23 novembre 2014

Abbiamo bisogno dell’intelligenza e della ragione, della cultura e delle sue variegate espressioni di pensiero ma anche di sensazioni, percezioni, intuizioni, sentimenti. Altrimenti la nostra società sarà solo una sterile macchinetta funzionale e burocratica, la nostra battaglia sarà solo una continua ricerca di aggiustamenti esteriori con nuove leggi e leggine. Come possiamo far parte di un contesto "umano" e socialmente integro se non consideriamo anche (forse in questo momento storico direi “soprattutto”) le necessità del mantenimento delle dignità umane, della riscoperta dei valori?
La barzelletta del giorno e` la lettera di Renzi a Repubblica
http://www.repubblica.it/politica/2014/11/22/news/la_mia_sinistra_non_ha_bisogno_di_esami_del_sangue-101139978/
"Dalla parte dei più deboli".....dice, il mentitore spudorato

e ancora:
"Se entriamo nel merito del Jobs Act vediamo che non c’è riforma più di sinistra".
e` per questo che i sindacati scioperano e un milione di lavoratori e` gia` sceso in piazza: devono essere di destra!


Se l’esistenza è una sola, 
e se l’esistenza si prende cura degli alberi, degli animali, delle montagne, degli oceani; dal più minuscolo filo d’erba 
fino alla stella più grande 
e allora si prenderà cura anche di te. 
Perché essere possessivi? 
La possessività dimostra solo una cosa, 
 che non ti fidi dell’esistenza. 
Vuoi organizzare per te una forma distinta di sicurezza, di garanzia; 
non ti fidi dell’esistenza. 
La non possessività è di base fiducia nell’esistenza. 
Non c’è bisogno di possedere perché il tutto ti appartiene già.
(OSHO)

22 novembre 2014

La fabbrica del panico

by redazione di Internazionale


La fabbrica del panico è un libro scritto da Stefano Valenti e pubblicato da Feltrinelli nel 2013. Ha vinto il premio Volponi opera prima. Eccone alcune pagine.


