30 novembre 2012

Balbettano, incespicano e poi la dicono chiaramente: il problema sono i vecchi. Colpa loro se la sanità non è più sostenibile.

Un certo Thomas Robert Malthus, sconcertato da quanta gente nascesse nell’Inghilterra del XVIII secolo, considerò che le bocche si moltiplicano geometricamente mentre il cibo solo aritmeticamente, e ne dedusse la necessità di far in modo che i poveri non si riproducessero. A lui si ispira forse il saggio Monti, coadiuvato dal fido Balduzzi, quando dice che i vecchietti sopravvivono sempre di più mentre i soldi per loro al massimo restano gli stessi.  Ne consegue che i vecchietti poveri è meglio che non sopravvivano? Beh, l’idea di affidare la sostenibilità del Ssn a soggetti privati, va, ontologicamente, in quella direzione.
Se ne sono lette, in questi due giorni, di sciocchezze. E se ne sono sentite a proposito dell’uscita di Monti sulla sanità non più sostenibile. La gran parte dei commentatori indignati, però, si è mossa nel solco di Monti stesso: ragionamenti economici, di sostenibilità, di assicurazioni, tasse e qualunque altra diavoleria si possa inventare per pagare le cure. Vabbé, buttiamola pure sull’economia sanitaria (tema palloso e complesso quanto non mai), ma attenzione che così ci mettiamo da soli la trave nell’occhio.
Il Servizio sanitario nazionale non può essere considerato, come fa Monti e come hanno fatto molti commentatori, una voce di spesa, come l’indennità ai consiglieri regionali (tanto per dirne una). Perché è innanzitutto un enorme sforzo di solidarietà collettiva, poi una grande e virtuosa istituzione pubblica, quindi un volano per la crescita scientifica del paese. E potrei continuare per molte righe prima di mettere la voce “spesa”. Se non altro perché noi tutti provvediamo a coprire questo magnifico sforzo con le nostre tasse.
Quindi, mi sarebbe piaciuto, in questi giorni, leggere dell’eccellenza della nostra sanità, del fatto che costa meno di quella dei grandi paesi europei cui ci piace confrontarci, del fatto che è universale nella più ampia delle accezioni. Ma anche dell’esercito di ladroni che se ne approfittano coperti e coccolati da funzionari pubblici, da emeriti professori, da politici e economisti di rango. E, invece, mi ha fatto orrore leggere solo e soltanto di come si fa a ridurne i costi.
Perché se accettiamo di ragionare di sanità solo in termini di costi finiamo col dare ragione al povero Balduzzi. mandato ancora una volta davanti ai microfoni a rassicurare. Ci dice che Monti non pensa a privatizzare, che gli piacciono i nostri ospedali, che bisogna far lavorare meglio i fondi integrativi. Che di soldi non ce n’è e bisogna comunque darli ai partiti, che sostengono il governo e pazienza se poi li danno a Lusi o a Batman. Poi però, voce dal sen fuggita, aggiunge che il problema è l’invecchiamento.
Già, i vecchietti che si tengono in piedi a suon di pillolette, che devono mettersi le protesi e poi finisce che stuoli di loschi figuri ci rubano pure su quelle protesi. Che affollano i pronto soccorso perché i parenti non sanno dove metterli e perché loro stessi sono così impauriti da rinunciare all’autonomia di starsene a casa loro in santa pace. Che stanno male e stanno ancora peggio perché si sentono un peso. Che pregano Dio di venirseli a prendere, non perché qui ci stiano male, ma perché così ci si sente se tutti ti guardano come a un incubo. E a una spesa.
Che vergogna, professori. Incolpare l’invecchiamento delle vostre incapacità. Della vostra paura a toccare i privilegi che, quelli sì e non i vecchietti, devastano la nostra sanità. Non starò qui a negare che l’invecchiamento della popolazione aumenta i costi della sanità, ma a me sembra una buona notizia. Mi significa che le cose funzionano bene e si riescono a tenere in pista le persone fino a tarda età, e mi significa che tutti (anche lei professor Monti) possiamo dare una mano a quelli che hanno fatto questo paese. Lo facciamo con la fiscalità generale e, questo, lo facciamo volentieri..........mentre l’auto blu di Schifani ci fa schifo!

