26 aprile 2013

Parlano le cifre, e sono cifre da record!



E non ci sono segnali che possano far pensare ad un cambiamento nel corso del 2013, anzi!
Mi fermo qui, ma se continuassi a spulciare riuscirei sicuramente a trovare altro.
E qualcuno ha ancora il coraggio di parlarmi di politica, di partiti, di persone in grado di pilotare questo evidente naufragio, di salvare questo edificio pericolante? Qualcuno crede ancora che questo sistema possa essere riformato nel suo interno? Chi è l'utopista? Io che credo che si debba ribaltare il tutto o chi continua imperterrito a consumare le proprie energie sulle macerie di ciò che ci ha portato a questa situazione?

25 aprile 2013

25 Aprile: difendiamo quei sogni di democrazia e socialità dal revisionismo, dalla strumentalizzazione e dall’indifferenza.

Oggi è il 25 aprile, una data che ci ricorda quel tempo in cui il Paese uscì dal baratro della dittatura nazifascista, inaugurando una stagione di grande entusiasmo e rigenerazione civili, destinata ad approdare ad una Costituzione tra le più avanzate del mondo. Una data che ci ricorda quei sogni di democrazia e socialità, quell'aspirazione profonda alla pace, al dialogo, all’uguaglianza, alla giustizia. 
E allora prendiamoci cura della memoria di queste donne e uomini della libertà, teniamone in vita virtù e tensione morale, difendiamoli dal revisionismo, dalla strumentalizzazione e dall’indifferenza. E cerchiamo di ritrovare quell’impulso, quel prendersi per mano, con fermezza e intelligenza, per intraprendere sentieri comuni, imprescindibili.
Potremmo rileggere le “Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana”, sono il miglior antidoto all’imbarbarimento politico e sociale. 
Potremmo cercare di far uscire la parte migliore di noi, quella che non cede al disincanto e all'indifferenza, quella che è ancora capace di indignarsi di fronte alla decadenza morale ed alla corruzione diffusa; quella che aspira ad una democrazia vera, fatta di uguaglianza e socialità.
E ancora potremmo riflettere su questa parola tanto usata e tanto abusata: LIBERTA'.

Io stamattina mi sono letta questo: 

Il concetto di libertà nelle idee anarchiche 

Per la filosofia anarchica, la libertà è il tema centrale: da qui viene fuori il termine libertario. Per l'anarchico, la libertà è una conquista vitale e sociale; la questione non è tanto che l'uomo è, per sua natura, libero, ma è che attraverso un cammino, esercita semplicemente la propria libertà in quanto segno distintivo della sua esistenza. Indipendentemente da quello che pensavano gli anarchici del diciannovesimo secolo, l'evoluzione delle idee libertarie mostra una filosofia più vivace che idealistica; il concetto di libertà non è astratto, ma è segnata da una serie di valori concreti, situati in un mondo in costante evoluzione. Nella linea di pensiero di Albert Camus, è l'essere umano, soprattutto nella vita sociale, che riesce (o meno) a dare un senso alla propria esistenza; una vita che è segnata dall'anarchismo, ha un rilascio costante di libertà. Insistiamo sul fatto che questo sforzo, si mostra influenzato da molte forze esterne; da qui, la lotta per la libertà, passa attraverso l'introduzione di una società non repressiva, che permette la sua crescita. Alcuni hanno definito, e non possiamo essere più d'accordo, l'anarchismo come la pratica della liberazione (Forme e tendenze dell'anarchismo, Rene Furth). Non si cade in nessuna ingenuità; se si è consapevoli che l'individuo può cadere, e troppo spesso lo fa, in un'inerzia contraria a tutti gli impegni liberatori, sorge un altro motivo di insistere su un concetto positivo di libertà, oltre che nella costruzione di una partnership con le condizioni per esercitarla.
Come è stato sottolineato più volte, la libertà anarchica non ha nulla a che vedere con quella sostenuta dal liberalismo, più tipica dell'individuo isolato e bisognoso di esercitare lo sfruttamento verso i suoi simili e ad avere un privilegio economico. Si ricordano, ancora una volta, le parole di Bakunin: "La libertà senza socialismo, è per i privilegiati e per l'ingiustizia; il socialismo senza libertà, è schiavitù e brutalità." Prima di allora, Proudhon stesso disse che la libertà isolata, senza nessuna vita sociale, avrebbe prodotto una "società basata su un qualsiasi altro sistema." La libertà nell'anarchismo è strettamente legata alla solidarietà, al sostegno reciproco, alla libertà personale, all'autonomia individuale, evitando qualsiasi coercizione e ricordando costantemente la necessità per la vita comunitaria. Inoltre, solo la pratica della libertà crea più libertà, in modo che qualsiasi sistema autoritario diventi incompatibile con l'anarchismo. Pertanto, la filosofia anarchica respinge sia l'individuo isolato che tutte le forme di totalitarismo e autoritarie.
"Nulla è più pericoloso per la moralità privata dell'uomo che ha l'abitudine di comandare. L'uomo migliore, il più intelligente, il più disinteressato, il più generoso, il più puro, sarà rovinato molto prima dal comando. Ci sono due sensazioni inerenti al potere che non possiamo ignorare nel creare questa demoralizzazione: il disprezzo per le masse popolari e l'esagerazione dei propri meriti. Il potere e l'abitudine del comando, fanno diventare gli uomini -anche i più intelligenti e virtuosi, una fonte del male intellettuale e morale." (Bakunin)
La libertà per l'anarchismo, in definitiva, si realizza nella vita sociale. Altri concetti vengono esercitati in piena solidarietà, col sostegno reciproco e il libero contratto. "Io non sono veramente libero fino a quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non saranno ugualmente liberi. La libertà è una condizione necessaria. Io non sono veramente libero se non attraverso la libertà degli altri; la libertà degli uomini liberi che mi circondano, aumenterà sempre più la mia. Al contrario, la riduzione in schiavitù degli uomini, metterà una barriera alla mia libertà, o, che è lo stesso, la sua bestialità sarà una negazione della mia umanità. La libertà, poi, è cosa molto complessa, e soprattutto eminentemente sociale, perché solo nella società e all'interno dell'uguaglianza solidale di ciascuno, può avvenire ciò." (Bakunin)
Anticipando quella che più tardi sarà la psicologia sociale, Bakunin ci ricorda che "ogni uomo che si conosce e con cui ci si associa, direttamente o indirettamente, determina il nostro essere più profondo, oltre a contribuire a fare quello che sei, a costruire la nostra personalità" .
La libertà implica, così evidente nell'anarchismo, l'uguaglianza. L'uguaglianza non è, ovviamente, l'uniformità: anzi, è l'accettazione della diversità e della complessità che porta alla negazione di qualsiasi Stato. Contro le proposte liberali, formali e infine vuote, la libertà anarchica si realizza insieme ad altri individui e in modo efficace; la nostra autonomia implica gli altri, come in un concerto in cui i musicisti cercano di accordarsi tra loro senza che ogni membro perda la proprialibertà individuale. La filosofia anarchica, come ci ricorda Herbert Read (Anarchia e ordine), non è essenzialista, non parte da alcun punto di partenza; come già detto, la libertà dell'essere umano è una possibile condizione della sua esistenza; l'individuo ha la responsabilità di portarla avanti. Insistiamo sulla pragmaticità della filosofia anarchica. La scelta della libertà come parte fondamentale delle proposte poste dall'anarchismo, ha una base più profonda e solida delle teorie politiche moderne. Si può capire l'idea della libertà nell'anarchismo grazie a molti altri concetti: l'uguaglianza, la pluralità, l'autonomia, l'educazione, la solidarietà come fattore di coesione sociale o lo spazio pubblico come dialogo e confronto.
In questa breve rassegna del concetto della libertà nell'anarchia, citiamo Stirner, ma ricordiamo la sua difficile sistemazione nella filosofia anarchica. Il suo individualismo estremo, la sua esaltazione della libertà come una forza vitale in assoluto, sicuramente lo fa cadere in qualche modo all'irrazionalismo -cosa che la stragrande maggioranza dei pensatori anarchici si oppone. Però, la sua pretesa della sovranità individuale e della lotta contro tutte le astrazioni e trascendentismi, si riflettono nella sua opera spettacolare "L'unico e la sua proprietà". Per le idee anarchiche, almeno per la maggior parte, l'essere umano è essenzialmente sociale e solo nella società può essere libero o schiavo, altrettanto felice o infelice. Il sempre pragmatico Malatesta scriveva: "Pertanto, invece di puntare ad una autonomia nominale e impossibile, si dovrebbe cercare le condizioni della propria libertà e felicità in conformità con gli altri uomini, modificando in comune accordo se non si è d'accordo." 
La società libertaria, manco a dirlo, è contingente e non il risultato di una legge naturale. E questo significa che è possibile crearla o meno, a secondo delle decisioni degli esseri umani; Malatesta, parafrasò Bakunin quando scriveva: "la libertà di un individuo non è il limite, ma è il completamento di essa con gli altri". Considerando questa affermazione come una bella aspirazione; ma dobbiamo ricordare, tuttavia, la complessità e la pluralità della vita sociale, in modo che i gusti e le esigenze degli altri, spesso rappresentino un ostacolo ai nostri desideri.  
Si tratta di una rivendicazione della necessità di un accordo reciproco e della comprensione dei potenziali conflitti e delusioni che, indubbiamente, esistono anche in una società libertaria.

