25 settembre 2015

Cambiando l'ordine degli addendi, il risultato non cambia.

Andiamo con ordine:
-Qualche mese fa i Greci concedevano la preferenza a Tsipras e a Syriza sposando lo slogan "fuori la Troika dalla Grecia". 
-Ma la Troika ha puntato i piedi: "O così o pomì".
-Tsipras ha indetto un referendum per far scegliere ai cittadini cosa fare.
-I cittadini hanno ribadito con fermezza: "fuori la Troika!!!"
-Tsipras cerca di scendere a patti con la Troika in barba al referendum.
-La Troika non accetta di scendere a patti.
-Tsipras indice nuove elezioni.
-I Greci, o almeno una buona parte di essi, tornano a votare lo stesso partito che però ha presentato un programma in direzione diametralmente opposta alla prima affermazione elettorale. 
Come dire: o l’elettore tipo aveva sbagliato prima, oppure adesso o, ancora, il programma con il quale si presenta un partito alle elezioni alla fine del conti è del tutto irrilevante.
Il riepilogo è d'obbligo, a questo punto, visto che a tentare di capire (ciò di cui in realtà non c'è molto poi da capire) si rischia seriamente di finire nella più classica delle malattie di dissociazione mentale. 
E allora: stesso premier, stesso partito, ma programma opposto a quello originario. E ovviamente stesso elettore. Non solo cambia l’ordine degli addendi, ma anche la loro natura, eppure il risultato è sempre lo stesso.
A cambiare sono solo le alleanze per formare il governo, nel più classico dei bizantinismi di palazzo che conosciamo così bene anche noi. A rimanere invariati, invece, tutti i dati di fondo della situazione in Grecia, peraltro in ulteriore peggioramento e la sedicente democrazia che prosegue imperterrita e perpetua la sua irrilevanza ai fini del governo. 
Perché il governo, in Grecia come altrove in Europa, è nelle mani della Troika.
Ma la conclusione più amara è che, malgrado l'evidenza, neanche il popolo più martoriato d'Europa ha ancora compreso la reale natura della situazione in atto e l'irrilevanza della sua azione elettorale. Il voto di domenica scorsa lo dimostra.
E l’amarezza, ovviamente, riguarda anche gli altri popoli del nostro continente, incluso il nostro, che sono presumibilmente ancora più distanti di quello greco, dal capire la situazione. 
Come dire: chi si ostina a credere a queste democrazie per sperare di cambiare la realtà, dovrebbe essere ormai consapevole che, visti i risultati, prima di tutto andrebbero cambiati i metodi.

"Chiedere al potere di riformare il potere, che ingenuità!" (Giordano Bruno)

24 settembre 2015

Riflessione spontanea (forse avrei fatto meglio a fare qualcos'altro)

Leggo che l'ex tesoriere della Lega Nord, nell'Aula del tribunale dove è in corso il processo a suo carico in quanto accusato di aver fatto sparire "qualche milioncino di euro" dai fondi destinati alle attività politiche del partito, ha dichiarato quanto segue:
"Non ho fatto altro che proseguire il lavoro già portato avanti dai miei predecessori, quindi ho solo attuato quanto mi è stato insegnato dalla Lega. Il mio comportamento è stato corretto".

Mi chiedo: corretto verso chi? Verso Bossi e i suo scalzacani forse! In parole povere gli hanno insegnato come si fa a rubare, se ancora ce ne fosse stato bisogno, e lui ha diligentemente imparato la lezione! Inoltre, questo zelante ragioniere ha più volte asserito che la dirigenza del movimento sapeva tutto perché i soldi all'estero sono serviti per finanziare attività e acquisti. 
Cari militanti e attivisti della Lega, davvero gradite questo comportamento delinquenziale della vostra ex dirigenza e del vostro staff tecnico-amministrativo?
Poi vorrei ricordare a coloro che sostengono la Lega e le sue politiche a favore del popolo Italiano, che il fondatore del movimento leghista è stato appena condannato a un anno e mezzo di reclusione per vilipendio all'ex capo dello Stato e che un movimento politico che dice di essere per la giustizia e il progresso a beneficio degli Italiani, dovrebbe cacciare a pedate nel culo tutti, sottolineo tutti, coloro i quali si sono imbrattate le mani di merda e ancora si presentano ai raduni fascisti, razzisti e xenofobi sotto le bandiere verdi.
Però questo non accade nella Lega, e non accade nemmeno in altri movimenti o partiti politici.
Il principio della illegalità è quello su cui si fondano le scelte e le azioni politiche italiote.
                       
