31 dicembre 2018

Gli anni finiscono, gli anni iniziano.

Ognuno di noi, nell'imperitura chimera che quell'ultimo foglietto staccato dal calendario segni una spallata al passato, spera in qualcosa che possa somigliare a quella felicità su cui tanto si fantastica reclamando per sé quella giustizia del destino a cui si pensa di avere diritto. 
In quel brevissimo intervallo di tempo che separa il vecchio dal nuovo, il passato dal futuro che verrà, il pensiero tende a liberarsi della sua razionalità permettendosi l’illusione che si possa mettere un punto fermo sul passato per andare a capo e ricominciare. 
Ma non è il tempo che si ferma o ricomincia, quello è solo un continuo scorrere e divenire tra eventi e memorie. Siamo noi che possiamo dare un senso ai momenti, alle circostanze e a questo tempo così indifferente alle sorti di ciascuno di noi non smettendo mai di inseguire i nostri obiettivi. Ogni giorno che passa è un prestito a termine e non resta che attendere il successivo tenendoci stretti i sogni della notte perché non svaniscano alla luce del mattino.
Abbiamo bisogno di sogni e speranze, di amore e bontà. Pensare ad ogni nuovo anno come ad un futuro in cui faremo succedere qualcosa di buono dà sicuramente un senso allo scorrere del tempo. E se anche nell'anno che verrà non dovessimo farcela, ci sarà un altro nuovo anno e un altro ancora e ancora… l’importante è insistere, con tanta umiltà e molto coraggio, senza mai tradire sé stessi, perché non è il tempo o il destino che ci darà una mano...


25 novembre 2018

Quell'amore di dire: io mi amo, io ci sono, io cambio.

Giornata speciale oggi, come lo sono tutti quei giorni in cui qualcuno, per un motivo o per un altro, si trova in condizioni di subire o soccombere ad un qualsiasi potere prevaricatore. 
Ma parliamo di donne in questo giorno dedicato. Parliamo di un aspetto marginale ma importante che coinvolge la nostra natura femminile: quello delle donne che non riescono a sottrarsi alla violenza, o se lo fanno poi tornano indietro perché si sentono in colpa, convinte nel loro ruolo salvifico e determinante.
Parliamo della stima che abbiamo di noi stesse, perché, per affrontare la vita, questa vita che si pone così oscura a livello globale, penso che sia necessario riconoscersi, sapere cosa abbiamo dato e cosa diamo, quanto valiamo ma soprattutto quanto questo nostro valore è importante per noi al di là di qualsiasi riscontro esterno.
Non c’è dubbio che culturalmente siamo condizionate a dare, anche al di sopra delle nostre capacità e oltre le esigenze. Spesso ci mettiamo in secondo piano in modo che i rapporti funzionino, risolviamo problemi, riusciamo anche a vivere serenamente situazioni che non lo sono completamente, ci sacrifichiamo per i figli, per il lavoro, per la sopravvivenza e amiamo intensamente chiunque sentiamo bisognoso anche della nostra sola presenza. Condizionamenti che abbiamo subito inconsciamente e che ci hanno convinte di dover accudire prima di emergere, soddisfare prima di essere soddisfatte. Gli stessi condizionamenti che ci hanno dato la certezza di dover diventare indispensabili per qualcuno pur di poterci esprimere, ma che non ci garantiscono un’autostima consapevole perché, per qualche oscuro motivo, questa poliedricità, questa innata generosità tende a diventare un obbligo o cade nello scontato, perde di validità e viene sfruttata e abusata. Non sto qui ad elencarne i modi perché tutti conosciamo le dinamiche dei rapporti, la loro valenza e influenza psicologica e dove possono portare certi meccanismi.
E vorrei che tutte quelle donne che si sentono ignorate, quelle abusate, vittime consapevoli o meno, incastrate e prigioniere di sentimenti ricattatori, si mettessero davanti ad uno specchio e si focalizzassero su quella sofferenza che hanno causato certi gesti, o anche solo certe parole, quella risposta immeritata a quello che nello specchio vedono di essere. Vorrei che si chiedessero se ne vale la pena, se sopportare le prevaricazioni e la crudeltà di chi dice di amarle o di chi afferma di favorirle può portare a qualcosa che non sia l’annientamento di sé stesse. La risposta è ovviamente no. Niente, assolutamente niente, può giustificare una costrizione, una violenza, un’offesa, un atto denigratorio. 
Quindi non resta che reagire, salvarsi in tempo riconoscendosi e valorizzandosi. Abbandonando con risolutezza e amore per sé stesse qualsiasi progetto che non includa il rispetto. Anche se poi ci si sentirà sole e sfinite, poco amate, disilluse e sembrerà di aver perso tutti i sogni, resterà la dignità, che vale più di ogni altra cosa, di non aver ceduto ai compromessi, ai ricatti, alla violenza profittatrice. E’ importante reagire, fare un primo passo deciso verso di noi, che magari non ci porterà dove vogliamo andare, ma sicuramente ci porterà via da dove siamo.
Si perdono tante battaglie nella vita e non è detto che vincere sia l’unica possibilità. A volte la sconfitta apre orizzonti impensati, altri sogni possono essere sognati senza lividi nel corpo e nell'anima. 
Uno dei tanti nemici che invece dobbiamo sconfiggere, oltre al silenzio, è la ricerca spasmodica di noi stesse in qualcun altro. Non ne abbiamo bisogno. Noi ci siamo. 



06 novembre 2018

Ho domandato al tempo: "Qual'è la soluzione?" Mi ha risposto: "Lasciami passare".

D'altronde, non ci sono alternative. E così, passando passando, il tempo mi ha portato fino qui, a ricordare che 66 anni fa nascevo io, da genitori contadini, in un piccolissimo paese di campagna.
Ho dei bellissimi ricordi della mia infanzia che sicuramente mi hanno dato l'imprinting delle cose semplici e del rispetto per ciò che mi circonda. Ricordi legati soprattutto alla libertà di scorrazzare in ogni dove senza paure, alla complicità con gli animali che ci aiutavano nel faticoso vivere quotidiano, alla facilità e felicità di stare con gli altri, all'entrare e uscire da porte senza chiavi, al condividere ogni cosa comprese fatiche, gioie e dolori.
Non sto a raccontare il mio dopo. La crescita e il susseguirsi della mia vita non hanno niente di particolarmente interessante. A volte è stato bello, a volte no. Ma se non rimpiango niente è perché quello che ho vissuto mi ha portato fino qui, ad essere quella che sono, quasi contenta, e sottolineo quasi, della situazione, ad oscillare in questo equilibrio precario che può sembrare saggezza ma in realtà non lo è affatto e alla strana e positiva accettazione del tempo che trascorre cambiandomi dentro e fuori, sorprendendomi anche con obiettivi nuovi nonostante tutto.
Non mi sento vecchia come mi sarei immaginata, ho ancora energia anche se ne ho persa tanta per strada, non sono più fisicamente al top ma chissenefrega, l'anno prossimo andrò in pensione con buona pace della Fornero, cosa voglio di più?
Beh, in realtà, ce ne sono tante di cose che vorrei, ma preferisco esimermi dall'elencarle. Una cosa sola mi accontenterebbe: tornare a vivere nella casa dove sono nata, nella mia amata campagna. Ma è un sogno che resterà tale. Non c'è più quella casa, non c'è più il tepore del latte appena munto, le querce da scalare e i compagni di merenda. Si perdono tante cose nella vita, è inevitabile, e a volte certe mancanze fanno male. Però i ricordi, quelli belli, rimangono e rasserenano. Anche oggi, in questo grigiume novembrino del mio sessantaseiesimo compleanno.