Mio padre lavorava nel reparto attiguo al mio, ha dichiarato Lorenzo il giorno dell’udienza. Il reparto aste. Grembiule d’amianto, guanti lunghi d’amianto e coperta d’amianto a coprire l’asta incandescente. La coperta, che riparava dalle scintille e dal calore, dopo due o trecento aste era a brandelli e doveva essere cambiata. Guanti e grembiule li riponeva tutte le sere con cura nell’armadietto e li ritrovava la mattina, fin quando erano tutti bruciati. Solo in quel caso li sostituivano. Sono stati la polvere d’amianto, le esalazioni degli acidi e il fumo della saldatura respirato in reparto. Ha detto Lorenzo Gli hanno diagnosticato un tumore al polmone a mio padre, un tumore con metastasi al cervello. Il tumore lo hanno scoperto in ospedale. Lo hanno aperto e subito richiuso. No, nessuna mascherina, ha detto Lorenzo. Mio padre lavorava con gli occhiali da saldatore. E quando il fumo era troppo aprivano il portone e facevano uscire il fumo. Sì, ha detto, anch’io ho lavorato in quella fabbrica, ma in un altro reparto. Mio padre è morto sette anni fa.
Operaio addetto alle lavorazioni a caldo, reparto forgia, trent’anni di fabbrica. Cesare è testimone al processo. Ha lavorato anche in saldatura. Gli operai di quel reparto andavano a volte a lamentarsi con lui, che era delegato sindacale. No, ha detto Cesare al giudice, prima degli anni ottanta non esistevano aspiratori in reparto e allora aprivamo il tetto. Era l’unico modo per liberarsi dalla polvere d’amianto. E non solo di quella, ha detto Cesare, tant’è vero che dopo alcune ore di lavoro l’aria diventava irrespirabile. E allora capitava che gli operai uscissero e non tornassero in reparto fin quando la nebbia non diradava, e a quel punto il capo del personale chiamava il rappresentante sindacale e diceva che, certo, stavano studiando il modo di mettere gli aspiratori, ma che dovevamo avere pazienza e che il problema era anche economico, che mettere gli aspiratori era un impegno finanziario, e che se all’azienda costava troppo, dicevano, allora la proprietà poteva anche andare a produrre da un’altra parte.
Scende una pioggerellina gelata, il giorno della sentenza. L’aula è stracolma. Il giudice stabilisce il non doversi procedere per intervenuta prescrizione a seguito del riconoscimento delle attenuanti generiche nei confronti di nove dirigenti alla sbarra chiamati a rispondere dell’omicidio colposo di un operaio. E altri tre sono stati assolti. Il processo è durato un anno. Il Comitato e gli operai srotolano due striscioni. LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI (GLI OPERAI). UCCISI DUE VOLTE: DAI PADRONI E DAI GIUDICI. L’altro, FABBRICA, SESSANTA MORTI PER AMIANTO, DECINE DI MALATI. LA MAGISTRATURA ASSOLVE I PADRONI. Mi metto in un angolo in attesa. Mi sento un estraneo in quel mare di capelli grigi, di abiti della festa, di lutto portato con dignità. Non reagisco alla sentenza. Ho un moto di ribellione solo quando un poliziotto in borghese spintona un anziano che tiene lo striscione. Un operaio affronta il questurino e, alzato il maglione, si sbottona la camicia. Mostra le cicatrici delle operazioni, le tracce lasciate dall’amianto sul suo corpo, e invita il poliziotto a colpirlo. La consolazione è che mio padre sia morto, che non fosse presente al momento della lettura della sentenza. Sapere che è morto senza queste immagini impresse nella memoria, senza aver ascoltato le parole del giudice. Scendiamo ordinatamente l’enorme scalone. Resto in disparte. E infine anch’io sono dietro lo striscione di un improvvisato corteo. La pioggia adesso è più intensa.
È Cesare a chiudere l’assemblea, un’assemblea, dice, che ricordi ancora una volta gli operai, tutti gli operai morti di fabbrica, e in particolare gli operai del reparto aste della Breda fucine, morti a causa dell’amianto, come ha stabilito il processo, nonostante il riconoscimento delle attenuanti generiche ai responsabili e la sopravvenuta prescrizione del reato. È in corso una strage nelle fabbriche del paese, dice Cesare, una strage di innocenti che non contano niente davanti al denaro, davanti ai tribunali. Ma vedere il giusto e non farlo non è forse mancanza di coraggio? Che i nomi dei morti risuonino sulle labbra dei giusti, dice infine Cesare, e comincia a elencare le vittime dell’amianto in Breda prendendosi tutto il tempo necessario. Che questi nomi, dice Cesare, nomi di uomini mandati a morire a mani nude contro un nemico risoluto, restino in eterno nel cuore degli onesti, in modo che chi oggi non è al nostro fianco un giorno se ne rammarichi. E che questi nomi siano tramandati ai nostri figli. Si racconti loro che un tempo in questa città viveva una razza umana destinata a fare da concime al terreno del capitale e a creare la ricchezza di alcuni più che di altri. Poiché pretendono che li dimentichiate. Siate fieri di quello che sono stati. Operai.

Stefano Valenti è un traduttore e scrittore italiano.

21 novembre 2014

Darla via prima del matrimonio nel nome del Signore, ovvero fatti un tortino a base di.....

Dopo che Riccardo Venturi aveva segnalato questo blog in un suo post, ogni tanto vado a dare un'occhiata per farmi due risate. Non è molto carino da parte mia, lo ammetto, dovrei ignorarli e vivere il mio beato ateismo con tranquillità, ma a volte leggo cose che mi lasciano davvero perplessa: possibile che nel 2014, ormai 15, ci siano persone che ragionano in quel modo? Ma soprattutto che credono ancora, convinte, a quello che dicono?
Ecco un bell'esempio (uno fra tanti che avrei potuto scegliere):

"Buongiorno padre Moreno,
Ho letto il suo blog e l'ho trovato interessantissimo... Sono molto cristiana e il mio fidanzato insiste per avere un rapporto sessuale con me ma ancora non sono pronta, sento di tradire Gesù.
Ho un problema più grande: ho difficoltà a gettare il mio ciclo mestruale... Ho letto su internet che ha dato consigli, ma a berlo semplicemente non ci riesco.
Vedendo che ci sono molte ricette sullo sperma volevo sapere se ne esistono anche sul sangue mestruale.
In anticipo la ringrazio per il tempo che mi sta dedicando.
Cordiali saluti
"

E questa è la risposta di Padre Moreno: 

"Cari giovani fratelli e sorelle in Cristo,
innanzi tutto una premessa per la giovane sorella che ha anche problemi colla dispersione del mestruo: nelle risposte in breve di quest’anno ne troverai una dove diamo la ricetta per un tortino a base di mestruo e sperma molto interessante che puoi sperimentare facilmente: sfoglia la pagine finché la trovi........"