Io non sono conforme.

19 settembre 2015

Roma, Colosseo chiuso per assemblea sindacale: Cdm approva decreto legge. Renzi: “Ostaggio di sindacalisti contro l’Italia”

Il governo limita per decreto il diritto di sciopero nei Beni culturali. Il pretesto un’assemblea sindacale di due ore dei custodi del Colosseo, annunciata da una settimana. Tutto il mondo politico applaude.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/18/roma-monumenti-chiusi-per-assemblea-sindacale-nessuno-sapeva-niente/2046071/

Vorrei tranquillizzare gli Italiani. La chiusura per sciopero del Colosseo non ha danneggiato l'immagine all'estero dell'Italia.

L'abolizione del diritto di sciopero sì.

Come ascoltare.

"Quando ti chiedo di ascoltarmi
e tu cominci a darmi consigli,
non hai fatto ciò che ti ho chiesto.
Quando ti chiedo di ascoltarmi
e tu inizi a dirmi perché non dovrei sentirmi in quel modo,
stai calpestando i miei sentimenti.
Quando ti chiedo di ascoltarmi
e tu senti che devi fare qualcosa per risolvere il mio problema,
tu mi hai ingannato per quanto strano possa sembrare.
Quando tu fai qualcosa per me
che io posso e ho bisogno di fare per me stessa,
tu contribuisci alla mia paura e alla mia debolezza.
E allora ti prego di ascoltarmi
e di non fare altro che starmi a sentire.
E se vuoi parlare,
aspetta un minuto che giunga il tuo turno e io ti ascolto".
 
(Irene Whitehill)

12 settembre 2015

Confini mentali.