 

21 aprile 2013

360 anni e non sentirli.

Sono parole riferite a un’altra realtà storica, quelle del durissimo discorso del leader repubblicano Oliver Cromwell pronunciato alla Camera dei Comuni il 20 aprile 1653 – esattamente 360 anni fa - in polemica con il Parlamento creato dopo l'abbattimento della monarchia per opera dello stesso Cromwell. Chiudiamo gli occhi e pronunciamo il discorso a Camere riunite in Italia nel 2013, indirizzandolo agli autori del patto di potere che ha rieletto Napolitano, e sentiamo come suonano le frasi.

«È tempo per me di fare qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo fa: mettere fine alla vostra permanenza in questo posto, che voi avete disonorato disprezzandone tutte le virtù e profanato con la pratica di ogni vizio; siete un gruppo fazioso, nemici del buon governo, banda di miserabili mercenari, scambiereste il vostro Paese con Esaù per un piatto di lenticchie; come Giuda, tradireste il vostro Dio per pochi spiccioli.
Avete conservato almeno una virtù? C'è almeno un vizio che non avete preso? Il mio cavallo crede più di voi; l'oro è il vostro Dio; chi fra voi non baratterebbe la propria coscienza in cambio di soldi? È rimasto qualcuno a cui almeno interessa il bene del Commonwealth?
Voi, sporche prostitute, non avete forse sporcato questo sacro luogo, trasformato il tempio del Signore in una tana di lupi con i vostri principi immorali e atti malvagi? Siete diventati intollerabilmente odiosi per l'intera nazione; il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie, siete voi ora l'ingiustizia! Ora basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave. In nome di Dio, andatevene!».

di Oliver Cromwell, 20 aprile 1653.

I giochi sono fatti...

Ho troppi anni per dire fino in fondo quello che penso. Se non si ha la forza fisica per dar seguito coerente a ciò che si pensa, non si può che star zitti. Auguro ai giovani di trovare la via della dignità. Io mi ritengo sconfitta. Colpevolmente sconfitta. Non cerco scuse e domando scusa.