20 novembre 2014

Moretti: "Rappresento le donne, non potrei coi capelli bianchi"

L'eurodeputata piddì: "Perché mortificare la bellezza? I tempi sono cambiati, ho un ruolo pubblico e voglio essere bella. Vado dall'estetista ogni giorno"

Lo so che non sto raccontando niente di nuovo, lo so che ormai ci siamo più o meno rassegnati allo stato di disgrazia economica che ci ha ghermito e di cui chi ci governa sembra non capire l’entità. Ma quel che non so e non riesco a capire è come sia possibile che una delle “renzine” più televisive, quella Alessandra (leziosamente Ale, per tutti ormai) Moretti del Pd parlamentare europea, candidata pare alla guida della regione Veneto, rilasci un’intervista   nella quale dopo aver, legittimamente, difeso il diritto alla bellezza e la sua compatibilità con l’intelligenza (contraddicendosi a proposito di compatibilità fra bellezza e intelligenza) si produca in affermazioni del tipo: 

"Vado tutte le settimane dall’estetista perché è un dovere avere cura di se stesse". 

"Io rappresento le donne e devo farlo al meglio non posso mica avere tutti quegli orribili peli".

"Certo vado dal parrucchiere, mi faccio il colore, le meches..."

Cara On. Moretti, non prova almeno un po’ di vergogna a insultare tutte le donne che non avendo il suo ricco stipendio di parlamentare non possono andare tutte le settimane dal parrucchiere, e quindi forse un po’ sono costrette a trascurarsi, o ad arrangiarsi, ma non sono meno donne di lei?
Non si vergogna almeno un po’ al pensiero che lei è una esponente della maggioranza renziana che dovrebbe dare l’esempio, come dice il leader da lei tanto amato (recentemente), che dovrebbe tagliare i privilegi, o almeno non esibirli con orgoglio in faccia alla povera gente?
Non si vergogna, da donna che ha appena invocato la compatibilità fra bellezza e intelligenza, a mostrare che per lei la bellezza vale di più dell’intelligenza?
Lei forse non si vergogna e sicuramente andrà in qualche trasmissione a rivendicare le sciagurate parole di quell’intervista con mille ciance prive di senso, o affiderà la sua replica ad un comunicato stampa.
Noi ci vergogniamo molto che a rappresentarci in Europa, a rappresentare un paese al quale vengono imposti sacrifici sanguinosi, ci sia una come lei che si vanta di andare dall’estetista tutte le settimane.
Ps. Un consiglio, da donna a donna, continui tranquillamente ad andare dall’estetista, anche tutti i giorni se può permetterselo e se ha tempo –beata lei-, ma non ne faccia una bandiera.