Da Contrasto.
Abbattere il pregiudizio per abbattere le Nazioni. 
Già da tempo, all’unisono, storici, sociologi, antropologi, demografi, romanzieri e statistici abbracciano la consapevolezza del fatto che il nostro pianeta é stato, sin da tempi remoti, teatro di infiniti spostamenti di gruppi migranti. E’ stimato che la sedentarietà, nel panorama di un’evoluzione umana centemillenaria, sia un’attitudine giovanissima, una vera “novità”. Fino a diecimila anni fa, prima dell’introduzione dell’agricoltura, la nostra specie ha vissuto ere di nomadismo, permanenze precarie e temporanee, movimenti (talvolta addirittura intercontinentali) ed adattamenti a nuove collocazioni, ma anche contatti e scambi con culture altre, incontri/scontri con gruppi diversi. Il mondo contemporaneo, l’avvento della civiltà agricola prima, e industriale poi, lo sviluppo del progresso e la crescita delle massificazioni culturali hanno sicuramente coronato la fine di una consuetudine, ma non certo estirpato completamente un istinto che dura dalla notte dei tempi: le migrazioni sono fenomeno rilevante anche nella nostra epoca, seppur con modalità variabili, con portata più ridotta, con incrementi legati a particolari periodi (Colonialismo di fine ‘800, primi decenni del ‘900), magari correlate a ragioni più complesse, ma che hanno come finalità ultima, oggi come ieri, la ricerca di condizioni di vita migliori. Differenze in sostanza più quantitative che qualitative; nonostante attualmente a ragioni legate al raggiungimento del benessere se ne affianchino altre, quali la fuga da situazioni di guerra, di persecuzione politica, etica, o semplicemente l’insoddisfazione generata da un’esistenza con radici in un territorio; nonostante le necessità e le possibilità dei migranti siano in  sostanza mutate, all’interno di una spirale senza ritorno tesa tra globalizzazione planetaria e localismi esasperati; e nonostante, infine, i contatti con le comunità di origine siano divenuti estremamente più saldi, grazie all’esplosione dagli anni ‘50 di tecnologie e mezzi di comunicazione di massa.
D’altro canto, di pari passo con il cambiamento della tendenza umana, con l’ansia del radicamento dei giorni nostri, con l’accentuazione del disorientamento e delle insicurezze personali dell’era del progresso, e la conseguente fobia dell’assenza di riferimenti esterni alla persona, un numero sempre maggiore di individui è giunto all’imprescindibilità dell’appartenenza ad un’entità con caratteristiche sentite proprie, ad un gruppo con il quale identificarsi, ad un territorio considerato in qualche modo “proprio” per diritto di nascita. La rivendicazione, insomma, di un’identità che ci si prospetta di vivere pienamente, e conseguentemente separatamente dall’altro, dal diverso, dall’estraneo, dal non appartenente. Il contatto interculturale spaventa, le differenze portano aria di cambiamento, ed il cambiamento, si sa, nel regno dello status-quò  è doloroso; l’etnocentrismo dilaga, la tendenza a valutare i propri usi e costumi, i propri valori, le proprie norme, le proprie tecniche di produzione,  al di sopra di quanto sia stato prodotto nel tempo e nello spazio diventa abitudine; e questo, sia chiaro, non solo nell’ Occidente, culla delle più alienanti discriminazioni, dell’annientamento di ogni alternativa all’omologazione sociale, dello sfruttamento incondizionato del sottosviluppato, dell’orgoglio ostentato della propria ricchezza economica e morale al cospetto del “Resto del Mondo”.
Il fenomeno è globale, riguarda ogni continente.
E così si formano gli Stati-Nazione, con il loro ossessivo legame al territorio, si rafforzano le identità nazionali di paesi “fabbricati” a tavolino per interessi politici e di dominio, si attuano mistificanti procedure pedagogiche per costruire popoli, basate su antiche Storie e Tradizioni regolarmente stravolte, quando non addirittura fortunosamente inventate. Tutto per rinvigorire quel sentimento tanto comodo ai poteri, quel focoso fardello che risponde al nome di “Patria”: il proprio essere parte di qualcosa di grande e degno di rispetto, l’eroica difesa di ciò che è accarezzato come proprio ideale.
Da qui nasce l’odio nella sua forma più inutile ed ignorante, interiorizzato, giustificato, decolpevolizzato; odio mascherato attraverso il positivo e benevolo rispetto per la tradizione: solo per la propria. E la propaganda nazionalista, gli integralismi, i mezzi di comunicazione di massa,  le direttive politiche e le leggi sull’immigrazione supportano il già spontaneo processo di individuazione di un nemico, e il giudizio privato finisce con l’identificare nella persona con cui si trova a contatto non un essere umano, ma a seconda delle circostanze un musulmano, un albanese, uno zingaro, un curdo, una hutu, un sikh, un “terrone”…
E valori individuali al di fuori di un concetto di gruppo non contano più.
Ogni singolo soggetto coincide con il gruppo al quale appartiene.
Ogni interesse è rivolto al “proprio”, l’obiettività e l’autocritica svaniscono nel nulla: il disagio che l’immigrato crea in quanto corpo estraneo nell’ assoluto del “nostro” non è mai sottoposto al confronto con quello che lui stesso incontra, in un paese in cui cercando opportunità ha trovato freddezza, indifferenza, estraniamento; in cui è stato sfruttato, stuprato nelle sue potenzialità e reso con profitto consumatore di merci locali; in cui la sua vita è senza prospettive per gli stessi motivi per cui Harris, negli anni ’80, definisce gli USA un paese in guerra, riferendosi al destino riservato alle minoranze portoricane.
Pregiudizi, quindi: convinzioni e credenze finalizzate alla tenace difesa di condizioni e privilegi raggiunti attraverso secoli di intolleranze. E stereotipi: rigidi concetti classificatori di persone e gruppi, non fondati su basi critiche/comparative. Tutto questo è all’ordine del giorno, e pone ostacoli alla raccolta di informazioni veritiere sulle “alterità”, attraverso la semplicità del sostenimento di giudizi così ampiamente condivisi all’interno del gruppo di appartenenza.
Anche razzismo dunque; nonostante sia biologicamente provato che “parlare di razze umane è un errore: non esistono pochi gruppi distinti, ma tante piccole differenze” (G.Barbujani).
Alla base di tutto una bandiera, dei confini più o meno marcati da elementi geografici, una mentalità comune; una mentalità talvolta violenta nella sua mancanza di imparzialità, in altre occasioni invece paternalista e protesa a portare esempi di civiltà tutta propria, unica. In ogni caso comunque una mentalità che presume una propria superiorità; ma, soprattutto, che ancora non ha capito che l’incontro con la diversità non va subito, o tollerato, o respinto: semplicemente, va vissuto come ovvio ed indispensabile per il futuro della razza umana; che la trasversalità culturale è l’unica possibilità che all’uomo rimane per fuggire ad un domani di ignoranza, intolleranze, poteri incontrollabili, violenze, guerre, persecuzioni, deportazioni, pulizie etniche, olocausti.
E’ necessario opporre tutte le proprie forze anche al più innocente ed inoffensivo spirito patriottico, anche alla più scherzosa e banale generalizzazione fondata su principi etnici, anche al più insignificante gesto di superiorità. Perché niente di ciò che contrappone individui gli uni agli altri è realmente innocuo. Nemmeno l’inno nazionale cantato in occasione di una partita di calcio, nemmeno la cartolina del Vittoriano, nemmeno l’appello di Ciampi a tenere in casa almeno un tricolore. Le nazioni come le conosciamo ora sono invenzioni assai recenti, figlie del Risorgimento, sono proprio i piccoli ma irrinunciabili valori quotidiani a tenerle in vita.
Qualcuno le ha definite un “plebiscito di ogni giorno”.
Plebiscito che ha scelto la chiusura,  il distacco, la disuguaglianza. 
Plebiscito in cui l’astensionismo diviene l’unica, salvifica soluzione.

