27 gennaio 2015


Noi siamo la nostra memoria,
noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti,
questo mucchio di specchi rotti.
 
(Jorge Luis Borges)

25 gennaio 2015

Quando la poesia diventa musica...

Vorrei conoscer l' odore del tuo paese,
camminare di casa nel tuo giardino,
respirare nell' aria sale e maggese,
gli aromi della tua salvia e del rosmarino.
Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero
parlando con me del tempo e dei giorni andati,
vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero,
come se amici fossimo sempre stati.
Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci
e i ciuffi di parietaria attaccati ai muri,
le strisce delle lumache nei loro gusci,
capire tutti gli sguardi dietro agli scuri

e lo vorrei
perchè non sono quando non ci sei
e resto solo coi pensieri miei ed io...

Vorrei con te da solo sempre viaggiare,
scoprire quello che intorno c'è da scoprire
per raccontarti e poi farmi raccontare
il senso d' un rabbuiarsi e del tuo gioire;
vorrei tornare nei posti dove son stato,
spiegarti di quanto tutto sia poi diverso
e per farmi da te spiegare cos'è cambiato
e quale sapore nuovo abbia l' universo.
Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona
o il mare di una remota spiaggia cubana
o un greppe dell' Appennino dove risuona
fra gli alberi un' usata e semplice tramontana

e lo vorrei
perchè non sono quando non ci sei
e resto solo coi pensieri miei ed io...

Vorrei restare per sempre in un posto solo
per ascoltare il suono del tuo parlare
e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo
impliciti dentro al semplice tuo camminare
e restare in silenzio al suono della tua voce
o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso
dimenticando il tempo troppo veloce
o nascondere in due sciocchezze che son commosso.
Vorrei cantare il canto delle tue mani,
giocare con te un eterno gioco proibito
che l' oggi restasse oggi senza domani
o domani potesse tendere all' infinito

e lo vorrei
perchè non sono quando non ci sei
e resto solo coi pensieri miei ed io... 


Quando la vita diventa salute.

Di Lorenzo Vitelli per "L'intellettuale dissidente"
La strada è deserta. E’ notte, non ci sono pedoni ma il semaforo è rosso e, per passare, attendiamo che diventi verde. Chi non si sente un idiota di fronte al lampeggiante che indica lo stop ha assimilato la condotta normativa perfettamente. Non si accorge neanche dell’insensatezza del divieto in quel momento, si attiene al codice stradale, esegue freddamente la norma. Passare col rosso vorrebbe dire distruggere per un attimo l’equilibrio, rompere provvisoriamente gli schemi, privarsi, per un secondo, della propria incolumità. Arrestarsi è un automatismo che rileva della infaticabile e onnipervasiva litania Occidentale del “diritto alla vita”, le cui conseguenze sono paradossali.
Questo diritto è l’obiettivo di una politica, o biopolitica, il cui lietmotiv è la promozione di leggi e pratiche comportamentali atte ad allontanare quanto più possibile la morte e a preservare l’esistenza. Tra queste: prevenzioni obbligatorie, diagnosi genetiche, campagne di sensibilizzazione su alimentazione, sport e ricerche di fondi, giornate mondiali contro Aids e obesità, crociate contro il fumo e l’alcool e in favore dell’igiene e della regolamentazione dei rapporti sessuali. I fumatori vengono rinchiusi, negli aereoporti o negli spazi condivisi, in teche di vetro o in secondarie stanzette per essere additati come “deviati”. Gli obesi sono ridicolizzati. Gli anziani sono considerati premorti. La vita e la felicità vengono reiterate nell’orbita di un obbligo alla salute, di una progressiva tensione verso un’irraggiungibile perfezione della condizione fisica. La vera vita, a questo punto dequalificata a benessere, è quella che si adegua a un canone comportamentale esemplare: dieta, sport, prevenzione, igiene, attenzione alle ore di sonno. Astenersi dalla procedura equivale ad avere un’esistenza parziale ed incompleta, ma, diceva Franca Ongaro, “quando la salute come progetto prende il posto della vita, è la vita stessa a svuotarsi di significato, di fronte ad un’astrazione da perseguire e raggiungere”.
Se questo cammino verso la vita ottimale è irraggiungibile (causa una serie di circostanza, ambientali, personali, artificiali) è comunque diventato un dovere morale – ma non privo di contraddizioni – perseguirlo. Mentre prima, non appena nati, si disponeva di un’innocenza dello spirito (incontaminato dal peccato), oggi si dispone – seguendo proprio la secolarizzazione del processo dall’attenzione per l’anima alla cura per il corpo – di un “capitale salute” (incontaminato… dalla vita?) la cui qualità dipende dal corretto comportamento durante tutto l’arco dell’esistenza. L’attrattiva di questa condotta inarrivabile fa leva e sul narcisismo – un culto di sé che è il prolungamento di un rapporto rinnovato con il corpo (promosso ad unica verità) – e sulla paranoia ipocondriaca di una società allarmista sempre più ai margini del collasso, della crisi nucleare, della guerra atomica, del riscaldamento globale. Ad ognuno il compito in questa giungla cancerogena di ricostituire il suo piccolo ordine cosmico. Di passare ore al cellulare e di mangiare cibi antiossidanti, di essere bloccati nel traffico per poter andare in palestra, di stressarsi per poi fare yoga. Se di mezzo c’è una serata di sballo, la mattina dopo si fa jogging. Siamo diventati i manager del nostro narciso. Dobbiamo mangiare frutta e legumi, sorvegliare la pressione del sangue e il colesterolo, non fumare, guidare moderatamente, fare sport, tutto ciò per il bene del nostro “capitale salute” che, sotto l’avanzare imperante delle tecnologie e dei ritmi industriali, dell’inquinamento e della deforestazione, sarà così a rischio che diventerà più angusto lo spazio in cui muoversi per ristabilirlo, per ricapitalizzarlo.
Viviamo la contraddizione di un’esistenza tanto nevrotica e invivibile, a livello ambientale come umano, che si vede costretta a ripiegare sulla salute, spazio di redenzione causato, ma allo stesso tempo concesso, dal tumorale magma del progresso. Dietro il diritto alla vita si nasconde un più ampio obbligo alla morte che nessuno, troppo occupato su di sé, rimetterà in discussione. Nessuno distruggerà i fast food e arginerà la sovrapproduzione, nessuno limiterà l’ampiezza dei campi elettromagnetici o ridurrà l’uso di sostanze inquinanti e di combustibili fossili, nessuno si immolerà contro il degrado causato dalla concentrazione urbana e la distruzione degli habitat naturali: ci restringeremo, piuttosto, nelle fenditure rassicuranti di una vita salutista, uniforme, ovunque identica, impaurita. E intanto però la vita evade oltre le stretture occupate da codici civili gonfiati e da leggi che invadono l’intimità, dove tutto viene legiferato, sottomesso a tribunali, esperti, dottori, tecnici e medici. Mentre si perde la spontaneità guidata dall’esperienza e lo slancio vitalistico, l’esistenza si riduce ad essere eco-friendly in un contesto ultra-industrializzato, salutista per eccesso di egoismo, securitaria per paura, terribilmente docile per avarizia di sé.

