30 aprile 2016

Parole, parole, parole.

Quante se ne consumano, perché dirle è facile, ma quante valgono davvero qualcosa? Quanto sono impotenti le parole, squarciate da un silenzio che le controbatte, che non le considera, il silenzio di chi ne riceve il peso e non si graffia nemmeno, non si scosta, non le sente....Parole che si buttano là dove rimangono, soffocate dai fatti, omicidi di parole che rimangono impuniti. E il silenzio che viene buttato addosso, salvagente che non salva, cima irraggiungibile da scalare all'infinito...fino a che non frana e respinge riportando in fondo solo detriti, urla e lamenti.
A me sembra che questo mondo sia diventato un po' troppo brutto per essere ancora sottolineato a parole, descritto e analizzato. Per aver voglia di parlarne ancora...perché parlarne ha senso fino a quando c'è speranza che serva a correggere qualcosa, ma ora anche la speranza sembra venir meno, soppiantata da una realtà che davvero supera qualsiasi fantasia o la peggiore delle ipotesi future. 
Perché se tre studentesse 15enni di un istituto professionale di Torino scattano foto e inviano su Whatsapp a tutta la loro classe, fotografie in cui deridono la loro compagna in preda a una crisi epilettica, significa che abbiamo il marcio dentro, che siamo malati, profondamente e incurabilmente, e se quelli che dovrebbero essere il futuro, questi figli, hanno imparato questo da noi, il futuro non esiste. E le parole non servono più.
Perché se un'altra struttura sanitaria in Siria, un importante centro pediatrico di MSF, viene devastata da un attacco aereo, significa che la natura umana è qualcosa di indefinibilmente cattivo, brutale e incomprensibile e io mi vergongo di appartenervi...quindi le parole non servono più...
E l'elenco potrebbe continuare all'infinito ma mi fermo...perché non ho più parole da consumare...




29 aprile 2016

Muri.

Quando non sono quelli delle case, i muri sono quasi sempre strumenti politici. Nella storia del mondo le barriere politiche esistono fin dai tempi più antichi, ed è abbastanza eloquente che non siano mai state tanto numerose come ai giorni nostri. Muri imperiali come la Grande Muraglia cinese o il Vallo di Adriano, muri di separazione come quello tra Israele e i Territori e la Striscia di Gaza, muri dei ghetti e di segregazione,  quelli all’'interno dei quali vivono i cittadini bianchi del Sudafrica, le peacelines di Belfast o il recente e criticatissimo muro "anticrimine" di via Anelli, a Padova, muri di contenimento come quello che corre lungo il confine del Texas e del Messico, muri di difesa come la Linea Maginot o il Vallo Atlantico, muri commemorativi, e tantissimi altri. Una lunghissima serie di muri –per controllare, limitare, escludere, proibire,– corre e s’i interseca senza quasi soluzione di continuità lungo tutta la storia umana. Perciò la storia dei muri è inscindibile da quella dell'umanità. Ma l'esempio più famoso rimane quello del Muro di Berlino, diventato un modello, l'unico a potersi fregiare dell'iniziale maiuscola. Ormai si scrive "il Muro". In attesa di qualcosa di peggio, di cui la storia non è mai avara, nella nostra memoria il Muro rappresenta l'apogeo dell'esclusione, della divisione materializzata. Finora nessun muro è stato più politico di quello. Il ventesimo anniversario della sua caduta, nel 2009, ne ha sancito e iperbolizzato l'importanza al tempo stesso storica e simbolica. 
Poi, e non è il risultato meno paradossale del progresso che dovrebbe spazzare via le ultime vestiga dell'oscurantismo, ci sono i muri dopo il Muro. Non ruderi dimenticati, ma muri pienamente funzionanti, che spesso si stanno addirittura allungando e perfezionando, che si stanno moltiplicando un po' in tutto il mondo, muri costruiti di fresco, progetti di muri, idee di barriere che in teoria dovrebbero proteggere contro la delinquenza, il terrorismo, l'immigrazione. Muri dietro ai quali ci si rinchiude, frontiere insomma, da non oltrepassare. Una mappa di segni e cicatrici con cui la politica ha creato e sta creando limiti invalicabili per difendere confini sociali, politici, economici e culturali. Divisioni che ci riportano indietro nel tempo, alla faccia del progresso, di un mondo senza confini e di un'Europa unita...



......saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro....

25 aprile 2016

Ogni giorno.

