26 aprile 2020

Ho fatto un casino ma sono felice.

Ebbene sì, non sono riuscita a controllarmi. Davanti ad una palese sfruttamento mi sono ribellata e, come succede di solito in casi del genere, mi sono data la zappa sui piedi. 
Racconto la storia perché altrimenti non si capisce. 
E' da quando mi sono separata, dal lontano 1998, che, pur di mantenermi, ho sempre dovuto accettare di lavorare in nero rinunciando ai miei diritti. Non sono mai riuscita a trovare alternative nonostante la buonissima volontà! E non ho mai chiesto sussidi allo Stato né tantomeno reddito di cittadinanza. Troppo onesta o troppo stupida? Non so, giudicate voi, io ho la coscienza a posto. Sono andata avanti comunque a denti stretti fino al raggiungimento dell'età pensionabile. 
A fine 2019 arrivo finalmente a percepire la pensione minima di anzianità: una miseria. Ragion per cui ho pensato di integrarla continuando a lavorare fino a che le energie mi avessero sostenuto. 
Arriva il covid19. Da metà marzo tutto chiuso, niente lavoro e niente soldi perché la cassa integrazione non mi spetta, non è prevista per gli irregolari. Però, da eterna illusa, spero che mi sia comunque riconosciuto qualcosa. Passa un mese abbondante in cui non vedo un euro se non l'esiguo importo della pensione (e meno male!). 
Arriva finalmente il momento in cui bene o male si ricomincia a fare qualcosa e arriva anche l'emolumento del mese tronco. 
Un'elemosina: 200€ per 15 giorni lavorativi.
A quel punto non reggo. 
Ho pensato al mio stramaledetto vizio che mi impone sempre e comunque di mettere l'anima in qualsiasi cosa faccia e a quante volte questo mi abbia messo nelle condizioni di essere sfruttata e ho deciso: smetto di farmi sfruttare, ne va della mia dignità. Sopravviverò anche senza l'elemosina di schifosi padroni opportunisti. Farò sacrifici ma li farò per me stessa senza sottopormi a compromessi.
Ed eccomi qua: a fine mese sarò pensionata con tutte le condizioni attinenti, una pensionata come milioni di altri che si devono arrabattare quotidianamente per sopravvivere. 
Ma sono stranamente felice perché non mi farò più sfruttare.
Mi sento libera. E questo vale la pena.


25 aprile 2020

Le cose necessarie.


Viviamo una crisi che molti definiscono epocale, che non finirà con la quarantena e avrà sicuramente conseguenze che forse nessuno riesce davvero a preventivare. Ci pensiamo, cerchiamo di capire, ma credo che ne avremo coscienza vera solo nel momento in cui ci troveremo ad affrontarle. Abbiamo già comunque dovuto modificare la nostra quotidianità, cambiare le priorità perché avere qualcosa a disposizione non dipende più unicamente dalla volontà di procurarcelo o dal portafoglio più o meno fornito. Abbiamo dovuto riscrivere la scala dei valori. Se prima le cose necessarie sembravano essere molte perché facevamo, utilizzavamo, sfruttavamo senza renderci conto dell'importanza, ora, in questi giorni un po' "strani" siamo stati OBBLIGATI a limitarci, ci siamo dovuti reinventare tempi e modi e abbiamo dovuto, PER FORZA, RINUNCIARE. Ci dicono che è per noi, per gli altri, per il futuro, ma intanto la cosa più importante, indispensabile, vitale quanto l'ossigeno non ce l'abbiamo più: la libertà. Ci siamo accorti che anche il semplice gesto di mettere il naso fuori di casa, abbracciare, baciare, parlare, divertirsi è libertà. Certo, possiamo protestare, inveire contro questo o quel nemico, celebrare, godere, esternare...solo virtualmente però, dentro quattro mura, dietro finestre già sbarrate da altre precedenti paure, dietro maschere che nascondono il sorriso, la spontaneità, la verità.
L'ho già detto: questa emergenza non mi ha scombussolato la vita, non ho subito tante limitazioni in più di quelle che già mi procura la mia condizione, ma il solo fatto di pensare che non posso agire liberamente nel momento in cui decidessi di farlo mi mette ansia. 
Davvero le cose necessarie sono così tante? Non credo. Le sole cose irrinunciabili sono la libertà, l'autonomia, l'indipendenza. Riflettiamo su queste parole tanto usate e tanto abusate. Sono diritti di cui non dovremmo mai essere privati, sono segni distintivi della nostra esistenza, tutto il resto può aspettare. Già da prima non ne potevamo usufruire a mani pienissime...figuriamoci adesso!

16 aprile 2020

Amicizie.