La bellezza innanzitutto 
Di Rita Pani
Dice che son cambiati i costumi. A me pare che invece proprio non esistono più, e si va col culo scoperto, a spasso calpestandoci la vita. Mia nonna diceva – e lo diceva in sardo – “Bel ragazzo! Bello grasso.” Una leggera pinguedine era un punto in più della bellezza, e più era visibile la rotondità, più il ragazzo era bello. Tanto più che per nonna, la magrezza dell’uomo era certamente l’allarme di qualche malattia: “Sarebbe pure un bel ragazzo, di viso, ma così magro. Poverino.”
E nonna ne sapeva, perché la guerra l’aveva vissuta, e la fame l’aveva vista, e la magrezza che spegneva gli occhi delle persone, che invecchiava la pelle, che faceva cadere i capelli.
Poi la fame è rimasta solo nei vecchi che non ci son più, il pane si gettava nella spazzatura, si davano da mangiare ai bambini le prime merendine piene di qualunque cosa tranne che di cibo, e si diventò tutti più o meno grassi, se non nel corpo, obesi nella mente. E cambiarono i costumi.
Oggi scopriamo, per via di una eruoparlamentare che la bellezza è un dovere. Moretti: “Rappresento le donne, non potrei coi capelli bianchi. Perché mortificare la bellezza? I tempi sono cambiati, ho un ruolo pubblico e voglio essere bella. Vado dall’estetista ogni giorno”.
Ecco, tu non mi rappresenti, né come politica di un partito farsa, né tanto meno come donna. Da donna. Con quel pizzico di cattiveria insito nel cuore di ogni donna orgogliosamente stringe nel cuore, potrei persino dire che se vai dall’estetista tutti i giorni, allora devi avere più di un problema, dal momento che io, pur avendo 50 anni, ci vado una volta al mese a levarmi baffi sopracciglia, e – purtroppo – a sistemare le unghie che sennò mi cadrebbero a pezzetti.
Che vai a fare tutti i giorni? A mummificare un viso che deve diventare inespressivo, a colorare i capelli, che sarebbero un oltraggio imbiancati dall’età dell’esperienza dallo stress e dalla fatica? Pure io mi tingo, certo, e non per una questione d’età ma per una questione di pulizia. Una volta al mese, esattamente ogni volta che poi mi pettino per bene.
E di grazia, per quale motivo non dovresti mortificare quotidianamente la tua bellezza (?) perché ci rappresenti? Ma che ci fotte a noi, dei tuoi capelli mentre veniamo molestate, uccise, violentate, sbattute per terra dalla polizia mentre difendiamo il nostro diritto alla casa e alla famiglia. Mentre lottiamo per mantenere un lavoro che stiamo perdendo. Che ci frega a noi del tuo trucco impermeabilizzato, se non riusciamo ad andare a comprare da mangiare ai nostri figli, se siamo alla fame, se non possiamo scaldare i nostri bambini d’inverno, se ci si allagano le case, se il fango ci sommerge, se la mensa scolastica costa tanto che non possiamo far mangiare i nostri figli? Pensi davvero che una donna che arranca in vita, sia più interessata al culo che fasci dentro il vestito giusto, le tue calze autoreggenti, il colore delle tue unghie, che all’inatteso regalo di un’Europa che finalmente decide che l’unico vero modello tedesco da seguire è quello di Karl Marx?
Ha fatto scalpore oggi la notizia del matrimonio di Charles Manson con una ventiseienne americana. Non fa più scalpore continuare a leggere delle presunte performance sessuali di un vecchio plastificato con le antesignane del “dovere bellico”. Perché son cambiati i costumi. Ora sono succinti, e anzi è meglio se non si indossano proprio. Perché se invii un curriculum devi allegare foto figura intera, a volte in “costume”, appunto. Meglio la plastica al seno ai 18 anni che un viaggio d’istruzione. Meglio essere perfetti fuori e marci dentro, putrescenti, imbalsamati, inespressivi. Perché sempre più mi convinco che per frugare in tanto schifo, ci si debba corazzare per bene, essere distanti, concentrati nel surreale mondo incantato che via ha regalato il vostro pioniere. Belli, felici e sorridenti a recitare il mantra … io son io e voi …

19 novembre 2014


"Mi sento molto bene a stare da sola. 
Potrei stare con te, 
soltanto se tu fossi più dolce della mia solitudine".

Warsan Shire, poeta, scrittrice, insegnante somala.

Monik Round

Le cosiddette "crisi" del capitalismo portano sempre con sé un aumento del fascismo, il razzismo e l'omofobia. La cosa più semplice è quello di cercare capri espiatori da incolpare per tutti i mali del mondo. Si distrae la gente, in modo che individui il nemico dal basso e non guardi in alto.Un buon modo per distrarre l'attenzione. Per la gente "normale" è più semplice sfogarsi sullo zingaro, il negro, la lesbica, la trans, la puttana, la queer,che incanalare la rabbia, pensando a come organizzarsi per affrontare i grandi poteri finanziari e uno Stato corrotto, violento e in decomposizione.

Monik Round, docente di matematica, attivista resistenza trans e lesbica

Considerazioni sulle donne dello scrittore colombiano Santiago Gamboa....che mi piacciono assai....