Daniela Minerva

Eroi quotidiani senza funerali di stato.

Isabella Viola è morta, qualche giorno fa, da sola, nelle turbolente viscere di Roma. Il suo cuore è stato spezzato da una vita difficile. Dovevano essere dieci righe in cronaca (giovane donna colpita da malore muore su una banchina della metro) ,quelle che si leggono di mattina distratti dal dilemma del cappuccino (con o senza schiuma?), e invece la sua si è trasformata in una morte che parla all’Italia. 
Racconta di un popolo intero, una moltitudine ignota e ignorata. Di loro sanno poco i dotti professori di economia, gli accigliati ministri-tecnici sempre pronti a giudicare “gli italiani”. Per loro non c’è mai posto nelle poltroncine dei talk-show che al massimo, quando vogliono parlare della “gente”, la fanno raccontare da chi non prende una scassatissima metro da secoli . 
Sono uomini e donne, bianchi, gialli e neri, che si svegliano all’alba per raggiungere posti di lavoro tenuti stretti coi denti, che guadagnano quattro soldi e lottano con mezzi di trasporto affollati, puzzolenti. E' una umanità che tira tardi fino a sera lavorando e si porta il panino da casa per risparmiare.
Isabella era una di loro, non sapeva niente di spread, di Europa, di luci in fondo al tunnel. No, Isabella sapeva solo che a 34 anni doveva conquistarsi la vita a morsi, lo faceva per lei, per il marito, bravo muratore ma disoccupato, e per i suoi quattro figli da crescere. Ogni mattina sveglia presto, la colazione da preparare per i bambini, il pranzo da avviare, una rassettata veloce alla casa e poi la corsa alla metro per poi tornare a sera, distrutta. Settecento euro di affitto, quattro figli da mandare a scuola, il conto dei pochi soldi del suo lavoro e dei lavoretti che di tanto in tanto il marito strappava a qualche cantiere. Ogni sera: questo per le bollette, quest’altro per l’affitto, tanto per mangiare, il bambino vorrebbe quel giocattolo, non possiamo. 

Una sconfitta continua , quotidiana. Che ti mangia il cuore.

No, non è una storia da dieci righe in cronaca, è una storia dell’Italia di oggi.

29 novembre 2012

Chi non ha memoria non ha futuro.