L’Alfiere

11 settembre 2015

Informare o formare? Qual'è il ruolo dei media sull'informazione?

Questa mattina su radio 3 "Tutta la città ne parla" si è parlato di questo. Lascio l'ascolto della trasmissione a questo link e dico la mia.
A me basterebbe che le cose fossero chiare: una testata o un giornalista può dare una notizia, fare ricerche approfondite ed esprimere un'opinione. Può fare tutto ed è giusto che lo faccia, fa parte dell'esercizio dei media, ma deve dichiararlo senza mistificazioni. E se non si mistificasse molte notizie avrebbero la giusta dimensione e spessore. 
Quello che secondo me non dovrebbe fare parte dell'esercizio dei media è la manipolazione. 
Faccio un esempio che secondo me la dice lunga: 
l' "affaire Salvini". 
Ha scalato il suo partito che era ormai sotto il 10% fino a condizionare la politica grazie alla visibilità delle sua battute, che nei media pesano come se lui rappresentasse un partito di maggioranza, fino al punto di salire di parecchi punti in percentuale. Senza le coccole dei media questo non sarebbe accaduto e questa è stata ed è una responsabilità gravissima: un personaggetto da avanspettacolo trasformato nella voce dell'opposizione autorevole perché sempre presente ovunque. 
Questo grazie all'attenzione dei giornalisti. È molto grave ed esula sia dall'informazione che dalla formazione.
Detto questo penso anche che sia difficile sottrarsi alla manipolazione che è sicuramente innegabile nei cosiddetti mezzi di informazione. La costante diminuzione di lettori di libri ma anche di giornali, rende gli italiani più "analfabeti". Tempo fa Tullio de Mauro rammentava che il 70% degli italiani non sa leggere e capire il significato di un testo semplice. 
Messi così è ovvio dedurre che siamo potenziali vittime di condizionamenti. 
Poi c'è la rete che con la sua velocità ha superato la percezione del reale attraverso i mezzi tradizionali bombardandoci di informazioni molte delle quali risultano bufale. 
Questa marmellata ci rende conoscenti di una mole di notizie e competenti del nulla.
Credo anche che siano diminuiti i veri giornalisti o gli inviati e questo determina collages uniformi da una testata all'altra. Quello che può fare maggiori danni comunque è, secondo me, il giornalista televisivo e Vespa è uno dei più fulgidi esempi. Quando certi sottoprodotti televisivi non avranno più audience potremo essere certi che l'evoluzione culturale e mentale avrà fatto grandi passi. 
Al momento sono pessimista, ma quello che possiamo fare è avere uno sguardo obiettivo e usare molto lo strumento della logica di pensiero......una bella sfida di sicuro!!