“I partiti sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”. (Enrico BERLINGUER)


"Il cambiamento
di Marco Cedolin.
Ci sono voluti quasi due mesi, dopo le elezioni di febbraio, per condurre l'Italia al punto d'incontro con il secondo golpe, promesso da Napolitano e da Monti a tutti i poteri forti internazionali alla vigilia della campagna elettorale.
In molti si supponeva che saremmo giunti al nuovo colpo di stato, attraverso le ire dei mercati ed il progredire dello spread, invece la strada scelta è stata di tutt'altra natura. Bersani e Berlusconi hanno di fatto menato per il naso gli italiani che li hanno votati, attraverso due mesi di teatrino tanto folkloristico e disordinato, quanto mirato ad ottenere l'effetto voluto. Il primo ostinandosi fintamente ad inseguire l'appoggio di Beppe Grillo, pur sapendo bene che mancava qualsiasi spazio per ottenerlo. Il secondo cavalcando l'affondamento dell'Italia (quasi le colpe del disastro fossero di un evento tellurico) ed inseguendo Bersani, fingendo di volerlo abbracciare stretto.
PD e PDL hanno passato il tempo cianciando di cambiamento e chiamando i propri elettori a manifestazioni farsa, fino ad arrivare al momento dell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica.....
 
Giunti al punto concordato, Bersani, pur avendo la possibilità di fare eleggere fin dalla prima votazione un uomo del suo partito, nella persona di Stefano Rodotà, proposto molto generosamente da Beppe Grillo, unitamente alla promessa di quell'apertura in chiave nuovo governo a lungo (fintamente) agognata, ha detto di NO, preferendo proporre Marini con il gradimento di Berlusconi. Giunto alla quarta votazione, quando Marini avrebbe avuto i voti per venire eletto, essendo scesa la soglia, ha detto di NO anche a Marini, preferendo riesumare il cadavere politico di Romano Prodi, uno dei pochi uomini invisi a Berlusconi e pertanto destinabile a venire bruciato, mancando l'appoggio del PDL e del partito di Monti.

A questo punto i giochi erano fatti, per giustificare l'avvento del golpe. Tutti i partiti (a parte Grillo ovviamente) in fila alla corte di Giorgio Napolitano, per incoronarlo alla guida del secondo colpo di stato, così come imponevano i dettami della troika e dell'amministrazione Obama.
Basta dissidi, basta veti incrociati, basta franchi tiratori, basta distinguo, basta presidi a comando davanti a Montecitorio, basta polemiche. Tutti uniti, felici e soddisfatti, nel nome del nuovo che avanza e garantirà all'Italia un futuro prospero, sulla falsariga di quanto sperimentato negli ultimi anni.

Molto (ma proprio molto) presto anche la formazione del nuovo governo non sarà più un problema. Nessuno parlerà più di elezioni, nessuno si sentirà in difetto ad abbracciare il proprio avversario politico, nessuno si sognerà di creare problemi. Napolitano nominerà Giuliano Amato alla guida di un nuovo governo delle banche, sulla falsariga di quello guidato da Monti e tutto sarà pronto per le nuove tasse, i nuovi licenziamenti, i nuovi suicidi ed il nuovo crollo del paese.

Il cambiamento arriva a grandi passi, attenti a non rimanere disorientati. E Beppe Grillo? Fino all'ultima votazione il movimento 5 stelle ha continuato a sostenere il nome (condivisibile o meno) di Stefano Rodotà, ma a detta della vulgata si tratterebbe di un partito incoerente, inesperto e privo di senso di responsabilità. Buona parte della colpa di quanto accaduto verrà attribuita a lui. Voleva il cambiamento e ora che Napolitano viene ad incarnarlo non si sente in dovere di appoggiarlo? Vergogna!

17 aprile 2013

Stanchezza.

Sono stanca, fisicamente e mentalmente. La lotta quotidiana per la sopravvivenza sta consumando parecchie delle mie energie e, tra le altre cose, non riesco più nemmeno a prendermi cura di questo spazio come mi piacerebbe. Non che sia così importante, ma fa parte di quei piccoli piaceri che non mi posso più concedere. Il tempo che posso dedicargli è ridotto al minimo, giusto quello di prendere il mio solito abbondante caffè mattutino. Poi via, la casa, il lavoro, il secondo lavoro. Tutto per sopravvivere, perchè non è vivere questo. E spesso mi chiedo se ne valga davvero la pena e quale sia lo scopo di tutto questo. Fino a che c'era mio padre dovevo sostenerlo, aiutarlo, curarlo, lui contava su di me e non potevo certo sottrarmi. Ma ora? I miei figli sono adulti e, per fortuna, indipendenti. Ora devo pensare solo a me stessa (che culo direbbe qualcuno!!!), ma proprio per questo non riesco a trovare il senso di tanta fatica per racimolare quello che mi serve, oltretutto accettando di lavorare per una miseria e lasciandomi sfruttare. Non ne sto facendo una questione politica, anche se quella c'entra sempre e comunque, sto semplicemente riflettendo sulla necessità di tutto questo: devo lavorare, accettare ricatti e ringraziare per avere un minimo di sicurezza. Sicurezza che mi serve per andare avanti fino ad una pensione da fame che non mi permetterà comunque un'esistenza dignitosa. Mi devo privare di quasi tutto quello che rende bella la vita perchè i piccoli piaceri che contribuiscono ad alleggerirla costano, costano tempo e denaro, ed io ho poco dell'uno e dell'altro, senza avere grosse speranze che tutto questo possa cambiare. 
E allora? Lo scopo dov'è? Sono consapevole che c'è gente messa peggio, io un pò di lavoro ce l'ho e posso ancora permettermi le sigarette, ma....poi?

16 aprile 2013

Il Two Pack: l’ultimo atto della dittatura europea.

La notizia è di qualche settimana fa, dei giorni precedenti le elezioni del 23 e 24 febbraio, ma non avendo goduto del giusto risalto nella stampa nazionale, ritengo sia utile riproporla e approfondire il tema, anche in considerazioni  delle implicazioni che determinerà sul piano del controllo sui bilanci nazionali da parte degli organismi europei, e quindi sull’ulteriore cessione di sovranità nazionale.

