alle Bahamas, che hanno ricevuto almeno 26 milioni di dollari fino al 1998, attraverso un grossista di carni di Montecarlo, trasformato in improbabile venditore di film.

Non bastasse, c'è il nero italiano. Nella sentenza definitiva del processo per le tangenti alla Guardia di finanza, chiuso nel 2001, si legge che la Fininvest aveva notevolissime “disponibilità extra-bilancio” già negli anni Ottanta: almeno 65 milioni di euro. Un patrimonio nero così quantificato dagli stessi giudici della Cassazione che in quel caso avevano assolto il Cavaliere, spiegando che i manager della Fininvest avevano davvero corrotto 12 finanzieri tra cui un generale, ma lui poteva non saperlo.

Un altro tesoro nascosto è invece attualissimo. Nel processo Mediaset il ruolo di primattore spetta a Frank Agrama, imprenditore del cinema con base a Los Angeles, condannato a tre anni. La sentenza definitiva lo bolla come un “intermediario fittizio”, che incassava il nero e lo spartiva segretamente con Berlusconi.

Nel solo quinquennio 1994-98, le tv del Cavaliere hanno speso 200 milioni di dollari per acquistare film della Paramount attraverso quel fortunatissimo mediatore americano. Ma al colosso di Hollywood è arrivato soltanto un dollaro su tre. Ben 55 milioni li ha trattenuti Agrama “senza svolgere alcuna attività”. E altri 80 milioni di dollari sono rispuntati sui conti delle solite offshore personali di Berlusconi.

Di tutti questi fondi neri, nessuna autorità italiana è mai riuscita a sequestrare un solo centesimo. La sentenza Mediaset ha condannato Berlusconi, per effetto della ex Cirielli, a risarcire solo 10 milioni di euro. Meno di un trentaseiesimo dei profitti accumulati con la frode fiscale di cui è stato riconosciuto colpevole.



Quisquiglie.

I Compro Oro: un altro fenomeno prodotto dalla nostra cara e necessaria CRISI.

