30 giugno 2013

La metropoli e il potere (di Michele Fabiani).

"Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassini, quante miserie ed errori avrebbe risparmiato al genere umano chi, strappando i piuoli o colmando il fossato, avesse gridato ai simili: “Guardatevi dal dare ascolto a questo impostore! Se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno siete perduti!”
 (J.-J. Rousseau, Origine della disuguaglianza)
 


Diamo uno sguardo più approfondito al tema che più interessa agli anarchici: il potere. Ovviamente l’abolizione del potere. La mia tesi è che il potere nasca con la nascita delle città e che non è possibile la vita di una città senza potere. Costruire l’anarchia significa quindi distruggere le città. Con le città nasce la divisione del lavoro, con essa l’oppressione della gran parte dei lavoratori e quindi la struttura militare che sorge a tutela della minoranza degli oppressori: il potere. Tale origine si trova quindi in ultima istanza all’interno dei rapporti di classe; ma questa è un'altra storia, per ora concentriamoci sul potere.

La retorica del branco. Quando nasce l’oppressione?
Se c’è una cosa di cui veramente abbiamo le palle piene, questa è la retorica del branco. Antropologi, sociologi, giornalisti, commentatori ignoranti dietro una tastiera, scorregge su facebook, persino i gruppi a difesa delle donne (“abusata dal branco”)…tutti ad usare la parola “branco” in senso dispregiativo.
Parallelamente, e solo apparentemente in contrapposizione, troviamo i cosiddetti darwinisti sociali (che a dispetto del nome, non hanno letto nulla di Darwin), i positivisti, gli stregoni della scienza al servizio della borghesia, che cercano invece di convincerci della naturalità del potere, usando il branco come esempio.
Il giusnaturalismo anglosassone, se si esclude Hobbes, si fonda proprio su questa idea: che il capitalismo sia non solo il migliore dei mondi possibili, ma addirittura il solo mondo possibile, quello più naturale, dato che il potere e la proprietà sono delle cose del tutto naturali. Solo Hobbes fonda il potere in contrapposizione con la natura. Per lui ovviamente il potere assoluto del monarca è una cosa bellissima, una cosa che nasce per difendere gli uomini dalla brutalità dei rapporti barbari e incivili; ma quanto meno ha il merito di riconoscere che il potere nasce negando la natura.
Quello che meglio di tutti ha capito l’origine del potere è però Russeau. Lui capisce il rapporto dialettico fra potere e natura (in che senso la nega e in che senso invece è “naturale”) meglio di chiunque altro, pur essendo scettico nella possibilità di tornare indietro. Ma soprattutto è colui che per primo individua nella proprietà l’origine della civiltà: Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire “questo è mio” e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile.
Ma solo la Bibbia individua nella città la forma logistica dell’oppressione. Caino fondatore di città, Abele pastore; la mostruosa metropoli di Babele; ecc.
Lo stesso filone cosiddetto anarchico primitivista non è così lucido nella sua analisi. Zerzan se la prende con l’agricoltura come momento di inizio, trascurando completamente le teorie sulle società gilaniche. Altri sono vegani, trascurando che prima dell’agricoltura si viveva di caccia e raccolta (l’uomo smette di essere erbivoro con la glaciazione, molto molto prima della nascita dell’agricoltura, delle città, della civiltà).
Quando, come anarchaos intervistammo Zerzan, un compagno molto più preparato di me su questi temi propose una domanda proprio intorno alle società gilaniche; società agricole ma nondimeno egualitarie, socialistiche e autenticamente anarchiche, secondo i fautori di questa teoria. E la risposta fu breve e infastidita. Perlomeno così ci sembrò un po’ a tutti, quando la commentammo insieme. Un lettore ci propose un lunghissimo articolo, che consiglio vivamente di leggere per approfondire il tema.    
La mia precisa opinione è che l’oppressione nasca con la divisione in classi, con lo sfruttamento intensivo della terra e degli uomini, quindi con l’organizzazione logistica di tali nuovi rapporti produttivi all’interno di questa potente nuova entità – al contempo lager e centro del potere, residenza e prigione, infrastruttura per il mercato e potenza militare: la città.
In sintesi, astraendo dai pensatori e dalle teorie più elaborate, possiamo riassumere la retorica del branco in queste due posizioni: 1) quelli che disprezzano in branco e che usano la parola “branco” per definire il bullismo, l’inciviltà, la brutalità maschile, il nonnismo; 2) quelli che invece giustificano il potere dicendo che esso esiste anche in natura, portando come esempio il branco stesso. Posizioni che andremo a smontare nel prossimo paragrafo.

