31 maggio 2014

Tra luce e ombra


Contro la morte, noi chiedevamo vita.
Contro il silenzio, esigevamo la parola ed il rispetto.
Contro l’oblio, la memoria.
Contro l’umiliazione e il disprezzo, la dignità.
Contro l’oppressione, la ribellione.
Contro lo schiavitù, la libertà.
Contro l’imposizione, la democrazia.
Contro il crimine, la giustizia.
E’ stato finalmente tradotto in italiano in modo integrale l’ultimo testo del Subcomandante Marcos, quello in cui annuncia  la sua scomparsa e la fine di un’epoca nella lotta zapatista. L’Ezln non parlerà più con la sua voce. La voce di un fantastico ologramma pronto a uscire di scena. Un testo lungo, affascinante e prezioso, da leggere e rileggere con calma e passione. Un racconto conclusivo leggero e profondo capace di mostrare in controluce lo scorrere del tempo. Venti anni in cui gli indigeni assediati nelle montagne del Sudest messicano, costretti a coprirsi il volto (per farsi vedere), invece di dedicarsi “a formare guerriglieri, soldati e squadroni, hanno preparato persone capaci di promuovere la salute e l’educazione e hanno messo le basi di un’autonomia che oggi meraviglia il mondo”. Con l’assassinio di Juan Luis Solís, il maestro Galeano, arriva agli zapatisti un messaggio più freddo del sangue di un crotalo. Dice con chiarezza cosa vogliono los de arriba, quelli che stanno in alto, dagli zapatisti. Assumendo il nome del compagno ucciso, il Subcomandante Galeano offre la morte rituale di un personaggio “non più necessario” per prendersi gioco, ancora una volta, dell’eternità e inventare una nuova vita nel mezzo di una guerra.
L’uscita di scena è all’altezza della profondità e della leggerezza del personaggio che ha raccontato la più bella e incredibile delle ribellioni della storia contemporanea. Perché possa vivere Galeano, è necessario che uno di noi muoia, abbiamo deciso debba essere il Subcomandante Marcos. Quelli che hanno amato e odiato il  SupMarcos, scrive nell’ultimo straordinario messaggio, adesso devono sapere che hanno amato e odiato un ologramma. I loro amori e i loro odi sono stati inutili, sterili, vuoti. Non ci sarà alcuna casa-museo o targa di metallo dove sono nato e cresciuto. Nessuno vivrà dell’essere stato il Subcomandante Marcos. Non si erediterà il suo nome né il suo incarico. Niente viaggi per tenere conferenze all’estero. Non ci saranno trasferimenti né cure in ospedali di lusso. Non ci saranno vedove né eredi. Nessun funerale, né onoreficenze, né statue, né musei, né premi, niente di quello che fa il sistema per promuovere il culto dell’individuo e sminuire quel che fa il collettivo. Il personaggio è stato creato e adesso noi, i suoi creatori, gli zapatisti e le zapatiste, lo distruggiamo. Chi saprà comprendere questa lezione dei nostri compagni e delle nostre compagne, avrà compreso uno dei fondamenti dello zapatismo 
E' un addio lungo e poetico. Buona lettura. 
http://comune-info.net/2014/05/tra-luce-e-ombra-zapatisti/
Comune-info.net

25 maggio 2014

La tomba di Bakunin - Alessio Lega


Riposo all’ ombra del silenzio che ora sento
riposo all’ombra del cemento
riposo all’ ombra del potere più assoluto
quello che ho sempre combattuto
riposo all’ ombra di quel vostro essere schiavi
ciò che vi ha sempre inginocchiato
e siete voi le porte, e non avete chiavi
riposo all’ ombra dello stato...

Solo per la libertà
son nato un giorno e son vissuto
ed ho lottato ed ho perduto.
Solo per la libertà
son nato un giorno in mezzo a gente
che non vuol sentire niente
Solo per la libertà
ho alzato in piedi la rivolta
ad ogni strada e ad ogni svolta.
Solo per la libertà.

Riposo all’ ombra dei miei compagni uccisi
del tempo che poi ci ha divisi
del vostro sguardo che sul mio si posa
su qualche foto polverosa.
Riposo all’ ombra del vostro smorto oblio
riposo sempre senza pace:
sempre padroni c’è sempre qualche dio
che opprime un popolo che tace!