Non deve stupire affatto se, in Italia, la notizia relativa l’approvazione del TWO PACK  non abbia trovato il giusto risalto, e ciò per un  motivo tanto ovvio quanto inquietante. In effetti, da lì a poco, si sarebbero celebrate le elezioni politiche nazionali e, stando al  serpeggiare di sentimenti contrari alle politiche europee, annunciare nel clou della campagna elettorale l’approvazione del TWO PACK, sarebbe stato elemento di maggiore destabilizzazione del consenso elettorale, proprio in quei partiti a connotazione fortemente europeista.   Ma questo è il livello dell’informazione italiana con il quale ci dobbiamo confrontare, e non possiamo che prenderne atto e trarre le dovute considerazioni.

Ad ogni buon conto, ritornando al tema che ci occupa, avrete ben compreso che qualche settimana fa è stato trovato l’accordo  tra Parlamento Europeo, Consiglio e Commissione Europea  sull’istituto del TWO PACK -successivamente approvato dal  Parlamento Europeo nei giorni scorsi- che mira ad introdurre nuove misure sul controllo e sulla sorveglianza dei bilanci nazionali. In buona sostanza  si tratta di un pacchetto normativo composto da due regolamenti volti a rafforzare il coordinamento delle politiche fiscali dei paesi dell’Eurozona. Invero, il primo recepisce misure speciali per il monitoraggio  e la valutazione delle politiche economiche degli Stati alle prese con deficit eccessivi. Mentre il secondo tende a fissare i criteri d’intervento verso quegli Stati in difficoltà finanziaria.

In particolare, queste nuove misure,  obbligheranno i singoli governi nazionali a presentare alla Commissione Europea, entro il 15 ottobre  di ciascun anno e prima dell’approvazione da parte dei singoli parlamenti nazionali, le rispettive manovre di finanza pubblica al fine di consentire di verificare il rispetto degli impegni presi con le autorità europee nei primi sei mesi dell’anno (il così detto semestre europeo). In caso di mancato o carente rispetto degli accordi sottoscritti, la commissione europea potrà chiederne la modifica, seppur in assenza  di diritto di veto. Nel caso in cui il paese dovesse disattendere le raccomandazioni, oltre a subire azioni legali, potrà incorrere in  procedure per deficit eccessivo e nel caso anche in sanzioni economiche.

Inoltre, sempre la Commissione Europea (organo autoreferenziale privo di qualsiasi investitura democratica) potrà mettere sotto stretta sorveglianza i Paesi “minacciati da difficoltà finanziarie”, obbligando governi a colmare e redimere  le cause strutturali, sottoponendo il proprio operato a controlli trimestrali stringenti da parte di una taskforce dedicata. E qui, la mente tende subito ad evocare quanto è accaduto in Grecia in questi 3 anni, ma non solo.
Riassumendo, potremmo agevolmente affermare che il Two Pack costituisce un'ulteriore cessione di pezzi di sovranità nazionale verso strutture non elette ed autoreferenziali, in assenza di qualsiasi criterio solidaristico, di mutualità e senza alcuna contropartita.

Il TWO PACK, insieme al FISCAL COMPACT e al MES approvati appena un anno fa e al trattato di Lisbona, costituiscono (al momento) i principali strumenti di compressione della sovranità dei singoli stati, in nome della realizzazione di procedure di convergenze di politiche fiscali ed economiche dei paesi dell’Eurozona, secondo gli eurocrati, propedeutiche a colmare le divergenze strutturali delle varie economie europee.

Il FISCAL COMPACT, ad esempio, impone agli Stati appartenenti all’Eurozona il raggiungimento del c.d. pareggio di bilancio,  connotando tale pareggio non oltre un disavanzo strutturale del -0,5%, depurato  dagli effetti determinati di eventuali recessioni. Inoltre, il F.C., impone agli stati la riduzione dell’indebitamento di almeno 1/20 all’anno, per la parte eccedente il 60% del rapporto debito/pil, fino a convergere al livello previsto dal trattato di Maastricht, individuato, appunto, al 60%.
Tanto per offrirvi una banale idea dell’impatto che il Fiscal Compact potrebbe avere sulla nostra economia già alle prese con una profonda recessione, posto che il PIL è di circa 1500 miliardi di euro, se ne deduce che il limite massimo di indebitamento consentito dal trattato di Maastricht, allo stato attuale, sia di 900 miliardi (il 60% di 1500), e che l’Italia, avrebbe un eccesso di indebitamente di oltre 1100 miliardi da sanare entro i prossimi 20 anni. Quindi,  circa 50 miliardi all’anno, in assenza di una crescita significativa del Pil tale da avvicinare il rapporto debito Pil al 60% indicato nei trattati. Come, vi chiederete? O aumentando il proprio PIL tale da ridurre il rapporto debito/Pil che tenderebbe a convergere verso quel 60% indicato, oppure ridurre l’indebitamento, ossia rimborsando il debito pubblico.
Arrivando al MES, meglio noto come  fondo salva stati, altro non è che uno strumento attraverso il quale gli stati in difficoltà possono richiedere aiuti finanziari, cedendo, in cambio, sovranità nazionale ad organismi del tutto estranei a qualsiasi investitura democratica.

In un contesto come quello appena enunciato accade che i governi alle prese con la necessità di finanziare i debiti pubblici e al contempo ridurli entro parametri stabiliti dai trattati, in assenza di crescita economica che appare del tutto irrealizzabile negli obiettivi prefissati, dovranno verosimilmente invocare gli interventi di sostegno del fondo salva stati, cedendo sovranità nazionale ad un gruppo di oligarchi al soldo dei banchieri di mezzo mondo.