Al di là di ogni celebrazione ogni giorno si lotta per qualcosa, ogni giorno è un giorno di lotta per la sopravvivenza, contro la lesione dei diritti più elementari, contro il dilagare della violenza fisica e psicologica, contro chi vorrebbe imporre un unico modello, quello che gli fa più comodo, contro una mentalità che non ha più niente a che vedere con l'essere umano consapevole della propria unicità, capacità e potenzialità, contro un nemico che non si vede ma che decide delle nostre vite sulla base di numeri e grafici...ogni giorno...e ogni giorno resistere significa avere la forza di stare in piedi e camminare con lo sguardo dritto e la testa alta, senza dimenticare che chi ci sta attorno potrebbe aver bisogno di una mano....

25 Aprile, festa della libertà....


22 aprile 2016

Per quelli che ancora..."anarchia vuol dire caos e violenza".

Oggi sul quotidiano La Stampa un'interessante intervista a Debbie, la figlia di Murray Bookchin, che parla di come Ocalan dal carcere fu conquistato dagli scritti di suo padre, Bookchin, sentendosi stimolato a dare avvio alla sperimentazione libertaria del "Confederalismo Democratico" in Rojava (l'area curda della Siria). Una sperimentazione di alternativa sociale allo strapotere planetario del capitalismo, portata avanti da un popolo coraggioso, costretto contemporaneamente a lottare contro lo spietato teocratismo dell'Isis e le aggressioni del dittatotore turco Erdogan, che gli anarchici guardano con grande simpatia, solidarietà e sostegno, perché rientra nella tensione di emancipazione libertaria che interessa ai veri amanti della libertà in tutto il mondo. 
Buona lettura.
http://www.lastampa.it/2016/04/22/cultura/cos-i-curdi-siriani-hanno-abbandonato-marx-per-mio-padre-WOVS5lxc8XH7Iyt75hx9DN/pagina.html

Ciao dolce Principe.

Bisogna vivere una vita per capire la vita (Prince)
C'è stato un tempo in cui sul pop spiazzante di Prince mi ci sono consumata l'anima. Un piccolo grande genio, tanto unico quanto replicato nei decenni successivi in più tentativi d'imitazione in ogni angolo del pianeta. Personalità eccentrica e complessa, non semplicemente un cantante ma anche musicista, produttore, innovatore, era considerato uno dei più influenti artisti al mondo. Una discografia complessa e variegata, centinaia di canzoni, ognuno avrà la sua preferita, o molto probabilmente più di una. Ai più fortunati resterà la magia dei suoi concerti, io lo ricordo con questo indelebile pezzo, ma ricorderemo questo grande artista soprattutto continuando ad ascoltare le sue splendide canzoni.


20 aprile 2016

Avere desideri è umano, naturale. Il problema arriva quando questi desideri diventano eccessivi e competitivi. 
Di solito il mezzo per realizzare desideri è il denaro. Un tempo c'era il baratto, uno strumento attraverso il quale si scambiavano merci di varia natura, come di natura diversa sono i beni materiali scambiati con il denaro. 
Il desiderio di prevalere, di avere di più in tutti i rapporti anche diversi da quelli economici, ha portato gli esseri umani a voler possedere sempre più riserve di denaro, non solo per avere più beni materiali, ma per scambiare ed avere in proprietà anche beni immateriali: le idee, la libertà, la dignità di chiunque altro sia meno provvisto di denaro.
La ragione per cui il denaro ha sostituito qualunque altro valore è proprio questa: desiderare senza moderazione fino all'ottenimento del controllo integrale di ogni cosa e persona, così da avere l'illusione di essere onnipotente.
La radice del male non è nel denaro, ma nell'uomo che del denaro fa uso improprio.
Questo uso improprio ha il nome, la forma, le modalità e le finalità del capitalismo.

19 aprile 2016

In giorni come questi, dove tutti sanno dov'è la ragione, dove tutti si parlano addosso, dove ognuno ha la chiave per risolvere i problemi e dove la disinformazione, il tifo da stadio, la pochezza argomentativa, le convinzioni personali prevalgono sull’informazione, io scelgo il silenzio per rispetto di tutti coloro che nel mare mescolano speranza e disperazione.
http://www.repubblica.it/cronaca/2016/04/18/news/strage_migranti_somali_mediterraneo-137873430/?ref=HREA-1
Nella nostra smania di voler fare qualcosa, continuiamo ad ammazzare i nostri piccoli draghi...mentre quello grande aspetta...