"Chiamatemi strega"













Un bellissimo Monologo di Barbara Giorgi scritto per Franca Rame

 







Non importa chi sono. Non importa come mi chiamo. Potete chiamarmi Strega.
Perché tanto la mia natura è quella. Da sempre, dal primo vagito, dal primo respiro di vita, dal primo calcio che ho tirato al mondo.
Sono una di quelle donne che hanno il fuoco nell’anima, sono una di quelle donne che hanno la vista e l’udito di un gatto, sono una di quelle donne che parlano con gli alberi e le formiche, sono una di quelle donne che hanno il cervello di Ipazia, di Artemisia, di Madame Curie.
E sono bella! Ho la bellezza della luce, ho la bellezza dell’armonia, ho la bellezza del mare in tempesta, ho la bellezza di una tigre, ho la bellezza dei girasoli, della lavanda e pure dell’erba gramigna!
Per cui sono Strega.
Sono Strega perché sono diversa, sono unica, sono un’altra, sono me stessa, sono fuori dalle righe, sono fuori dagli schemi, sono a-normale…  sono io!
Sono Strega perché sono fiera del mio essere animale-donna-zingara-artista e … folle ingegnere della mia vita.
Sono Strega perché so usare la testa, perché dico sempre ciò che penso, perché non ho paura della parola pericolosa e pruriginosa, della parola potente e possente.
Sono Strega perché spesso dò fastidio alle Sante Inquisizioni di questo strano millennio, di questo Medioevo di tribunali mediatici e apatici.
Sono Strega perché i roghi esistono ancora e io – prima o poi – potrei finirci dentro.

05 settembre 2015

"Nuvole"


di Fernando Pessoa

Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa.
Nuvole… Sono loro oggi la principale realtà, e mi preoccupano come se il velarsi del cielo fosse uno dei grandi pericoli del mio destino.
Nuvole… Corrono dall'imboccatura del fiume verso il Castello; da Occidente verso Oriente, in un tumultuare sparso e scarno, a volte bianche se vanno stracciate all'avanguardia di chissà che cosa; altre volte mezze nere, se lente, tardano ad essere spazzate via dal vento sibilante; infine nere di un bianco sporco se, quasi volessero restare, oscurano più col movimento che con l'ombra i falsi punti di fuga che le vie aprono fra le linee chiuse dei caseggiati.
Nuvole… Esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente più il niente di me stesso.
Nuvole… Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio!
Nuvole… Continuano a passare,alcune così enormi ( poiché le case non lasciano misurare la loro esatta dimensione ) che paiono occupare il cielo intero; altre di incerte dimensioni, come se fossero due che si sono accoppiate o una sola che si sta rompendo in due, a casaccio, nell'aria alta contro il cielo stanco; altre ancora piccole, simili a giocattoli di forme poderose, palle irregolari di un gioco assurdo, da parte, in un grande isolamento fredde.
Nuvole… Mi interrogo e mi disconosco. Non ho mai fatto niente di utile né faro niente di giustificabile. Quella parte della mia vita che non ho dissipato a interpretare confusamente nessuna cosa, l'ho spesa a dedicare versi prosastici alle intrasmissibili sensazioni con le quali rendo mio l'universo sconosciuto. Sono stanco di me oggettivamente e soggettivamente. Sono stanco di tutto e del tutto di tutto.
Nuvole… Esse sono tutto,crolli dell'altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente; brandelli indescrivibili del tedio che loro attribuisco: nebbia condensata in minacce incolori; fiocchi di cotone sporco di un ospedale senza pareti.
Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l'oscurità, finzioni dell'intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.
Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto.