Solo per la libertà
in tutto il mondo ho sempre corso
e senza l’ ombra di un rimorso.
Solo per la libertà
ho rifiutato casa ed oro
ed il potere ed il lavoro.
Solo per la libertà
di un mondo che non la voleva
e poi -in catene- la piangeva.
Solo per la libertà.

Riposo all’ ombra di chi crede che io sia stato
un sognatore o un esaltato
e di chi crede che oggi tutto vada bene:
democrazia e nuove catene.
Riposo all’ ombra di chi legge un mio trattato
invece di occupar le vie
ed io che urlo, io che ho corso, che ho lottato
riposo nelle librerie.

Solo per la libertà
ho scritto, ho amato ed ho lottato
e non per essere studiato.
Solo per la libertà
se non potevo tirar sassi
ho camminato nuovi passi.
Solo per la libertà
contro ogni forma di potere
e per non dover vedere
la mia cara libertà...

La mia cara libertà
un cencio rosso, sanguinante
di uno stato più intrigante.
La mia cara libertà
venduta come una puttana:
libertà americana.
La mia cara libertà
diventata una parola
che si strozza nella gola.
Solo per la libertà.

Riposo all’ ombra, all’ ombra cupa e scura
riposo all’ ombra e alla paura
riposo all’ ombra che si fa sempre più nera:
inverno senza primavera...
...Eppure c’è chi ancora lotta in questa stanza
e c’è chi chiede, e c’è chi vuole!
E allora un raggio luminoso di speranza
mi fa riposare al sole...

Mi fa riposare al sole!



Cosa significa essere governati? (Testo di Pierre Joseph Proudhon 1848 Parigi. Immagini di Clifford Peter Harper 1981 Londra)






Domenica di voti ti ti ti ti ti ti........


A te che che sogni una stella ed un veliero
che ti portino su isole dal cielo più vero
a te che non sopporti la pazienza
o abbandonarti alla più sfrenata continenza
a te hai progettato un antifurto sicuro
a te che lotti sempre contro il muro
e quando la tua mente prende il volo
ti accorgi che sei rimasto solo
a te che ascolti il mio disco forse sorridendo
giuro che la stessa rabbia sto vivendo
stiamo sulla stessa barca io e te
ti ti ti ti ti ti ti ti ti ti ti . . .
a te che odi i politici imbrillantinati
che minimizzano i loro reati
disposti a mandare tutto a puttana
pur di salvarsi la dignità mondana
a te che non ami i servi di partito
che ti chiedono il voto un voto pulito
partono tutti incendiari e fieri
ma quando arrivano sono tutti pompieri
a te che ascolti il mio disco forse sorridendo
giuro che la stessa rabbia sto vivendo
stiamo sulla stessa barca io e te
ti ti ti ti ti ti ti ti ti ti ti . . .