In braccio a mamma a 6 mesi.
P.S. Mi scuso per l'immagine molto sfocata, ho fatto il possibile...d'altronde il tempo sfoca tutto...

27 ottobre 2018

Pomeriggio lento...


Sabato pomeriggio pigro, un po' piove e un po' no, senza decisione. L'autunno si fa vedere in faccia con i suoi lenti movimenti di colore. Però non è male questa sensazione, una calma strana, dolce e malinconica per qualcosa che si lascia andare senza rimpianti, in attesa di quello che succederà. Strano anche questo illanguidirsi delle ore mentre i giorni si fanno sempre più corti. Volto le spalle alle cose, guardo fuori e mi rimbalza negli occhi un luccichio, gocce di pioggia sulle foglie che catturano un insinuante raggio di sole. Piccole folate di vento scompongono le chiome degli alberi che lasciano cadere a terra le sue carezze. Uno stormo in volo accompagna il mio caffè, proprio mentre un sax parla sommessamente d'amore, quasi un'addio a chi se ne va tenendosi stretta l'intensità del vissuto. C'è luce nel volo di quegli uccelli, c'è speranza, come se il viaggio riprendesse dall'inizio, a cercare di nuovo quel che si lascia. 

24 ottobre 2018

Disgusto.

Certo l'originalità non manca: Fedez festeggia il compleanno in un supermercato mettendo a disposizione degli invitati l'intero assortimento di cibi, bevande e quant'altro. Lasciatemi dire però che è un'originalità pacchiana, tanto banale quanto il successo come influencer della sua mogliettina, che ancora devo capire che razza di mestiere sia e come sia possibile che uno possa diventare ricco e famoso facendosi dei selfie, ma lasciamo perdere.. Una festa dicevo, che partiva originale (almeno nella testa dei protagonisti) e che si è poi trasformata in una disgustosa ed assoluta mancanza di rispetto e di senso civile e in una vergognosa ostentazione di lusso sfrenato.
Cibo lanciato a terra, gente nei carrelli con le scarpe, bibite bevute e poi rimesse con nonchalance al proprio posto, verdure strusciate su seni e fondoschiena, panettoni presi a calci sono solo alcune delle scene raccapriccianti condivise sui social dagli invitati. 
Ma, al di là dello scempio incommentabile, sto pensando alle migliaia di persone, giovani soprattutto, che li osannano e prendono ispirazione da questi tamarri milionari. Cosa diventeranno? Cosa ne faranno della loro vita? Dove andranno a pescare gli ideali e i valori che necessitano per un vivere civile? 
D'accordo, ci sono cose peggiori al mondo, ma questi atteggiamenti sono uno dei tanti sintomi di una malattia e la malattia è un sistema economico che permette che metà mondo soffra la fame e la sete mentre l'1% ne detenga la ricchezza complessiva. 
E non c'è niente di più esplicativo per spiegare la sostanza del capitalismo: l'immagine di un lavoratore che si spezza la schiena sotto il sole che si infrange contro quella di una parassita milionaria in un carrello, con il cibo spalmato addosso. Mi basta guardare questa immagine per capire che non c'è niente di più convincente per capire e confermare che stiamo sbagliando tutto.



18 ottobre 2018

"Ho visto cose bellissime, grazie alla diversa prospettiva suggerita dalla mia perenne insoddisfazione, e quel che mi consola ancora, è che non smetto di osservare."

Edgar Degas



09 ottobre 2018

Cronaca.

Faccio sempre più fatica a seguire l'attualità, a farmi coinvolgere dalle vicende politiche, ormai ho perso ogni velleità di riscatto e ogni speranza che certi ideali si possano concretizzare anche solo in minima parte. C'è però una cosa che squarcia questa mia desolata rassegnazione ogni volta che sento certe notizie di cronaca, un elenco che si sta allungando sempre di più: l'elenco di bambini e ragazzi vittime innocenti della furia dei padri. Non più solo testimoni abusati psicologicamente dalle violenze domestiche tra padre e madre, non più solo testimoni della violenza subita da un genitore, non più solo costretti a subirla loro stessi e comunque a vivere nel terrore di improvvise esplosioni di rabbia, ma sempre più spesso scelti come bersaglio, vittime dirette di quella violenza.
Il sanguinoso fenomeno della violenza sulle donne sempre di più si allarga alla violenza sui figli, per colpire ancora di più la donna che si vuole punire. 
Non è solo l’annullamento della donna, è un azzeramento che diventa totale.
E i figli diventano sempre più vittime di tutto questo. Vittime ancora più indifese delle donne, già troppo spesso lasciate sole.
L’episodio di Taranto, con un ragazzo di 14 anni ferito in un primo momento e la sorellina di 6 anni gettata poi dal terzo piano, nei modi e nei tempi è l’ennesimo esempio di tutto ciò. Ma è solo l'ultimo in ordine di tempo, prima ce ne sono stati tanti, già troppi altri. Piccole vittime che vengono uccise dalla mano di chi, più di ogni altro, avrebbe dovuto proteggerle. Figli e figlie ammazzati perché considerati "di proprietà". E’ impossibile quindi non correlare questi omicidi con la stessa motivazione che porta gli uomini ad uccidere le proprie partner o ex partner: 
il possesso.
C'entrano poco la follia o il raptus. Quando un padre arriva ad uccidere i propri figli lo fa per rivendicare il suo potere rispetto ad una situazione che è sfuggita al suo controllo, per un sentimento di vendetta nei confronti della partner, che si sta sganciando dalla sua morsa.
La paura che questo si verifichi è uno tra i primi concreti ostacoli che le donne vittime di violenza incontrano quando pensano di lasciare o di denunciare i loro aguzzini. Sono terrorizzate che quell'uomo possa vendicarsi nel modo più atroce ed insostenibile: uccidendo ciò che di più caro hanno al mondo.
Questi uomini sono mariti e padri, incapaci di qualsiasi empatia, incapaci di pensare all'altro come una persona, con i propri diritti e quindi la possibilità di fare scelte autonome. Un figlio altro non è che un oggetto, rispetto al quale solo loro hanno potere decisionale.
Ecco allora che il pensiero assoluto "O mia o di nessuno" viene esteso anche ai figli, che non possono avere speranza di vita lontano da quel padre o dalle sue regole.
Quello che è successo a Taranto, altro non è che l’ennesimo caso in cui non siamo stati in grado di tutelare in maniera adeguata una madre ed i suoi figli. Perché ancora troppo frequentemente succede che le donne paghino con la vita il loro tentativo di riscatto dalla violenza. Questo vale purtroppo anche per i bambini e le bambine.
E purtroppo quanto accaduto ci porta tragicamente alla politica, a riflettere su quanto poco interesse ci sia intorno a questa deriva preferendo argomenti propagandistici che niente hanno a che fare con la tutela dei più deboli. Si parla di emigrazione, di denaro e di interessi sovranazionali, di regolamentazioni, di obbligatorietà. Si fanno chiudere i centri di assistenza e si liberalizza l'uso delle armi. Si discriminano ancora le donne sul lavoro privandole di ogni alternativa alla dipendenza dal partner. 
E si potrebbe continuare all'infinito, ma ormai questi argomenti sanno quasi di stantio tanto sono secolari. 
Non li vedrò risolti nel tempo che mi resta da vivere e morirò con l'insoddisfazione di non aver avuto la forza e il coraggio, la pazienza, la rabbia e l'amore per raccontare la luce e il buio di ogni vittima capitata in questo sistema inventato da qualcuno che odiava i sogni e la ragione. 
Ma per l'amore che porto a questa immensa umanità, così bella e brutta com'è, so che prima o poi qualcuno toccherà l'orizzonte e allora noi saremo là, donne, uomini e bambini senza la paura di sperare ma solo con il coraggio di continuare.