In difesa del branco.
Lo studio che gli esseri umani fanno sulla natura e sugli altri animali risente, come è naturale che sia, della posizione soggettiva degli umani stessi. E siccome da millenni viviamo sotto l’oppressione dello sfruttamento e del potere, è evidente che questi influenzano il nostro modo di guardare le cose. Tanto è vero che quando la scienza contemporanea studia la società delle altre specie animali lo fa usando una terminologia assolutamente antropomorfa. L’ape è regina, il capo branco, il maschio alfa, ecc.
Questi termini sono però devianti, perché applicano ad un mondo, anzi a tanti e diversissimi mondi, categorie proprie della civiltà metropolitana moderna. L’obbiettivo è, o di usare il branco in senso dispregiativo, sottolineando quanto sia ad esso superiore la società civile, o viceversa fondare su basi naturali lo Stato e le istituzioni autoritarie.
Bisogna quindi chiarire una cosa: il branco è una forma di organizzazione completamente diversa da quelle del potere costituito. E’ del tutto naturale che esistano individui più forti e altri meno forti, che esistano soggetti che riescono a riprodursi ed altri che o non vengono desiderati o gli viene impedito. Sono cose che succedono e che succederanno anche nella società liberata. Chi pretende dall’anarchia una tale ideale uguaglianza è destinato, e forse è proprio ciò che vuole, a non vedere mai realizzata la propria utopia.
Non solo la politica, ma l’intera natura, si basa sui rapporti di forza: anche nel mondo vegetale c’è una lotta per il godimento degli spazi. Nondimeno non c’è il caos violento con cui cerca di terrorizzarci Hobbes, ma nella lotta c’è una armonia, ci sono casi di collaborazione, persino di coevoluzione fra specie diverse. Chi si immagina l’anarchia priva di rapporti di forza è un illuso. Quando bisognerà prendere una determinata decisione – questo vale anche ora, nella guerra di liberazione – ci sarà di certo chi è più affascinante, chi è in grado di convincere gli altri, chi intuisce l’ipotesi migliore. Ma è cosa ben diversa dall’elezione di un leader, cosa ben diversa dalla delega.
Per tornare agli animali, io questa cosa la vedo studiando i miei cani. Non è assolutamente vero che c’è un capo, un monarca, un leader. Ci sono sicuramente qualità diverse – quello più prepotente, quello più fifone – ma nessuno è davvero una figura dominante (come invece amano dire gli educatori cinofili) sulle altre. E non c’è, tanto meno, una lotta astratta per il dominio in sé. C’è una lotta per mangiare, per riprodursi; non per il potere in quanto tale. Non c’è un potere in quanto tale.
Aggiungo di più. Io sono per una concezione assolutamente positiva, anche in campo morale, per quanto riguarda il branco. Io desidero avere un branco. Desidero trovare una forma sociale con cui condividere con i miei affini le sfide che mi trovo di fronte. Desidero che ci sia qualcuno più forte di me che mi difenda se scoppia una rissa. Desidero sentirmi tutt’uno con i miei compagni di branco.
Il branco è una cosa bellissima. Nel movimento anarchico, sin dalla sua nascita c’è stata un sacco di discussione sul tema dell’organizzazione. Gli individualisti contro i comunisti, l’ipotesi insurrezionalista di una organizzazione soltanto informale, ecc. Ci sono tantissime proposte. Forse una soluzione potremmo trovarla proprio nel concetto di branco. Vivere la propria esistenza collettiva come membri di una branco di individui affini. Dove non ci sono leggi e le regole sono tutte implicite, naturali.
Insomma, non è vero che il branco sia una modalità brutale, terribile e irrazionale di esistenza collettiva. La natura non è la guerra del tutti contro tutti come ci vogliono far credere. E al contempo, non è vero che il branco sia un esempio di esistenza naturale del potere. Il potere politico, il potere che si fa istituto, spirito oggettivo direbbe Hegel, non è la differenziazione dei compiti che possiamo trovare in un branco. Il potere politico è oppressione istituzionale e nasce da dinamiche di classe. Nel momento in cui nascono gli oppressi, gli oppressori decidono di istituire un potere politico, una polizia, una casta sacerdotale, finalizzati esclusivamente al perpetuarsi della loro oppressione.
Quindi il potere non nasce come evoluzione lineare del branco naturale, ma è una cosa completamente differente: è lo strumento dell’oppressione di classe all’interno delle città.

L’invenzione di Atene.
La storia del potere non è separabile dalla storia delle città. E’ la stessa storia. La città è il luogo dove hanno sede i palazzi del potere (politico, religioso, amministrativo, giudiziario, ecc.). Nella città risiedono le caserme dei gendarmi che vigilano sulla volontà di rivolta degli sfruttati. Nella città vengono ammassati i proletari, massa inerte, così la vorrebbero, che dorme nei ghetti delle periferie e ne esce per andare a lavorare nelle apposite aree. Sempre nella città ci sono le aree residenziali dei padroni, degli oppressori. Non è nemmeno pensabile una città libera dal potere.
L’anarchia non esisterà fino a quando esisteranno le città: fino a quando esisteranno le città ci sarà un potere che le gestisce. Nemmeno il comunismo esisterà fino a quando esisteranno le città: perché fin che ci saranno città ci sarà la divisione di classe e quindi l’oppressione di classe. Il controllo operaio della città deve essere una fase di transizione, come un carcere in mano ai prigionieri: una rivolta che ha come obbiettivo, se non la libertà, almeno la contrattazione di condizioni migliori.
Un mito purtroppo duro a morire, anche fra gli anarchici, è quello della polis greca, di Atene in particolare, come modello di libertà. Atene, ci dicono, sarebbe l’esempio che una città in mano al popolo è possibile. Una balla.
Una balla tra l’altro che ci viene tramandata dalla letteratura classica, le cui fonti sono al 90% ateniesi. E’ come se uno fra tremila anni ci informasse sulle libertà negli Stati Uniti di Bush attraverso i testi dei neoconservatori.
Si racconta di una società cosiddetta a democrazia diretta. Tutto il potere era in mano al demos, che lo esercitava senza deleghe. Quando queste erano però necessarie, tanto si era democratici, che non c’erano nemmeno le elezioni e nella maggior parte dei casi gli incarichi venivano affidati per sorteggio. In modo da non favorire nessuno, nemmeno chi ha la retorica migliore o mezzi più ricchi per la propaganda. Era la sorte a decidere. Se ci fermiamo qui, quasi ci sembra di credere che una città governata interamente dal popolo sia possibile.
Andiamo a vedere alcuni dati, per scoprire la dura realtà. Allo scoppio della guerra del Peloponneso, che viene preso come il momento di massimo sviluppo di Atene, vi erano forse fra i 40 mila e i 60 mila cittadini maschi adulti. Questi sono i soli a godere dei diritti politici. Per altrettante donne la democrazia diretta era un eufemismo per descrivere una società non certo felice dal loro punto di vista.  A questi si aggiungano circa 10 mila stranieri: i meteci, i quali non avevano alcun diritto politico, nonostante fra questi troviamo personaggi di altissimo livello (Erodoto, Protagora, Aristotele, ecc). Per quanto riguarda gli schiavi, nemmeno gli ateniesi sapevano bene il loro numero. Il censimento del IV secolo, secondo gli studiosi inaffidabile, parla di 400 mila schiavi.
La questione non è nozionistica. Stiamo parlando della più grande città del mediterraneo (fino a che non arrivò Roma), 500 mila abitanti, una metropoli; la sola metropoli nella storia, secondo la leggenda, ad essere governata in maniera radicalmente democratica. Ebbene, la tanto sbandierata democrazia diretta ateniese era goduta da meno del 10% della popolazione. Tutti gli altri erano donne, stranieri e soprattutto schiavi. E non godevano di alcun diritto.
Atene come la conosciamo è una invenzione. Atene non esiste, non è mai esistita.