12 maggio 2014

Adda passà a nuttata

Sembra ieri e invece son passati vent’anni circa. Vent’anni fa si scoperchiava il vaso di Pandora e fu Tangentopoli. Ma i conti non si fecero fino in fondo. Si aprì quel vaso, ma fu messo in fretta un coperchio altrimenti il lezzo poteva portare alla fine del sistema. E fu come quando si prendono in maniera non corretta gli antibiotici. Si distrugge apparentemente i sintomi apparenti, ma non il male. E questo continua a covare e a costruire anticorpi capaci di rigenerarlo più attivo ed immune di prima.
La Corruzione incominciò dapprima a mostrarsi come circoscritta. Era solo questione di uomini, di mele marce, di pochi, e non come crisi del rapporto capitalista. Era determinato come “soggettivo” e non “oggettivo”, del sistema stesso. E da questo ha cominciato a costruirsi intorno una serie di legittimazioni tali da diventare legalità. Dalla scomparsa del reato di falso in bilancio, all’accorciamento dei tempi per la prescrizione a tutte una serie di cavilli , norme e regolamenti tutti in una unica direzione. E’ stata istituita l’ANAC ( Autorità nazionale anticorruzione) sulla spinta di sollecitazioni delle commissioni europee, della riprovazione mediatica per sopire i fatti che via via si scoprono. Ha vari compiti di controllo e prevenzione. Ma non è stata prevista nessun potere coercitivo o di intervento diretto. Può indagare, verificare, controllare, ma non intervenire.
E si badi, a leggere attentamente gli atti del Parlamento, che non fu solo opera di qualcuno al Potere, ma avvenne con la complicità di tutti, in maniera più o meno palese. 
Perché sistemica è l’esigenza. 
La Corruzione è diventata , in questi anni il mantra. E’ diventato sistema culturale. Non è solo una questione che tocca solo strati della popolazione, ma la attraversa in maniera trasversale, sistemica appunto. Sì, certo, in maniera semplicistica si è voluto far credere, e ancora si continua a battere questo chiodo, che essa sia endemica e solo al ceto politico. Che solo i politici abbiano una predisposizione a questa pratica e a questa “dipendenza”. “Tutti a casa” ci ripetono. Dicono che spazzata via questo concentrato di sporcizia, la casa ritornerebbe linda e pulita come “pria”. Oppure che è solo , ancora una volta e a dispetto della quotidianità dei fatti accertati, questione di pochi malfattori. Di piccoli mariuoli. Non è così! Insieme ai politici , dietro ed accanto ad essi vi è un sistema , un'intreccio che si è costruito, ri-costruito, in questi anni di “assopimento”, fatto di burocrati, impiegati, imprenditoria diffusa e non , costretti o no, comunque consenzienti, a sottoporsi al dio Corruzione. Se si vuol campare, se si vuol “vivere”. O partecipi al banchetto, o sei fuori e manco più ci si fa caso. E’ del tutto normale. 
Un detto delle mie parti recita che non si comincia a banchettare se tutti non hanno la forchetta in mano. O siedi al tavolo con la forchetta in mano o sei fuori stanza! Per cui la richiesta di mazzetta non è più il corpus del reato. Non è reato, non solo, non è più scambio illegale o addirittura illecito, e non è più mazzetta. Diventa solo scambio di favori, normalizzato e regolamentato, quasi. E il sistema diventa sistema integrato, permeato tanto che è più presente fin dai livelli più basse delle istituzioni. E’ più presente (diffuso) a livello dell' assessore comunale o regionale che a livello di ministro, più a livello di tecnico del comune dell’urbanistica, dell'impiegato comunale al catasto, dell’impiegato dell’ASL addetto all’ufficio acquisti o anche solo di vigile urbano o di semplice appuntato dei carabinieri, o di impiegato allo sportello, non importa quale. Certo maggiore è l’opera maggiori sono gli appetiti, e non c’è “Grande opera” che non nasconda fatti di questo genere. L’ultimo esempio l’EXPO, ma non dimentichiamo il sistema TAV , la riunione del G8 in Italia, il dopo terremoto dell’Aquila, e di tutte le altre ricostruzioni e via di questo passo. 
D’altra parte basta prestare attenzione alle dichiarazione dei politici, ma non solo loro, quando vengono beccati con il sorcio in bocca. “A mia insaputa”, oppure “ho fatto solo un favore ad un amico” quasi ingenuamente recitano. E non è solo o soltanto un modo ingenuo o farlocco per difendersi. In molti casi è la verità. Si è dentro l’ingranaggio che non ci si fa più caso. Il meccanismo è talmente automatico che funziona da solo. 
Mi confessava un “amico” camionista, che quando viene fermato dalla polizia stradale è quasi automatico per lui avere dentro la patente un biglietto da cinquanta euro. Infatti non esce per strada senza due o tre biglietti di quella taglia. Quasi mai succede che il biglietto gli viene restituito
Ed è per questo che parlare di società civile staccata dal ceto politico è solo un depistaggio.
Il ceto politico è lo specchio della società. E’ il precipitato del senso comune generalmente e mediamente diffuso. E il sistema elettorale c'entra ben poco. Questo al massimo può determinare il sistema di riproduzione o di controllo del potere. 
Ne è a dimostrazione, un piccolo esempio: dall’ultima scoperta da parte della magistratura, si scoprono personaggi già condannati per corruzione nella cosiddetta “prima repubblica”. Ebbene sono gli stessi presenti anche in questa seconda fase. Gli stessi. Condannati per corruzione e continuano imperterriti a gestire e mediare atti pubblici e della pubblica amministrazione. In questo non vi è nessun anticorpo, nessuna riprovazione sociale, nessuna riprovazione a nessun livello. Ma d’altra parte se un ex presidente del consiglio, un “padre della Patria” come ama definirli lui stesso, condannato per frode fiscale, continua a dettare l’ordine del giorno della politica, che governa in compartecipazione non ufficiale con l’attuale presidente del Consiglio, vuol dire che questo è lo specchio della società. Se milioni di italiani ( in calo per fortuna ma non per i suoi trascorsi penali, ma per vicende di diatribe interne e di lotta intestine di potere) continuano a votarlo vuol dire che esiste una partecipazione simbolica fra l’operato dell’uno con il pensiero degli altri. Una simbiosi del comune sentire e percepire. Tutto questo non è l’anomalia nel nostro sistema , ma è la normalità. Nessuno ( o solo pochi paria) lo avverte come “anormalità”, al massimo come risultato “dell’eccezionalità del momento”.
Come finirà questa ultima ondata di lezzo che avanza? 
Non vi date pensiero. 
Adda passà a nuttata.