17 aprile 2016

Così vorrei amare. (Giorgio Gaber)

Quando sarò capace di amare
probabilmente non avrò bisogno
di assassinare in segreto mio padre
né di far l'amore con mia madre in sogno.
Quando sarò capace di amare
con la mia donna non avrò nemmeno
la prepotenza e la fragilità
di un uomo bambino.
Quando sarò capace di amare
vorrò una donna che ci sia davvero
che non affolli la mia esistenza
ma non mi stia lontana neanche col pensiero.
Vorrò una donna che se io accarezzo
una poltrona un libro o una rosa
lei avrebbe voglia di essere solo
quella cosa.
Quando sarò capace di amare
vorrò una donna che non cambi mai
ma dalle grandi alle piccole cose
tutto avrà un senso perché esiste lei.
Potrò guardare dentro al suo cuore
e avvicinarmi al suo mistero
non come quando io ragiono
ma come quando respiro
Quando sarò capace di amare
farò l'amore come mi viene
senza la smania di dimostrare
senza chiedere mai se siamo stati bene.
E nel silenzio delle notti
con gli occhi stanchi e l'animo gioioso
percepire che anche il sonno è vita
e non riposo.
Quando sarò capace di amare
mi piacerebbe un amore
che non avesse
alcun appuntamento col dovere
Un amore senza sensi di colpa
senza alcun rimorso
egoista e naturale
come un fiume che fa il suo corso
Senza cattive o buone azioni
senza altre strane deviazioni
che se anche il fiume le potesse avere
andrebbe sempre al mare.
Così vorrei amare.


16 aprile 2016

I ragni bianchi.


Li chiamano così perché sono appesi nel bianco del marmo per scovare e scoprire le linee di frattura nella roccia. Rimangono sospesi nel vuoto per ore, giorno dopo giorno. Sono quelli delle cave di marmo dell'Apuania, terra di confine tra cave e mare, terra ribelle che ha l'anima nella resistenza delle montagne. 
L'estrazione di marmo è un'attività vitale per le 80 imprese nel territorio che direttamente e grazie all'indotto dà da vivere a gran parte della popolazione. Lavorano a norma, dicono, è una cava sicura, dicono, poi però gli incidenti possono capitare....e alle 13,38 del 14 Aprile duemila tonnellate di marmo sono crollate all'improvviso, causando la morte di due ragni bianchi.
E li chiamano incidenti....che strano, è la stessa parola che si usa per gli scontri sulla strada, incidenti, come a sottolineare la natura casuale del fatto. Certo, c’è una parte di caso come in tutto, perché in quel momento, in quel posto c’erano quei due e non altri due.
Ma la parte che non è fato, caso o destino come lo si voglia chiamare, è omicidio. 
Moltissimi morti sul lavoro vengono uccisi perché le norme di sicurezza non sono mai sufficienti, perché investire sulla sicurezza ha un costo.... che viene tolto al profitto...
Perché costa fornire tutti gli strumenti per proteggersi...
Perché costa preparare in modo adeguato per svolgere la mansione...
Perché il profitto e solo quello sta al primo posto..
Quando si smetterà di dare la precedenza al denaro invece che al benessere delle persone e dell’ambiente in cui vivono?
Mi sembra che questo pane costi troppo sangue, sempre.

Ai cavatori



15 aprile 2016

Aborto, tortura, eutanasia: l'Italia viola i diritti umani.

“A causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza”: queste le parole del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, che già lo scorso anno si era espresso sul caso italiano. Il Comitato ha infatti verificato che non sono rispettati sia il diritto alla salute delle donne, che quello dei medici non obiettori di coscienza alla dignità lavorativa.
La ministra della salute Lorenzin ha risposto piccata che si tratta di dati ormai vecchi e ha assicurato che in Italia “non c’è alcuna violazione del diritto alla salute”, ma il Ministero della Salute sottostima drasticamente il numero di aborti clandestini, che sarebbero circa 50mila all’anno, e non tra i 12 e i 15mila, come sostengono le ultime stime ufficiali, risalenti al 2012.
L’obiezione di coscienza tra i ginecologi italiani è al 70%, con punte del 93% in Molise e nella provincia autonoma di Bolzano, seguite a stretta distanza dal 90% della Basilicata, e dall’88% della Sicilia. Dati allarmanti, raccolti dallo Stesso Ministero della salute nella relazione sull’attuazione della legge 194 presentata a fine ottobre 2015, e che si riferiscono al 2013-2014.
Il taglio della relazione cerca di indorare la pillola e affermare che la situazione è sotto controllo, ma i numeri parlano da soli.

Il diritto delle donne a poter praticare un aborto sicuro e legale è stato ulteriormente minato dal decreto depenalizzazioni approvato in gennaio dal Consiglio dei Ministri. L’aborto clandestino non è più reato, ma la sanzione economica è passata dai 51 euro simbolici di prima, che permettevano alla donna sia di denunciare che di andare in ospedale alla prima complicazione, a una cifra che varia dai 5mila ai 10mila euro. È evidente che precarie, disoccupate, migranti non potranno mai permettersi queste cifre, e che si guarderanno bene dall’andare in ospedale in caso di necessità, e che saranno quindi costrette a subire una situazione di rischio aumentato esponenzialmente.