Non v’è dubbio che le ragioni dell’antifascismo appaiano oggi molto più evidenti e urgenti che qualche anno fa. Oggi in ogni parte d’Europa le politiche della destra identitaria e neonazista diventano sempre più aggressive e i governi lasciano fare. Non ci vuole molto a capire che ciò non promette nulla di buono. Anzi, lo sanno tutti.
Non è un caso che la manifestazione antifascista di sabato 24 novembre per la chiusura della sede di CasaPound a Bologna abbia avuto una così larga e composita partecipazione. Saluti e applausi dalle finestre e dalle terrazze. Gente del quartiere che scendeva di casa per unirsi al corteo. Gente che cantava «Bella ciao» ai margini della strada.
Chi non vede proprio nulla è invece un giornalismo di pseudosinistra che cerca sempre di aprirsi al dialogo democratico, sociologico, promozionale o indulgente con «l’altro»… L’ultimo insulto alla memoria antifascista viene ora dal «Manifesto», sempre fecondo di idiozie pseudo-revisioniste e anti-antifasciste in nome del «nuovismo» a tutti i costi.
Sul «Manifesto» del 23 novembre 2012, tal Alessandro Portelli scrive un articolo sull’aggressione razzista e squadrista (ma questa parola non appartiene al lessico portelliano) ai tifosi inglesi in un pub romano. E a un certo punto scrive:
«Il commento più frequente sulle radio laziali è: non ci crediamo, non possiamo essere stati noi. Ora, l’incredulità è il primo stadio della reazione a un trauma, come quando uno viene a sapere di avere una malattia gravissima (e non riguarda solo i tifosi di calcio: vi ricordate quando cantavamo “Impossibile, un compagno non può averlo fatto”, e invece i “compagni” lo facevano eccome)».
Ora, la citazione è quella della Ballata del Pinelli che racconta l’assassinio di un anarchico all’interno della Questura di Milano dopo la strage neofascista di Piazza Fontana:
“Impossibile” – grida Pinelli –
“Un compagno non può averlo fatto
Tra i padroni bisogna cercare
Chi le bombe ha fatto scoppiar”.
Qui non si tratta neanche di dire che Portelli dice il falso e calunnia i vivi e i morti: lo sanno tutti che lo stragismo in Italia, da Piazza Fontana fino a Gianluca Casseri, è solo e unicamente neofascista.
Qui non si tratta neanche di boicottare un giornale come il «Manifesto» che vive un pessimo epilogo, indegno della sua storia, e che sparirà da solo. Né si tratta di rimpiangere tutti gli euro dati in questi anni a sostenerlo, anche se oggi appare evidente che si potevano usare meglio.
Quello che fa specie è che Portelli abbia la tessera dell’ANPI: la restituisca, perché i combattenti che hanno lottato e dato la vita per liberarci dal Fascismo non meritano le sue menzogne revisioniste dette a mezza voce, parlando d’altro…
Oggi le trasformazioni della società sono rapide, tumultuose, imprevedibili, e le questioni che ci troviamo ad affrontare sono davvero tante. Ma proprio per questo occorre non dimenticare che chi non ha memoria non ha futuro.

26 novembre 2012

Guardare lontano....

“La democrazia in Europa”: questo è il titolo del libro di Mario Monti che un Fazio benevolo e sorridente ha presentato ieri sera. Più che il titolo (alquanto utopistico visti i tempi che di democrazia non hanno il benché minimo odore) è il sottotitolo ad illuminare: "Guardare lontano". Quel “guardare lontano” è un ritornello che ho sentito ripetere un po’ troppo spesso. Guardare lontano perché ciò che si sta costruendo darà i suoi frutti più in là, non si deve avere fretta, i risultati si vedranno. Ora io non conosco il contenuto di questo illustre parto di cotanta mente, né vorrò conoscerlo mai, quindi mi si perdoni se disquisisco su due semplici parole ma, come dicevo, ormai mi stanno veramente scassando i cosiddetti! Guardare lontano perché? E soprattutto come? 
Come si può guardare lontano se la situazione di adesso è tale da non avere nemmeno il coraggio di pensare alla prossima settimana? 
Come si può guardare lontano se non sappiamo come sopravvivere adesso? 
Io capisco la lungimiranza, capisco che le cose non possono cambiare da un momento all’altro, capisco tutto! Quello che non capisco è perché in tempi di crisi come questi, in cui tante persone stanno vivendo con fatica immane il presente, quel “guardare lontano” diventi una specie di mantra: non fossilizzatevi sui sacrifici che state facendo ora, pensate al futuro, quando tutto questo sarà finito e saremo tutti felici.
Va bene, ma se nel frattempo muoio di fame? Sono così imbecille se la prima cosa che mi viene in mente è che mi stanno prendendo per il culo?
Però Monti ci dice che il peggio della crisi è passato e che bisogna essere ottimisti. Quindi non c’è più tanto da dire, continuiamo a fare buchi nella cinghia e sorridiamo ad un futuro in cui la cinghia non ci servirà nemmeno più perché non avremo più pantaloni da sostenere.
Intanto, in una tranquilla domenica di Novembre, la notizia più eclatante è che i votanti alle primarie pare siano stati circa 4 milioni (8 milioni di euro incassati).
Per attenermi al mantra attenderò con trepidazione lo spoglio e ignorerò tutti quei morti (in maggioranza donne e molte minorenni) bruciati vivi  in uno stabilimento del Bangladesh dove si producevano a basso costo abiti con marchi occidentali. 
Guardo lontano, penso solo al futuro, quando tutto questo anche da noi non sarà più un’eccezione, quando anche qui, pur  di mangiare, si accetterà la schiavitù e si morirà per mancanza di sicurezza......e non faccio neanche tanta fatica a immaginarmelo...non è un futuro molto lontano, anzi!!