 

03 settembre 2015

Proposte indecenti.

Questo Calderoli d’oltre oceano si chiama Chris Christie e propone il codice a barre, cioè di mettere a punto un sistema per tracciare gli immigrati regolari, come uno delle migliaia di pacchi che trasportano ogni giorno. Del resto, pare che dalle parti dell’Ungheria per ora li segnino col pennarello
Degrado della democrazia, segno di una crisi molto grave della nostra civiltà.

"Lo straniero è qualcuno che ti arricchisce, latore di cultura nuova, che ti porta una visione in più. I Paesi più aperti verso l'integrazione dello straniero sono quelli che generalmente si avvantaggiano di nuovi talenti e culture. Tali successi non si conseguono scrivendo numeri sulle braccia degli stranieri."

Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace

01 settembre 2015

Profumo di cose semplici.


Questa è una poesia di Franco Arminio, che fa parte di un suo libro inedito “Poesie scelte (1978-2014)”, che ha avuto un'idea molto bella: 

“Mi è venuta l’idea di spedirlo a chi ne fa richiesta in forma di baratto – scrive Arminio – Se uno in cambio di questo file mi manda due barattoli di marmellata oppure un libro che gli è caro oppure un suo disco etc… Credo che darà più valore a queste poesie. E poi si apre un nuovo modo di far circolare la poesia. A che mi serve aspettare due anni un grande editore? Sapppiamo tutti quanto sia introvabile lo scaffale di poesia nelle librerie. Se è davvero un tempo nuovo, dobbiamo fare cose nuove. E poi è bello leggere un libro che non è in commercio, un libro che possiamo stamparci a piacimento, con la carta e i caratteri che vogliamo. Dunque, via al baratto”.

L’indirizzo a cui scrivere per ricevere il libro è: arminio17@gmail.com, quello a cui spedire il dono da scambiare invece è via Mancini 195, 83044 Bisaccia (Avellino).


Tratto da "Poesie e marmellate di un tempo nuovo".


Sbatti il mostro in prima pagina. Lezione di giornalismo.


Sono disgustosi, non so che altro dire. I mezzi di informazione calcano la mano e lo fanno con religiosa obbedienza. Salvini con tutti i suoi accoliti gongolano. E' immigrato e per di più ivoriano. E' sospettato di aver ucciso due pensionati di Patagonia. La figlia invoca Renzi e chiama lo Stato a difenderla dall'invasione e tutti i canali televisivi riprendono il suo grido d'angoscia ben costruito con occhiali scuri che non riescono a nascondere l'assenza di un dolore che sarebbe stato legittimo e rivelano invece la soddisfazione di essere "in tv" a ripetere gli slogan razzisti che fanno così tanto "presa" sul pubblico. "È anche colpa dello Stato se i miei genitori sono stati uccisi, perché permette a questi migranti di venire qui da noi e di fargli fare quello che vogliono, anche rapinare e uccidere."
Non è così. 
Gli immigrati non fanno esattamente quello che vogliono, sennò se ne sarebbero già andati. La colpa dello Stato è quella di non dare la possibilità di una vita dignitosa alle persone che la cercano limitando qualsiasi libertà. Gli assassini e i malviventi ci sono ovunque, prova ne sono i tanti fatti di cronaca che vedono protagonisti italiani e stranieri in egual misura, solo che vengono raccontati in maniera diversa e di questo hanno la colpa i media, ben istruiti, che fomentano il razzismo. 
Che dire? Sono dei buoni allievi! Come non ricordare questa magistrale lezione di giornalismo a cui si attengono diligentemente carta stampata, tv, radio, web e chi più ne ha più ne metta?