Ma questa non è certo la prima volta che l’Italia si fa bacchettare dal Consiglio d’Europa e dalla sua Corte europea per i diritti umani: alcuni giorni fa la Corte ha stabilito che il blitz della polizia alla scuola Diaz, durante il G8 del 2001, deve essere qualificato come tortura, e ha condannato l’Italia sia per questo che per l’assenza di una legge che punisca il reato di tortura.
È ancora di questi giorni la sentenza del Tar della Lombardia che ha condannato la Regione a risarcire Beppino Englaro con 142mila euro, a causa dell’otruzionismo che ha “impedito al ricorrente di dare seguito alla volontà della figlia di non continuare a vivere in quello stato di incoscienza permanente”, incompatibile col “suo stile di vita e i convincimenti profondi riferibili alla persona, correlati ai fondamentali diritti di autodeterminazione e di rifiutare le cure”, come si legge nel pronunciamento del Tar.


Tante situazioni diverse, un unico filo conduttore: i diritti civili e umani fondamentali, alla salute, all’autodeterminazione, a non subire tortura, che l’Italia non garantisce ai suoi cittadini.

12 aprile 2016

Bisogno di nemici.

Ci siamo sempre chiesti perché gli jihadisti continuavano a trovare armi che, ovviamente, non sono in grado di produrre autonomamente. Questa informazione è una risposta. C'è poi da spiegare quale logica spinge a tenere armato e in forma chi ufficialmente viene dichiarato nemico. La prima immediata risposta che affiora è che i "signori della guerra", che si arricchiscono attraverso la guerra, hanno bisogno di avere sempre nemici feroci e terroristi a disposizione per giustificare la loro esistenza e continuare ad arricchirsi. Pazienza che poi il prezzo da pagare per questo "status" sia una quantità abnorme di "danni collaterali".

Da l'Antidiplomatico


Gli Stati Uniti consegnano 3.000 tonnellate di armi ad Al-Qaeda in Siria.
Le richieste per il trasporto di armi in un sito web federale degli Stati Uniti rivelano come Washington continui ad inviare armi ad Al-Qaeda ed ad altri gruppi terroristici in Siria.
Il British Institute of Defense IHS Jane lo ha riportato ieri: la pagina ufficiale del Federal Business Opportunities (OSA) ha presentato, nei mesi scorsi, due richieste per cercare aziende che si occupano del trasporto di armi da Constanta (Romania) al porto giordano di Aqaba.
Il carico comprende "fucili AK-47, pistola PKM, DShK mitragliatrici pesanti, RPG-7 lanciarazzi e sistemi anti-carro 9K111M Faktoria" ha riferito IHS Jane.
Una barca con circa un migliaio di tonnellate di armi e munizioni ha lasciato Constanza a dicembre 2015 verso Agalar (Turchia) e poi a Aqaba.
Un'altra barca con più di due mila tonnellate di armi è partita alla fine dello scorso marzo e ha fatto lo stesso percorso per Aqaba.
"Sappiamo che i "ribelli "in Siria hanno ricevuto un sacco di armi durante il cessate il fuoco ufficiale. Sappiamo anche che questi "ribelli" ottengono periodicamente la metà delle loro armi provenienti dalla Turchia e dalla Giordania ad Al-Qaeda in Siria (noto anche come Al-Nusra)", ha spiegato il redattore di IHS Jane.
Fonte: Hispantv

08 aprile 2016

Referendum piuttosto ambiguo.