20 settembre 2018

Tema.

Si fonda un partito politico e si deposita illecitamente all'estero, al tasso del 2%, un fondo di 49 milioni dell'erario pubblico che frutta 1 milione di interessi ogni 12 mesi.
Lo Stato condanna e viene concordata una restituzione di 600mila euro per 78 anni. 
I fondatori e gli eredi incassano, in tal modo, una rendita netta di 400mila euro l'anno (circa 30 milioni totali) che consente loro di sistemarsi per la vita mantenendo intatto il capitale iniziale. 
Quali sono le tue reazioni?

Svolgimento.

#Cistannofregandoperlennessimavolta, ma niente. Pigliamo le solite briciole giù dal tavolo. 
Pax vobiscum.


17 settembre 2018

Domande.

Ammettiamo che esista un grande libro su cui ognuno di noi può scrivere una domanda e ricevere una risposta, qualsiasi tipo di domanda ma una sola. Che domanda fareste? Può sembrare un po' sciocco, ma pensateci un attimo. Fareste una "grande" domanda o semplicemente qualcosa che stuzzica la fantasia in quel momento? 
Ok, è un gioco, ma credo sia importante fare e farsi domande. La maggior parte delle grandi scoperte e rivelazioni sono il risultato dell’aver posto domande, grandi o piccole che siano. Le domande sono il precursore, o la causa prima, in ogni ramo della conoscenza umana e quindi di noi stessi. Quelle cose che abbiamo studiato a scuola sono derivate da domande. Domande che ci aprono a quello che prima non conoscevamo. Un modo per dissipare lo sconosciuto ed esplorare nuovi territori, un catalizzatore per la trasformazione. Per crescere, sempre, per andare oltre.
Detto questo, faccio una domanda: non avete l'impressione che fare domande non venga incoraggiato? Che tutti ci crogioliamo in granitiche certezze di cui nessuno è certo? Nell'istante in cui ci si fa una domanda e si cerca una risposta, si apre la porta ad un campo di possibilità infinite che può condurre fuori dalla zona protetta che ci si è costruito e in cui ci si sente al sicuro. Paura delle risposte? La maggior parte della gente preferisce rimanere nella sicurezza del conosciuto piuttosto che andare in cerca di guai. Anche se vanno a sbattere direttamente contro una domanda, molto probabilmente se la danno a gambe, ficcano la testa nella sabbia o si mettono subito a fare qualcos'altro.
Il divertimento della vita (se ce n'è uno) è proprio quello di scoprire cose nuove e invece, nella nostra cultura, siamo stati condizionati a considerare il "non sapere" come qualcosa di inaccettabile e negativo, una sorta di fallimento. Per questo non ci facciamo domande? Per non far sapere che non sappiamo?
Una delle cose che rendono grande la scienza è la premessa che quello che si pensa di sapere oggi verrà probabilmente dimostrato falso domani. Le teorie del passato sono servite come piattaforma per salire più in alto. Ed è soltanto facendo domande, sfidando le presupposizioni e le "verità" date per scontate che la scienza progredisce. 
E se questo risultasse vero anche per quanto riguarda la nostra vita personale, la nostra crescita e il nostro progresso individuale?
"Io so di non sapere" diceva Socrate. Credo che in quest'era di overload comunicativo, nel quale ogni affermazione contiene in sé la presunzione di verità, si vada esattamente all'opposto di questa tesi. 
Dire "so di non sapere" significa che siamo padroni dei nostri ragionamenti e possiamo fare domande orientate e intelligenti per far progredire il nostro sapere, perché sono le domande ben poste che muovono lo sviluppo umano. E credo anche che questa capacità debba essere recuperata perché, in tempi di estrema vulnerabilità, per difenderci dall'invasione continua che riceviamo da mille canali, ci può permettere di ritrovare quella gentilezza e cura per noi stessi e per chi ci circonda che può fare di ogni cosa sconosciuta una possibile crescita reciproca.
Il non-sapere è la nostra più grande ricchezza e opportunità che smuove la creatività e ci rende capaci di cambiare, anzi di migliorare.

02 settembre 2018

L’Italia è molto meglio dell’odio che racconta Salvini.

Vivo un paese di 17000 abitanti, quindi abbastanza importante anche perché è un centro di riferimento di tutti gli altri comuni e frazioni dell'Appennino, dotato dei necessari servizi, di strutture funzionanti e credo di poter dire anche con una buona capacità di integrazione dei migranti. Qualche giorno fa mi è capitato di dover accompagnare una persona al pronto soccorso del mio paese per un piccolo incidente domestico. Non era affollato, ma  comunque in sala d'attesa con noi c'erano diverse persone di diverse nazionalità. Ebbene, a dispetto della narrazione che piace tanto all'odiatore del Viminale che, a suo dire, avrebbe 60 milioni di affogatori alle spalle, ho visto solo scene di solidarietà. C'era un ragazzo molto giovane, del Burkina Faso credo, che aveva male alla pancia. Infermieri, medici, ma pure noi in attesa, ci siamo tutti prodigati per aiutarlo facendoci capire come meglio potevamo perché non parlava italiano. E nessuno all'accettazione gli ha chiesto lo status. Nessuno. Ha fatto la sua fila e quando è arrivato il suo turno ha ringraziato la sala d'attesa con un timido "merci". Idem per altri: un siriano che lavora in una pizzeria, un nero con una sospetta crisi epilettica. Accolti e curati in quanto semplicemente esseri umani. 
Non lo dico perché penso sia un evento eccezionale, credo che tutto questo succeda in tanti altri posti migliaia di volte al giorno. Lo dico per ribadire che siamo una nazione civile, migliore di quello che qualcuno, con scientifica protervia, si ostina a raccontare. Migliore dei forum, dei social, della melma dove galleggiano gli infami. Migliore dei balconi dove a qualcuno fa comodo si moltiplichino i cecchini. Migliori dei fascisti, degli omofobi, della folla degli intolleranti. 
Siamo migliori. 
Ce la faremo a ribadirlo che siamo migliori, che ci meritiamo un Paese migliore.