25 novembre 2012

Il peggior nemico delle donne è il silenzio.



Non potevo non dire qualcosa in questo giorno, sono una donna e sono una di quelle che la violenza l’ha subita. Non potevo non dire qualcosa anche se penso che questo sarà un giorno qualsiasi, ci sarà violenza anche in questo giorno dedicato, ci saranno vittime nonostante il giorno, nonostante l’invito a organizzare iniziative volte alla sensibilizzazione delle persone sulla questione femminile e la violenza di genere.
Perché la violenza è multiforme e riguarda tutti gli esseri umani. Parlare di violenza sulle donne è riduttivo, anche se importante, si dovrebbe parlare di violenza di esseri umani su altri esseri umani.
Violenza è sfruttamento.
Violenza è prevaricazione.
Violenza è opportunismo.
Violenza è negazione di diritti.
E c’è sempre qualcuno che ogni giorno subisce qualcosa, palesemente o meno, ma sempre di violenza si tratta.
Ma oggi si parla di violenza sulle donne, quella più diffusa, senza confini di ambiente, religione, cultura e nazionalità. La forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, oltraggio che devasta vite, disgrega comunità e ostacola lo sviluppo.  Ma anche quella che fa più fatica ad emergere perché solo una piccola percentuale di donne denuncia la violenza subita, anche se si tratta di violenze gravi che provocano lesioni sui corpi e sulle menti. La caratteristica comune di queste donne, quella che ferma il loro intento di denuncia è la paura, la rabbia, l’insicurezza, ma soprattutto la perdita di autostima e di fiducia negli altri . Spesso inoltre, e questo è un altro motivo di non denuncia, gli aggressori si trovano proprio tra le mura domestiche, mariti, fidanzati, conviventi o ex partner, ma anche genitori e parenti di primo grado in generale, persone cioè su cui la donna ripone la più grande fiducia, legate da sentimenti affettivi molto forti, la cosiddetta "violenza domestica", un fenomeno cui in passato si dava poca importanza, essendo considerato una delle possibili espressioni del conflitto coniugale.
A tutto ciò si aggiunge una eccessiva tolleranza delle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne che vivono forme di discriminazione e di violenza. Troppo spesso il criminale gode di giustificazioni, si cerca sempre un alibi alle azioni più riprovevoli: i traumi infantili, l'esclusione sociale, la famiglia, la scuola, la società, e, non ultimo, il comportamento della donna che “spinge” l’uomo alla violenza.
Siamo insomma di fronte ad un problema sicuramente sottostimato e di proporzioni pandemiche. Abbiamo statistiche e cronache quotidiane: sono centinaia le donne che ogni anno vengono uccise ed una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Oltre 100 paesi nel mondo sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica, ed oltre il 70 % delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della propria vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini.
In Italia esistono tre leggi che riguardano la materia: la legge 66 del 1966, che introducendo gli articoli 609 bis (e seguenti) ha stabilito che la violenza sessuale non è più un reato “contro la moralità pubblica” ma un reato “contro la persona”; la legge 154 del 2001, che si occupa specificamente della violenza in famiglia; e la legge 38 del 2009, che tende a prevenire la violenza punendo gli atti di persecuzione e di molestia che preludono a probabile futura violenza. Inoltre nello scorso settembre l’Italia ha sottoscritto la “Convenzione di Istanbul” per la prevenzione della violenza domestica, bisogna però ancora premere sul Parlamento affinché tale convenzione sia ratificata.
Ma, come tutti sappiamo, le leggi, anche se sono buone, non bastano. Non basta votarle per dare una effettiva risposta alle vittime. Non basta dire ipocritamente che la lotta contro la violenza è un fatto “culturale”; sarà anche vero, ma sembra più un modo per svicolare dagli obblighi  dello Stato e degli altri Enti pubblici che debbono proteggere le vittime di violenza e tutte le persone più deboli e più sole. Sono ancora troppi gli ostacoli che nel mondo contribuiscono a limitare questi abusi: senza forti forme di collaborazione, sistemi di monitoraggio dei dati, sensibilizzazione dell'opinione pubblica e finanziamenti sufficienti, non si potranno mai compiere passi in avanti per combattere la violenza sulle donne.
Bisogna fare in modo che la donna si senta protetta dalle istituzioni, bisogna smettere di farla sentire vittima di sé stessa prima che del suo carnefice.

