26 ottobre 2013

Lettera ai padroni del Mondo.



Di Gualtiero Mite Guerriero. 

Miei poveri e disperati amici,
io non so né chi siete né dove abitate. Sono però certo che ognuno di voi, attuali padroni del mondo, sia all’avanguardia nella scala spettrale dell’infelicità e del vuoto interiore che, per vostra precisa responsabilità, invade attualmente il nostro meraviglioso pianeta.
Chi decide in modo permanente i destini del mondo intero sono, si dice, poche centinaia di individui. Addirittura qualcuno sostiene che coloro che veramente hanno il massimo potere decisionale sull’intera umanità non superino le trenta persone.
Non è certo da voi, quindi, che riusciremo ad avere informazioni per sapere chi siete e come siete, voi che lasciate tracce ovunque, e siete al tempo stesso impossibili da identificare. La miserabile concezione dell’esistenza che vi caratterizza tuttavia si evince osservando lo stuolo dei vostri servi, quelli che fanno parte dei Governi, che gestiscono gli Stati con un sistema politico incapace di tener conto e di capire l’immenso valore di ogni essere umano.
Per voi è vostro diritto inalienabile l’esercizio del potere di vita e di morte su alcuni miliardi di abitanti, asserviti a ritmi di lavoro laceranti o all’incertezza di un futuro nebuloso che tatticamente rendete sempre più oscuro. L’atto d’amore, il solo atto d’amore che mi è consentito nei vostri confronti è maledirvi, per i milioni di esseri umani che avete fatto morire nelle guerre, per i miliardi di esseri umani cui avete negato la possibilità di vivere, offrendo miserabili, faticose e contorte esistenze, invece di poter godere serenamente della gioia immensa e semplice della vita.Io vi maledico con tutto l’amore di cui la mia vita mi ha reso capace per il miliardo di bambini che avete fatto morire negli ultimi 50 anni, vi maledico sperando che l’intensità del mio amore vi faccia miracolosamente dissolvere, ovunque voi siate.
I vostri panni puliti grondano d’un intero oceano di sangue, e le ottuse difese dei privilegi formulate dagli intellettuali da voi comprati, generano in voi un vuoto incolmabile trasformandovi in esseri ancora più infelici di quelli che opprimete. Questa lettera non l’ho scritta pensando che la possiate ricevere, sicuramente nessuno di voi la leggerà mai. L’ho concepita, con l’aiuto dell’essere umano che è in me per dare ai vostri servi ignari e non la possibilità di scegliere.
Al vostro servizio infatti ci sono due tipi di sottomessi: i servi colpevoli e i servi ignari. I vostri servi più spietati sono quelli che mettete al comando degli Stati, le gerarchie potenti politiche e militari a volte anch’esse occulte, che controllano la tenuta del sistema sociale e del suo potenziale di inganno e di truffa esistenziale che giorno dopo giorno sono rigorosamente in grado di esercitare sull’intera umanità. I servi ignari sono miliardi di esseri, costretti a denominare i loro feroci oppressori con termini come Onorevole, Eccellenza, Eminenza, Presidente etc. ma in cuor loro, senza neppure deciderlo, vi coprono con l’onda immensa del loro disprezzo. Tutti costoro sono soggiogati da esistenze precarie, e voi sottraete l’ottanta per cento delle risorse impiegandole per la difesa e la conservazione dei vostri privilegi.
Non pensate che le mie maledizioni siano solo mie, gran parte dei vostri servi, senza neppure saperlo vi maledicono istante dopo istante dai serbatoi di contenimento nei quali li avete rinchiusi : le prigioni, le divise militari, le mafie, le catene di economie che si impongono con la violenza essendo sempre più prive di creatività e di intelligenza. Ecco perché io vi immagino disperati, tormentati dal non sapere le origini del vostro disagio, perché l’onda immensa delle maledizioni che miliardi di sottomessi vi inviano ogni giorno vi raggiungono nei momenti di solitudine estrema, quando, sulle soglie del sonno, finalmente incontrate il vuoto che vi dilania dopo aver congedata la prostituta da 100.000 dollari, o pensando ai figli che fingono di amarvi e con i quali non avete mai giocato, impegnati come eravate a decidere guerre e genocidi.
Pensate anche solo per poco se il mondo si svegliasse senza di voi. Pensate a un pianeta abitato dalla gioia. Forse anche voi, Padroni del mondo, di fronte a una gigantesca e incessante festa quotidiana, uscireste dalle vostra tane dorate travestiti da esseri reali e vi mischiereste volentieri con tutti gli altri per scoprire in voi l’immenso valore dell’Essere Umano paragonando al quale il ruolo di padroni assoluti del mondo sarebbe solo una squallida torturante parodia. Forse finalmente accadrebbe il miracolo capace di seppellire nelle oscurità della Storia i vostri abietti ruoli di onnipotenza.