15 aprile 2013

Cancellare il Precariato, Si Può Fare!

di Peppe Carpentieri.
Come ho scritto diverse volte per vivere da esseri umani bisogna cambiare paradigma culturale ed anche sul tema del lavoro è necessario ribaltare schemi mentali obsoleti e sbagliati che hanno distrutto la società. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla cronicizzazione dei livelli di disoccupazione e l’introduzione del precariato. Per introdurre forme legalizzate di schiavitù la scusa dei Governi, sotto dettatura delle SpA, è stata la ripetizione ossessiva nei media e nelle scuole circa un dogma religioso: “aumentare la competitività nei mercati globali“, etc.
Quasi tutti abbiamo perso di vista il vero obiettivo del lavoro: soddisfare un bisogno umano, cioè l’opposto dei dogmi finanziari delle SpA: massimizzare i profitti, avidità, materialismo, consumismo compulsivo, inquinamento, schiavitù e insicurezza economica. L’obiettivo di una società normale è banale: garantire la piena occupazione attraverso impieghi socialmente utili. Ripeto: garantire la piena occupazione. Le comunità, la società hanno tutti i mezzi per mettere in condizione ogni cittadino di poter scegliere di lavorare secondo le proprie possibilità garantendo un congruo compenso rispetto all’attuale costo della vita, si può fare e non esiste alcun problema economico, è sufficiente applicare la sovranità monetaria ed avere un equilibrio fra domanda e offerta.
Per raggiungere questo obiettivo bisogna cancellare le forme contrattuali di precariato introducendo un contratto unico nazionale, uguale per tutti gli impieghi pubblici e privati. Ogni cittadino deve ricevere uno stipendio dignitoso con tutte le garanzie previdenziali e infortunistiche ed esser sottoposto ad una verifica annuale dopo i primi anni di lavoro. Per i successivi anni la verifica potrebbe essere ogni cinque anni. In questo modo non si perderà lo stimolo per aggiornarsi, e si tenta di prevenire fenomeni degradanti di lassismo e di sfruttamento dello Stato. Ci saranno solo contratti a tempo indeterminato, ma con la possibilità di esser spostati, ogni cinque, sei o sette anni, in casi particolari: “licenziamento” e re-impiego in ambiti lavorativi completamente differenti. La verifica è uno strumento utile allo Stato per sostituire il lavoratore dipendente che non sia idoneo per l’impiego che riteneva di poter sostenere, e prendere provvedimenti per aiutarlo in tutti sensi: un consiglio, un aggiornamento professionale o un altro impiego. In questo modo si ribaltano due dogmi sbagliati del mondo del pubblico impiego: precarizzazione a vita e posto pubblico garantito a vita.

Incertezza economica a vita e scarsa qualità della vita. Il punto di partenza di questa semplice proposta ribalta un’obsoleta convinzione, non sono i soldi che qualificano il lavoro, ma le capacità creative ed operative dell’individuo. E’ dimostrabile che manager pubblici e privati anche se pagati profumatamente prendono decisioni sbagliate, ed è riscontrabile che un impiegato sottopagato rispetto al costo della vita lavora male poiché stressato. E’ banale pensare che trovare un punto di equilibrio fra giusto reddito e impiego sia possibile, creando un mondo del lavoro realmente più efficiente uscendo dall’obsoleta competitività.
Ribaltando i dogmi obsoleti bisogna puntare a dare certezza economica a chi lavora ed a chi verifica il lavoro per “licenziare” o premiare. Allo stesso tempo dovrebbe essere obbligatorio garantire un impiego a chi viene sostituito sempre con gli stessi livelli di reddito, con le medesime garanzie contrattuali (previdenza e infortunistica). Nella sostanza un cittadino nel corso della vita può svolgere diversi impieghi garantendo alti livelli lavorativi, e chi invece ha problemi di inserimento potrà risolverli trovando nel tempo l’impiego più idoneo per lui, in quest’ottica il cittadino è al centro della pianificazione politica e non più il reddito. Perseverando su questo ragionamento emergerà una nuova realtà sociale, chi avrà buona volontà troverà l’impiego che ambisce e potrà avere un reddito sufficiente a vivere in armonia con la natura, mentre chi non avrà buona volontà dovrà adattarsi e cambiare il proprio schema mentale perché non si troverà in condizioni di degrado, ma si troverà in una società virtuosa ove ognuno sarà felice e soddisfatto in ciò che fa e per tanto, prima o poi, si troverà nella condizione di dover crescere partendo da se stesso. Oggi il disoccupato è emarginato perché non ha reddito, pensateci è il reddito che compie una selezione e non le capacità dell’individuo perché non siamo abituati a valutare i singoli, anziché dare loro opportunità di sbagliare e di crescere, mentre usiamo ancora criteri valutativi e selettivi obsoleti. Ribaltando gli schemi accadrà che le capacità degli individui, indipendentemente dal reddito, circa lo svolgimento di attività socialmente utili si compieranno le scelte, mentre attraverso l’esperienza i singoli matureranno, e le comunità cresceranno grazie alla creatività degli stessi.
I gruppi che funzionano stanno adottando altri criteri valutativi e selettivi, non più competitivi, ma cooperativi, collaborativi, basati sulle scambio gratuito delle conoscenze e delle esperienze. Si adottano sistemi di verifica delle esperienze su criteri realmente qualitativi, ed il dialogo occupa una parte importante del gruppo, della comunità, della società. I casi Eternit e Ilva stanno dimostrando la validità della teoria bioeconomica, e mostrano al mondo itero gli errori della religione neoliberista, dell’avidità come sistema “sociale”, mentre un’evoluzione tecnologica a servizio dell’umanità consapevole dei limiti della Terra, e consapevole circa le reali capacità umane, dunque, consente di ripensare una società diversa da quella odierna, uscendo dall’obsoleto modello industriale entrando nella “prosperanza“. Oggi il grande numero di disoccupati è dovuto all’impiego di nuove tecnologie nell’industria che ha sostituito l’uomo con le macchine e grazie alla globalizzazione che sfrutta i vantaggi monetari della delocalizzazione (fine di un’epoca). Nell’affrontare entrambi i problemi è comunque ragionevole ritenere che, con le conoscenze attuali sia impensabile e inaccettabile credere in un ritorno ai grandi numeri di lavoratori dipendenti nel settore industriale. Bisogna accettare il fatto che la tecnologia libera l’uomo da mansioni che possono fare i robot, mentre la società deve garantire ugualmente un reddito a tutti gli individui (la sfida di oggi), col vantaggio sociale di ideare nuovi impieghi che soddisfano meglio i reali bisogni umani.
E’ ragionevole credere che si avrà più tempo libero per stare insieme alle persone che si amano e percepire comunque un reddito dignitoso. E’ ragionevole ritornare a vivere in piccoli centri ed occuparsi di agricoltura con tecniche naturali, e lavorare ugualmente nel settore dei servizi – telelavoro – o nell’artigianato. Esistono numerose e nuove opportunità per avere un’esistenza migliore di quella odierna, ma prima di tutto è doveroso sostituire l’intera classe dirigente con una nuova, diversa e consapevole di dover cambiare paradigma culturale perché l’elite attuale non ha interessi nel mutare lo status quo. 
 