Il falso mito della democrazia diretta. Cittadina od elettronica che sia.
I grandi pensatori e i filosofi della politica dividono le forme di governo delle città in democrazia, aristocrazia e monarchia (le forme degenerate di queste ultime sono definite rispettivamente oligarchia e tirannide). Solo in età contemporanea ci siamo inventati la balla della ulteriore suddivisione della democrazia in diretta e indiretta. Da Aristotele all’illuminismo francese, chiedete a chi volete, qualunque siano le sue idee politiche. Nessuno parla mai di democrazia diretta e indiretta. La democrazia è quella ateniese. Il sistema governativo di oggi verrebbe definito da ogni grande teorico del passato (anche recente) una aristocrazia elettiva, un’oligarchia dove la casta è eletta a suffragio universale. Quindi oggi non siamo in democrazia, la democrazia indiretta non esiste. Punto. Lo stesso strumento delle elezioni per la scelta delle oligarchie (che tra l’altro non vale per le cariche più importanti, si pensi ai tecnocrati europei che ordinano ai nostri governi elettivi cosa fare) è uno strumento inusuale per le democrazie, che preferiscono, storicamente, il sorteggio. Solo il sorteggio, ci insegnano gli antichi ateniesi, è democratico; con le elezioni invece vince sempre il più abile, il più ricco, il corruttore, quello con più clientele e con mezzi di propaganda più potenti.
Quindi basta con queste balle e parliamoci chiaramente. La democrazia è quella cosiddetta diretta, quella di oggi è oligarchia elettiva.
Nondimeno, la stessa democrazia (diretta) non è un mondo così bello nel quale vivere. Ne sanno qualcosa i 460 mila ateniesi che subivano le decisioni democraticamente prese in assembla plenaria o nelle magistrature dove erano estratti a sorte i 40 mila fortunati cittadini.
La democrazia (diretta) era possibile ad Atene perché c’erano 400 mila schiavi che lavoravano, mandando avanti l’economia dell’Attica, mentre i cittadini si riunivano nelle assemblee. Senza il sistema economico schiavistico i cittadini non avrebbero potuto godere della democrazia, poiché sarebbero dovuti andare a lavorare per vivere. Paradossalmente la metropoli democratica è stata possibile soltanto nel peggiore dei mondi possibili, molto peggiore del capitalismo di oggi: lo schiavismo. Senza schiavi, senza questi strumenti animati, come li chiama Aristotele, la democrazia diretta sarebbe stata impossibile. Ecco spiegato l’imperialismo della democratica Atene: conquistare ricchezza, imprigionare nuovi schiavi in grado di mantenere i privilegi democratici.
Oggi giullari di corte ci propongono una nuova forma di democrazia (diretta): la cosiddetta democrazia elettronica. Esattamente come la democrazia ateniese (goduta da 40 mila cittadini su 500 mila abitanti) anche la democrazia elettronica si fonda sull’esclusione della gran parte delle persone. Come hanno giustamente detto i WuMing, commentando il successo elettorale del M5S, la democrazia elettronica è fortemente esclusiva. E’ esclusiva nei confronti delle persone anziane. Ma lo è, a sorpresa, anche nei confronti di un sacco di giovani proletari che non hanno internet. Io conosco diversi amici, coetanei e più giovani di me, che fanno o il meccanico, o il barista, ecc, che non hanno computer a casa. In generale è esclusiva nei confronti dei lavoratori. Chi sta in fabbrica 8 ore non ha né voglia né tempo di partecipare ai dibattiti online. Se lo è ora, figuriamoci in una società immaginaria dove abolito il parlamento tutte le decisioni sono prese online. Chi ha meno tempo, i lavoratori, rimane ai margini. E con loro gli anziani, i senzatetto, chi vive in montagna, chi non ha i soldi per le bollette o per il pc.

Contro il potere, contro le città.
Insomma non c’è potere giusto al mondo. Nemmeno quello democratico. Una città gestita dal popolo collettivamente è impossibile. Città significa divisione in classi. Città significa amministrazione, quindi amministratori e amministrati. Significa sicurezza, quindi sbirri che se ne occupino, galere in cui rinchiudere i ribelli. Significa autodifesa, quindi eserciti.
La questione della distruzione delle città è centrale nella campagna anarchica contro ogni forma di potere politico. Mi rendo perfettamente conto che si tratta di un processo addirittura geologico. E’ tutta aperta la questione della transizione. Io sono certo che una transizione graduale sarà impossibile. La distruzione delle metropoli avverrà per crisi e disastri. La società metropolitana sta portando il pianeta alla distruzione, e quindi se stessa all’autodistruzione.
Si tratterà di un’epoca di transizione non indolore. Qualcuno mi chiede se si può sostituire la parola distruzione con quella di decostruzione del potere metropolitano. Io temo proprio di no. Ovviamente ci saranno importantissimi elementi di decostruzione. Anche teorica. Ma saranno grandi sconquassamenti distruttivi a fare la differenza. Che ci piaccia o meno.