Mentre passeggio noto alcuni negozi smantellati. Lì per lì non ci bado più di tanto. Passata una settimana, mi capita di passare di fronte a quei vecchi negozi dismessi. Ma che sorpresa! nuovi compro oro. Pubblicità a tappeto per la città con tanto di uomini sandwich, che per farsela passare ascoltano, giustamente, l’mp3. Ci sono negozi con le vetrine extra-large dove le parure e i gioielli sono messi in bella mostra, in ambienti luminosi e splendenti come vere e proprie gioiellerie. Ma ci sono anche compro oro claustrofobici, annidati tra un palazzo e l’altro, con le vetrine coperte dai loro poster pubblicitari forse per trasmettere un senso di riservatezza ed intimità al cliente. Ce ne sono per tutti i gusti e per tutte le tipologie di clienti.
Questa realtà va un po’ a cozzare con la mia idea dei compro oro sempre più sovrapposta al grigio e austero Monte di Pietà. Ma questa è un’eresia! Sono due cose diverse, ma complementari. Il monte dei pegni ha una tradizione più antica: è nato verso la fine del XV secolo dall’iniziativa dei frati francescani, come prima forma di microcredito a condizioni favorevoli rispetto a quelle di mercato. Ma nessuno dà niente per in niente, infatti, per godere del credito si doveva dare in cambio un pegno e pagare un interesse con il fine di riscattare i preziosi di famiglia, entro un certo periodo di tempo. Scaduto il periodo, l’oggetto era venduto all’asta. Ovviamente questa bontà retorica fa da sfondo ad un uso molto differente di questa istituzione finanziaria, ma non è questo il luogo in cui discutere dei suoi diversi usi più o meno etici.
I compro oro invece, più giovani e competitivi, ti offrono l’equivalente del “patto con il diavolo”. Pagano gli ori con percentuali più alte del monte di pietà, non ci sono interessi, hai i contanti subito e non ti indebiti due volte. Rinunci sì alla proprietà dei tuoi ori, ricordi di comunioni e battesimi, ma sei tu cliente che dovresti liberarti delle cose che non vuoi. Peccato che anche questa sia una falsa retorica, peccato che la loro nascita fungina sia un campanello d’allarme.
Bisogno di liquidità sì, ce lo conferma il Rapporto Italia 2013 dell’Eurispes. Il 28,1% degli italiani si è rivolto ad un “compro oro”. Rispetto all’anno scorso si è registrata un’impennata dell’8,5%.
Uno studio di Ranieri Razzanti (2013) sui compro oro delinea anche le caratteristiche dei clienti. La fascia pare abbastanza ampia. Oltre ai “poveri ufficiali” (R. Razzanti, Compro oro, finanza e legalità) ci sono le persone che vivono in una situazione di forte fragilità economica. Questa situazione li ha portati a modificare, più o meno sensibilmente, il proprio tenore di vita. Ciò significa che nella vita quotidiana hanno difficoltà a pagare la spesa, il muto o perfino le cambiali. Visto che in questi anni il potere d’acquisto dei nuclei familiari si è ridotto sensibilmente, si può affermare che si è verificato un cambiamento di priorità delle famiglie e dei singoli individui. Da una mentalità orientata al risparmio, si è passati ad una mentalità orientata alla sopravvivenza o al mantenimento del tenore di vita che si aveva in passato. Quindi, per sopperire al bisogno di liquidità si contengono le spese, si tagliano le vacanze e ci si rivolge sempre più frequentemente ai compro oro della propria città per avere a disposizione una somma di denaro in poco tempo, senza impelagarsi negli iter dei prestiti bancari. Basta semplicemente googlare “Compro oro Italia” e compaiono 3.904 risultati.
La cartina su google maps sembra affetta dalla scarlattina. Le zone più tempestate dai compro oro sono la Lombardia, il Lazio, quasi tutta la costa Adriatica, la Puglia, la Campania, la Sicilia e la  Sardegna. Invece, la Toscana, la Calabria e la Basilicata sono le regioni nelle quali si registra una bassa/bassissima presenza. Avendo origini calabresi, mi viene subito da dire che in Calabria non abbiamo bisogno dei compro oro, perché ci sono tanti altri modi per riciclare il denaro sporco senza avviare per forza un’attività in franchising. Per non parlare poi dell’elevato attaccamento ai beni familiari. Piuttosto faccio la fame, ma gli orecchini della comunione regalati da Zia maria col cavolo che li vendo. Per le altre due regioni non so cosa dire, come non so spiegarmi l’esistenza di questo gap legislativo sui compro oro relativo agli aspetti che riguardano la tutela dei clienti e i controlli di tipo finanziario. Anche se dei passi in questi senso si iniziano a fare.
Dico questo perché da recenti studi sul fenomeno e dalle indagini svolte dalla Polizia, dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza, è emerso che nel 60% dei casi alcuni negozi sono stati soggetti ad attività delinquenziali, tra le quali emergono casi di riciclaggio ed evasione fiscale (E. F. Torsello, “Compro oro” a rischio illegalità, in «Il Sole 24 Ore», 20 aprile 2011). Sarà causa della mia formazione da sociologa, ma questo 60% per essere significativo e di impatto immediato, doveva essere affiancato dal totale dei negozi indagati, con i dovuti riferimenti geografici. Anche se nel lavoro di Ranieri Razzanti si afferma che il dato è documentato dalle numerose attività di polizia giudiziaria. Inoltre, è stato confermato nella Relazione introduttiva alla proposta di legge ed. “Mattesini” e ribadito nella Commissione Attività Produttive alla Camera dalla relatrice proponente.
Per concludere, sembra sempre di più che i compro oro siano funzionali ai diversi bisogni, più o meno etici, del nostro sistema sociale non più in equilibrio. Infatti, proprio durante questi periodi di recessione l’uso della parola crisi è come se aiutasse a razionalizzare la sopportazione di diversi sacrifici economici derivati da alcune soluzioni governative, che tendono a gravare proprio sulle classi sociali medio/basse maggiormente coinvolte nel circolo vizioso della cosiddetta crisi.

L'ennesima conferma, e purtroppo non ne sentivamo il bisogno, che i partiti e i loro rappresentanti sono lontani anni luce dalla vita reale.