Non posso vantarne tante, di quelle vere e concrete intendo. Ma credo che sia dovuto in parte al mio carattere un po' selettivo: mi allontano istintivamente e repentinamente da persone che non mi dicono niente, che non capisco o non mi capiscono. Non ne ho tante, dicevo, si possono davvero contare sulle dita di una mano e, non so come mai, sono tutte maschili. Davvero non so spiegarmelo: sono solidale con le donne, le difendo a spada tratta, sento fortemente le ingiustizie e le disuguaglianze che ancora persistono nei nostri confronti, ma non posso dire di avere "l'amica del cuore". Mentre i miei amici maschi sono davvero "amici" ormai consolidati nel tempo anche se ognuno di loro ha una vita ben distinta dalla mia, con vissuti personali anche molto diversi dai miei. Uno di loro, per esempio, resiste al mio fianco (si fa per dire) da più di trent'anni e riesce sempre ad esserci al momento giusto nonostante a volte lo abbia quasi ignorato persa com'ero nei casini che combinavo. Un altro che ha raccolto confidenze che non ho mai svelato a nessun altro e credo mi conosca meglio di me stessa, con cui ho un dialogo profondo e sincero. C'è l'amico dei tempi del liceo che ho ritrovato e riscoperto dopo tantissimo tempo e con cui condivido ideali, contenuti e spesso anche una buona bottiglia di vino. Poi c'è quello che mi dà consigli indesiderati che ricambio con altri altrettanto indesiderati a cui mi lega un profondo affetto scaturito da una relazione amorosa un po' troppo travagliata per essere portata avanti come tale. 
E sono quattro. 
Potrebbero essercene altri ma i rapporti sono più freddi e inconsistenti per essere definiti amicizie. 
Rimane comunque il fatto che sono tutti uomini. 
Qualcuno dovrà spiegarmelo prima o poi.

10 aprile 2020

E che si fa in questo periodo?


Un giretto fuori con il cane, un altro per un po' di spesa ma solo una volta a settimana, una sosta in cortile a fare due chiacchiere, a debita distanza, con i vicini, e poi si legge e si prova a ricominciare a scrivere sul blog. O almeno questo faccio io. E ne sono contenta, il tempo non manca ora, come non mancano le occasioni di riflettere. E riflettendo sono arrivata alla conclusione di essere fortunata. Già. E dire che ho una pensione miserevole. Però penso che è arrivata giusto in tempo e, anche se miserevole, è molto di più di quanto hanno tante altre persone che in questo momento non si vedono arrivare un euro in tasca. Poi sono sola e la solitudine non mi è mai pesata, anzi! Sono sola e non devo sopportare nessuno se non me stessa mentre tante altre persone potrebbero avere problemi di convivenza forzata che prima non emergevano in maniera così evidente. Devo ammetterlo: questa pandemia non mi ha cambiato troppo la vita. Sì, avverto queste limitazioni nella libertà di movimento e un po' mi dà fastidio ma non sono catastrofica al punto da pensare che sia il preludio ad un regime militaresco o ad una prova di dittatura. Non credo ce ne siano le condizioni. Sono invece preoccupata per la crisi che seguirà questo lockdown. Per le conseguenze che ne deriveranno, per la povertà che inasprirà ancora di più l'assetto già precario di un sistema che non ha sicuramente a cuore l'uguaglianza. Però spero anche che ne possa derivare anche qualche piccolo insegnamento: il covid19 non fa distinzioni di razza o ceto e la salute è preziosa per tutti. Chissà! Qualcuno potrebbe avere ripensamenti sulla gestione di un'economia che ha sempre messo il profitto al primo posto e ripensare a quanto possa essere iniquo questo feticismo della ricchezza, tipico del capitalismo in cui il prodotto domina l'uomo, dimenticando il valore dei rapporti umani. Sono sempre la solita idealista? Forse sì. Ma qualcosa cambierà e...perché non sperare in meglio?

Bene, questo è il primo post che faccio dopo un lungo silenzio. Continuerò a provarci, a scrivere intendo, anche se mi sento un po' arrugginita. Poi mi sento anche un po' diversa, meno arrabbiata, più condiscendente e più vogliosa di nutrire la mente piuttosto che dispensare parole che potrebbero facilmente non interessare nessuno. Per questo ho ritrovato il piacere di leggere, mai perso ma solo sopito. Ho appena finito di leggere "Cecità" di Josè Saramago che non poteva essere più consono al momento che stiamo attraversando. Una drammatica realtà surreale che racconta di un'improvvisa pandemia di cecità. Non voglio fare recensioni perché non ne sono all'altezza, ma posso dire che mi è piaciuto nella narrazione dei personaggi, delle situazioni e delle conseguenze derivate da un evento così tragico e impossibile da prevedere. Non mi è piaciuto invece nella conclusione che lascia troppi punti in sospeso, ma non dico di più per non spoilerare. 
Ora invece sto leggendo "Il trombonista innamorato  e altre storie di jazz" di Aldo Gianolio. Tutt'altro genere. Sono quaranta storie brevi di altrettanti jazzisti più o meno eminenti raccontate in maniera tutt'altro che autobiografica e convenzionale, condite con un pizzico (forse anche di più di un pizzico) di leggerezza e ironia che le rendono godibilissime. Credo che molto sia frutto di fantasia, ma sembrano comunque ritratti tanto più realistici quanto meno corrispondenti alle biografie ufficiali a cui non si rifanno in alcun modo perché non raccontano di successi o analisi musicali ma di piccole storie di esistenze allo sbaraglio quotidiano. Mi piace. 

Ciao lettore occasionale di questo blog. Non prometto che se tornerai troverai delle novità, ma ci proverò.