22 novembre 2012

Il prossimo leader? Goldrake!

Dopo Berlusconi, Grillo. Chi sarà il prossimo?
Individuando e analizzando le caratteristiche comuni fra i primi due, possiamo prevedere il terzo.
Avvertiamo chi preferisse non scoprirli in anticipo, che questo post contiene spoiler sui prossimi sviluppi della politica italiana.

 
Sia Silvio Berlusconi che Beppe Grillo:
1) Sono emersi sulla scena italiana alla fine degli anni '70, e diventati famosi negli '80. Fra le principali icone mediatiche dell'era del Riflusso, i loro inconfondibili faccioni sono impressi a fuoco fin dalla nostra infanzia nell'inconscio collettivo di almeno cinque generazioni.
2) Hanno raggiunto grande popolarità e successo economico in un' attività (erroneamente) ritenuta molto diversa (e migliore) della politica tradizionale, e lo devono ai media.
3) Sono (o sono stati) considerati outsider, fieri oppositori, in nome del bene comune, d'un mastodontico e persecutorio sistema pre-esistente.
4) Hanno una personalità megalomane, e un temperamento combattivo, che sfogano incuranti dei danni delle loro intemperanze.
5) Le loro dichiarazioni più assurde, offensive, imbarazzanti, vengono giustificate dai loro sostenitori come ''malintesi''.
6) Hanno approfittato dell'innovazione tecnologica per affermarsi, Berlusconi con l'emittenza privata, Grillo con internet.
7) Sono stati all'inizio sottovalutati dagli avversari, e poi contrastati in modo confuso, inefficace, e spesso controproducente e autolesionista.
8) Hanno profondamente segnato il costume e la cultura popolare, prodotto una folla di imitatori, lanciato una serie di slogan che sono entrati nel linguaggio quotidiano collettivo a prescindere dal loro significato originario.

In base a queste caratteristiche, possiamo prevedere chi sarà dopo Berlusconi e Grillo il prossimo leader a catalizzare il consenso della maggioranza degli italiani.
Goldrake.

1) È una fondamentale icona mediatica degli anni '80 ancora immediatamente riconoscibile.
2) È alieno alla politica tradizionale.
3) Ha avuto successo contrastando il mastodontico e persecutorio Impero Galattico di Vega in nome del bene comune, ed è perciò generalmente considerato un eroe positivo.
4) È un megarobot dal temperamento decisamente combattivo.
5) Le sue dichiarazioni più assurde vengono giustificate come errori di traduzione dal giapponese.
6) Ha approfittato delle innovazioni tecnologiche della robotica.
7) I comandanti di Vega suoi nemici sono perlopiù cialtroni incapaci, molto più interessati a complottare per fottersi a vicenda, che a sconfiggerlo. Esattamente come i leader del Centrosinistra.
8) ''Alabarda spaziale''!