26 agosto 2018

Posso dirlo?

Mi voglio bene. Voglio bene alla donna che sono stata. A quell'adolescente spaesata che subiva le decisioni di altri ma che in cuor suo si prometteva il riscatto. A quella madre troppo giovane che è cresciuta insieme ai suoi figli cercando di proteggerli senza rinchiuderli in regole estranee. A quella moglie piena di illusioni che si chiedeva quando sarebbe arrivato il suo momento. A quell'amante licenziosa che scappava da sé stessa. A quella donna libera che, sbagliando, ha imparato a riconoscersi. A quella donna decisa e incompresa che ha scelto di vivere il suo momento senza intermediari.
E voglio bene alla donna che sono, consapevole delle sue potenzialità e soprattutto dei suoi limiti, che si cerca dentro e riesce ad uscirne. A quella donna che, se qualcosa si rompe, prova ad aggiustarlo, altrimenti si cambia e si va avanti. A quella donna che non riesce a chiedere e si dona totalmente, ma pochi riescono ad averla. A quella donna contraddittoria, orgogliosa, testarda e permalosa che ha scelto di coltivare e provare a controllare tutti questi suoi difetti nella solitudine e ha trovato il modo di non sentirsi sola. 





24 agosto 2018

Ogni tanto mi perdo un po'...

Sì, perché dovete sapere che la mia esistenza scorre da tempo su un unico binario: la sopravvivenza. E a volte non è così facile sottostimare le pur misere e banali ma concrete esigenze vitali. A volte si insinuano e si allargano prepotentemente tanto che i pensieri e la mente ne sono completamente avvolti, come una nebbia costante e impregnante. Nessun dubbio su come uscirne, ma il timone si fa meno maneggevole e non risulta semplice tenere la direzione. Fatto sta che mi perdo un po' in quei grigi meandri che chiamano quotidianità, meandri che assorbono gran parte delle mie energie e del mio tempo, prostrandomi e anche un po' frustrandomi in verità. Ma la frustrazione non mi si addice e anche se fisicamente posso "debaclare", sono ancora psicologicamente reattiva e attiva. E penso. Nonostante tutto penso ancora. E mentre mi dibatto nelle ceneri di un arco vitale personale non certo esaltante, penso che forse, in fondo in fondo, non faccio poi un peccato così mortale estraniandomi, per quanto possibile, da un contesto esterno che è tutto meno che accogliente e gratificante. Forse faccio bene a correggere la direzione, ad ascoltare e a coltivare certi interessi non inerenti ad una globalità ma ad una più personale ed intima soddisfazione. D'altronde di cosa dovrei occuparmi?
La politica fa schifo e merita tutto il mio disprezzo perché sono convinta che fa di tutto tranne che curare i mali sociali. Discuterne ed esporre opinioni è diventato praticamente impossibile, l'atmosfera è troppo avvelenata e surriscaldata per riuscire ad avere un confronto sano e spassionato.
I grandi problemi della terra, inquinamento, diseguaglianze sempre più evidenti, iperconsumismo, cementificazione selvaggia e disboscamento, li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, eppure riusciamo a non vederli o a fare finta di non vederli, fra indifferenza e distrazione.
Sì, bisognerebbe resistere, non smettere mai di opporsi e combattere in tutti i modi e in tutte le forme...ma io non ho più l'età per stare sulle barricate. Ho ancora nel cuore, ben saldi, i miei ideali di gioventù, ma ho anche la consapevolezza che il tempo non mi basterà. Troppo ne è passato per ottenere cosa? Poco o niente, anzi, forse solo un regredimento. Non mi arrendo, ci credo ancora e sono convinta che la direzione è unica e la sola efficace, ma lascio il testimone. Ho bisogno di occuparmi di me stessa per non morire dentro, per emozionarmi di cose belle, che mi aiutino, anche loro, a sopravvivere, che mi diano una mano a tenere il timone fra burrasche economiche e cavalloni lavorativi che rischiano di farmi naufragare. Ho bisogno di piaceri, di leggerezza e sensazioni positive che mi sollevino oltre la nebbia e li posso trovare solo dentro di me. 
Peccato che l'unica maniera per trovarli sia quella di estraniarmi, il mondo è diventato un posto troppo pericoloso e inibitorio.


24 giugno 2018

C'è una strada

Una domenica mattina di un giorno d'estate. Un po' troppo fresco per essere estate ma tant'è, questo abbiamo. Una domenica mattina, dicevo, giro per le vie del mio paese ancora quieto. Il sole fa l'occhiolino alle finestre ancora indecise mentre un veloce profumo di caffè rompe l'aria cristallina. Fra poco tutto si sveglierà e io penso a tutti quei sogni che durante la notte hanno popolato il sonno delle persone. Dove finiscono quelli che non ce l'hanno fatta ad essere sognati, quelli di chi non riesce a ricordarli, o quelli di chi li ha visti svanire durante il giorno? Alcuni restano, si ripropongono tenaci fino alla consunzione. Altri cercano altri sonni per perpetrarsi, perché si sentono importanti e vorrebbero restare a lungo, moltiplicarsi e magari anche realizzarsi, perché no. Poi ci sono i sogni creativi che suggeriscono realtà impensate e quelli nostalgici che abbracciano il cuore. Ci sono anche quelli cattivi, ma di solito hanno poca vita perché la realtà li supera agevolmente e perdono il loro senso. Insomma, dove finiscono tutti quando la luce del giorno li disperde? Si riuniscono in un posto dove nessuno li può vedere mentre discutono se sia ancora il caso di darsi da fare? Oppure riposano sognando a loro volta la nemica realtà? Io li immagino intorno ad un mappamondo che fanno girare e a turno lo fermano puntando il dito su una destinazione a caso. Ed è lì che si dirigeranno la notte successiva. Ma immagino anche che ci sia qualcuno che bara e gira il mappamondo in modo che la destinazione non sia così fortuita perché anche loro hanno dei desideri e preferiscono sonni innocenti, che hanno ancora fiducia in loro. Ed è così che i sogni insistono con i sonni più tenaci, che non si arrendono e credono sempre in loro, a dispetto di fallimenti e sconfitte all'ordine del giorno.