Come al solito, con il voto si fa credere di avere un potere decisionale che in realtà non esiste. Andrea Papi spiega bene le preplessità su questo strumento tanto sbandierato come espressione di volontà popolare.
http://www.libertandreapapi.it/blog/index.php
Il referendum indetto per il 17 aprile prossimo rappresenta una particolare conferma di ciò che sostengo da sempre: in Italia, per come è concepito e impostato, l’istituto del referendum è truffaldino. Dal punto di vista politico poi equivale a una vera trappola.
Innanzitutto è solo abrogativo, si può cioè indire esclusivamente per abrogare una legge, o parti di essa, già in vigore (in Svizzera, per esempio, tradizionale “madre putativa” delle pratiche referendarie, si può indire anche per proporre leggi non in vigore che però si ritengono necessarie). È interessante capire che, mentre chi vota (si o no) è in genere convinto di farlo per i contenuti propagandati, cioè contro o pro l’aborto, contro o pro gli inceneritori, contro o pro qualsiasi altra questione in ballo, di fatto giuridicamente quel consenso o dissenso sono riferiti alla formulazione della legge più che al suo contenuto. Ciò che verrà abrogato o confermato non sarà tanto l’aborto, l’inceneritore o quant’altro, bensì il testo che definisce la legge in questione per come è scritto, compresa la punteggiatura. Di fatto, anche dopo un’abrogazione referendaria, se viene cambiata qualche virgola e spostata qualche parola, dando quindi forma diversa alla stesura testuale abrogata, la legge può rimanere. Qualcosa di simile (non ho approfondito formalmente, quindi non conosco i particolari formali) in pratica successe con i referendum sulla caccia e il finanziamento ai partiti che, pur abrogati per volontà popolare espressa, sono tranquillamente rimasti.
Altro aspetto niente affatto secondario è che la decisione vera e propria, sia nelle sue espressioni formali sia nella sua sostanza decisionale, non sarà l’esito del voto, bensì verrà presa dal parlamento attraverso i suoi rituali e le sue procedure. Non a caso ciò che noi chiamiamo con la semplice dizione “referendum”, è definito “consultazione referendaria”. Fino a prova contraria democrazia diretta significa democrazia che decide direttamente, non delegata perché non filtrata da alcun medium, né strutturale né formale. L’attuale impianto giuridico-procedurale invece è fondato su una consultazione, solo in piccolissima parte vincolante, quale medium per suggerire cosa dovranno poi decidere gli eletti in parlamento. Ciò dimostra ampiamente che l’istituto referendario italiano non può in alcun modo essere spacciato quale espressione di “democrazia diretta”, come invece viene costantemente contrabbandato dagli addetti ai lavori, anche i più avveduti, non so se per malafede o per ignoranza.
Inoltre, aspetto particolarmente rilevante, l’ammissibilità di un quesito referendario è sottoposta al vaglio della giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale sistematicamente pone vincoli, paletti ed eccezioni che alla fine ne riducono la portata, rendendolo facilmente marginale. Pure interventi ad hoc del parlamento e del governo in carica possono rendere nulle parti di esso e preventivamente condizionarne in modo pesante rilevanza e prospettive.
È il caso dell’attuale referendum sulle trivellazioni. Sulla spinta propulsiva di 9 consigli regionali erano stati proposti 6 quesiti, miranti a mantenere il ruolo delle Regioni nella pianificazione della ricerca di idrocarburi, a pretendere la definizione senza ambiguità dei titoli delle concessioni, a contenere il proliferare delle ricerche oltre le 12 miglia dalla costa. A dicembre il governo è intervenuto su questi argomenti rendendo vani 5 dei 6 quesiti iniziali. Ne è rimasto solo uno, il più marginale, che richiede di non rinnovare alla scadenza i permessi delle trivellazioni in atto entro le 12 miglia dalla costa, di un insieme di quesiti che, a esser sinceri, fin dalle origini non erano mai entrati volutamente nel merito del problema vero, cioè la scelta delle politiche energetiche e del loro impatto ambientale. Troppi gli interessi, troppe le pressioni lobbistiche e dei potenti, troppa la pressione di una cultura della speculazione finanziaria che prevarica i bisogni di base delle popolazioni e dei territori.
Sia per il fatto di essere un referendum sia soprattutto per come è stato ridotto, il 17 aprile dunque non solo non servirà a nulla, purtroppo sarà un boomerang perché si trasformerà nell’ennesimo strumento di conservazione dell’attuale reazionario stato di cose presente.
Come ha scritto giustamente Mariella Caressa il 3 aprile 2016 sul suo profilo facebook, Votare si, votare no o non votare ai referendum sulle “trivelle” il risultato non cambierà: le trivelle ci saranno lo stesso.
Andrea Papi

07 aprile 2016

7 anni dal terremoto o 7 anni di terremoto?