12 aprile 2013

Forse da qualche parte...

Ragazzo,
senti il rumore del tuono?
forse da qualche parte un uomo sta lottando.
Lotta per te, per me, per tutti,
ma pochi sanno dirgli grazie......
Ragazzo,
senti lo stillicidio della pioggia?
forse da qualche parte
una vita si sta spegnendo
e questa pioggia è l'eco di un lontano dolore....
Ragazzo,
senti il peso di questo improvviso silenzio?
forse da qualche parte un uomo è stato vinto,
fucili di venduti fratelli
gli hanno impedito di gridare "Libertà!".
Ragazzo,
il dolore di uno
dovrebbe essere il dolore di tutti
e non è giusto che
mentre tu piangi
altri ridono
e mentre tu ridi
altrove altri si disperano.
Ragazzo,
al prossimo tuono
non spaventarti,
alla prossima pioggia
non chiudere la tua finestra,
al prossimo silenzio
mettiti a gridare con rabbia!


Horst Fantazzini


(ricordando Del Padrone, ragazzo di vent'anni fucilato alle Murate)

Sisma Emilia: la ricostruzione resta un miraggio e le imprese edili chiudono.

Sembra un paradosso che in un territorio colpito dal terremoto, dove secondo dati ufficiali sono oltre 30,000 gli edifici danneggiati, chiudano le imprese edili locali e i magazzini di materiali licenzino gli operai. A quasi un anno dagli eventi sismici, è proprio questa è la cruda realtà.
Ma andiamo per gradi. Secondo la struttura commissariale, tutti i problemi della Bassa sembravano risolti dopo l’approvazione del rimborso al 100% da parte del governo, dopo le modifiche delle ordinanze da parte del commissario Errani e dopo l’arrivo dei 6 miliardi della Cassa Depositi Prestiti. Nei fatti, ad oggi la ricostruzione rimane un miraggio.
Nelle settimane precedenti le elezioni politiche, un susseguirsi di annunci voleva farci credere che la macchina della ricostruzione era finalmente partita, che non dovevamo più protestare e che ormai tutto era risolto (quante volte abbiamo sentito questa frase...). Poi il voto e sulla Bassa è tornato il silenzio!!!
Ora, sfogliando i giornali, assistiamo al carosello del “rimbalzo delle responsabilità”. Per i partiti di opposizione la colpa è dei Sindaci del PD, per i Sindaci la colpa è delle banche, per le banche sono le ordinanze che bloccano tutto e per la Regione è colpa dei terremotati che non presentano le pratiche… A subire il tragicomico carosello sono i cittadini con le loro macerie, la loro solitudine e le mille difficoltà.
Gli unici che stanno di fatto ricostruendo sono coloro (privati o aziende) i quali possiedono un cospicuo patrimonio che gli permette di anticipare le spese per pagare i tecnici e le impresi edili.
Secondo la teoria delle ordinanze, per ottenere la cambiale Errani e partire con i lavori basterebbe avere il progetto approvato (situazione tutt’altro che facile da raggiungere, ma questo è un altro problema). Dopodiché, i soldi verrebbero trasferiti all’impresa parallelamente al procedere dei lavori. Tutto ciò rimane però ancorato ad un piano teorico, mentre la realtà è molto diversa. Infatti, nella maggior parte dei casi i tecnici chiedono un acconto per mettere mano alle montagne di carte da compilare, ma soprattutto non ci sono imprese edili in grado di anticipare le spese per i materiali e per la mano d’opera, in attesa del primo rimborso. Queste criticità creano un corto circuito che ci consegna una realtà inquietante: la ricostruzione è ad oggi solo un miraggio!!!
Come scrivemmo già diversi mesi fa, anche le catastrofi naturali hanno una connotazione “di classe”. E infatti, i lavori di ricostruzione li hanno già iniziati quei terremotati che disponevano di una certa liquidità oppure chi si è affidato ad imprese, spesso non locali, anche esse dotate di capitali e disposte ad anticipare le spese. Peccato che, in questo periodo di crisi, le aziende in grado di anticipare soldi usino spesso denaro riciclato e siano legate alla malavita organizzata. Dunque, le tante parole spese dalle Istituzioni contro le infiltrazioni mafiose rimangono vuote, considerando che la Camorra è già ben radicata sul territorio.
Ma di chi è la responsabilità di questa situazione? Sembra che non sia di nessuno. La Regione è stata a suo dire bravissima a gestire la situazione post-sismica, ma al tempo stesso le banche non sanno cosa fare perchè non si possono permettere di anticipare soldi ad imprese che nel caso di una minima irregolarità perderebbero il diritto al contributo.
E’ evidente come il divario tra la versione sostenuta dalla Regione e la realtà che vivono i terremotati sia enorme. D’altronde sono decenni che la classe politica non capisce le esigenze concrete dei cittadini nei loro territori. Eppure sembra proprio che questo corto circuito sìa stato studiato opportunamente, in quanto funzionale ad una sostanziale scrematura delle persone da rimborsare. Non è un caso che da un anno ci ripetano che in un periodo di crisi non si possono avanzare richieste troppo esose. In sintesi, si vorrebbe far ricadere sui cittadini tutte le problematiche legate al sisma, mentre i mercati, le banche e gli speculatori continuano indisturbati ad attuare i loro piani.
E se la Bassa terremotata non fosse d’accordo?

http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabenicomuni/item/7449-sisma-emilia-la-ricostruzione-resta-un-miraggio-e-le-imprese-edili-chiudono