Gualtiero

Estratto dal sito ufficiale di Silvano Agosti

23 ottobre 2013

Lavoro.



È un periodo di lavoro intensissimo (beata te, direbbe qualcuno!). Sì, è vero, posso definirmi fortunata perché io un lavoro ce l’ho, anche se ho rischiato di perderlo proprio pochi giorni fa, e sarebbe stata la fine per me, perché non riuscivo più a sopportare il comportamento irrispettoso del mio “padrone” (che fatica che faccio a dire questa parola!!!) nei miei confronti. Non parlo del salario, no, di quello non si può nemmeno discutere. Parlo del modo di frustarmi (a parole) per spingermi a produrre di più.

Sfaticata”, “Non fai niente in tutto il giorno”, “Se non ti va bene basta dirlo” erano le cose più carine che mi diceva per spingermi, secondo lui, a lavorare con più profitto, per lui naturalmente.

Essendo perfettamente consapevole di quello che faccio e di come lo faccio, alla fine non ne ho potuto più, gli ho detto chiaramente che ESIGO almeno rispetto e che se non gli andavo bene doveva essere lui a dirmelo.

Sapete come ha reagito? “Ma dai! Io scherzo sempre! Non mi conosci bene! Io faccio così solo perché ho un carattere un po’ particolare! Non volevo certo offenderti! Quello che fai va benissimo!”.

Ecco, scherzava…ma che vuol dire questo? Che fino a che sono stata zitta lui si è sentito libero di interpretare il suo ruolo nel peggiore dei modi. Quando ho reagito ad una condizione di vessazione, ha cambiato le carte in tavola dandomi una pacca sulla spalla e facendo l’amicone.

E vuole anche dire che ha bisogno di me per tirare avanti.

Non ho ottenuto un granché, il mio salario rimane da fame, ma almeno da ora in poi non avrò più il suo fiato sul collo e i suoi insulti “scherzosi”………almeno fino alla prossima volta………..

Accettare qualsiasi cosa venga imposta per paura è la cosa più meschina che uno possa fare. Si perde la dignità e l’amor proprio che, alla fine, sono le uniche cose che sono rimaste……





P.S. Se non aggiorno spesso questo blog sapete perché…..


14 ottobre 2013

A proposito di prigioni.

Ante Zemljar è nato nel 1922 nell’isola di Pago in Craozia. Si è laureato all’università di Zagabria in lettere comparate. Scrittore, poeta, saggista e mosaicista. Giovanissimo subisce una certa influenze del surrealismo. Partigiano della prima ora combatte e scrive poesia per le sue montagne e le isole. La sua poesia non soggiace alle regole del socialismo realista e i suoi dirigenti rifiutano la pubblicazione.
Nel 1949 viene arrestato perché non condivide la dittatura. In prigione, a Goli Otok, una delle più feroci d’Europa dopo la II Guerra mondiale, dov’erano imprigionati anche numerosi italiani, rimane quattro anni e mezzo. Nella prigione, scrive di nascosto una raccolta (L’inferno della speranza, pubblicata in Italia da Multimedia edizioni / Casa della poesia di Salerno) che riesce a pubblicare solo 40 anni dopo.
Questo libro lirico-elegiaco è una grande accusa contro tutti gli oppressori in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo. Dopo la prigionia, Zemljar ha vissuto in patria come un esule, per 35 anni sotto lo sguardo vigile della polizia.
Ha partecipato alla manifestazione "Poesia contro la guerra" (1999) e "Lo spirito dei luoghi. Incontri internazionali di poesia" (4ª edizione, ottobre 2000), "Incontri internazionali di poesia di Sarajevo" del 2003.
Si è spento all'età di 82 anni a Zagabria nel 2004.

http://www.casadellapoesia.org/poeti/zemljar-ante/biografia


Per Ante
Era una finestrella, sbarrata da una tavola di legno
l’unica presa d'aria della cella.
L'uomo si abitua all’ombra,
a mezzogiorno, in piedi sulla branda
s’allunga alla fessura della luce,
meno di un rigo, un verso breve
passa sulle palpebre degli occhi.