Commemoriamo certo, facciamolo, perché il silenzio, in questo caso, non paga. Emozioniamoci al ricordo di quelle 309 persone, ma a distanza di 7 anni chi è sopravvissuto al violento sisma deve ancora fare i conti con una realtà che dice che nulla è tornato al suo posto. Ed è di tutt'altra natura il sentimento che suscita il sapere che le case della ricostruzione, costate un miliardo di euro, stanno crollando a loro volta, sette anni dopo essere state costruite.
Stiamo parlando della New Town, voluta da Berlusconi e realizzata dal suo grande amico Bertolaso, che lui oggi vorrebbe sindaco di Roma. 
Le polemiche non si sono mai sopite e oggi a L'Aquila le case (anche le nuove) continuano a crollare. 
Il terremoto divenne un affare per molti e all'indomani vennero a galla alcune vergognose situazioni che contribuirono ai crolli, come errori di progettazione strutturale e maldestri interventi postumi, ma anche impiego di materiali non conformi alle indicazioni di progetto: cemento armato contenente sabbia marina e staffe di ferro posizionate a distanze non a norma di legge. Ne nacque il processo alla Commissione Grandi Rischi che lo scorso novembre ha visto assolvere 6 dei 7 imputati. Venne confermata solo la condanna a due anni per De Bernardinins, l’ex vice-capo della Protezione Civile, il quale dichiarò pubblicamente che non c’era alcun pericolo nonostante le scosse che si avvertivano nel territorio. Ancora in attesa il processo a Bertolaso, molto vicino alla prescrizione e oggi in lizza per la poltrona di sindaco di Roma.
Ne leggo su un articolo della Stampa: 

http://www.lastampa.it/2016/04/06/italia/cronache/nella-new-town-dellaquila-crolla-tutto-ma-restiamo-qui-CVbDbM39XETJbisXhpKqOL/pagina.html 

Poi abbiamo un capo del governo che ironizza sul fatto che la magistratura non arriva a sentenza.
E' difficile arrivare a sentenza quando pare che sia quasi un intero popolo di faccendieri a dover essere condannato.

06 aprile 2016

Riina in libreria, Sollecito in tv.

Di Rita Pani.

"Non cadono più nemmeno le braccia. E scrivo braccia perché so, che a volte son volgare.
Ah, se aveste anche voi, qualche volta, passato un poco del vostro tempo seduti davanti a un editore che non ha il coraggio di dirti, che non sei quel che scrivi, ma quel che potresti fargli guadagnare!
Capireste lo strano ghigno che mi si stampa sul viso, una sorta di sorriso abortito, che mi tiene su le braccia, che non mi fa cadere le …
Il figlio di Toto Riina ha scritto un libro su suo padre. No, non parla di mafia, né ricorda i morti innocenti. Non sfiora nemmeno il dolore di chi ha sepolto suo figlio morto per caso mentre giocava a pallone, l’orrore provato dal mondo intero per un bimbo sciolto nell’acido. Non scava a fondo nell’insana abitudine mafiosa, non racconta di spari e di sangue, di un padre e un figlio probabilmente conservati per sempre sotto una colata di cemento. Racconta un padre davanti alla tv, che poveretto, nemmeno poteva andare a cena fuori. Carcerato dalla sua latitanza, che gli impediva un viaggio, una fotografia, una giornata in riva al mare, e chissà che altro – poveretto.
Il figlio di Riina ha trovato un editore che farà vivere il suo libro in una libreria, che lo farà entrare nelle case di povera gente miserabilmente curiosa, che alla fine, magari, proverà anche un po’ di pena per quelle carezze negate al padre e al figlio dal 41 bis.
Non cadono più nemmeno le palle. Non rotolano lontano dal corpo dal quale si sono staccate.
Raffaele Sollecito, diventerà opinionista per Mediaset. Parlerà di crimini, di gialli. Una sorta di criminologo laureato ad honorem, per meriti di carriera, essendo scampato alla condanna per l’omicidio di Meredith Kercher. Lui conosce direttamente “la macchina della giustizia” assicurano i produttori del programma. Lui sa, e non ho dubbi nemmeno io che lui sappia.
Senza mai esser troppo chiaro, l’editore te lo dice che quel che scrivi è sostanzioso, ma poi ti guarda e senza domandarti, chiede: “Ma tu, chi sei? Cosa posso vendere di te?”
“Nessuno”, spesso rispondo stando zitta. Mai puttana in vita mia. Mai un omicidio, nemmeno una famiglia ricca a ripulire le mie nefandezze. Sempre in piedi a sbraitare contro le ingiustizie, idiota al punto di non parcheggiare mai in divieto di sosta. “Son proprio nessuno”, rincretinita al punto di essere onesta, vergognosamente per bene. Una merda, praticamente, nessun merito a curriculum, ridicola al punto di inorridire di fronte a questo mondo che non si riesce proprio a sanare. Non c’è nulla da vendere di me, così ordinaria e banale, che non so nemmeno inventarmi una perversione, se non quella di ingozzarmi di bastoncini di pesce Findus, una volta ogni tanto, e come se non ci fosse un domani.
Mi rassegno. Se questo è quello che deve stare nel mercato letterario, se questo è quello che deve essere cultura, allora è giusto che io ne stia fuori, sia come produttrice che come consumatrice. Emarginata da questo mondo che non potrà mai essere il mio."