C'è una strada fatta di libertà, di sogni e fantasia, di speranze e, spesso, anche di delusioni. Una strada che comunque non lascerò mai perché è l'unica che mi porta sempre dove voglio.



23 giugno 2018

Scriveranno di noi.

Un giorno lo faranno, lo so, lo sento, anche se preferirei non succedesse. Un giorno scriveranno di noi perché la storia non ammetterà l'ignoranza, reclamerà chiarezza e verità. Un giorno qualcuno farà un nuovo processo per crimini contro l'umanità e i leader corrotti e crudeli e certi altri servi di spada e di stampa saranno chiamati a render conto di quanto commesso, di tutte le vittime innocenti di questi anni bui, delle guerre combattute per ambizione, della riduzione in miseria in nome del profitto e delle orribili violenze su chi cercava scampo sfidando la morte. 
E di noi, misera popolazione "evoluta", di noi, vero terzo mondo, diranno :"Ma non sapevano?...Non è possibile che non sapessero...E se sapevano, perché non hanno fatto niente per impedirlo? Perché hanno accettato passivamente le tratte dei nuovi schiavi, quei nuovi lager passati per "centri d'accoglienza" dove la parola "accoglienza" perdeva del tutto il suo significato? E quelle menti pensanti, quell'intellettualità sempre pronta ad esporre astratte soluzioni analitiche dov'erano? Perché, come e quando si è permesso che tutto questo continuasse ad accadere?"
Questo diranno di noi, e lo scriveranno. 
La storia ci dirà chi siamo, rivolterà le nostre coscienze  e ce le mostrerà, sporche e puzzolenti come il liquame in cui ci stiamo dibattendo dicendo che è acqua di colonia. 
Punteranno il dito e avranno ragione. 
E non so quanti di noi riusciranno a sottrarsi a questo giudizio che impedirà di continuare a chiamarci Uomini.



05 giugno 2018

Ma davvero ci meritiamo tutto questo?

Davvero ci meritiamo portavoci del Presidente del Consiglio come Rocco Casalino, un ex concorrente del Grande Fratello che fino a poco tempo fa insegnava come depilarsi le ascelle e diceva che non tollerava la puzza dei poveri?
Davvero ci meritiamo il sessismo e l'omofobia del ministro Fontana e l'antimeridionalismo del ministro Centinaio che usa espressioni come "terroni di merda"?
Davvero ci meritiamo il dibattito con i vicepremier nel salotto di Barbara D'Urso e analisi politiche sui giornali di Alfonso Signorini?
Davvero ci meritiamo ministri ignoranti e razzisti continuando a minimizzare ogni volta le loro dichiarazioni, che la normalizzazione di certe opinioni è il primo passo verso la loro attuazione?
Davvero ci meritiamo la crudeltà di chi vuole togliere l'asilo ai bambini figli di immigrati, uno schifo che accettiamo perché si doveva fare il governo del cambiamento e continueremo a ripetere all'infinito "facciamoli lavorare"?
Davvero ci meritiamo Salvini, la sua prosopopea, la sua logica fasulla e il suo perbenismo bigotto che con le sue dichiarazioni sta legittimando la violenza razzista di gente frustrata?  
Davvero ci meritiamo tutto questo che osano chiamare cambiamento?
No, mi dispiace, ma io non ci voglio stare con questo schifo. La mia identità, la mia sensibilità e soprattutto la mia coscienza non hanno niente a che spartire con questa gente. Me ne starò zitta in disparte a leccarmi le ferite di tanti ideali traditi, ma non sarò mai complice di un sistema che punta all'annientamento dei più elementari valori umani ...e che ci sta riuscendo. 

"Scusate non mi lego a questa schiera, 
morrò pecora nera"...



08 aprile 2018

Non perdersi il momento.

C'è stato un periodo della mia vita in cui mi potevo permettere le vacanze ed essendo nata in montagna pensavo volentieri all'alternativa del caldo e del sole, al mare insomma. Ne ricordo una in particolare, un posto trovato per caso, quando ancora si partiva senza una meta e ci si fermava seguendo l'istinto. Un paesino fuori dai divertimifici delle rotte turistiche alla moda che però prometteva ciò che cercavo: tranquillità. La classica piazza con la chiesa, due soli alberghi, qualche ristorante per accontentare la modesta pretesa turistica del luogo e le case praticamente arroccate su di un promontorio che finiva direttamente a mare. Un sentiero di scale sassose che portava giù, a quell'accogliente radura protetta in cui le onde si frangevano debolmente, come ad accarezzarla. Era l'unico posto in cui ci si poteva sdraiare e lì ho trascorso la maggior parte del tempo, fra pennichelle e letture distratte. Poca compagnia, discreta e silenziosa e un sottofondo musicale, altrettanto discreto, che proveniva da un piccolo punto di ristoro incastonato nella roccia. Era sempre musica dolce, che avvolgeva senza invadere i pensieri. E un giorno, sulle note di quella musica, una ragazza si è messa a ballare. La guardavo sorpresa ed emozionata, mentre il suo compagno la prendeva in giro dicendole che quello non era il posto per ballare. Io invece ho pensato perché no, perché non si può ballare ovunque se ne senta il desiderio? Ballare è regalare emozioni, ballare è come baciare, o come dire "ti voglio bene", è la musica del cuore che ha voglia di esprimersi. Ogni momento e ogni luogo è adatto, le emozioni hanno bisogno di uscire quando si manifestano, non possono essere procrastinate e non possono esistere momenti e luoghi deputati. E' un peccato rinunciare, si perde la magia e si perde anche l'occasione. Lei ha smesso di ballare e io mi sono rituffata nel libro, ma prima di andarmene le ho rivolto un sorriso e le ho mandato un bacio. Non volevo rinunciare, almeno quella volta.

31 marzo 2018

Sono stanca ma non mi adeguo.

Sono stanca ultimamente. Faccio fatica a trovare entusiasmo in quello che faccio. Mi sembra di nuotare in un mare melmoso circondata da squali inquietanti. Un livello culturale deprimente che si erge a profeta e un livello politico ancor più becero e senza visione mi fanno dubitare che forse sono io quella sbagliata in questo contesto. Mi guardo allo specchio e non capisco. Però non riesco ad adeguarmi. Perché questi squali inquietanti, questo sottobosco di mediocri, questa insignificanza deambulante non meritano di essere presi in considerazione. 
Fatico ma non mi adeguo, perché a quel basso livello non ci vivo, non amo strisciare per la paura di sbagliare o di non essere allineata, non amo guardarmi i piedi. Amo guardare avanti, molto avanti, in un punto che magari non raggiungerò mai, ma che la notte, quando gli occhi stanchi e il cuore amareggiato si intorpidiscono, sarà il punto che mi permetterà di sognare sogni tranquilli facendo sorridere la mia anima. 
E al mattino troverò sempre tanti motivi per non capire, ma ogni volta almeno uno per non adeguarmi: la mia dignità.

25 febbraio 2018

Riflettere.