C’è un nodo nel legno che lui tocca
con l'unghia e con il tempo,
con la punta dell'unghia e del tempo,
all’uomo serve un gioco nella cella.

Un giorno il nodo cede
pregato dall'unghia amica del tempo
che ricresce ogni giorno,
il nodo cede.
Si toglie come un tappo di bottiglia
e nel suo collo passa uno zampillo di luce liscia e dritta
s'allarga a terra, allaga il pavimento.
Il prigioniero Ante si mette scalzo
e ci si bagna i piedi. È un anno
che non esce di cella, niente cortile, aria,
un anno che la porta è uguale al muro,
che la porta non porta da nessuna parte
un anno, strizza gli occhi,
il sole dentro il buco è un’arancia rotonda nella mano
i piedi si strofinano fra loro
sono due bambini, la prima volta al mare
i piedi di Ante Zemljar comandante di molti partigiani,
congedato col merito della vittoria in guerra,
adesso chiuso dagli stessi compagni: nemico della patria.
Nemico lui che l’ha agguantata al collo
l’ha scrollata di eserciti invasori
fiume per fiume, da Neretva a Drina,
coi calci della fame senza nemmeno portar via una cipolla
a un contadino perché così è la guerra partigiana.
Nemico lui: l’hanno tolto da casa
da Sonia di due anni che sa gridare già:
“Lasciate il mio papà, lasciatelo è mio padre”.
Adesso sì, voi siete suoi nemici.

Ante sa le percosse, sa che un pugno da destra
lascia sangue sul muro di sinistra e viceversa
e un pugno dritto in faccia lascia sangue a terra,
ma c'è la novità qui le botte riescono a lasciare
il sangue sul soffitto.
C’è sempre da imparare circa le vie del sangue
e dei colpi ingegnosi dei gendarmi.

Ante conserva il nodo, lo rimette nel legno
la guardia non saprà,
il sole non è spia,
s'infila svelto e poi non lascia impronte,
pure se perquisisce la guardia non può dire:
qui c'è stato il sole, sento il suo odore.
Il sole non è un topo,
pure se ne finisce molto in una cella
nessuno si accorge che fuori manca un raggio,
che la sua conduttura ha un buco
e perde luce da un nodo di legno.

Ancora un po' di mesi, poi glielo daranno,
il sole, tutto in una volta, sulla schiena
peggio dei colpi di bastonatura
sopra l'Isola Nuda a spaccar pietre.
Il prigioniero Ante ha conservato il nodo,
qualche volta lontano dalla guardia
lo punta contro il sole e si procura un’ombra
sopra l’Isola Nuda a spaccar pietre bianche
e poi gettarle a mare, all’Adriatico,
perché la pena è pura, senza valore pratico,
e il mare non si riempirà.

Da: Erri De Luca, solo andata, Feltrinelli, 2005


Lettura di Marco Paolini, con I mercanti di liquore

13 ottobre 2013

Ricordi.

Ricordo il 12 ottobre di 42 anni fa. Mio figlio, il primo, e non avevo ancora 19 anni. 3 kg e 200 di strilli e tenerezza che hanno faticato più di 12 ore per uscire dal mio corpo, forse volevo tenermela quella pancia che mi aveva fatto diventare improvvisamente grande o forse avevo paura di quello che non conoscevo e che si presentava impellente. Ma era lì, tra le mie braccia, che già ricercava il contatto perso spaventandomi un po’ per quella dipendenza completa, per quel non capire come soddisfare. Però ce l’abbiamo fatta, siamo cresciuti insieme, giocando gli stessi giochi e passando attraverso pianti e sbucciature fino ad arrivare al momento in cui ha deciso qual era la sua strada e ha lasciato il nido, ancora quasi implume ma deciso ad affrontare il mondo. Non so quale sia il concetto di buona madre, io ho seguito molto l’istinto e forse posso aver sbagliato a non essere protettiva e severa, a lasciargli lo sguardo sui suoi orizzonti senza metterlo troppo in guardia dalla fatica di raggiungerli ma, guardandolo ora mi riconosco nel suo pensiero e nei suoi valori, e sinceramente non posso che sentirmi orgogliosa di quella testa che si è fatta da sola, anche faticosamente ma soprattutto liberamente. È bello ora ritrovarsi insieme, parlare anche del passato, dei grandi errori e delle piccole vittorie ma soprattutto è bello guardare avanti insieme, complici seppure con strade e obiettivi diversi.