Aggiungo un mio pensiero: l'intervista a Riina junior non è una pensata di Vespa. Dietro c'è una manovra di quelle che Falcone chiamava "menti raffinatissime". Si sdogana la mafia e si banalizza l'antimafia. Su Sollecito non ho commenti, bastano le parole di Rita.

L'unione fa il delitto.


Di Alessandro Dal Lago per "Il Manifesto" del 5 Aprile 2016.

Su catamarani e altri mezzi di fortuna, ma sotto la solerte vigilanza di funzionari Frontex, è iniziata la deportazione di migranti e profughi da Lesbo e altri porti greci in Turchia. Verso dove? Nessuno lo sa. Alcuni giorni fa Amnesty International ha accusato il governo turco di espellere centinaia di siriani in Siria, in un paese, cioè in cui la guerra c’è, benché se ne parli sempre meno. Intervistata sulla questione, una funzionaria Ue ha risposto. “È da escludere. L’accordo tra Ue e la Turchia non lo prevede. È scritto nero su bianco ”.
Ecco una risposta che meriterebbe una citazione in un’enciclopedia universale dell’insensatezza. La Ue fa un patto miserevole con Erdogan: 6 miliardi di Euro in cambio del ritorno in Turchia di migliaia di migranti e profughi. Si noti: con lo stesso Erdogan che mezzo mondo, compresa l’Europa (quando le fa comodo), accusa di imprigionare i dissidenti e imbavagliare la stampa. Dunque, un paese in cui nessun controllo si può esercitare su un governo semi-dittatoriale. E ora arriva una tizia, finita chissà perché a dirigere qualcosa in Europa, a dirci che la Turchia non deporta nessuno perché nell’accordo con la Ue non c’è scritto nulla al riguardo!
Ma questo è nulla. Interrogato sulla questione, un giurista ha affermato tempo fa che non si può parlare di deportazioni perché “Il termine implica un atto criminale e utilizzarlo significa quindi ammettere che l’accordo tra Unione Europea e Turchia preveda un crimine”. Assolutamente geniale. Questo esempio di logica deduttiva ricorda una dichiarazione del penultimo presidente della Repubblica, secondo il quale, mentre i nostri aerei bombardavano la Libia, l’Italia non era in guerra perché non aveva dichiarato guerra a nessuno. Ma il citato giurista va oltre. Alla domanda se la Turchia sia uno stato sicuro, risponde di sì. E come si fa a stabilire se uno stato è sicuro? “È tale uno stato che accoglie i migranti in autonomia”. Il nome La Palisse vi dice qualcosa?
Ma non c’è proprio da ridere. Dietro questo formalismo alla Gogol c’è un cinismo terrificante – l’uso delle parole ingessate del diritto per giustificare il rinvio ai mittenti, cioè la guerra, la fame e la morte, di decine di migliaia di esseri umani. Era già successo ai tempi degli accordi che Amato e Pisanu stringevano con quei campioni del diritto di Gheddafi e Ben Ali. Tutti sapevano che i migranti, espulsi in cambio di un po’ di dollari ai governi, finivano nel deserto, vittime di inedia, militari e predoni. Ma poiché nessuno lo diceva, ecco che non era successo nulla.
L’accordo Ue-Erdogan si muove sulla stessa falsariga. Che fine faranno siriani, afghani, pakistani prelevati dalla Turchia? Nessuno lo saprà mai con certezza. Magari Amnesty International verrà a conoscenza di qualcosa e denuncerà i fatti. Ma, poiché l’accordo siglato dalla Ue non prevede nulla del genere, otterremo le solite risposte nel vacuo burocratese citato sopra. D’altra parte, in un’area in cui sarebbero morte cinquecentomila persone in cinque anni, che volete che significhi la sorte di poche migliaia di migranti?
Tempo fa, la signora Frauke Petry, figlia di un pastore protestante e leader del partito xenofobo Alternative für Deutschland, ha dichiarato che bisognerebbe sparare ai migranti che attraversano illegalmente le frontiere. Eccola accontentata. E senza rumore di spari, sangue e inchieste. Ci pensa il nostro alleato Erdogan. Con ciò le mani d’Europa restano immacolate. Come quelle di chi commissiona un delitto a qualcuno e poi se ne va serenamente a cena.

04 aprile 2016

Scrivo.