Mens sana in corpore sano.

di Marco Cedolin
Nella società del “progresso” che ama cibarsi di stress, di competizione e di sogni venduti un tanto al chilo al mercato delle illusioni, il concetto di salute è un qualcosa di molto relativo i cui contorni spesso sono destinati a perdersi nell’imponderabile. Quando si parla di salute, generalmente lo si fa sotto forma di business, in funzione della presenza di una malattia che necessita di essere curata tramite la terapia farmacologica o quella chirurgica.
Nel mondo del mercato anche la salute trasmuta allo stato di merce, con annesso codice a barre che ne identifica il prezzo. Una merce di fatto molto rara che i nostri ritmi di vita e le nostre abitudini contribuiscono in maniera significativa ad annientare.....
Viviamo costantemente immersi in una cacofonia di stimoli indotti che minano in profondità il nostro equilibrio nervoso, producendo ansia, paura di non farcela e tensioni emotive di varia natura esacerbate all’inverosimile. Spesso all’interno di agglomerati urbani dove impazza il traffico automobilistico, l’aria è irrespirabile e tanto l’asfalto quanto il cemento risultano presenze immanenti che ci avvolgono fra le proprie spire.
Mangiamo cibo spazzatura, profondamente artefatto e di derivazione industriale e spesso pranziamo in maniera disordinata, nel corso di pause faticosamente ritagliate all’interno delle nostre giornate. Molte volte in piedi, in maniera automatica, senza alcun entusiasmo e alcun piacere.
La sedentarietà è diventata la nostra compagna più fedele. Seduti in macchina per andare al lavoro, seduti al pc durante la giornata lavorativa, seduti davanti alla TV la sera e poi ancora seduti in auto durante il weekend, per andare al centro commerciale a fare shopping, al mare a coricarci in spiaggia, o semplicemente a fare un giro in macchina.
Generalmente non troviamo il tempo per fare sport, ma quando accade il contrario anche lo sport viene troppo spesso interpretato in maniera distorta, rivelandosi molto più funzionale al business piuttosto che non alla nostra salute. Pratichiamo lo sport come si trattasse di un dovere più che di un piacere, spesso con l’unico scopo di perdere i chili di troppo e molte volte lo facciamo al termine d’intense giornate lavorative, quando il nostro corpo è troppo stanco.
Da quando suona la sveglia al mattino a quando la notte ci corichiamo, non facciamo altro che calpestare la nostra salute psicofisica, nonostante essa costituisca il bene più caro di cui disponiamo.
Per preservarla o recuperarne l’integrità è necessario innanzitutto cambiare noi stessi. La salute non è una merce che si può acquistare al supermercato, ma la parte più preziosa di noi che resterà tale solamente se sceglieremo di portarle rispetto. Quel rispetto che implica uno stile di vita profondamente differente da quello imposto dalla società del “progresso”, applicando il quale potremmo avere la grande sorpresa di ritrovare, oltre alla salute, anche quella gioia di vivere ormai da troppo tempo dimenticata.

10 aprile 2013

Ricominciare dopo il collasso.