Michele Fabiani

[Approfondimenti]
Distruggere le città (di Michele Fabiani)
http://www.anarchaos.org/2009/01/distruggere-le-citta-di-michele-fabiani/

La metropoli e il linguaggio (di Michele Fabiani)
http://www.anarchaos.org/2013/04/la-metropoli-e-il-linguaggio-di-michele-fabiani/

Dal "Discorso sull'origine della disuguaglianza di Rousseau all'anarco-primitivismo di Zerzan (di Michele Fabiani)
http://www.anarchaos.org/2011/06/dal-discorso-sullorigine-della-disuguaglianza-di-rousseau-allanarco-primitivismo-di-zerzan-di-michele-fabiani/

Intervista a Zerzan (a cura degli utenti del forum di anarchaos)
http://www.anarchaos.org/2010/10/intervista-a-zerzanla-civilizzazione-non-e-uno-sviluppo-naturale-inevitabile-guardare-piu-in-profondita-di-200-anni/

Civiltà libertarie nel neolitico (8000 a.C.-2000 a.C.). Una grande lezione per il nostro futuro (di Ario Libert)
http://www.anarchaos.org/2010/11/civilta-libertarie-del-neolitico-8-000-a-c-2-000-a-c-una-grande-lezione-per-il-nostro-futuro/

"Troppo comodo spiegare tutto con Dio"


“Noi atei crediamo di dover agire secondo coscienza per un principio morale, non perché ci aspettiamo una ricompensa in Paradiso.”
Margherita Hack

“Dio è il tappabuchi per quando l’uomo non riesce a trovare le risposte”.
Margherita Hack.

La scienza, a differenza delle religioni, costringe al dubbio e il dubbio è la base su cui costruire la conoscenza. La scienza non è portatrice di nessuna verità indiscutibile, assoluta, semplicemente la cerca, sapendo che non esiste una verità assoluta e che tutto è discutibile e mutabile.
Ed è davvero troppo comodo spiegare tutto con l’esistenza di qualcuno che nessuno ha mai visto né ha mai sentito parlare.
Margherita Hack era atea. Lo era scientificamente e irrazionalmente. E non si è mai pentita, non ha mai fatto abiura. Non è mai cambiata. L’immagine di sé che mostrava in pubblico era di una coerenza assoluta e oggi la sua assenza pesa ancor di più in questo mondo di voltagabbana, di estreme unzioni lastminute, di vigliaccheria in punto di morte. 
Ci lascia una donna, una geniale scienziata, una poetessa della laicità. 
Il suo pensiero resterà qui per sempre. 
Materiale. 
Terreno. 

29 giugno 2013

Liberi tutti!



Mai parola più bella – LIBERTà – fu tanto abusata. Violentata dal degrado etico e morale di questa miserabile propaganda. Se ne è perso il senso stesso, insegnando molte cose sul significato della parola Libertà, nessuna delle quali capace di conservarne il valore. Libertà cammina al fianco del rispetto, vanno di pari passo. Il rispetto di sé stessi, delle regole, dell’altrui conduce alla Libertà. Non è essa quella parola vergognosa usata per denominare un partito politico, che per libertà intende quella di poter fare “un po’ come cazzo gli pare”; liberi di delinquere, liberi di depredare le casse dello stato, di uccidere la democrazia. Libertà è altro.
E calpestando la Libertà, siamo arrivati fino al suo uso ancor più spregevole che va a sostituire l’ennesimo abuso contro i lavoratori, a favore di un padronato sempre più libero – esso sì – di fare quel che è meglio per il proprio interesse e per il proprio capitale.
“Indesit, scatta la messa in libertà per i lavoratori di Fabriano”  titola Repubblica, senza vergogna alcuna. L’oltraggio che si aggiunge all’oltraggio dei LICENZIAMENTI per ritorsione, in seguito ai doverosi scioperi indetti il giorno dopo dell’annuncio – nemmeno troppo velato – dell’ennesima delocalizzazione dell’industria, parte in Turchia e parte in Polonia.
500 persone, 500 famiglie messe in libertà. Potranno scegliere come morire senza che Giovanardi se ne dispiaccia, o che la Chiesa li condanni, o che le anime pietose di questo paese insensato facciano troppo caso a loro.
Le parole sono importanti, ma in pochi ormai ci fermiamo a riflettere sull’uso criminale che la propaganda ne fa. Anzi, si uccide quel poco che resta della scuola e della cultura, in modo che sempre più persone, siano disposte a correggere il loro lessico e annientare ogni forma di pensiero LIBERO e indipendente, così che tutto questo abominio, domani, sia prassi accettata, condivisa, e sia sottomissione.
Il momento della LIBERAZIONE è già passato da un pezzo, e che ci piaccia o no, siamo già stati sottomessi e assoggettati. Una vera lotta per la LIBERTà, non la faremo mai. Mai ci riprenderemo il maltolto. Mai si comprenderà che l’unico modo sarebbe quello di prendere le fabbriche, mettere in libertà i padroni accompagnandoli fuori a calci nel culo. O meglio, mai avremo lo Stato capace di espropriare i beni del padrone, equiparando questi abusi ai reati di mafia, e dandoli in gestione agli operai che sarebbero finalmente sì, LIBERI di vivere.
Non possiamo nulla, lo so anche io, ma possiamo fare molto per vigilare. (La vecchia cara Vigilanza Democratica, roba antica ahimè) Vigilare anche in questi casi in cui, un valore racchiuso in una parola, viene violentato e abusato. Ci viene tolto.