Auguri Francesco.

12 ottobre 2013

Grillo e la malapolitica (Curzio Maltese)

Dal blog di Giacomo Salerno.
Per una volta a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio possiamo dire soltanto grazie. Con il loro post, ormai giustamente famoso, sul reato di clandestinità i fondatori del movimento 5 stelle hanno infatti disvelato i meccanismi della disastrosa Seconda Repubblica e della mala politica italiana molto meglio che in centinaia di comizi. Trattandosi di persone geniali, sono bastate loro due righe. «Se avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità durante le elezioni, avremmo preso percentuali da prefisso telefonico». La traduzione del Casaleggio pensiero è meravigliosamente semplice e suona così. «Noi non crediamo in nulla, non abbiamo principi, non siamo né di destra né di sinistra, come del resto abbiamo sempre detto, e non vogliamo cambiare nulla. Diciamo soltanto quello che la gente vuol sentirsi dire in quel preciso momento, per ottenere voti e consenso e poterci di conseguenza fare gli affari nostri, acquistare potere e piazzare chi vogliamo in Parlamento e ovunque. Col tempo faremo eleggere i figli in regione e le fidanzate alla Camera o alla Rai. Come prima di noi hanno fatto Bossi, Berlusconi e Di Pietro. E noi che siamo, più fessi?
Il programma non c’entra niente. Sull’immigrazione (e su molto altro) non c’è neppure una parola. S’intende che se e quando la gente cambierà idea, lo faremo anche noi, secondo convenienza. L’abbiamo appena fatto sull’indulto, che invocavamo due anni fa, e sulla legge elettorale. Quando sei sempre d’accordo con la maggioranza, nessuno in questo paese ti rimprovererà mai di essere incoerente. Neppure se voti con Berlusconi e con la Lega, come abbiamo rimproverato di aver fatto al Pd e continueremo, si capisce, a rimproverargli nei secoli dei secoli. Tanto l’Italia è in rovina e non saremo certo noi a risolverne i problemi. L’unica è risolvere i nostri. Chi non è d’accordo può accomodarsi alla porta, perché se “uno vale uno” è pur sempre vero che due, Grillo e Casaleggio, valgono più di tutti voi che non eravate e non sarete nessuno. Concedere libertà alla servitù è stato fatale ai nostri maestri Bossi e Berlusconi. Tranquilli, non ripeteremo l’errore. Non per nulla abbiamo fatto depositare il marchio del partito dagli avvocati. Viva la costituzione!» .

Grazie Beppe e Gianroberto, grazie ancora e, se volete, potete aggiungere altri grazie più nel vostro stile. Era ora che qualcuno spiegasse agli italiani i meccanismi che ci hanno condotto in un ventennio a un passo dal baratro, guidati da una classe dirigente, si fa per dire, formata da capipopolo tanto popolari quanto cinici, cialtroni, reazionari e ignoranti. Grillo e Casaleggio sono soltanto gli ultimi della lunga serie. Proprio per questo, qualche speranza esiste. In fondo se si sono ribellati al padrone i leghisti e ora perfino i cortigiani di Berlusconi, forse possono farcela anche i parlamentari grillini. Magari non Crimi, ma quelli intelligenti sì. Senza contare il luminoso esempio del Pd, che continua a far fuori un leader all’anno e ora sta volando nei sondaggi con un citofono al posto del segretario. I capi che hanno sempre ragione non hanno mai portato fortuna all’Italia. Per finire, non è il caso comunque che Grillo e Casaleggio inseriscano la pena di morte nel prossimo programma elettorale. Per i clandestini in fuga dalle guerre esiste già. In Usa negli ultimi trent’anni sono morti meno assassini di quanti innocenti siano morti questa settimana nel canale di Sicilia.