Sto percependo uno strano malessere nelle persone. Vedo gente, a prescindere dall'età, dalla condizione sociale e dal sesso, che sembra essere contagiata da un virus abbastanza subdolo da non essere riconosciuto, una specie di disagio che affiora lentamente e non dà consapevolezza. Vorrei dargli un nome ma non posso farlo se prima non cerco di individuarne le cause. E credo di averne scoperta una: il vuoto. Quel vuoto che, con il passare del tempo, si annida nel cervello mentre si cerca di sopravvivere alle regole imposte dal sistema. Un sistema che sta sostituendo giorno dopo giorno, anno dopo anno, l'originalità e la fantasia di ogni essere umano con una stirpe omologata di consumatori in nome di qualcosa che ha un nome autoritario e altisonante: legge di mercato. Una legge che sollecita fortemente la commercializzazione e la spettacolarizzazione e che viene inculcata quotidianamente nelle esistenze di cittadini potenziali consumatori. Bisogna commerciare di tutto e di tutto si fa spettacolo perché sia commerciabile così che l'economia possa girare e tutti ci possano guadagnare. E allora via che ci si danna l'anima per produrre, possedere e consumare sempre di più, per sostenere quell'economia che in cambio dà solo assuefazione, come una droga che istupidisce e svuota. Si produce vuoto per consumare vuoto. Ingabbiati, ormai da secoli, all'interno di questo meccanismo e occupati solo a sopravvivere, si accettano i dogmi di chi dice di sapere ciò che è funzionale spacciando per verità inoppugnabili menzogne, ricatti e violenze di ogni genere, mascherandoli da democrazia e libertà, che nella legge del mercato trovano compiuta espressione. Viene a meno la forza di riflettere e di discernere e subentra la rassegnazione.
Riflettere è sempre stato pericoloso e lo è ancora. Riflettere può significare farsi domande che cercano risposte, può risvegliare quella fame di senso che non accetta i soliloqui dei poteri di qualsiasi tipo perché si arriva a comprendere che il potere è solo autoreferenziale e quindi falso. Può ridare la consapevolezza che vivere dignitosamente possa voler dire riscoprire sé stessi, la propria vitalità e identità liberandosi dai condizionamenti che dissacrano l'esistenza favorendo la perpetuazione di caste oligarchiche che da secoli usano catene fisiche o mentali per soggiogare le menti.
Ognuno di noi può essere artefice di una verità che collimi con il senso e la gioia della vita e non esistono autorità di alcun genere a cui ci si debba inchinare come a sommi sacerdoti depositari di strane verità rivelate. Siamo noi che abbiamo la responsabilità del nostro patrimonio intellettuale ed emotivo. Siamo noi i proprietari di quel mondo di energie che ci vengono sottratte e incanalate ogni giorno nella direttrice del consumo per generare profitti secondo la sacra legge del mercato. Siamo noi e nessun altro.
Riflettere è pericoloso, porta a ribellarsi e quindi a rinascere. A riscoprire quello spirito libero, quella fierezza della propria indipendenza che porta a sottoporre tutto al vaglio della ragione, la nostra. 

18 febbraio 2018

Non so se ho l'età per farlo...

Non so se ho l'età per farlo, ma ogni tanto mi piace ancora ragionare sull'amore, sui rapporti di coppia, quelli che io non ho e credo non avrò più ormai. Ho ribadito più volte il mio piacere nella solitudine e non lo rinnego affatto, però vorrei soffermarmi su di un altro modo di essere in coppia: un rapporto che preveda lo stare insieme senza doversi per forza fondere in un'unica entità, senza pianificazioni e obiettivi comuni da raggiungere per essere definiti innamorati. Quello che ho inseguito tutta la vita e che non sono mai riuscita a costruire con nessuno perché, di solito, quando ci si riconosce in una coppia subentrano meccanismi di possesso, fedeltà, convivenza e convenienza che, a mio parere, non fanno altro che inibire le personalità. Non dico che non siano giusti (a parte il possesso), ci sono coppie che riescono a stare insieme tutta la vita e ne sono entusiaste ma credo che per arrivare a questo ci sia un prezzo da pagare: l'uno deve per forza adeguarsi all'altro, smussare le diversità, fare finta, insomma, che tutto vada bene anche se in realtà si tratta solo di sopportare. So che questo ragionamento farà storcere il naso ai tanti che diranno che per amore si fa questo ed altro ed hanno ragione: le diversità sono ovvie e se si ama qualcuno lo si ama per le sue caratteristiche, i suoi pregi e i suoi difetti. Però, siccome niente è per sempre (e questa me la dovete passare perché è vero!), passato l'entusiasmo e la passione dei primi mesi, o anche anni non dico di no, in cui tutto sembra superabile e persino divertente, arriva il momento dei compromessi: ci si comporta in un certo modo per non dispiacere all'altro, anche se quel certo modo può non esserci così congeniale. Anche questo può essere giusto, bisogna però dimenticarsi della libertà di essere sé stessi. Ci si adegua per amore, si soffocano gli istinti per amore, si modificano le abitudini per amore. Ma allora, se l'amore ci costringe a cambiare, è ancora amore o solo voglia di stare insieme a qualcuno e lo si fa per paura di rimanere soli?
Ammetto che questo mio modo di pensare può derivare da esperienze non del tutto positive che hanno acuito una certa insofferenza ai compromessi coercitivi (anche se nella vita di tutti i giorni e specialmente nel lavoro sono già ampiamente costretta ad accettare), però questa idea dell'amore l'ho sempre coltivata...con continui insuccessi ovviamente. 
Ed è proprio questa: 
Rispetto quello che si è, per la strada, per la verità e la storia dell'uno e dell'altro.
Camminare insieme anche se gli orizzonti potranno essere diversi.
Liberarsi da tutte le aspettative, lasciar andare tutto quello che si crede "dovrebbe essere" e di tutto ciò che si "dovrebbe fare" per soddisfare i bisogni dell'altro. 
Liberarsi anche dal pensiero di quello che si crede dovrebbe essere l'amore per rispettare la propria unicità. 
Un amore che non giudichi, che non faccia male, che non imponga e non tolga. 
Un amore che liberi onorando l'altro, un amore che preveda lo stare insieme ma anche la possibilità di solitudine e viva esclusivamente nel presente.

Questo è quanto e questa è anche la ragione per cui la mia anima gemella si deve essere persa in qualche viaggio extraterrestre nel tentativo di cercarmi. 

09 febbraio 2018

Poveri e disagiati costituiscono un problema didattico.

Non ho figli che devono andare al liceo ma se li avessi mi informerei sul sito del ministero dell'istruzione per decidere quale scegliere in base alle valutazioni che ciascuno da di sé. E a giudicare dalle autopromozioni potrei far istruire i miei figli in uno di questi fulgidi esempi, il Liceo classico D'Oria di Genova:

“Il contesto socio- economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale (come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia, nonché all'analisi delle specifiche esigenze formative nell'ottica di una didattica davvero personalizzata”.