zag(c) 

08 maggio 2014

Nes­sun diritto, nes­suna casa, nes­suna pen­sione, nes­sun futuro.

Il posto fesso da "Il Manifesto".
Il decreto «pre­cari per sem­pre», quello che porta il nome dell’ex pre­si­dente dell’alleanza delle coo­pe­ra­tive Giu­liano Poletti oggi mini­stro del lavoro nel governo Renzi, ha otte­nuto ieri la fidu­cia al Senato e verrà appro­vato senza ulte­riori modi­fi­che dalla Camera entro il 19 mag­gio. I respon­sa­bili di que­sta nuova pre­ca­riz­za­zione dei con­tratti a ter­mine, la forma di lavoro più dif­fusa e ancora mini­ma­mente tute­lata nella giun­gla ita­liana, sono 158 (122 sono stati i con­trari) e ade­ri­scono al Par­tito Demo­cra­tico, al Nuovo Cen­tro Destra e a Scelta Civica.
La tri­plice ha prima con­cor­dato con il governo otto emen­da­menti che hanno peg­gio­rato il «decreto Poletti» uscito dalla Camera, poi hanno votato l’ottava fidu­cia ad un governo in stato con­fu­sio­nale, infine hanno ras­si­cu­rato le imprese: anche il con­tratto di appren­di­stato potrà essere a ter­mine per svol­gere atti­vità sta­gio­nali e non ci sarà più l’obbligo di sta­bi­liz­za­zione per le aziende che sfo­rano il tetto del 20% dei con­tratti a ter­mine. Solo quelle con oltre 50 dipen­denti (e non più di 30) dovranno sta­bi­liz­zare il 20% degli appren­di­sti per poterne assu­merne altri. In più si pagherà una san­zione pecu­nia­ria «ammor­bi­dita» per tenere buone le imprese. Invece di sanare le irre­go­la­rità, lo Stato pre­fe­ri­sce non inter­ve­nire sul pro­blema della con­ver­sione dell’apprendistato in tempo inde­ter­mi­nato. Potrebbe sco­rag­giare le imprese dall’assumere. Imprese che con­ti­nue­ranno comun­que a non assu­mere per­chè non hanno lavoro. In com­penso il limite del 20% non si appli­cherà ai con­tratti a tempo sti­pu­lati dagli enti di ricerca.
A gestire l’intera par­tita sono stati l’ex mini­stro del lavoro ultra-liberista Mau­ri­zio Sac­coni (Ncd) e il giu­sla­vo­ri­sta Pie­tro Ichino, rela­tore del prov­ve­di­mento, che teo­rizza da tempo la mone­tiz­za­zione dei diritti super­stiti del lavoro. Aver­gli lasciato il mono­po­lio della deci­sione, dopo avere con­cor­dato le modi­fi­che peg­gio­ra­tive al testo, è un’altra delle gravi respon­sa­bi­lità del Par­tito Democratico.