26 giugno 2013

Non mischiamo la merda con la cioccolata, le puttane lavorano!!!!


Flop della manifestazione “Siamo tutti puttane”, organizzata da Giuliano Ferrara in difesa di Silvio Berlusconi. Secondo l’Ansa, i partecipanti, oltre all’immancabile Santanchè, sono stati circa 400, di cui 100 giornalisti e molti curiosi anche stranieri.
Presenti, tra i parlamentari, Denis Verdini, Fabrizio Cicchitto, Giancarlo Galan, Daniele Capezzone, Ignazio Abbrignani, Lucio Malan, Maurizio Lupi, Stefania Prestigiacomo Daniela Santanche’, con indosso la maglietta con su lo slogan della manifestazione. Presente anche la fidanzata di Berlusconi, Francesca Pascale.

Insomma una cosa va detta: le puttane non mancavano !!

E ciò nonostante le proteste delle prostitute: “non mischiamo la merda con la cioccolata, LE PUTTANE LAVORANO !!”

Fonte

25 giugno 2013

Caso Ruby. La condanna di Berlusconi Silvio: polvere negli occhi degli italiani.

C'è la condanna, dovuta ad un reato di cui i giudici hanno ritenuto di vedere le prove. Un fatto normale che nulla cambia e nulla cambierà nella vita del Paese. Salvo voler avere infantili sogni palingenetici. Attenzione a confondere l'effetto con la causa e spesso c'è difficoltà a cogliere le differenze.

E così l'imputato Berlusconi Silvio in base agli articoli 521, comma 1; 533 e 535 del Codice di Procedura Penale è stato condannato ad anni 7 di reclusione e visti gli articoli 317bis e 29 e 32 del Codice Penale, alla interdizione perpetua dei pubblici uffici. E ovviamente al pagamento delle spese processuali. Bene.

Il «drago a cui si offrono le vergini», come ebbe a definirlo la moglie Veronica Lario che di nome vero fa Miriam Raffaella Bartolini, è stato finalmente riconosciuto colpevole e punito. Benissimo.

Il popolo della rete e qualche esagitato grida alla vittoria. Finalmente liberi da Berlusconi. Sembra, secondo alcune scene riportate dai media, di assistere, in sedicesimo ovviamente che pure bisogna avere il senso delle proporzioni, alla riedizione del 25 luglio 1943 quando il cavalier Benito Mussolini fu prima deposto e poi arrestato. Il secondo atto fu consumato a casa del re detto sciaboletta. Forse è il titolo di cavaliere che dopo un certo numero di anni porta scalogna. Assai. Quasi sicuramente il cavalier Berlusconi si rammaricherà di non poter godere di analogo trattamento ora si è in una repubblica e pure male in arnese, come lui sa benissimo per aver attivamente partecipato all'opera. E non ci sarà nessun Skorzeny, con tanto di romantica cicatrice sulla guancia sinistra disposto a liberarlo. Si vive nei tempi della multimedialità. Il cavalier Berluconi si deve accontentare di palinsesti stravolti e di dibattiti e di controdibattiti. Con le stesse facce di sempre, ormai ospiti stanziali dei vari canali televisivi e di sentire che il tono di voce di Enrico Mentana che, con il passare dei minuti, si fa sempre più squillante. Potenza delle notizie. C'è chi addirittura mette in campo uno psicanalista chissà perché non un geriatra. Data l'età del reprobo sarebbe più consono. Ma tutto va.

E poi ci sono le valchirie del Pdl, che nella parte si vedono benissimo Micaela Biancofiore e Daniela Santanchè e magari un po' meno Nunzia De Girolamo, Stefania Prestigiacomo e Mariastella Gelmini. Queste sono già pronte ad immolarsi per il Capo ma tranquilli: si è nell'era del virtuale e nulla è veramente vero. Tutto è mediatico. E anche le pire non sono più quelle di una volta. Adesso si ci sarebbero difficoltà con la legna e bisognerebbe chiamare in causa la Protezione civile che ha già altre gatte da pelare. Peraltro lo stesso Berlusconi ha un vulcano in giardino e di tanto in tanto lo fa zampilare, così, per divertimento. Roba che a Pompei ci piangono ancora.

Quindi per riassumere: bene, benissimo, anzi ma chi se ne importa. Questo fatto non ha nulla a che fare né con la grama vita di tutti i giorni né con la politica. Non aumenteranno le opportunità di lavoro e non riprenderanno i consumi e saranno sempre da trovare i denari necessari ad evitare, ammesso e non concesso che abbia un senso, che arrivi la nuova rata dell'IMU. E del resto è inutile dire, è sotto gli occhi di tutti.

Eh già perché tra ieri giorno della sentenza ed oggi, giorno del dopo sentenza non cambia nulla.

Berlusconi Silvio è stato condannato solo in primo grado. Perché il tutto sia esecutivo mancano altri due gradi di giudizio e quindi c'è tempo. Comunque in carcere non ci finirà per sopraggiunti limiti di età, come vuole che si reciti il gergo del diritto. E anche l'interdizione dai pubblici uffici è un astuto specchietto per allodole un po' tarlucche. Il deputato Berlusconi Silvio è sempre stato uno dei più assenteisti, ha un indice di produttività pari a 69,2 e si colloca al 577 su 630: Ha partecipato a 43 votazioni elettroniche su 11.498. Quindi la sua presenza o assenza nei sacri palazzi della democrazia e decisamente ininfluente. 