Gianluca Santilli, fino a poco tempo fa capogruppo Pd al consiglio del Sesto municipio di Roma, ha da poco scoperto che nella metropolitana capitolina alcune persone per vivere suonano. E ha avuto l’impellenza di condividere questo scoop sconvolgente. Che rabbia, che indignazione: dei poveracci si permettono di romperci i timpani quando chi prende la metro (anche lui l’ha presa un paio di volte da ragazzino, quindi non dite che fa parte della casta) ha il diritto di non essere disturbato dal frastuono della miseria.
L’arguto paladino della libertà auricolare in salsa piddina ha posta un video in cui si vede una coppia di rom cantare e suonare  ”Mamma son tanto felice perché ritorno da te”.  Un’indecenza che lui commenta così: “No, guardate questo… ecco dove siamo arrivati a Roma… nemmeno nello Schifistan si vede una cosa del genere”.  Piccolo particolare: il video è stato postato da un collettivo xenofobo del quartiere Esquilino che da anni denuncia “ondata cinese e immigrazione”.
Ovviamente la reazione dei suoi contatti non si è fatta attendere, ben divisa tra chi lo sbeffeggiava per essersi accorto ora di un fenomeno che va avanti da tanti anni e che riguarda moltissime città europee e chi tentava di fargli capire che forse i problemi del trasporto pubblico sono altri.
Ma l’aspirante sceriffo acustico non accetta le critiche e spiega che suonare in metro è un grande gesto di maleducazione in quanto “sei costretto ad ascoltare e ad interrompere quello che stavi facendo. Naturalmente dopo aver pagato il biglietto”. Già, che cosa grave essere interrotti da chi pur di ricevere qualche moneta decide di usare le capacità che ha.
In genere sorvolo sui post dei politici perché sono noiosissimi, ma questo mi ha molto incuriosito. Inizialmente perché la goffa denuncia dimostra che il signore in questione non ha mai avuto a che fare realmente con i mezzi di trasporto pubblico (e infatti qualcuno ha commentato: “Gianlu’, se vede proprio che viaggi in auto blu”).
Poi però guardando il video mi sono concentrato su un’altra questione. Io quel suonatore di violino lo conosco. Dopo averlo visto tante volte sulla metropolitana, l’ho conosciuto qualche mese fa nella stazione di San Paolo. Stavo girando dei video per un’inchiesta sugli artisti di strada romani. Mi ha raccontato di come con la crisi sempre meno persone gli lascino un’offerta. Con lui c’erano sudamericani, africani, serbi e bulgari.
E vedendo il video degli xenofobi postato da Santilli ho pensato a una scena che in quell’occasione mi aveva toccato profondamente. Alcuni controllori dell’Atac, l’azienda che gestisce i trasposti pubblici romani, avevano fermato un musicista colombiano mentre suonava in metropolitana. Ero pronto a filmare il momento della multa. Ma con mia grande sorpresa uno dei controllori ha preso la chitarra del musicista e ha iniziato a strimpellarla, chiedendo a quest’ultimo di accompagnarlo con la voce in una versione molto delicata di “Quizas, quizas, quizas”. Finita la performance, a cui stavano assistendo anche molti passeggeri evidentemente divertiti, il controllore ha restituito la chitarra e ci ha salutati con un “alla prossima”.
Ecco, caro Santilli, l’ennesima conferma, e purtroppo non ne sentivamo il bisogno, che i partiti e i loro rappresentanti sono lontani anni luce dalla vita reale. Che è fatta di difficoltà, di sofferenze e anche di musicisti rom non proprio intonati. Il cui tentativo di arrivare a fine giornata impegnandosi in qualcosa va premiato e non deriso su Facebook.
Ah, caro Santilli, un’ultima cosa: se prendesse la metropolitana, si accorgerebbe che alcune volte ci sono dei bimbi costretti ad andare su e giù per i vagoni con un bicchiere del Mac a chiedere spiccioli. Cosa ben più grave di qualche nota sbagliata e amplificata.

Da Frontierenews

20 novembre 2013

Quanto vale la vita di un uomo di fronte alla speculazione?