18 gennaio 2015

Polemica e nient'altro.

E' abbastanza triste rendersi conto che questo disgraziato paese, invece di darsi da fare a trovare soluzioni alternative ad un sistema che sta implodendo, trovi così tanto pervicace accanimento nella polemica. Siamo il paese della polemica ad ogni costo e su qualsiasi argomento: si sprecano parole su parole e quindi energia su cose di cui sappiamo nulla o quasi perchè quello che ci arriva, nonostante il tanto declamato pozzo d'informazione della rete, non è altro che un'eco distorto di quello che succede davvero e di cui noi riusciamo ad avere sentore solo in piccoli dettagli che ci concedono strategicamente di sapere. In questi giorni l'oggetto della polemica (e che polemica!) è la liberazione di Greta e Vanessa. Nel luogo assunto ad informazione libera per eccellenza, è sufficiente un tweet, cioè 140 caratteri, (quindi non si parla di analisi, approfondimenti o inchieste, ma di poche parole buttate nell'etere) in cui si presuppone il pagamento di un riscatto e si scatena l'inferno! Poi il governo nega (e che dovrebbe fare?), ma nemmeno adduce nient'altro a spiegazione. Non sappiamo cos'è successo davvero. Che le ragazze siano state avventate è fuori discussione, che abbiano imbroccato una strada sbagliata è evidente, che si siano trovate in un gioco più grande di loro è quasi palese, che la liberazione di ostaggi avvenga in cambio di qualcosa è piuttosto ovvio. Queste sono le uniche cose certe, tutto il resto è polemica gratuita e quella storia di "se la sono cercata" è poco piacevole.
Provo a pensare se le ragazze fossero andate ad aumentare il numero delle vittime causate dalla follia dell'integralismo islamico. #siamotuttigretaevanessa. E via con le polemiche!
Ma mi sorge spontanea una domanda: è più grave spendere dei soldi pubblici per salvare due ragazze o "rubare" soldi ai cittadini onesti per comprarsi un set di mutande ?

17 gennaio 2015

Favola per un'amica speciale.