Osteg­giato for­te­mente dalla Cgil e da tutti i sin­da­cati di base, il decreto Poletti è in gene­rale il segno della pre­ca­riz­za­zione defi­ni­tiva dei con­tratti a ter­mine, il 43% dei quali già oggi dura meno di un mese. Il governo ha inteso così pro­gram­ma­ti­ca­mente aumen­tare la discon­ti­nuità dei rap­porti di lavoro, e con essa l’incertezza dei lavo­ra­tori senza nes­suna garan­zia di assun­zione alla fine dei 36 mesi pre­vi­sti senza «cau­sale» del con­tratto. Renzi e Poletti hanno voluto lasciare alle aziende la pos­si­bi­lità di ricor­rere ad altri lavo­ra­tori dopo cin­que pro­ro­ghe. L’acausalità nel tempo deter­mi­nato è stata pro­lun­gata fino a tre anni; si potranno fare fino a cin­que pro­ro­ghe più infi­niti rin­novi. Una misura che il giu­sla­vo­ri­sta Pier­gio­vanni Alleva ha defi­nito «uno scon­cio etico e inco­sti­tu­zio­nale» per­chè con­tra­sta con gli arti­coli 2 e 4 della Costi­tu­zione e viola la nor­ma­tiva euro­pea sui con­tratti a ter­mine. Quei pochi che ver­ranno «assunti» inon­de­ranno di ricorsi i tri­bu­nali del lavoro, tra l’altro sup­por­tati dai giu­ri­sti demo­cra­tici che hanno denun­ciato il governo alla Com­mis­sione Ue e hanno pro­messo di girare in cam­per per infor­mare i lavoratori.
Prima che la man­naia della fidu­cia can­cel­lasse gli oltre 700 emen­da­menti al Dl lavoro, l’approvazione del prov­ve­di­mento ieri in Senato è stata inter­rotta dalle pro­te­ste del movi­mento 5 Stelle. I sena­tori pen­ta­stel­lati si sono inca­te­nati in segno di pro­te­sta con­tro quello che defi­ni­scono senza mezzi ter­mini un prov­ve­di­mento che rende schiavi i pre­cari. Il leghi­sta Roberto Cal­de­roli ha sospeso la seduta arri­vando addi­rit­tura a minac­ciare di disporne l’arresto. La pro­te­sta poi è rien­trata. «Ho visto che avete ritro­vato le chiavi» ha detto Cal­de­roli agli M5S. Sel ha pro­te­stato in maniera più sobria: le catene le ha lasciate sui car­telli alzati in aula: «Nes­sun diritto, nes­suna casa, nes­suna pen­sione, nes­sun futuro» era scritto su uno di quelli esposti.
Ieri alla Sapienza di Roma gli stu­denti hanno con­te­stato un’iniziativa alla quale avreb­bero dovuto par­te­ci­pare l’ex mini­stro del lavoro Tiziano Treu, già autore dell’indimenticato «pac­chetto Treu» del 1997, e il pre­si­dente della Com­mis­sione lavoro alla Camera Cesare Damiano (Pd). Con­tro il «Jobs Act» e il piano casa di Lupi i movi­menti della casa mani­fe­ste­ranno a Roma il 12 mag­gio. Cin­que giorni dopo, sabato 17 a Roma, sarà il turno del cor­teo dei comi­tati per l’acqua pub­blica per i beni comuni e con­tro la precarietà.

06 maggio 2014

Ieri....

IL 5 Maggio 1818 nasceva Karl Marx.


"Il tempo è lo spazio dello sviluppo umano. Un uomo che non dispone di nessun tempo libero, che per tutta la sua vita, all’infuori delle pause puramente fisiche per dormire e per mangiare e così via, è preso dal suo
lavoro per il capitalista, è meno di una bestia da soma. Egli non è che una macchina per la produzione di ricchezza per altri, è fisicamente spezzato e spiritualmente abbrutito.
Eppure, tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda degradazione."

 
Karl Marx "Salario, prezzo e profitto".