09 ottobre 2013

La nausea.

Ricordo di aver letto “La Nausea” di Sartre parecchi anni fa, quando il fuoco sacro del ’68 mi facilitava un atteggiamento anticonformista nei riguardi delle cose che mi circondavano. Ricordo poi di averlo quasi snobbato in seguito al convincimento che ribrezzo e disgusto non erano propositivi  per una ribellione vera, quasi fossero una resa di fronte a ciò che non si può combattere. Ora, dopo tanti anni, mi è venuto in mente come il protagonista definiva questo stato mentale:” (...) La Nausea m'ha colto, mi son lasciato cadere sulla panca, non sapevo nemmeno più dove stavo; vedevo girare lentamente i colori attorno a me, avevo voglia di vomitare. (...) Da quel momento la Nausea non m'ha più lasciato, mi possiede”. In un’altra scena, che si svolge in un giardino pubblico, osserva la radice di un castagno e solo in quell'istante si rende conto di aver compreso la vera natura delle cose, vale a dire la loro insensatezza e la sensazione di soffocante ingombro che esse suscitano.
Beh, sapete che vi dico? È proprio un momento così: l'individuo è solo, sperduto, disgustato dal mondo in cui vive e non sa come comportarsi. La condizione umana non è altro che un solitario ed angoscioso sperimentare le cose che sono intorno a noi, la loro ingiustificabilità e malafede, un angoscioso sperimentare che deriva dal timore costante di perdere di vista, pezzo dopo pezzo, l’orizzonte della libertà. La condizione umana è proprio come quella descritta da Sartre, non offre alcun spiraglio di serenità, l’uomo è solo, costretto a trascinarsi faticosamente dietro il fardello dell'esistenza.
È altrettanto vero però che proprio in questa condizione, obbligato dalle circostanze esterne, può essere ugualmente costretto a pensare che l’unica via d’uscita è decidere di trovarla da solo, senza scuse e senza intermediari.
Ed è ancora più vero che questo significa libertà: libertà di poter scegliere la propria vita senza che altri giochino la partita per noi.
L'essere costretti ad essere liberi può certamente rivelarsi faticoso ed estenuante, ma una simile condizione mette nelle mani di ogni essere umano un potere inaudito: decidere da soli ed in totale autonomia, essere detentori di libertà intellettuale e morale. Naturalmente, la ricchezza di libertà così come la sua mancanza provocano sentimenti di ansia, spaesamento e di solitudine e il peso delle responsabilità può essere tale da pensare di non riuscire a sostenerlo, ma prendere atto che quello che stiamo vivendo non è una condanna bensì una preziosissima opportunità di avviare progetti  diversi che viene offerta ad ogni singolo individuo, è un passo importante verso quell’orizzonte che ora sembra sparire.

Ad ogni azione corrisponde una reazione……facciamo in modo che sia quella buona per noi.. 

06 ottobre 2013

Migrazioni: chi le innesca se le tiene.

DI EDUARDO ZARELLI
ilribelle.com

«Gli esodi non hanno una soluzione miracolosa», ha commentato, in seguito all'eccidio avvenuto presso le coste di Lampedusa, non il gesuita Bergoglio, bensì la secolarizzata signora Emma Bonino. 

In effetti, la questione dei migranti non riguarda la fede, ma la prosaica politica, interna ed estera. È crudele e fa male, la vista dei morti, ma forse ferisce maggiormente lo sconforto negli occhi di chi al mare è scampato e ora dovrà sopravvivere all’ipocrisia moralistica dello sradicamento globale. Per Simone Weil - che di radici recise se ne intendeva - tra i bisogni vitali dell’uomo non si dà libertà senza responsabilità, l’uguaglianza senza l’appartenenza e la verità è il bisogno «più sacro di tutti».