Quante volte ancora ci fideremo di chi ci parlerà di identità mentre la stravolgono lasciandoci nudi nella desolazione? Quanto vale la coscienza civile? [Giovanna Casagrande
da http://www.globalist.it/


Quanto vale una vita umana? Quanto vale la vita di un'anziana disabile in sedia a rotelle annegata dentro la sua casa?
Quanto vale la vita di un bambino di tre anni morto chiedendo aiuto a un uomo che non è riuscito a salvarlo?
E quanto vale la vita di un pastore che muore in un'alluvione mentre cerca di salvare il suo bestiame?
Vale qualcosa rispetto al cemento sparso come incenso benedetto? O vale qualcosa rispetto ai corsi d'acqua deviati per rubare altra terra alla natura, che qui da noi qualcuno chiama ingrata?
Quanto vale una coscienza oggi?
Quanto vale il peso di azioni che non hanno tenuto conto della tragedia odierna? Quanto vale la coscienza di chi ha svenduto porzioni di Sardegna al primo che arrivava con i denari giusti, quelli che bastavano agli speculatori, a certi amministratori, non certo a questa terra spogliata della sua identità, nuda e allagata, una terra che si allarga con i gomiti alti per uscire dalle strade che l'hanno segnata senza pensare alle cicatrici.

Quanto vale oggi la Sardegna che riempie la televisione, quanto vale in termini di ascolto questa tragedia?
E noi, quanto siamo disposti a spendere ancora, in ambiente, in lavoro, in sogni da relizzare?
Quanto siamo disposti a spendere per ascoltare ancora le parole di chi si nasconde dietro situazioni climatiche al di là di ogni ragionevole previsione? Quanto valiamo noi oggi che muti vediamo immagini che ci mostrano l'incuria dell'uomo, l'arroganza dell'uomo,il menefreghismo dell'uomo?
E quante volte ancora ci piegheremo alla volontà di chi deciderà gli spazi da destinare a pale o a campi da golf o ad alberghi?

Quante volte ancora ci fideremo di chi ci parlerà di identità mentre la stravolgono lasciandoci nudi nella desolazione?
Quanto siamo disposti a spendere in paesi che si svuotano e zone industriali che sorgono in piccoli paesi dove c'è sempre il progettista giusto al momento giusto?
Quanto siamo disposti a regalare ancora di noi, a farci violare la storia e la speranza?
Quanto siamo disposti davvero a credere che oltre il tunnel non c'è una luce qualsiasi ma, se davvero vogliamo ci potrà essere il nostro futuro? Quanto ci resta ancora da spendere per noi stessi?

18 novembre 2013

E intanto loro si dividono ...

Mentre noi ci aggiriamo disperatamente per ogni angolo del paese, alla ricerca di un lavoro che non c'è... Mentre le nostre aziende soffocate dalle tasse chiudono al ritmo di 500 al giorno... Mentre aumenta in modo impressionante il numero di persone che ogni giorno si lascia travolgere dal gioco d'azzardo, nell'illusione di rimediare con un colpo di fortuna ai propri problemi... Mentre un'intera nazione va letteralmente allo sfascio, a causa di una classe politica incompetente e criminale...

... questa stessa classe politica pensa soltanto a litigare, a dividersi, e a riformare nuove coalizioni al proprio interno.

Dopo le elezioni della scorsa primavera tutti i grandi partiti si erano richiamati al più alto "senso di responsabilità", dicendo che "prima di tutto la nazione aveva bisogno di un governo che affrontasse al più presto i problemi del paese."

Ma una volta tornati a governare si sono dimenticati dei problemi del paese, ...

... e si sono rimessi a fare quello che hanno sempre fatto: lottare fra di loro, in maniera feroce ed instancabile, alla ricerca di una fetta di potere in più.

Perchè a costoro non basta essere tornati a governare: quando qualcuno fra di loro sente di non riuscire ad accaparrarsi abbastanza potere per se stesso, allora abbandona le attuali alleanze e cerca di formarne delle nuove.