Comanda nel Pdl, per quel che può e sa, a prescindere dalla sua presenza, ieri alla Camera e oggi al Senato. Anzi pare che quando sta a Villa Certosa comandi pure di più. In fondo è lui che paga. E fa valere la legge del cinque: chi ha il soldo in mano vince.

Quello che è da sconfiggere non è Berlusconi ma quel fenomeno di mala educazione, volgare ignoranza, arroganza e mal comportamento sociale che getta le sue radici nel Belpaese assai prima di Berlusconi che di quel fenomeno è solo il risultato e non la causa. Anche se gli piacerebbe esserne considerato l'ideatore. Ha cavalcato l'evento non l'ha né inventato e neppure provocato. Non è riuscito neanche in questo. Già perché il fenomeno che da lui prende nome è ben sparso e avvolge la casta politica ma anche la sedicente società civile e gli esempi non mancano tanto a destra quanto a sinistra e come non bastasse anche in quel che resta delle classi sociali. Per vincere e rinnovare questo Paese non è sufficiente condannare un anziano con velleità giovanilistiche. Che peraltro va condannato per i reati commessi, se provati. Poichè porre la questione nei termini della condanna dell'uomo “solo al comando” e quindi “solo colpevole” sa più di sogno palingenetico che di realtà. 

È come nascondere il mondo dietro un dito. Si può fare, ma non è serio. Lo fanno i bimbi, non è da adulti.

Fonte

23 giugno 2013

La sete di potere personale muove il mondo, le ideologie servono solo ad infinocchiare ed usare i poveri sciocchi che ci credono.



Siamo abituati da sempre a pensare alla storia politica del mondo come ad una successione di sistemi sviluppati da personaggi che, alternativamente, in nome di una ideologia, prendono il potere e quindi cercano una loro espansione.

Ripercorriamo in breve la storia partendo dai popoli mesopotamici che invadono e sterminano i concorrenti spinti dal sacro fuoco delle loro divinità o chessoio dal desiderio di diffondere la scrittura cuneiforme per poter espandere il proprio commercio.

Poi arrivano persiani ed egizi, popoli guidati da semi-déi o déi-interi che si assumono l'ingrato compito di assoggettare l'umanità circostante per mostrare loro la luce, la vera luce.

Acquisita la luce dell'intelletto, la razionalità della logica e della dialettica, i greci, per puro desiderio di conoscenza, diciamo pure per turismo, invadono mezzo mondo. La loro è una ideologia inoppugnabile, hanno le storie di déi più belle dell'universo e quindi non possono non essere vere. Gli déi li assistono, sono con loro e, a differenza di chiunque altro, hanno il diritto di governare il mondo perché sono i migliori pensatori di sempre, ottimizzatori ante-litteram, loro sono il passato, il presente ed il futuro. Peccato che anche i romani abbiano una ideologia niente male, quella della vittoria e dell'assorbimento che li guida trionfanti per il mondo antico.

Poi la frattura barbarica: popolazioni nomadi senza uno straccio di ideologia, senza neanche una parola che possa esprimere il concetto di futuro, distruggono tutte le ideologie fino ad allora vincenti, piegandosi però di fronte a quella cristiana........e grazie a quella si ricomincia.

Da allora la storia delle ideologie da battaglia è ben nota e ci si continua ad illudere che siano le idee vecchie o nuove a portare i nuovi conflitti, i cambiamenti di regime e quelli di territorio.

Io penso che invece le ideologie seguano sempre a ruota la sete di dominio dei dominatori, vengano ricreate a posteriori o al massimo immediatamente dopo l'inizio dei cambiamenti.

I popoli mesopotamici entrano in conflitto esclusivamente per motivi di dominio dei terreni fertili.

I persiani si spingono ad occidente per derubare le sue ricchezze.

I greci invadono il mediterraneo per poter controllare tutti gli attracchi delle loro navi mercantili.

I romani conquistano il loro impero perché la loro economia è basata sul lavoro degli schiavi e lo sfruttamento intensivo e depauperante delle risorse, sete senza fondo che caratterizzerà molto più tardi il primo capitalismo.

I fondatori della chiesa cristiana mettono in piedi un sistema che garantisce loro espansione illimitata, sopravvivenza e prosperità: chiese di mattone, solide e inamovibili istituzioni, sacre scritture a cui fare riferimento, un proprio esercito di volontari e uno sfruttamento intensivo della schiavitù morale mediante donazioni e questue varie, compravendita di indulgenze e reliquie. Ecco che, cavalcando la storia del palestinese che probabilmente mai parlò mai di chiese, fondano l'impero millenario delle chiese cristiane.

Hitler scrive il proprio programma politico in carcere dopo aver già iniziato la sua personalissima rivolta, e man mano che accede al potere, continua la sua opera di fondazione ideologica dal nulla, l'architetto che disegna il palazzo mentre lo costruisce.

Così in Russia, una élite tra le tante altre di boiardi che per secoli hanno rovesciato e sostituito zar, trova in un filosofo ebreo tedesco la chiave per accedere al cuore di un esercito di diseredati. Ma Lenin è un russo come tutti gli altri, un individuo con una esagerata sete di potere, e Stalin sostituendolo mette da parte ogni marxismo di facciata e cerca ed ottiene il dominio assoluto ed incontrastato.

………Così infine gli esportatori dell'ideologia democratica occidentale vengono a contendersi il mondo, apparentemente in nome delle loro profane e sante idee……

16 giugno 2013

Questa pace.

Quella Pace di ulivo e di colomba
raggiunta in verde acerbo e bianco puro
sul carminio violento del sangue
non è la pace di oggi mascherata
tra le carte e l’inchiostro bugiardo.