"Le donne della mia generazione sono le migliori. Punto. Oggi hanno 40, 50, 60 e anche di più anni e sono belle, molto belle, ma anche serene, comprensive, sensate, e, soprattutto, diabolicamente seducenti, nonostante le loro zampe di gallina o l'affettuosa cellulite, che, comunque, le rende così umane, così reali. Splendidamente reali.
Quasi tutte, oggi, sono sposate o divorziate e, a volte, risposate, con l'idea di non sbagliarsi al secondo tentativo, che, a volte, è un modo per affrontare il terzo ed anche il quarto tentativo. Che importa.
Altre rimangono tenacemente nubili e proteggono questa solitudine come una città assediata che, a volte, apre le sue porte a qualche visitatore.
Sono nate sotto l'Era dell'Acquario, con l'nfluenza della musica dei Beatles, di Bob Dylan... Le eredi della "rivoluzione sessuale", degli anni'60 e dei movimenti femministi, esse hanno saputo conciliare libertà e civetteria, emancipazione con passione, rivendicazione con seduzione.
Mai hanno considerato l'uomo un nemico, anche se gli hanno cantato alcune verità, perché hanno compreso che emanciparsi era qualcosa di più, che mettere l'uomo a lavare il bagno o cambiare il rotolo della carta igienica...
Sono meravigliose e hanno stile. Usavano gonne gitane all'età di 18 anni, si coprivano con larghi maglioni di lana, perdendo ogni giorno di più la somiglianza con Maria Vergine, in una notte selvaggia di un venerdì o di un sabato, dopo essere state a ballare.
Parlavano con passione di politica e volevano cambiare il mondo.
Queste donne non ti svegliano nel cuore della notte per chiederti "cosa stai pensando". Non sono interessate a cosa stai pensando.
Le donne di queste età sono generose. Sono sicure e non temono di presentarti le amiche. Solo una donna più giovane e immatura può arrivare a ignorare la sua migliore amica.
Esse diventano psicologiche con il passare del tempo. Non hanno bisogno che tu confessi i tuoi peccati, esse li sanno sempre. E sono oneste e dirette. Ti dicono direttamente che sei un coglione, se provano qualcosa per te. Ci sarebbero tantissime cose positive da dire sulle donne di 45 e più anni e per diverse ragioni.

Purtroppo, tutto ciò non è reciproco. Per ogni splendida donna di più di 45 e passa anni, intelligente, divertente, c'è un uomo con quasi o più di 50 anni, pelato, grasso, panciuto, grinzoso, che fa il carino con una ragazza di 20 anni coprendosi completamente di ridicolo."

11 novembre 2014

Dicci com'è un albero...

Dicci com'è un albero affinché non dubitiamo che qualcosa nel mondo, fuori da queste mura, continui a combattere contro l'infamia, contro la menzogna, contro la stolta crudeltà dei nemici della vita, dicci com'è e dov'è la giustizia, perché le strappiamo la benda dagli occhi affinché veda, finalmente, a chi, di fatto, è servita, chiunque egli sia; ma non ci dicano com'è la dignità perché lo sappiamo già, perché, perfino quando sembrava non fosse che una parola, noi comprendevamo che si trattava della pura essenza della libertà, nel suo senso più profondo, quello che ci permette di dire, contro l'evidenza stessa dei fatti, che eravamo prigionieri, eppure eravamo liberi.


José Saramago

Desideri


Un camino acceso, un bicchiere di vino rosso, 
tanta bella musica e una buona compagnia. 
Parlando di tutto e di niente. 
Ascoltando il cuore cullato dalle fiamme 
che colorano gli occhi. 
Ritrovando la lentezza di gesti spontanei e dimenticati. 
Per sentirsi a casa, 
rinchiudersi nel proprio io 
e scoprire l'inaspettato. 
Per andare oltre l'inevitabile. 
Per ricordarsi che esiste anche l'amore......




 
Qualcuno è in possesso di una lampada per evocare il genio dei desideri?