Le migrazioni in corso sono connaturate alle dinamiche della globalizzazione e delle conseguenti forme sociali assunte. In Italia manifesta toni specifici, drammatici quanto farseschi, nell’aduso costume nostrano, ma con una eco occidentale, che vede sia le sinistre sia le destre riferirsi, con sensibilità differenti, al paradigma dell’integrazione. L’ideologia dell’unico, dell’uniforme, dell’unilaterale, tipica delle filosofie universaliste - laiche o religiose - tende irreversibilmente a convertire l’umanità in un modello omogeneo, a ridurre la diversità sradicando le identità collettive e personali, a sopprimere le culture popolari e gli stili di vita differenziati. Tale ideologia è la mercificazione planetaria quale coerente affermazione della logica capitalista: l’utilitarismo economico. 

L’immigrazione – fenomenologicamente – è uno sradicamento forzato di persone, popoli e culture ed è iscritta nell'evoluzione storica dell’espansione capitalistica occidentale. La critica, quindi, risulta coerente solo se imputa il modello di sviluppo dominante come causa di un eradicamento, che ha come effetto gli immigrati, di cui è ottuso fare dei capri espiatori. I valori dell’appartenenza e dell’identità sono universali, valgono quindi pluralisticamente di contro ad atteggiamenti xenofobi, i quali evocano quei valori come pretesto per considerarsi superiori, mimetizzando il gretto opportunismo dei privilegiati, che vorrebbero i “benefici” della cosmopoli consumista senza pagare il prezzo sociale dello sradicamento procurato dal mercato globale. 

Il sentimento identitario ha legittimità nel momento in cui vale per tutti; se non riconosce l’identità altrui, ricade nell’ideologia dell’unico, dell’universalismo, in ultima analisi, del totalitarismo della modernità. L’omogeneizzazione occidentale minaccia l’identità di tutti e si espande sradicando socialmente l’appartenenza comunitaria, che consente una economia equa, la sostenibilità ecologica, la partecipazione comunitaria di contro alla deriva oligarchica e tecnocratica delle società liberal-democratiche.  

Il paradigma economico della modernità, fondato sulla crescita “infinita” deve aumentare in continuazione il numero dei produttori e consumatori di merci. Di conseguenza deve indurre, con le buone (ideologia del progresso) o con le cattive (imperialismo), con la persuasione o con la forza, un numero crescente di contadini tradizionali ad abbandonare l’autoproduzione di beni, cioè l’agricoltura di sussistenza dove la vendita è limitata alle eccedenze, per andare a produrre merci e guadagnare in cambio il denaro necessario a comprarle. Questo passaggio implica l’abbandono delle campagne e il trasferimento nelle città con costi sociali e ambientali devastanti. Sociali se si considera, ad esempio, l’impatto fra le diverse culture quando migliaia di persone si spostano in massa dal sud al nord del mondo, o dall’est all’ovest; ecologiche se si pensa che oggi la parte preponderante della popolazione mondiale si ammassa nelle ipertrofiche grandi metropoli.

Politicamente non c'è alcuna intenzione occidentale di arrestare i flussi migratori in corso, casomai di agevolarli nella convenienza della “forma capitale” alla mercificazione universale degli esseri umani, con tanto di ipocrita moralismo politicamente corretto dei più o le inconsistenti quanto altisonanti proposte per ridurne la portata in altri. Quando sia la destra che la sinistra supportano  una società ed un’economia che prevedono la crescita infinita del consumo di merci, nonostante le risorse date, si ha bisogno di un numero sempre più alto di “consumatori” per proiettare la civilizzazione nell'autodistruzione nichilistica.

Fino a quando la crescita infinita sarà il modello economico e sociale propinato a tutte le società del mondo, non si potrà mai dare fine al fenomeno delle migrazioni. Fino a quando le società opulente - caratterizzate da una crescita ipertrofica - saranno improntate a stili di vita edonistici, non si potranno diminuire il numero né di persone dipendenti dal mercato, né di persone schiavizzate come manodopera a basso costo. Fino a quando le società cosiddette “povere” verranno indotte a seguire il mito della crescita, non si potrà permettere che continuino a sostentarsi come hanno sempre fatto per millenni tramite le loro economie di sussistenza, ma dovranno adeguarsi ad un mercato di miseria e polverizzazione sociale, imposto con i cacciabombardieri e l'ideologia imperialistica dei "diritti umani". E le loro popolazioni, appunto, vengono indotte a illudersi dalla fata Morgana consumista di quei Paesi nei quali invece l’economia di sussistenza e comunitaria è stata abbandonata colpevolmente, subendo la modernità. In nome dell’umanitarismo, viene alimentata in realtà – intra moenia - la guerra sociale di tutti contro tutti e - extra moenia – la “poliziesca” guerra internazionale contro chi non si piega agli interessi occidentali.   