E’ da tempo che diversi economisti non asserviti al sistema sostengono che le politiche di austerità adottate prima dal governo Berlusconi e poi da Monti avrebbero sortito gli stessi effetti di quelle imposte dalla cosiddetta Trojka alla Grecia. Ed è da più di un anno che Monti si vanta invece di aver evitato al nostro paese lo stesso destino grazie alle misure del suo governo, che però sono in gran parte le stesse imposte alla Grecia. Chi ha ragione?
La disoccupazione, la cassa integrazione e il precariato in continua crescita, i redditi da lavoro e i consumi in continua contrazione, le aziende che chiudono una dopo l’altra, il loro know-how che si disperde o emigra all’estero, i loro mercati che si dileguano, i principali gruppi industriali in disarmo, il welfare che si contrae sia a livello statale che municipale, la miseria che avanza, la scuola che avvizzisce, la ricerca che emigra, l’ambiente che si degrada, la burocrazia che si avvita su se stessa, l’ingorgo legislativo, la politica in stallo rendono evidente che l’Italia ha ormai toccato un punto di non ritorno.
Forse che, se domani venissero varate misure economiche di sostegno, come quelle invocate dagli economisti non di regime una spesa pubblica più espansiva, un credito più abbondante, un ribasso dei tassi, un nuovo programma di lavori pubblici, un sostegno alla ricerca (tutte cose peraltro incompatibili con gli accordi imposti da Ue e Bce e sottoscritti dal governo Monti e da tutti i partiti che l’hanno sostenuto), allora la macchina produttiva riprenderebbe a funzionare come prima?
Cioè, le fabbriche e i cantieri chiusi riaprirebbero, gli operai licenziati tornerebbero in azienda, i precari verrebbero stabilizzati, i disoccupati assunti, la scuola ricomincerebbe a funzionare, l’ambiente si risanerebbe, la burocrazia si sbloccherebbe e la politica rinsavirebbe? No, quello che si è dissolto è perso per sempre.
Per capire le dimensioni del disastro basta pensare a questo: il 38 per cento di giovani disoccupati (per non parlare dei precari e degli scoraggiati) troverà lavoro tra qualche anno? No. Allora, e già in parte ora, saranno un 38 per cento di disoccupati adulti (e magari, per questo, anche senza casa e famiglia); e tra qualche anno ancora, non il 38 per cento, ma molto di più, di anziani senza lavoro, senza pensione e in miseria assoluta. Un intero sistema economico, e con esso un intero modello produttivo, è giunto al collasso, e in parte vi è stato portato dalle sue classi dirigenti. Sia quella politica che quelle del mondo finanziario e imprenditoriale, che della classe politica sono state i padrini e i padroni; per non parlare della classe accademica… Per risollevare il paese ci vuole non solo il ripudio dei vincoli finanziari imposti dalla Bce, e con essi di buona parte del debito pubblico sia di quello ufficiale che di quello sommerso, che emergerà nei prossimi anni – ma anche e soprattutto un nuovo modello produttivo, interamente impegnato nella conversione ecologica: l’unica capace di futuro, di creare lavoro vero, cioè utile e non distruttivo e con esso redditi e condizioni di vita meno diseguali – e di recuperare quanto resta del know-how, delle professionalità e del patrimonio impiantistico dell’apparato produttivo. Ma l’attuale classe dirigente, sia politica che imprenditoriale, non è assolutamente in grado di e meno che mai interessata a guidare un processo del genere. E una nuova classe dirigente in grado di farlo non è in vista. Quella attuale, ben rappresentata dai dieci “saggi” scelti da Napolitano per perpetuare lo stallo politico in atto e per continuare a imporre Monti, ovvero la politica di Monti dimostra che a raschiare il fondo del barile non ne esce che melma (c’è tra i “saggi” persino uno che sostiene che Ruby è la nipote di Mubarak e il principe degli statistici che non è capace di calcolare l’allineamento degli stipendi dei parlamentari italiani a quelli europei: abbastanza per vergognarsi di far parte della comitiva, per chi non è della stessa stoffa; e per essere contenti che tra loro non ci sia neanche una donna).
Ma non lascia molte speranze neanche la nuova classe dirigente, quella giunta in Parlamento con il movimento cinque stelle e con i “giovani turchi” del Pd (ma che nome è? Non si tratta forse dei responsabili del genocidio di un milione di armeni?). Innanzitutto, perché sottoposti ad alcuni test di elementare competenza, molti di quei parlamentari si sono dimostrati decisamente ignoranti. Poco male, direte voi; impareranno. Ma è l’incapacità o l’impossibilità di esprimere idee proprie quello che preoccupa. I “giovani” del Pd non esprimono alcun disegno alternativo a quello con cui Monti ci ha accompagnato al collasso: finiranno in bocca a Renzi. E meno che mai lo esprimono i parlamentari a cinque stelle: inchiodati al blog di Grillo come a una croce; senza un retroterra organizzato con cui confrontarsi (quei movimenti, comitati, Gas e progetti civici di cui hanno ripreso molti obiettivi, ma non la pratica politica, né l’autonomia costruita attraverso la condivisione); e senza il coraggio o la capacità di declinare quei loro 20 punti alla luce di un contesto. Che non è solo né principalmente la vicenda politico-parlamentare; ma è soprattutto l’evolversi, anzi l’involversi, del paese; che certo non si riprenderà con un referendum sull’euro.
Ma il segnale più importante, anche se non il più vistoso, della evaporazione di una classe dirigente in grado di affrontare nei suoi termini reali le dimensioni della crisi è l’eclisse dei nuovi sindaci: quelli di sinistra, quelli a cinque stelle e quelli nati per scassare tutto. Ingabbiati tra expò, debiti pregressi, patto di stabilità e tagli alla spesa pubblica (che per l’80 per cento gravano su Comuni e Regioni, e solo per il 20 per cento sulle strutture centrali dello Stato), hanno lasciato per strada i movimenti, i comitati, i centri sociali e le iniziative civiche che li avevano portati al governo delle loro città e oggi si arrabattano senza programmi e senza interlocutori con le miserie di una politica di bilancio che azzera la loro agibilità e li induce a pareggiare i conti privatizzando quel che resta dei beni comuni. Così resteranno in mutande; e noi con loro. Non basta l’esempio di Abc (acqua bene comune) di Napoli per invertire la rotta. Manca il progetto di un uso dei servizi pubblici locali come leva della conversione ecologica. Che è innanzitutto una politica territoriale, fatta in loco; ma che per realizzarsi ha bisogno di una cornice nazionale ed europea. Così svendono servizi e beni comuni per sanare i bilanci invece di farne un punto di forza per negoziare, insieme ai movimenti, con il governo.
E’ evidente allora che le forze necessarie per riorientare le politiche economiche e le istituzioni verso la sostenibilità e la giustizia vanno cercate altrove. Le basi ci sono. Sono quelle delle miriadi di esperienze di lotta (che sono sempre grandi scuole di formazione al pensare e agire in forme autonome e condivise), ma anche quelle delle mille e mille iniziative di carattere molecolare – dai Gas ai Des, dai centri sociali a molte imprese sociali (quelle vere), dalle tante iniziative culturali ed editoriali alle associazioni e ai comitati ambientalisti, civici e del volontariato sociale: tutte scuole di “altra economia” e di amministrazione democratica – senza contare le amministrazioni di molti comuni medi e piccoli che hanno accumulato esperienze di governo fondamentali. Certamente manca loro ancora in gran parte una visione condivisa dei processi economici nelle loro dimensioni globali – soprattutto quando è in gioco il destino di grandi e grandissimi complessi produttivi e dei passaggi stretti che occorre superare per affrontarne di petto le relative problematiche. Ma è proprio questo il vuoto che oggi dobbiamo impegnarci a colmare per promuovere insieme, su contenuti concreti, una aggregazione delle forze in campo.
Niente come la situazione attuale rende allora evidente l’esigenza di riformulare in termini condivisi un programma radicale all’altezza dei nodi della crisi, che non è solo italiana, ma mediterranea, europea e planetaria (perché è innanzitutto crisi ambientale). Niente come l’impasse attraversata dai movimenti fa rimpiangere il soffocamento precoce (e ad opera di un “fuoco amico”. O no?) di un tentativo come Cambiare si può; non tanto come proposta elettorale – i risultati forse non sarebbero stati gran che; ma sicuramente avrebbero rappresentato un rischio per Grillo e un mezzo per sviluppare una sana competizione con il movimento cinque stelle – quanto come punto di riferimento di quell’aggregazione dal basso, tra pari, di mille organismi dispersi: un progetto che non è più rinviabile. E niente, di fronte al collasso di un intero paese, e dopo il fallimento di quello che poteva essere un buon inizio, ci fa sentire ora tanto fragili e impreparati quanto le chiusure e le rivendicazioni identitarie (e magari altri “fuochi amici”) che continuano a intralciare quel processo.

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