03 novembre 2014

Cazzari di un futuro passato

di Alessandra Daniele.
Non c’è assolutamente niente di moderno nel marchesino Matteo e nella sua corte di petulanti puffi arrampicatori, e boccolute Barbie Leopolda.
Non c’è niente di moderno nei pescecani che lo finanziano,  nei manganelli che schiera contro gli operai, nel suo governo di incapaci, marpioni, e marpioni incapaci.
La modernità non è una questione d’anagrafe né di calendario.
Esiste una forma d’involuzione reazionaria che cronologicamente segue le conquiste sociali, e mira a cancellarle retroattivamente: si chiama Restaurazione.
Da anni il mondo del lavoro non fa che regredire. Affrontarlo non è come cercare d’infilare un gettone in un iphone, è come cercare d’infilare un gettone in culo a un piccione viaggiatore.
L’obiettivo che le classi padronali perseguono è riportare indietro d’un secolo i diritti dei lavoratori, spacciando per progresso un ritorno a livelli di sfruttamento premoderni assimilabili allo schiavismo.
Matteo Renzi non è che l’attuale gommosa maschera di questo progetto.
La vacua Gioventù Renziana è solo una schiera di ballerini di fila, una coreografica chorus line di facciata che sculetta al ritmo di stucchevoli slogan da televendita, marchi e neologismi stolidamente ripetuti come parole magiche in grado di evocare il futuro con il loro semplice suono: selfie, iphone, twitter, USB.
Così come Benigni e Troisi, bloccati a Fritole nel 1492 di Non ci resta che piangere, ripetevano “autobus, ascensore, semaforo” nella vana speranza che una litania di termini moderni avesse il potere di riportarli al loro presente.
E restavano a Fritole nel 1492.
Quando l’Italia s’è trovata al bivio dell’evoluzione, ha imboccato decisa la strada sbagliata.
Finendo nell’attuale realtà da incubo in cui, come nell’ucronia di Ritorno al Futuro II, sono i pescecani alla Biff Tanner i padroni del paese.
Proseguendo su questa linea temporale e politica le cose possono solo peggiorare.
Per raddrizzare la rotta dobbiamo tornare a quando si era capaci di lottare tutti insieme per ottenere diritti comuni, e per cambiare davvero le cose, ai giorni in cui tutte le conquiste sociali adesso sotto attacco sono state compiute.
Dobbiamo tornare sui nostri passi e stavolta girare a sinistra.
Solo da lì potremo ritornare al futuro, quello autentico.
Chi oggi ci trascina ancora avanti sulla strada sbagliata non ci porta nel futuro.
Ci porta al macello.



02 novembre 2014

Buona domenica!


"Mi ricordo ancora quell’ orizzonte ampio 
e senza punti di riferimento, 
in cui solo il sole faceva da limite all’ infinito. 
In quel momento capii che ciò che conta 
di fronte a tanta libertà del mare 
non è avere una nave, 
ma un posto dove andare, 
un porto, 
un sogno, 
che valga tutta quell’ acqua da attraversare."

Alessandro D’Avenia

01 novembre 2014

“Ah, ma sei libero di criticare, c’è la libertà di pensiero”

Ma poi, andiamola ad analizzare questa famosa libertà di critica. Se critichi gli Stati Uniti, ti vomitano addosso l’accusa di anti-americanismo e sei cacciato fuori dall’agorà delle opinioni politicamente corrette. Se critichi il Papa commetti reato di bestemmia e ti espellono nelle catacombe delle idee impronunciabili. Se critichi il dogma dello sviluppo economico, ti danno del retrogrado reazionario e anche qui il tuo destino è la clandestinità. Se critichi il modello di vita consumista, ti danno del sognatore visionario e se ti va bene ti dicono di sì come si dice sì ai matti. La democrazia liberale è il regime più liberticida che esista, perché ti concede una libertà teorica che poi svuota con una serie di limitazioni, tabù, muri e ganasce che alla fine, in mano, te ne resta una: comprare, fare shopping. Il fatto è che il consumo dipende dal reddito, cioè da quanti soldi uno possiede. E allora la libertà svanisce, è una bella parola vuota, una presa in giro. I poveri, certo, ci sono sempre stati. Ma almeno un tempo lo Stato se ne strafotteva delle loro abitudini private come di quelle di chiunque. Oggi invece se sei povero, e la soglia di povertà si sta espandendo a vista d’occhio, non puoi nemmeno più darlo a vedere, non puoi avere idee anti-sistema, se ti incazzi e scendi in strada a cantargliene quattro la tua protesta diventa automaticamente “violenta” e perciò non conta. Se ti imbestialisci contro contratti da fame e a scadenza ti dicono che non sei moderno, e se ti riduci a mendicare ti fanno pure la multa e ti spazzano più in là, perché sei brutto da vedere – uno scarafaggio kafkiano che può andare in malora. Altro che il paradiso terrestre dei liberali. I maledetti liberali. Contro di loro, i libertari sono, molto terra terra, coloro che amano la libertà reale. Non le prese per il culo ideologicamente corrette.

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