È possibile opporsi alla deriva di un’epoca? Ogni destino contrapposto allo spirito dei tempi, passa per l’esortazione, a tutti i popoli, alle culture e alle intelligenze critiche, a lottare contro il loro nemico comune: l’ideologia totalitaria dell’uniforme, dell’unico.

Lo spazio politico della differenza si esplica nella sintesi tra i grandi spazi continentali e l’autonomia. La complementarietà e la sussidiarietà sono le ascisse e le ordinate di una sovranità legittimata dalla partecipazione popolare, nella concretezza di comunità autosufficienti e contemporaneamente simbiotiche con le altre. L’omeostasi della singola cellula supporta la vitalità dell’intero organismo. Olisticamente, la totalità è superiore alla somma delle  singole parti. La dimensione simbolica e spirituale del fattore unitario supera contemporaneamente centralismo statuale e indipendentismo separatista. Per cerchi concentrici, si rivitalizza la reciprocità comunitaria, improntata a intimità, a riconoscenza, e a condivisione di linguaggi, significati, abitudini, spazi, memoria ed esperienze comuni. I vincoli di parentela (famiglia), di luogo (vicinato) e di spirito (amicizia) costituiscono delle totalità relazionali, in cui gli uomini si sentono uniti in modo permanente da fattori che li rendono simili gli uni agli altri e al cui interno le disuguaglianze sociali possono svilupparsi solo entro certi limiti, oltre i quali i rapporti diventano così rari e insignificanti da far scomparire gli elementi di comunanza e condivisione. 

All’interno della comunità, infatti, i rapporti non sono segmentati in termini di ruoli specializzati, ma comportano che i membri siano presenti con la totalità del loro essere e del loro animo per il perseguimento del bene comune, in un giusto e consapevole rapporto tra libertà individuale e dovere pubblico. La realtà comunitaria sul territorio, ponendo per sua sussistenza in diretta relazione il consumo umano delle risorse naturali con la capacità di rigenerarle, è naturalmente protesa alla sostenibilità e alla biodiversità, nella ricomposizione dello iato industriale tra cultura e natura. La consapevolezza e la sobrietà di stili di vita ispirati alla semplicità e al senso del limite si pongono in controtendenza al disincanto della mentalità economicista dominante, secondo la quale è meglio avere di più, che cercare di essere di più. 

È quindi, questo contesto, il più adatto per convertire economicamente il modello di sviluppo illimitato che caratterizza l’utilitarismo contemporaneo e crea le sperequazioni mondiali. In ambito internazionale, pertanto, il respiro pluralistico deve essere accompagnato a una strategia multilaterale contrapposta all’unilateralismo, così come avviene in ogni espansionismo. In tale prospettiva, il fenomeno migratorio è affrontabile su scala intercontinentale nelle sue cause profonde e, contemporaneamente, ricomposto a livello locale con una sensibilità identitaria, personalistica e comunitaria, in grado di garantire ad ogni cultura il valore sostanziale dell’irripetibilità. 

Eduardo Zarelli
www.ilribelle.com
06.010.2013 

Per gentile concessione de “La Voce del Ribelle” 


Letto su ComeDonChisciotte

05 ottobre 2013

"Ed a bordo cantar si sentivano tutti allegri del suo destin.....