Esempio che hanno seguito anche i più prestigiosi di Roma e Milano puntando sul classismo e facendosi un vanto del fatto di avere fra i propri iscritti una percentuale molto bassa di neri, nomadi e handicappati, cosa che, secondo loro, favorirebbe la coesione e l'apprendimento.
La denuncia è partita da Repubblica e la ministra Fedeli è insorta, ci mancherebbe. Mi viene però da chiedermi perché c'è bisogno di questa alzata di scudi. Ogni genitore dovrebbe boicottare questi istituti senza se e senza ma, isolarli e privarli dei contributi economici di cui si vantano per sostenere "l'ampliamento dell'offerta formativa". E' la prima cosa da fare che mi viene in mente per combattere questo classismo mai estinto....poi penso che siamo in un periodo di conformismo malato, di paure collettive dalle quali si pensa di scappare chiudendosi nei propri limiti. C'è diffidenza esasperata e rifiuto a priori delle differenze. E cerco di capire come qualche genitore possa sentirsi rassicurato da chi offre un processo di apprendimento al riparo dalle mescolanze, credo che pensino di proteggere i propri figli. E' ovvio che sentendo la parola "prestigio" si possa pensare ad un futuro migliore, è quello che tutti sperano. Ma poi dico no, le menti non si aprono se si percorre sempre la stessa strada in circolo. Per imparare, imparare veramente, c'è bisogno di uscire dal cerchio ristretto del "noi" e conoscere quello che c'è al di fuori, aprirsi alle mille sfumature della vita, comporre il puzzle della realtà con tutte le tessere di tutte le forme e colori.
Ora non voglio fare di tutta l'erba un fascio, le scuole sono tante, diverse e per fortuna non tutte hanno quel tipo di ambizioni ma tutte, indistintamente, dovrebbero veicolare messaggi di inclusione e uguaglianza, sono princìpi irrinunciabili che non vanno modificati, mai. 
Altrimenti diventa pura ipocrisia lo stupore per il consenso popolare del killer di Macerata.

04 febbraio 2018

Sconcerto.

Sono di pochi giorni fa le celebrazioni del giorno della memoria in cui si sono espresse condanne a non finire e in cui si è ribadito da più parti l'allarme per una certa ideologia nostalgica che non si nasconde più e si sta estendendo a macchia d'olio. Tante belle parole per celebrare, come si fa da tempo come un bel compitino, e a cui da tempo avrebbero dovuto seguire fatti concreti mai messi in atto.
Ed eccolo il fascismo che si copre le spalle con la bandiera tricolore per ribadire la sua appartenenza, e saluta a mano tesa, orgoglioso del suo passato e perentorio nel suo gesto. 
Tutti a condannare certo, la politica delle parole non si tira indietro, ma ci sono troppi ma...
C'è Salvini che rifiuta la violenza ma sposta la colpa sui tanti mali causati dall'immigrazione. 
C'è Cangini, candidato con Forza Italia nelle Marche, che afferma che non sarebbe successo niente se Macerata non fosse tra i comuni italiani con la più alta percentuale di immigrati rispetto alla popolazione residente e se un nigeriano senza permesso di soggiorno non fosse stato lasciato libero di fare a pezzi una ragazza di appena 18 anni. 
C'è Minniti che fa un timido riferimento all'estremismo di destra ma non accenna nemmeno a mettere fuori legge certi movimenti nazionalisti.
Ed ecco il risultato di questi tentennamenti, di queste giustificazioni, di queste non-prese di posizione netta, di questo lassismo menefreghista: 


La pagina ha smesso di essere visibile ma non mancano le esaltazioni su altri gruppi.

Poi c'è questo:


Un comunicato delirante, perfettamente in linea con ciò che è accaduto. E' razzismo. E' fascismo. E fascisti sono coloro che lo inneggiano. A Macerata e ovunque, anche se nessun politico o leader nazionale dalla destra alla sinistra, si azzarda a parlarne troppo apertamente. Non sia mai che la verità faccia troppo male perché fra poco avranno bisogno dei voti e non si può scontentare nessuno, nemmeno i paranoici distorti.
Un consiglio: diffidare sempre e comunque di chi, dopo aver condannato una violenza, aggiunge subito un ma...

Per fare da contraltare alle dichiarazioni di cui sopra, eccone altre di tutt'altra natura:


27 gennaio 2018

Contro il fascismo e il razzismo di ieri e di oggi.

Non sono molto celebrativa e devo confessare che a volte trovo estenuante che così tante giornate siano dedicate alle cose più disparate. Ma il giorno della memoria è qualcosa di diverso, qualcosa che, nonostante i vari altri genocidi che sono stati e sono tuttora perpetrati nel mondo, rappresenta l'apice della crudeltà e della disumanità. Sarà perché ho conosciuto persone che hanno vissuto quell'inferno e faticavano a raccontarlo, sarà perché da ragazza ho passato forse troppo tempo a leggere libri sull'olocausto, sarà perché anni fa sono stata ad Auschwitz e ancora non riesco a dimenticarne l'atmosfera tetra ed evocativa. Fatto sta che quella vergogna mi addolora profondamente. Come mi addolora constatare che i sempre più numerosi rigurgiti dell'ideologia fascista e nazista non vengano presi troppo sul serio in quest'epoca di panico xenofobo in cui lo straniero è percepito come estraneo e nemico e il diverso come minaccia. A poco servono i discorsi istituzionali, i proclami politici, quest'anno perfino elettorali, se non si arresta questa deriva pericolosa. Per farlo ci sono poche cose da tenere presenti: la battaglia delle idee e la forza del racconto. La prima per richiamare la necessità, in ogni epoca e situazione, di non rassegnarsi, di non cedere le armi della giustizia e della ragione per riscattare il meno parzialmente possibile la vergogna (tutta europea) della shoah. La seconda perché la potenza del racconto, la forza del corpo, del viso e delle mani di chi ha visto e testimonia rappresentano la solidità della verità su ciò che è veramente accaduto. E questa potenza va sfruttata in tutti i modi, con tutti i contributi possibili, in modo che queste che sono le ultime voci vive possano avere pubblica riconoscenza. In modo che le angosce, i turbamenti e le commozioni di chi ha vissuto, subito e combattuto possano essere accumulate e testimoniate ancora in futuro.
Spero che quando anche l'ultimo testimone scomparirà le nuove tecnologie si dimostrino all'altezza di questa sfida: mantenere la memoria. Non solo dei fatti, degli eventi e dei nomi, ma soprattutto della natura dei sentimenti e dello scandalo delle emozioni. 
Per questo, per la battaglia del presente e per la sfida del futuro, forse serve ancora nel 2018 il giorno della memoria. 


14 gennaio 2018

Ballando il tango.