03 maggio 2014

Il riformismo della conservazione

Ormai percepiamo le società di appartenenza in cui siamo immersi come contesti estranianti che ci subissano. Vi apparteniamo perché ci inglobano, ma ci sono estranee perché ne subiamo i rituali e le imposizioni senza possibilità di incidere o partecipare realmente. Sempre più persone si stanno accorgendo che il voto elettorale non è vera partecipazione. Limita l'intervento della base popolare ad indicare chi si vuole che decida per noi su di noi, acconsentendo che l'infernale sistema che determina le nostre vite possa continuare a farlo col consenso degli elettori. Sono sempre più certo che la caduta di senso della democrazia, che in origine avrebbe dovuto essere l'esplicazione politica della partecipazione di tutti e tutte alla gestione della cosa pubblica, sia stata totalmente edulcorata. Le già esigue potenzialità di condivisione collettiva delle scelte pubbliche sono state completamente annichilite. La democrazia oggi è sempre più ingannevole, luogo di raggiro spudorato da parte dei potentati di turno a danno dei più, che nulla contano e nulla possono.
Preda di questa situazione avvilente, anche la politica politicante, sempre più ridotta a residuo di un ruolo sociale fino a non troppo tempo fa predominante, sta mostrando il suo volto attuale: l'aumento progressivo d'inconsistenza, indotta da condizioni obbliganti che incombono. La funzione decisionale di regolatrice dell'assetto sociale permane, circoscritta e limitata però da condizioni sovrastanti cui non riesce a sottrarsi, né in realtà lo vuole perché altrimenti potrebbe trovarsi eclissata. La politica riesce ad essere pienamente sovrana quando il quadro territoriale in cui opera è autonomamente sovrano. Ma quando questo è oggettivamente dipendente da contesti globali più ampi che lo sopravanzano, anche il suo ruolo si ridimensiona riducendosi a funzioni dipendenti in cui viene incanalata.
In questo senso l'Italia è esemplare. Continua a precipitare in un baratro senza fondo d'incapacità e inefficienza, condito in modo saporito con dosi letali di corruzione e ruberie a vari livelli. Non secondaria l'ala protettrice di andrangheta camorra e mafia, tre spregiudicate multinazionali sempre in grande attivo pecuniario al di là e sopra qualsiasi crisi finanziaria. In proposito Saviano è oltremodo efficace: Negarlo sarebbe colpevolmente ingenuo: ciò che rende l'Italia un Paese in cui sembra ... sempre più necessario emigrare è soprattutto la corruzione. Una corruzione che non è il banale istinto a rubare, che razzismi minori imputano alla cultura di un Paese. Non si tratta di episodi di malcostume, ma di meccanismi reali, fin troppo tangibili, concreti e diffusi ovunque: una macchina sommersa e infame che garantisce i complici del sistema e esclude gli onesti. (“Il decalogo anti-corruzione”, “la Repubblica”, mercoledì 12 marzo 2014)