Questa è pace di petto crivellato
da vecchie baionette arrugginite
che abbandonò in tutti
gli angoli del mondo
i fucili che continuano a sparare
i cannoni che conservano il bramito
gli avvoltoi d’acciaio con il gozzo
pieno di mitraglia.

È pace di atterrito capriolo
che tenta il fango sporco e melmoso.

È solo pace di voli sperduti
di sperduto affanno di pianeti
senza orbita certa. Pace cenciosa, zoppa
etichettata di “ismi” e “anti”
gridata a squarciagola
nata in convegni ed assemblee
di ipocrisia oscura.

Pace e fetore di morti insepolti
inquieta di presagi
rosicchiata da ansie e psicosi.

È pace di fanciulli affamati
che non sanno come infilare i denti
nel pane fresco di mollica bianca
con lo scricchio dorato delle croste.

No. Questa nostra pace difficile
fermentata, tutta
appuntita e affilata
come vetro scheggiato
in cui le mani dure, chiuse
debbono tenere il cuore sospeso
perché non si affligga e non si trascini
non è pace di ulivo e di colomba.
Non è pace di gioia e di riposo.

Ángela Figuera Aymerich

 

Liberiamoci dai vecchi schemi interpretativi.

I fatti stanno dimostrando che le istituzioni si sono dotate di dispositivi procedurali pesantissimi, inefficienti e annichilenti. Eppure “lor signori” non possono che passare di lì e soltanto “loro”, è sempre scritto, possono modificarli e renderli confacenti alla bisogna, nonostante che ogni giorno di più si dimostrino inabili a intervenire. Non ce la fanno sia perché invischiati in una miriade di normative e procedure istituzionali, sia soprattutto per le lotte all'ultimo sangue per conquistare fette del misero potere a disposizione, paradossalmente sempre più privo di potere reale. Mi sembra sempre più evidente che i luoghi del cambiamento cui tutti auspichiamo non riescono ad essere il parlamento e le istituzioni vigenti.
L'inarrestabile declino cui stiamo assistendo porta a suggerire un'altra visione delle cose ed altre prospettive. Innanzitutto una prima spontanea considerazione che viene dal profondo del cuore: se gli “eletti” sono così inefficienti perché amalgamati in un devastante magma burocratico, assorbente e invadente, perché non si affida ai cittadini la soluzione dei propri problemi? Avrebbero senz'altro più possibilità di riuscirci, se non altro perché non si sentirebbero schiacciati dai vizi e dalle lentezze burocratico/giuridiche tipiche del politicantismo. Non si sentirebbero obbligati a dover sottostare ai molti sovrastanti condizionamenti, che ci sono a priori e a prescindere, che oggettivamente limitano l'operato dei professionisti della politica. Soprattutto prenderebbero direttamente decisioni autonome per ciò che riguarda il locale, smettendo di dover dipendere dal centro per ogni cosa.
Al di là della nostra volontà e della nostra consapevolezza veniamo costantemente inseriti in percorsi obbliganti che ci sfruttano e ci spolpano. Esempio eclatante il gioco sovranazionale dell'alta finanza, continuamente imposto senza averlo scelto e senza riuscire a comprenderlo. Nella prospettiva che sto proponendo, per affrontarlo dovremmo liberarci degli schemi interpretativi che ci hanno inculcato. In linea di principio, infatti, non è vero che non si possa prescindere dalle gabbie che ci vengono costruite attorno. Siamo coattivamente inchiodati ad esse soltanto se ci rassegniamo e accettiamo di esserlo. Con uno slancio d'immaginazione utopica potremmo predisporci per condizioni completamente diverse da quelle che stiamo subendo.
Il denaro che siamo obbligati ad usare serve per comprare beni di consumo e gestire la propria quotidianità. Il mondo della finanza però non lo concepisce per questo e non lo usa affatto per comprare cose, perché la sua prerogativa è di accumulare soldi attraverso i soldi. Non tanto per aumentare il capitale, ma per speculare e accumulare in continuazione ricchezze monetarie iperboliche, destinate a loro volta ad esercitare potere. A noi tutto ciò non serve, anzi ci danneggia, perché queste operazioni vengono fatte a nostra insaputa sulle nostre teste, investendo in modo virtuale (derivati) sul denaro reale, che al contrario viene conseguito attraverso l'economia produttiva e che ci siamo guadagnati lavorando con grande fatica. Ciò che si consuma sulle nostre teste è perciò una truffa colossale, di cui non siamo responsabili, che non vorremmo, che non possiamo governare, ma che si consuma sfruttandoci fino all'osso.
Lo slancio d'immaginazione utopica potrebbe pensare di sottrarsi a questa influenza che ci sovrasta e ci costringe a dipendere, che si muove in modo virtuale, ma che nel concreto ci sfrutta e ci massacra. Immaginiamo allora di organizzare una finanza nostra, gestita da noi per le cose che ci servono e che possiamo controllare direttamente, sganciata dall'alta finanza speculativa e non convergente con essa. Potrebbe voler dire una moneta nostra, ovviamente priva di funzione speculativa, oppure scambio di buoni, che in fondo sono sempre un tipo di moneta, oppure altra soluzione funzionale. Non è importante la forma che quest'immaginario può assumere. Il problema è la sostanza, cioè un modo controllato e gestito direttamente da noi, perché vogliamo difenderci dal gioco delle oligarchie finanziarie sottraendoci alla loro influenza nefasta, nella speranza di riuscire prima o poi a renderle inoperanti. Che continuino pure a muoversi con operazioni virtuali computerizzate, a noi interessa non servire più da loro supporto.
Spero che questo suggerimento divenga spunto per compagni e persone di buona volontà che hanno conoscenza approfondita in materia, per progettare qualcosa di fattibile e sensato che abbia però le caratteristiche sopra dette. Il problema finanziario è solo un esempio. Ma la nostra vita è piena di condizioni in cui non solo siamo obbligati, ma a nostra insaputa veniamo sfruttati, dilapidati, raggirati, usati e, se reticenti, repressi, frastornati, puniti, vituperati. Guardiamo per esempio all'uso criminale del denaro pubblico, sull'impiego del quale non abbiamo alcun diritto d'intervenire. Potremmo ripensarlo collettivamente in una prospettiva di distribuzione solidale della ricchezza. Eppure in linea teorica, da un punto di vista liberale fra l'altro, ognuno di noi avrebbe pienamente il diritto di partecipare alle decisioni che ci riguardano.
Ciò che so con certezza è che questo immaginario, che vorrebbe trovare soluzioni che mettono in discussione le fondamenta del vigente sistema di dominio, per sua natura non può passare attraverso le istituzioni che subiamo, proprio perché al contrario sono state impostate per salvaguardarlo.