Questa notte ho sognato. Un sogno languido, di quelli che ci si sta bene dentro. Pensavo che non era un sogno e me la meritavo quella realtà. Stavo ballando il tango, uno di quelli lenti, dolci e appassionati che cullano con note suadenti. Il mio corpo non mi apparteneva, immerso nell'ovattato silenzio delle sensazioni. 
Stavo ballando con mio padre. Un padre che non ricordavo ma era lui, giovane, prestante e avvolgente. Le sue braccia mi tenevano, mi guidavano e io non sbagliavo un passo. Non lo vedevo in faccia ma il suo respiro mi sussurrava sicurezza. Poi la musica è finita. C'era una porta e sapevo che se ne doveva andare. Volevo dirgli qualcosa ma non sapevo come, avevo paura di interrompere qualcosa che non avrei ritrovato. E finalmente ho visto i suoi occhi, quell'azzurro un po' sbiadito della sua vecchiaia, dispiaciuti, teneri e rassegnati. E gliel'ho detto: "Ti voglio bene papà", mentre mi svegliavo sorridendo.

Mio padre mi ha lasciato cinque anni fa a 98 anni, serenamente, senza soffrire. Siamo stati molto uniti, soprattutto negli ultimi tempi, anche se le lacune dell'età e la sua testardaggine erano spesso motivo di piccoli screzi. Credo di poter dire di essere stata la preferita di tre fratelli, ero la più piccola e forse sono stata la più coccolata, la più seguita e aiutata, ma le sue tenerezze sono sempre state scarse, forse per non intaccare la figura autorevole di un genitore un po' all'antica. Non ricordo che mi abbia mai detto che mi voleva bene, anche se me l'ha dimostrato in mille modi. 
Ma nemmeno io gliel'ho mai detto. 
Questa notte ce lo siamo detti.


13 gennaio 2018

Distinguo.

C'è una grossa ed ovvia differenza fra molestare e corteggiare e credo che la divina  Deneuve faccia una gran confusione equiparando la libertà sessuale con la libertà di importunare. Non so come si comportino quelli che la corteggiano ma io non definirei espressioni di innocente erotismo le palpatine non richieste nella ressa di un tram, le battutine svilenti di un capoufficio o gli assoggettamenti scorretti di chi tiene in mano le carte delle opportunità. Questa non è seduzione, sono solo atteggiamenti più o meno prevaricatori che fanno parte di quella cultura del "provarci sempre e comunque", del "anche se dice no vuol dire sì". Un gioco sporco di chi non sa, o finge di non sapere, qual'è il confine e che non tiene per niente in considerazione una cosa fondamentale: il consenso, indispensabile anche e soprattutto nella libertà sessuale, che altrimenti non sarebbe più tale.
Quello che è vero è che non bisogna mettere tutto sullo stesso piano della bilancia, fare dei distinguo è necessario.
Esiste la violenza sessuale, lo stupro, condannabile senza appello. In questa sfera si esercita chiaramente l'uso brutale della forza fisica, che è un'espressione dell'abuso di potere. Qui la linea di demarcazione è netta, riconoscibilissima, chiara e non ci possono essere malintesi.
Poi c'è un altro abuso di potere, anche questo da considerare con aperta ripugnanza, che è quello esercitato come ricatto sui luoghi di lavoro. Il produttore o il regista che scarta la giovane attrice perché non ha ceduto fa schifo. Il luminare medico che fa cacciare la giovane infermiera precaria. Il super capoufficio che estorce un disgustato sì alla sua segretaria. Il direttore di un supermercato con la cassiera con contratto a tempo determinato. Tutti fanno schifo alla stessa maniera perché ledono il diritto di poter scegliere senza nessun tipo di costrizione e senza temere conseguenze.
Infine c'è quella zona grigia dove la Deneuve si erge impietosita in difesa degli uomini che dicono di sentirsi un po' confusi perché non riescono a capire dov'è il confine fra corteggiamento e molestia. In realtà credo che lo sappiano benissimo, per intuito, sensazione, esperienza. 
Il confine è sempre e solo il consenso. Se arriva un ceffone o una borsettata vuol dire che la mano morta, l'epiteto o i complimenti insistenti non sono graditi e bisogna smetterla. Un sorriso il contrario.
Credo che non ci vogliano dei geni per capirlo. E credo anche che non ci sia bisogno di stilare decaloghi: questo sì, questo no, questo non si dice. Bastano l'intelligenza, l'educazione e il rispetto, in virtù delle quali ciascuno sceglie come e da chi farsi corteggiare ed eventualmente andarci a letto esercitando quella famosa libertà sessuale che non è esattamente essere oggetto passivo di divertimento, triviale o meno che sia, ma soggetto pensante capace di intendere e di volere.

E poi, scusate, ma io sarei anche stanca di sedicenti femministe che usano gli stessi argomenti di Adinolfi. Che si adornano di buone intenzioni e che lo fanno sulla pelle delle altre, cercando di zittire le molte voci delle donne che vogliono semplicemente autodeterminarsi.


10 gennaio 2018

Non basterà il silenzio.

Continuano i naufragi nel Mediterraneo e nessuno ne parla più di tanto. Sì, lo dicono, ma sembra più una statistica che altro, numeri da aggiungere e basta. Come se ci fosse una certa ritrosia nel commentare questo stillicidio, come se ignorarne la gravità potesse sminuirlo, così da sentirne meno la responsabilità. Sì, perché di responsabilità si tratta, e di conseguenze derivate da strategie politiche e commerciali. Ma non mi dilungherò su questo argomento, tutti ne siamo consapevoli e colpevoli, qualcuno più di altri. 
Il pensiero che voglio esprimere è che, guardando negli occhi quelle persone, ci leggo tutta la storia della loro disperazione, le loro speranze tradite e anche la sorpresa, feroce, per la negazione di un diritto elementare: vivere. E mi sento in difetto perché non posso che rendermene conto senza poter fare niente. Quelli che avrebbero il potere di fare qualcosa non si avvicinano nemmeno, non li guardano quegli occhi, la pietà non si addice all'ambizione. Quelli che avrebbero il potere di farlo sono impegnati altrove, a rimescolare interessi e opportunità, a costruire barriere per nascondere ciò che hanno rubato, a seminare l'odio che esce dalla loro pochezza interiore. 
Voglio però consolarmi pensando che tutto questo non si fermerà. Il mondo non si fermerà, non per niente gira in tondo. Tutti siamo migranti, da sempre. Storie e colori si sono fusi e si fonderanno creando sempre nuovi arcobaleni e nuove vite da raccontare. E se non ci fosse chi si oppone al cambiamento non ci sarebbero nemmeno le vittime sacrificali. Dunque rassegnatevi signori del potere, potete ignorarli, speculare su di loro, fingere di essere al sicuro nelle vostre gabbie dorate, ma sappiate che presto o tardi qualcuno le smantellerà. 
Non basteranno il silenzio e le strategie per fermare il cambiamento perché ciò che è semplice evoluzione va avanti da sé e si spiana il cammino, con o senza di noi.