La cura Renzi
Così succede che le decisioni che vengono prese di fatto non servono per gestire la conduzione sociale autonoma di un popolo che cerca di vivere al meglio delle sue possibilità, ma per tentare di rientrare nei ranghi generali e globali da cui la politica dipende, stabiliti sopra la sua testa e all'interno dei quali è legittimata a sopravvivere. Sovranità, titolarità, autonomia decisionale e rappresentanza politica, categorie di scuola che teoricamente dovrebbero definire che cos'è una nazione democratica, sono bellamente saltate, sacrificate sull'altare votivo del supremo dominio finanziario globale e plutocratico. Contribuendo a rafforzare gli inganni che ci attanagliano, continuano ad essere affermate, soprattutto evocate, dagli addetti ai lavori e dagli intellettuali “organici”, mentre il loro fattivo e concreto esercizio sta scomparendo, è in via di mutazione.
Le ampie maglie avvinghianti dei sistemi di dominio imperanti, sempre più potenti e inattaccabili, ci stringono vieppiù in una morsa tendenzialmente letale che ci rende del tutto dipendenti. Combatterle con le armi cui siamo culturalmente avvezzi non può perciò che risultare altrettanto inconsistente quanto lo è diventata la politica istituzionale nella sua funzione decisionale.
All'interno di questa propensione avanzante, ammantata da un clima di estrema supponenza da parte dei poteri dominanti e d'impotenza da parte di chi li subisce, l'azione delle forze che si contendono il governo politico, indifferentemente collocate a destra o a sinistra, ad uno sguardo disincantato appare in tutta la sua inclinazione conservatrice, cioè volutamente tendente a rafforzare lo stato di cose esistente.
Emblematica in questo senso l'impostazione del Pd attraverso l'azione da premier di stato del suo attuale segretario ipercinetico. Con un piglio di dinamicità sorprendente, sta tentando in modo ossessivo di attuare un poderoso insieme di cambiamenti, il cui scopo dichiarato è di trasformare a tutto campo il modus operandi istituzionale che da decenni sta massacrando il nostro paese, divenuto completamente inetto e dannoso per la conduzione della vita sociale ed economica. È sotto gli occhi di chiunque che il paese Italia non è in grado di sopravvivere nel presente globale se non cambia radicalmente modo di essere, se non trova il modo di adeguarsi al sistema di dominio internazionale che ci sta sovrastando. La cura Renzi pretenderebbe di riuscire là dove finora hanno miseramente fallito i suoi predecessori: la capacità di attuare il compito di conservazione attraverso un adeguamento più che corposo.
Le sue proposte di attuazione in tal senso sono molto loquaci e mettono da parte definitivamente la divisione tra destra e sinistra, ormai obsoleta e vissuta come un peso per l'efficentismo e il tecnicismo rampanti. 80 euro in più al mese nelle buste paga dei redditi inferiori a 1500 euro mensili (non cambia la vita delle persone ma è molto efficace a livello di propaganda), diminuzione del cuneo fiscale, aumento della tassazione delle rendite finanziarie, nuova legge elettorale, ridimensionamento delle strutture istituzionali a partire dal Senato della Repubblica, e via di questo passo. Non c'è una proposta o un'azione che incida sul senso e sulla qualità della vita sociale, non c'è una visione diversa delle cose, non c'è un progetto di vita e di produzione alternativo.
Quel senso e quella qualità che ci hanno condotto al disastro che stiamo subendo rimangono intatte, anzi rafforzate. È sempre lo stesso linguaggio, tutto perfettamente all'interno del medesimo paradigma di dominio fondato sulla disuguaglianza, sul predominio dell'avidità finanziaria, sul rafforzamento dei poteri dominanti. Non si tratta di interventi legislativi volti ad aiutare la comunità ad appropriarsi di autonomia e a rialzarsi, ma sono soluzioni che aiutano la perpetuazione di ciò che già c'è, illudendo di cominciare a migliorare le proprie condizioni. Risolveranno, forse, qualche problema contingente, per ripiombare, nuovamente illusi, nel baratro del modello autoritario liberista che impoverisce e riduce in miseria grandi masse umane, considerate massa di manovra per l'arricchimento di spietate plutocrazie. Renzi rappresenta la punta di diamante di chi, come dice giustamente Freccero, non vuol cambiare il mondo, ma vuol far funzionare quello che c'è.

Spinte dal basso, autogestite
Non possiamo che rifiutare una simile logica, perché si basa su una prospettiva inevitabilmente conservatrice di un presente che riteniamo aberrante. Da anarchici, che anelano all'emancipazione dallo sfruttamento economico e dall'abbrutimento dovuto alla sottomissione ai potenti di turno, non possiamo che contrastarla per quanto ci riesce con una critica impietosa e con esempi di vita.
Quanto ci vorrà per capire che un cambiamento radicale vero, a favore di un'autentica giustizia sociale, di un accrescimento dell'autonomia e della libertà, di un mutualismo sostanziale che avvii processi di solidarietà, confronto e scambio liberi, non può che passare da spinte dal basso autogestite, mentre nelle istituzioni di potere vigenti, pensate e strutturate per imporre gestioni dirigenziali manageriali e di casta, qualsiasi azione in tal senso verrà annullata? 


Da A-Rivista Anarchica

02 maggio 2014

Natura di Maggio



Ogni anno la natura 
ci offre questi spettacoli 
per farsi perdonare l'inverno.



01 maggio 2014

Altro che festa!