Non ho avuto tempo di parlare della tragedia di Lampedusa. Troppo presa dal lavoro, da quella quotidianità oppressiva che non lascia altro spazio che a sé stessa, alla sopravvivenza individuale, al chiudersi dietro a labili certezze e confortanti paraocchi. Ma non può tacere la mia coscienza, non posso non dare ascolto a quell'impulso che mi fa mancare il respiro mentre gli occhi si riempiono di orrore. Sono qui, impegnata a vivere nelle mie quattro mura mentre c’è chi muore per cercare un briciolo di dignità. È la rabbia dell’impotenza. A nulla servono le lacrime, a nulla servono le parole, le bandiere a mezz'asta e le giornate di lutto: è mera ipocrisia. Il nero è nel marciume di un sistema che costringe le persone a buttarsi in braccio all'ignoto di una speranza. Su quel barcone c’erano persone che fuggivano da un orrore e ne hanno trovato un altro. È la rabbia dell’impotenza di fronte ad una politica che se ne frega di spezzare vite di uomini, donne e bambini, che condanna intere nazioni a vivere sempre  sotto la politica delle guerre. 
Giù la maschera! 
Questa tragedia ha le caratteristiche di un vero crimine e non di una semplice fatalità della natura. Ci sono precise responsabilità e sappiamo di chi sono, i colpevoli stessi sanno di esserlo. Si perseguono scopi utilizzando qualsiasi mezzo, si fanno leggi ad uso e consumo del capitale e la politica dell’indifferenza calpesta i diritti e la dignità delle persone. Non serve contarli, erano già troppi i primi, anzi, il primo, perché basta la morte di una sola persona per condannare chi avrebbe potuto evitarla e chiude il naso sul fetore della sua coscienza per continuare a produrre ricchezza. 


Quando a emigrare erano gli Italiani.......

                                             

Torna alla memoria una delle più grandi tragedie della lunga storia dell'emigrazione del nostro paese: l'affondamento della Sirio, un triste episodio da cui è stata tratta una canzone popolare: "E a bordo si sentivano/ tutti allegri del suo destin".

02 ottobre 2013

Lo spettro.

Uno spettro si aggira per il paese. E' quello di Carlo Giovanardi, il democristiano per tutte le stagioni, l'uomo più preso di mira su internet grazie alle sue mirabolanti uscite oscurantiste, che ne hanno sempre fatto un personaggio al limite del caricaturale, anche se qualche volta leggermente spaventoso. Salvato dallo tsunami di Tangentopoli da Silvio Berlusconi e Pierferdinando Casini, che lo hanno riciclato dopo la diaspora democristiana, oggi - passati vent'anni dal suo repechage - è pronto per una nuova giravolta e annuncia di essere disposto a votare la fiducia al governo di Letta junior insieme a una quarantina di panciafichisti come lui. E così l'uomo che ha paragonato l'eutanasia ai metodi nazisti provocando un incidente diplomatico con l'Olanda, il firmatario insieme all'ormai scomparso Gianfranco Fini della legge più criminogena nei confronti del consumo di droga di qualsiasi altro paese civile, con la folle equiparazione fra droghe leggere e pesanti, il democratico che voleva impedire la libertà di pensiero agli antiproibizionisti, la belva che disse che Stefano Cucchi era morto perché era solo un tossicodipendente anoressico, l'imbecille che ha sostenuto che le adozioni da parte delle coppie gay favorirebbero la pedofilia, il mostro che ha negato l'evidenza sul caso di Federico Aldrovandi solo per difendere un gruppo di poliziotti picchiatori,  potrebbe essere il nuovo acquisto dell'armata Brancaleone del governo del Presidente.
Chiaro che non farà nulla per nulla. Ce lo ritroveremo Ministro? Immaginate la mirabolante vittoria per il Pd. 

Il bivio.

Il terrore gela la schiena d deputati e senatori. La fronte di molti è imperlata da gocce di sudore, un sudore causato dai nervi sempre più in subbuglio. Finora sono stati nel profondo della confusione più oscura ma ora la realtà comincia a delinerarsi con contorni nitidi precisi assolutamente incontrovertibili.

Da un lato prestarsi al gioco folle di "muoia Sansone e tutti i filistei" di Berlusconi, Berlusconi "assugliato" dalla Santanchè, da Sallusti, da Gasparri....

Dall'altra votare la fiducia al governo e con ciò fare i bravi patrioti in un momento in cui financo Obama e la Merkel corrono al capezzale di Enrico Letta e gli aggiustano i guanciali......

Allora tra seguire nel buio pesto Berlusconi che è atteso dal carcere seppur domiciliare e dalla interdizione dai pubblici uffici e sul quale si addensano le nubi tempestose che arrivano dai tribunali di Taranto, Napoli, Bari per almeno altri dieci o quindici anni di carcerazione.......e restare per cinque anni in Parlamento e fare la vita dei nababbi tranquilli per giunta sentendosi patrioti e salvatore della patria che cosa sceglieranno ? 
Secondo voi che cosa sceglieranno?
 
Pietro Ancona