Si potrebbe obiettare che Goldrake sia un personaggio inventato, un pupazzo sintetico pilotato da qualcun altro. Questo però non ha mai impedito a un politico d'avere successo.

Alessandra Daniele

21 novembre 2012

67 anni fa nascevano le Nazioni Unite, ma il mondo è ancora in guerra.



Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e alle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà, a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini…
Questo è un passo di un documento storico: la Carta delle Nazioni Unite redatta il 24 ottobre del 1945 (qui il testo completo).
A distanza di 67 anni da quel giorno, la pace, la sicurezza e il rispetto dei diritti umani sono obiettivi ancora lontani e il mondo è ancora in guerra. Mai, dalla fine della seconda guerra mondiale, lo è stato come oggi.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, la fine della Guerra Fredda e della contrapposizione tra Paesi Occidentali capitalisti e Paesi ad economia socialista, alcuni dei più autorevoli esperti e strateghi della politica internazionale avevano preannunciato un mondo finalmente pacificato, privo di guerre, una fase storica in cui gli uomini e le donne del pianeta, grazie ad una cocktail di democrazia e libero scambio, si sarebbero trasformati da nemici - amici in concorrenti. Passati ormai parecchi anni da quell’ evento abbiamo ormai capito quanto questa ipotesi di pace globale fosse basata su presupposti farraginosi. Basta dare un occhiata ad alcune cifre per rendersi conto quanto le previsioni di un mondo pacifico siano errate.
Dal 1988 al 1992, l’ONU ha gestito tante operazioni militari quante ne aveva intraprese nei precedenti quattro decenni. Attualmente le guerre in corso nel Mondo sono almeno 28. Oggi si spara e si muore, in Palestina, Israele, Libano, Iraq, Afghanistan, Kurdistan, Cecenia, Georgia, Algeria, Ciad, Darfur, Costa d’Avorio, Nigeria, Somalia, Uganda, Burundi, Congo (R.D.), Angola, Pakistan, Kashmir, India, Sri Lanka, Nepal, Birmania, Indonesia, Filippine, Haiti, Colombia. Si calcola che questi conflitti abbiano già causato la morte di più di 5 milioni e mezzo di persone. Telegiornali e carta stampata, ormai da qualche anno, ci parlano tutti i giorni di guerre, di bombardamenti, di eserciti, di milizie, di morti civili, di attacchi e di terrorismo. Parole come queste che sembravano relegate solo ai video games e alle partite di Risiko sono tristemente tornate a far parte del nostro lessico quotidiano. Nel corso di questa estate la guerra ha fatto sentire ripetutamente la sua presenza con l’escalation del conflitto mediorientale tra Israele e Palestina che si è esteso al Libano. Mentre le altre due guerre “famose” quella in Afghanistan e quella in Iraq sono ancora in corso e nessuno riesce ormai a prevedere quando finiranno.
Gizmodo propone una mappa mondiale 