Scrivo perché c'è un momento della notte 
in cui le mie mani disegnano nell'aria contorni strani 
a tutto quello che so, 
quello che conosco. 
Perché il corpo si inarca cercando un posto 
in quel vuoto di presenze insondabili. 
Scrivo sempre per qualcuno che non sono io 
e comunque scrivo per me stessa. 
Non conosco il significato di tante parole, 
ma conosco il silenzio 
e la contrazione dell'anima tra le dita bagnate. 
Ignoro il meccanismo che muove gli orologi e le bussole, 
la traslazione che trascina gli oceani 
e che cambia posto alla luna quando è giorno. 
Scrivo per inventarmi un universo 
che spieghi qualsiasi filosofia. 
Perché non ci sia nulla dove tutto è dolore. 
Per mia madre e mio padre morti, 
per l'amore che non vivo, 
per l'incertezza dei corpi 
e l'eternità che volteggia nel lampo; 
per il vino, 
la magia, 
le tempeste, 
un sassofono che piange 
ad un ritmo incalzante e irregolare. 
Per le sanguisughe nelle mie ferite. 
Per non essere la stessa che sono quando non scrivo, 
io scrivo.

02 aprile 2016

La cultura ecologica degli hippies.

La controcultura hippy nata negli anni ’60 è passata alla storia per i suoi ideali di libertà sessuale, uno stile di vita libero da costrizioni, l’amore per il rock psichedelico e le droghe leggere. Oltre a quest’aspetto di superficie però c’era un’importante filosofia alla base, che privilegiava un rapporto sano e rispettoso con la natura, tanto che molte delle pratiche green che oggi stiamo riscoprendo erano in realtà già in uso presso le comunità di questo movimento.
Mangiare cibo biologico, per esempio, coltivato direttamente nell’orticello di casa, era una necessità rispetto alla diffidenza che man mano si stava diffondendo rispetto ai prodotti confezionati dell’industria. Ma anche l’attitudine ad una vita più frugale, che rigettasse il consumismo esasperato che viveva allora il suo boom, era parte della filosofia hippy.
La vita comunitaria, magari in alloggi ispitati alla natura, e spesso auto-costruiti, per usufruire dell’aiuto reciproco, magari improntate al baratto delle risorse e dei prodotti disponibili era un altro dei principi ispiratori di questo movimento.

Oggi si sta verificando una inversione di tendenza a favore del recupero di questi valori. La cultura ecologica hippy degli anni ’60-’70 sembra dunque trovare nuove forme sotto diverse e numerose iniziative che spuntano, dal food e car sharing al baratto di oggetti e abiti usati.
Si cercano rimedi naturali per prendersi cura del proprio corpo e della casa. Molti di noi leggono con attenzione l’etichetta degli alimenti e sono attenti alla provenienza del cibo acquistato, alcuni prediligono gli alimenti biologici e c’è che si coltiva il proprio orto.

L’idea stessa di eco-quartiere ed eco-villaggio, in fondo non è che la visione più moderna dalle comuni degli anni ’70, in cui gli abitanti vivevano in una piccola comunità a misura d’uomo, spesso eco-sostenibile, energeticamente auto-sufficiente in cui la mobilità dolce era la regola, limitando così l’auto per privilegiare bici e mezzi pubblici.
Quello che conta è che l’uomo sta imparando a guardare indietro, recuperando valori che in un tempo non lontano erano bistrattati perché legati ad un mondo vecchio o fuori dalla società ‘civile’.

E se è vero che i fenomeni di massa influenzano e modificano gli stili di vita, ben venga che questo accada per avere una vita a impatto zero.

http://www.tuttogreen.it/gli-hippy-erano-gia-eco-sostenibili/

"Ti voglio bene"

Secondo me lo diciamo troppo poco quel "ti voglio bene", quello che è dettato solamente da un impulso d'affetto, anche momentaneo, perché no, anche a persone con cui non abbiamo una gran confidenza, magari dopo uno sfogo o una bella chiacchierata spontanea e inaspettata. E' bellissimo dirlo ed è altrettanto bello sentirselo dire, perché non farlo? Abbiamo dei pudori ingiustificati. Chissà perchè davanti ad un "sei bella" o ad un "sei un grande uomo" gongoliamo, quando magari non c'è nemmeno questa grande bellezza o grandezza, mentre davanti ad un "ti voglio bene" rimaniamo perplessi e magari ci chiediamo pure cosa può significare. E' semplicemente un'espressione di affetto per dichiarare la propria adesione ad un'amicizia o ad una buona relazione, in fase di costruzione o meno. Certo non è convenzionale come un buongiorno o un arrivederci, ma appunto per questo è ancora più vera, dettata dalla spontaneità del momento, senza diffidenza o scetticismo alcuno e, soprattutto, senza alcun fine se non quello di esprimere un'emozione positiva.
Voglio un mondo di bene a tutti voi che passate di qua, e un mondo di bene lo auguro anche a chi non vuole bene perché non ha proprio capito nulla.