Estratto da "Decomposizione politica all'ombra della finanza" di Andrea Papi

13 giugno 2013

La Rauti combatterà il femminicidio odiando il femminismo, ostacolando la 194 ma amando Miss Italia

Dal blog Un altro genere di comunicazione.

Due giorni fa Isabella Rauti veniva nominata Consigliera per le politiche contro la violenza di genere, da Alfano che ha dichiarato: "L’ho Scelta per il suo curriculum".
La notizia è arrivata come una doccia gelata, tutto avremmo potuto immaginare tranne che una persona come Isabella  Rauti, che ha portato avanti lotte contro l’autodeterminazione della donna e a favore dell’oggettificazione della stessa, potesse mai ricoprire un ruolo simile.
Non ci vogliono grandi politologi per capire quanto una persona come lei sia poco adatta al ruolo, ma per chi si fosse distratto per qualche decennio riporto i punti principali della sua carriera per quanto riguarda la parità di genere.
Innanzittutto è importante chiarire la sua natura politica, Isabella è figlia di Pino Rauti, segretario nazionale del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale e  del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore .
La Rauti quindi fa parte della tradizionalissima e vecchia destra conservatrice  -  e quindi fascista- , è noto come nella cultura di estrema destra, e fascista, ci sia l’esaltazione dell’angelo del focolare, della donna dedita esclusivamente alla casa e alla famiglia, che ha come unico compito quello di generare una robusta e numerosa prole.
Ma purtroppo non è solo la sua natura politica che ci fa dubitare della sua capacità di ricoprire quel ruolo. Bisogna ricordare infatti che la stessa Rauti fu la seconda firmataria della proposta di Legge Tarzia nella Regione Lazio sotto la giunta Polverini.
Quella legge che permette l’ingresso dei movimenti cattolici antiabortisti  nei consultori che colpevolizza l’aborto, che sottopone le donne che intraprendono un’interruzione di gravidanza a una violazione della loro libertà di scelta, la stessa legge dello smantellamento dei consultori pubblici e dei cortei fondamentalisti cattolici.
Ricordiamo anche della recentissima vicenda su Miss Italia di cui abbiamo largamente discusso nel nostro blog
Isabella Rauti, grande sostenitrice del concorso Miss Italia, è stata una delle donne che tanto si è prodigata per la necessità di salvare il programma – in nome della libertà delle donne di unire bellezza e intelligenza- organizzando convegni –con altre donne della politica e dello spettacolo-  finanziati dallo stato dal nome un po’ contraddittorio “Miss Italia: il valore sociale della bellezza
Ha anche accolto, Miss 2012 in pompa magna a Roma con suo marito Alemanno.
Alemanno, lo stesso che due anni fa lanciò il famosissimo vademecum anti-stupro, quello che donava consigli alle donne su come vestire ma soprattutto di non uscire di casa dopo il calare del buio e di chiamare i sportelli anti-violenza in caso di necessità, sportelli anti-violenza che non sono stati per niente finanziati e promossi durante la sua amministrazione.
Bisogna quindi ricordare alla Rauti che la violenza sulle donne non è solo il femminicidio . Il femminicidio, come abbiamo già sottolineato tantissime volte, non è che l’ultimo atto di una serie di discriminazioni e violenze perpetrate sulla pelle delle donne
Consigliare alle donne di non uscire di sera è violenza.
Consigliare alle donne che genere di abbigliamento debbano indossare, per evitare violenze sessuali, è violenza ma soprattutto disinformazione perché ciò che causa uno stupro è solo uno stupratore e si dovrebbe dare un taglio a queste continue colpevolizzazioni alle donne.
Inserire fondamentalisti cattolici e obiettori nei consultori è violenza
Privare le donne del diritto alla 194 è violenza.
Cosa importantissima da non tralasciare è che Isabella Rauti ha più volte dichiarato il suo dissenso verso il femminismo, come riporta Monica Pasquino dall’Huffington Post
Femminista non sono mai stata (…) femministe non lo siamo mai state e neanche post-femministe, perché del femminismo storico abbiamo respinto le parole d’ordine, i costumi, le mentalità (…). Quello che proprio non posso condividere del femminismo è lo spirito di liberazione che antepone la conflittualità tra i sessi alla complementarietà dei sessi, e vuole l’eliminazione dei ruoli di genere e la cancellazione delle identità maschili e femminili.
Si può combattere la violenza sulle donne odiando il femminismo?
Sempre dall’articolo sull’ HP :
Si può fare a meno della cultura femminista per contrastare la violenza sulle donne? Una destra familistica, arrogante e securitaria può lottare contro il femminicidio? La risposta del nuovo governo è sì.

(Sempre sull’argomento vi consiglio questo articolo di Sguardi sui Generis )