Le aree colorate di viola sono quelle interessate da guerre, mentre quelle grigie rappresentano le zone geografiche "tranquille". Dei simboli poi "illustrano" la tipologia del conflitto in corso (traffico di droga, pirateria nei mari, incursioni aeree, battaglie via terra, terrorismo, ecc. ecc.) e la stessa intensità del colore indica la gravità del conflitto stesso.
Non voglio qui sviluppare un discorso sulle colpe e le ragioni, sull’analisi di chi sia la vittima e chi il carnefice, tanto meno voglio perdermi in sterili disquisizioni terminologiche sulle definizioni fantasiose ed ardite con cui giornalisti e politici amano oltremodo riempirci le orecchie, a mio avviso, solo per confondere ed intorpidire le acque. Voglio  solo evidenziare quei conflitti che affliggono milioni di uomini e donne nel mondo ma che per varie e molteplici ragioni non trovano risonanza tra le notizie che i mas media scandiscono ogni giorno. Dei 28 conflitti in corso, infatti, ne conosciamo al massimo 4 o 5, i più “famosi”, quelli dove sono coinvolti militari italiani. Quali sono le ragioni di questa mancanza di notizie sulle restanti guerre? Dimenticanza? Disinteresse? Ignoranza o calcolata rimozione? Perché la comunità internazionale o i singoli stati democratici si coalizzano per liberare alcuni popoli dalla tirannia di regimi dittatoriali mentre lasciano vivere, commerciano e a volte proteggono altri regimi altrettanto sanguinari e cruenti? Certo non è facile rispondere a tutte queste domande, sarebbe però sbagliato non farle e non provare a farsi un idea al riguardo.
La cosa che salta agli occhi è sicuramente una: lo stretto legame che c’è tra la “dimenticanza” da parte dei mass media e le ragioni strategiche, economico-politiche, che ogni guerra porta con sé. La maggior parte dei conflitti vengono combattuti nel Sud del Mondo in paesi poveri mentre le armi necessarie vengono prodotte da pochissime grandi potenze industriali che controllano la produzione ed il commercio del 90–95% degli armamenti.
Rimanendo sul piano generale, si potrebbero ridurre in tre categorie le modalità di gestione dei conflitti da parte della Comunità Internazionale e dei singoli stati.
La prima è quella dell’intervento armato contro uno dei belligeranti. Questo metodo ha come scopo quello di liberare e portare conforto umanitario alla popolazione civile martoriata dalla guerra o da un regime dittatoriale.
La seconda modalità è quella del coinvolgimento attraverso l’intervento umanitario, in questo caso a differenza del primo, l’intervento viene calibrato in modo da non danneggiare gli interessi delle nazioni più potenti presenti nell’area del conflitto.
Il terzo caso è quello dell’astensione da qualsiasi presa di posizione, ovvero la regola della non interferenza nel conflitto.
A quest’ultima categoria appartengono la maggior parte delle “guerre del silenzio”. I diversi paesi democratici, seguendo la logica del “ciò che non si vede non esiste”, preferiscono disinteressarsi e fare in modo che le informazione riguardanti tali conflitti non arrivino ai cittadini del “mondo libero” attraverso i maggiori mezzi di informazione.
In alcuni stati dell’Africa, dell’America Latina o dell’Estremo Oriente la popolazione civile viene lasciata in balia delle violenze e dei massacri commessi da eserciti e da milizie private in lotta. Altrettanto si fa con le rispettive multinazionali occidentali lasciate libere di sfruttare, grazie alle guerre, le ricchezze del sottosuolo di cui tali paesi sono ricchi.
Perché questo atteggiamento? Non sarà che ci sono di mezzo interessi economici? Non è più un segreto che molte guerre vengano sostenute e finanziate da potenti lobby economiche e finanziarie occidentali che guadagnano sia dal commercio delle armi che dalle vantaggiose condizioni di sfruttamento delle ricchezze dei paesi in guerra. Non è più un segreto che in molti conflitti una o più parti in causa siano finanziate dai soldi di alcune multinazionali in cambio di condizioni vantaggiose di sfruttamento di giacimenti di petrolio, oro, diamanti, uranio, coltan, cobalto ed altri indispensabili e rare materie prime necessarie alle industrie dell’Hi-Tech.
È triste vedere quanti sono i posti dove le persone combattono, soffrono e muoiono. E scoprire purtroppo quante di queste guerre siano poco interessanti per i principali media internazionali, impegnati a spostare i propri riflettori su quei conflitti che per ragioni economiche, politiche ed ideologiche rispondono meglio ai propri interessi. 
È triste assistere quotidianamente all’arroganza e alla crudeltà del potere.