Lavorare dovrebbe servire a vivere, non il contrario. Perciò dovrebbe essere considerato alla stregua del denaro: un mezzo da maneggiare col dovuto senso del limite. 
Il lavoro, dicevano gli antichi Greci che a saggezza battevano alla grande noi moderni, è una pena (un fardello, un peso, un male necessario ma pur sempre un male). 
Altro che festa!
Un tempo lavorare forniva perlomeno una coscienza di classe, faceva sentire degna la fatica del lavoro anche all’ultimo degli onesti sfruttati. Oggi è mortificante fare la questua agli imprenditori per contratti a singhiozzo e paghe da fame. Il lavoro parcellizzato, precarizzato, senza prospettive, appeso ai capricci del mercato è peggio della schiavitù, che almeno durava. Abbiamo scambiato le punizioni corporali con l’angoscia esistenziale.
L’occupazione, dicono i sindacalisti, dovrebbe avere garanzie e diritti uguali per tutti. Il contratto, dicono gli imprenditori, non deve avere garanzie e diritti uguali per tutti. Entrambi non dicono che a furia di inseguire modelli di produzione del passato non è possibile né garantire tutti né tanto meno assicurare la giustizia sociale. Bisognerebbe produrre, consumare, lavorare meno e meglio. Non chiedere, pretendere, sgobbare di più e basta.
I politici che magnificano il lavoro come valore, in Italia, sono di tre tipi. Ci sono quelli che passano la vita a parlarne ma non lo hanno mai praticato. Ci sono quelli che hanno solo e sempre lavorato diventando mostruosamente ricchi e poi si fanno eleggere per diventare ancora più ricchi. E ci sono quelli che ne fanno una religione ideologica fermando le lancette al Settecento di Smith e all’Ottocento di Marx. Consigliamo di riscoprire l’otium, la bellezza, il sesso, l’arte. E la Grande Politica fatta di ideali, comunità e vita quotidiana, e non di spread, rating, deficit, fiscal compact, bonus, job’s act.
Fuck you!
Ma il lavoro è nemico del pensiero e “come tale costituisce la migliore polizia e tiene ciascuno a freno e riesce a impedire validamente il potenziarsi della ragione, della cupidigia, del desiderio di indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità di energia nervosa, e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, sognare, al preoccuparsi, all'amare, all'odiare” (Friedrich Nietzsche).
Il lavoro abbrutisce: beato chi non lavora, ben messo è chi pratica un mestiere. Lavorare fa pensare in termini economici, di costi/benefici, di perdite/guadagni. Disumanizza, specialmente ora che dipende da tecnologie alienanti e da ritmi parossistici.
Il lavoro a dosi massicce ed eretto a senso della vita è una fregatura. Per tutti: poveri e ricchi. Anzi, più per i ricchi, i benestanti, i superlavoratori contenti come citrulli nel passare gli anni a lavorare più di quanto non dormano la notte (Paul Lafargue e Bertrand Russel, teorici dell’ozio, concordano nel fissare la giornata lavorativa ideale a non più di quattro ore).
Un tempo esistevano i mestieri in cui il valore della fatica era nobilitato dalla creatività, da quel quid di tocco personale e di autonomia negli orari che rendevano un’attività parte integrante della propria realizzazione, parte della vita. Penso agli artigiani, che oggidì resistono malamente alla pressione dei mercati mondiali.
Lungi da noi fare dell’ingenuo primitivismo, ma gli studi sull’età della pietra dimostrano che i supposti “selvaggi” dedicavano all’accaparramento di cibo non più di cinque ore al giorno, vivendo in un ambiente di abbondanza data dalla ricchezza di frutti, animali e beni naturali.
Ora, pensiamo un attimo alla parabola storica che ne è seguita: spostando via via il baricentro della società verso la produzione per ricavare un profitto in denaro, si sono moltiplicate ed estese a dismisura ingiustizie, asocialità, alienazione, nevrosi, disagio. Fino ad arrivare agli estremi di oggi, dove l’angoscia diffusa per avere di che campare è direttamente proporzionale al prosperare di imperi finanziari in mano ad una manciata di persone in tutto il globo.
I semi-umani bestiali, incivili, animali da soma siamo noi.

Alessio Mannino per Il Ribelle.com