E così i telegiornali si riempiono di notizie che riguardano non il mondo del lavoro, ma le beghe interne del PDL fra Alfano e Berlusconi. Che riguardano non la lotta all'evasione fiscale, ma le beghe interne della Lista Civica fra Mario Monti e la sua fronda. Che riguardano non la ridefinizione del debito estero, ma le beghe interne del PD fra "renziani" e chissàchicazzo sono gli altri.

E così, mentre il paese affonda, loro pensano a dividersi, per tornare poi a spartirsi il potere in misura - sperano - più vantaggiosa per ciascuno.

Andando alla riunione del PDL di venerdì scorso - dove la scissione è stata ufficialmente riconosciuta - qualcuno ha detto: "In queste situazioni di frattura non vince nessuno". Ma qualcun altro, più scafato e cinico di lui, ha risposto: "In politica vince chi prende più voti alle elezioni".

E così, per l'ennesima volta, il popolo si appresta ad essere convocato alle urne, per tornare immancabilmente a dare il voto a coloro che ne hanno bisogno non per aiutare lui, ma per averne un maggiore vantaggio personale.

La cosa incredibile è che, nonostante la sfacciataggine ormai raggiunta dai giochi interni di potere, quasi nessuno si accorga di questo meccanismo perfido ed allucinante.

Massimo Mazzucco

17 novembre 2013

Crociera di morte: la portaerei Cavour, trasformata in expo galleggiante del made in Italy bellico, è partita.



La Marina Militare la definisce “missione di promozione” ed elenca le industrie belliche che vi partecipano. Cosa va a promuovere? Evidentemente i sistemi d'arma prodotti da quelle industrie.

“Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa”, scrive il “Manifesto”.

Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e “rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali”, senza trascurare la consueta ipocrisia della “assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose”.

Per il ministro Mauro, il bazar navigante, ribattezzato “crociera di morte”, non andrà a vendere armi di distruzione di massa al di fuori dalle convenzioni, ma resta una “missione di promozione” che incrocerà aree dove impazzano guerre e repressioni, come ad esempio Congo, Nigeria e Kenya, o terre “dove governi potenti finanziano guerre per procura”, indicando paesi come l’Arabia Saudita impegnata in Siria, o il Barhein con la sua “primavera” cancellata dai militari. Regioni del mondo “dove le spese sociali vengono ridimensionate se non cancellate per sostenere la sicurezza interna e le frontiere, come in Angola e Mozambico”.

Oman, Dubai, Doha, Gibuti, Madagascar, Sudafrica, Ghana, Senegal, e poi su fino a Casablanca in Marocco, e poi Algeri. In navigazione fino al 7 aprile 2014.

Costo: 20 milioni di euro, di cui 7 a carico dello Stato e 13 dei “partner dell’industria privata”.

Soldi ben spesi: potranno usare la portaerei, lunga 244 metri e larga 39, come una grande fiera espositiva itinerante, con stand per accogliere i clienti.

Prezzo amico: 200.000 euro per ogni giorno di navigazione.

La portaerei non venderà certo l’immagine turistica dell’Italia: gli “ambasciatori” del paese sono le industrie di Finmeccanica come Agusta-Westland (elicotteri da guerra), Oto Melara (cannoni), Selex Es (sistemi radar e di combattimento), Wass (siluri), Telespazio (satelliti), e poi Mbda, coi suoi missili Aspide, Aster, Teseo. Poi ci sono la Intermarine (vascelli militari) e Elt, che offre apparecchiature elettroniche per la guerra aerea, terrestre e navale, mentre Beretta mette in mostra le sue pistole, accanto agli stand di lusso che presentano gli aerei executive della Piaggio e della Blackshape.

“Ogni cannone, ogni missile, ogni mitraglia venduta dai commessi viaggiatori della Cavour ai governi clienti, scrivono i giornalisti del Manifesto, significherà meno investimenti locali nel sociale e quindi altre migliaia di bisognosi, affamati e morti, soprattutto tra i bambini, per sottoalimentazione cronica e malattie che potrebbero essere curate”. Ma niente paura, sulla nave ci sono anche gli “operatori umanitari” pronti a soccorrere i disperati che abbiamo contribuito a creare con il traffico di armi, per dimostrare quanto l’Italia sia sensibile e pronta ad aiutare “le popolazioni bisognose”.