Un giorno di qualche anno fa....o era ieri?....nacque una bambina. Era bella ma anche molto arrabbiata perchè si era resa conto subito che sarebbe stata una faticaccia farsi ascoltare da tutte quelle persone che parlavano in maniera strana. Nonostante questa consapevolezza, amò profondamente, fin dal primo momento, tutti i suoi simili, senza distinzioni di sorta. Nel tempo imparò che poteva fare tanti giochi con loro e con tutte le cose che la circondavano: i prati, gli alberi, le montagne, il cielo. Imparò anche ad assecondare i perché, i come e i quando che ballavano tutti insieme nei suoi pensieri. Ballava quasi sempre con loro, tanto che, passando gli anni, riuscì a gestirli, mettendo ordine nelle loro frenetiche coreografie, senza mai smettere comunque di invitare al ballo ogni nuova domanda che bussava alla porta del suo cuore. Imparò anche che a cadere ci si può far male ma si può sempre riuscire a rialzarsi, che le ferite guariscono anche se lasciano segni profondi, ma imparò soprattutto ad usare nel modo giusto quella materia grigia che scoprì presto, rinchiusa come un tesoro, nella scatolina della sua testa. Fu proprio questa la compagna nel suo cammino di giochi, di domande e di voglia di scoprire il mondo al di là delle sue radici. Purtroppo però, non è mai riuscita a smettere di essere arrabbiata, perché troppe sono le persone che non ascoltano e che parlano in maniera strana, ma è riuscita ad appropriarsi di così tanta bellezza che la rabbia non si vede sul suo viso, salvo uscire prepotente dal suo stomaco ad ogni necessità. Ora è una donna, completa ma non pacificata, continuerà a farsi domande su domande e a cercare bellezza ovunque essa sia, e ad allietare chi le sta vicino con prorompente maestria o silenziosa vitalità. Auguri amica mia, che il tuo cammino sia sempre propizio e che chi ti accompagna non smetta di bere alla tua fonte...io spero di essere uno di loro...

07 gennaio 2015

Da che parte sto.

Mi si chiede spesso una definizione, una catalogazione del mio modo di pensare. A prescindere dal fatto che non amo definirmi, nè mettermi in una categoria perché farlo per me significa darmi dei confini e a me non piacciono le barriere di nessun tipo, posso ammettere che mi ritrovo più che volentieri in certe idee libertarie che appartengono, da sempre, all'anarchia. E non si creda che io abbia fatto studi approfonditi, che ne sappia di storia, di lotte e rivoluzioni. No, semplicemente vivendo, mi accorgo che il mio pensiero va in quella direzione. Ma non è una questione politica, nè un volere a tutti i costi essere "contro" o "pro", è piuttosto un modo di essere che mi appartiene, oserei dire da sempre. 
Se mi ribello all'autorità, alle imposizioni, se voglio essere io a decidere per me stessa, senza intermediari, senza che altri mi dicano cosa è meglio, non è perchè sono anarchica, ma perchè questo è il mio modo di essere. 
Se sento tutti gli esseri umani, compresi animali, piante e sassi, come appartenenti ad un unico mondo, non è perché sono anarchica, ma perché è un mio modo di sentire. 
Se odio la violenza di tutti i generi, non è perchè sono anarchica, odio la violenza e basta. 
Se non mi piace comandare, non è perché sono anarchica, è solo che non mi piace obbedire.
Se ricerco sempre e comunque la verità, non è perchè sono anarchica, è solo che non mi piace essere presa in giro.
Ecco quindi perché, piuttosto che definirmi, preferisco dire da che parte sto.
Sto dalla parte di chi porta rispetto alla persona, cosa o animale, che ha davanti, anche se rappresenta un contrario. 
Sto dalla parte di chi non si sente superiore a nessuno e porta avanti il proprio punto di vista senza adesioni di sorta, né per obbedienza né per opportunità. 
Sto dalla parte di chi difende i più deboli in virtù di un'idea, e non per logiche di identità e appartenenza. 
Sto dalla parte di chi non mette davanti a tutto il proprio interesse ma un obiettivo comune e, sulla base di ciò, agisce anche a discapito del particolare, anche proprio. 
Sto dalla parte di chi si assume fino in fondo la responsabilità del proprio agire, purché alla luce del sole e senza manipolazioni e sotterfugi.
Se tutto questo vuol dire essere anarchica...ebbene....lo sono, ma prima di tutto sono una persona che ragiona con la propria testa, è così che preferisco definirmi.

05 gennaio 2015

Un infarto stronca a 59 anni la vita di Pino Daniele. Piange Napoli, piange la musica...

Stamattina sta tazzulella 'e caffé è proprio amara, qualcuno ha abbassato il volume della colonna sonora della mia vita.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/05/pino-daniele-morto-notte-infarto-giorni-fa-lultimo-tweet-torno-casa/1314477/

Era uno che ti faceva venir voglia di essere terrone se non lo eri, sentirne l'orgoglio se invece lo eri.
.....Dovunque sia andato avrà con sè la sua chitarra....

02 gennaio 2015

Io amo.

Ebbene sì, io amo, amo appassionatamente ogni cosa e ogni persona che mi fa sentire viva, che mi dà emozione, che fa venire a galla un sentimento.
Amo le poesie, le canzoni, le storie, le persone. Le vivo nel profondo e non mi vergogno di piangere di queste emozioni.
A volte mi condizionano perfino la giornata, mi lascio influenzare, mi lascio trascinare al punto da volerne sempre, per non smettere mai di "sentire".
E questo mi succede stamattina....ascolto Leo Ferré e "sento" qualcosa dentro di me che si muove, si agita, ha fame. Fame di quelle sensazioni, di quelle verità, di quelle parole che come braccia mi avvolgono cuore, cervello e stomaco, con forza, con fermezza, come se non volessero più lasciarmi andare. E io ci sto, non me ne voglio andare, voglio restare per sempre in questo abbraccio d'amore vivo, voglio sentire il respiro farsi corto, non voglio perdere nemmeno un attimo di questa beatitudine....