24 gennaio 2012

Il rischio di buttarsi via

Sei gay? Ti rifiuto. I ragazzi allontanati dai genitori perché omosessuali subiscono un trauma che li espone a feroci atti di autolesionismo. E’ successo nel vicentino proprio nei giorni di festa. Un giovane si è arrampicato sulla balaustra di un cavalcavia, sei metri più sotto scorreva il traffico di auto e tir. Gli automobilisti lo hanno notato,  cercando invano di parlargli: lui guardava dritto davanti a sé. Finché si è fermata una pattuglia dei carabinieri e uno dei militari lo ha raggiunto riuscendo a portarlo giù con la forza. Solo qualche ora prima il giovane aveva detto al padre e alla madre di essere omosessuale, i due avevano reagito duramente. Non si tratta di un caso eccezionale.  “Ragazzi e ragazze rifiutati perché omosessuali perdono stima e fiducia in loro stessi, si sentono responsabili del dolore arrecato ai genitori e del rifiuto subito, avvertono un bisogno forte di farsi del male, e lo fanno in modo palese o nascosto”, commenta Francesca Marceca,  mamma “Agedo” (associazione genitori di omosessuali), presidente della sede palermitana. “Il genitore è vissuto come colui che è dalla parte della ragione, intesa anche come ragione sociale che condanna l’omosessualità. Il ragazzo o la ragazza si sentono causa delle lacrime e delle liti. Hanno un’idea adolescenziale dei genitori e non immaginano che possano avere dei limiti”. Dialogando con altri papà e mamma  e con gli operatori sociali, i ragazzi riescono ad avere una visione diversa di ciò che sta accadendo. “Il punto di svolta si raggiunge quando i ragazzi comprendono che i genitori sono in difficoltà e che   anche loro hanno  bisogno di aiuto”. Enorme il danno procurato dal giudizio sociale: in mille modi, con parole, silenzi, esclusioni, omissioni, fa sentire agli omosessuali   il peso di essere una svalutata minoranza. Per Francesca Marceca   “se nella società ci fosse l’accettazione serena della omosessualità svanirebbe il gioco perverso di rifiuti e autopunizioni. I ragazzi non dovrebbero fare una “confessione tragica”,  la loro comunicazione andrebbe accolta con gioia dai genitori poiché si tratta della vita affettiva dei figli”. Utopia? “Sto parlando di uno scenario della speranza, che oggi è fantascienza”. Le storie di non accettazione, sia  palese che subdola,   sono all’ordine del giorno. “La mamma di  X, una ragazza di 17 anni   viene in associazione a  raccontare con enorme dispiacere che la figlia ha una   fidanzata. Dice di averle scoperte mentre si baciavano. Definisce lei e il marito persone “aperte” e ritiene che il problema non sia l’omosessualità. Dice: “mia figlia è immatura, non sa cosa fa, si è lasciata trascinare dalla compagna, l’omosessualità è una delle tante fantasie che lei ha ancora”. E’ la madre a parlare, il padre tace. E assume un atteggiamento che non è insolito. “La mamma sconferma l’affettività della figlia – aggiunge Francesca Marceca –  Accade spesso. Invece quando è un ragazzo a dire di essere gay viene preso sul serio”.  La madre di X per un po’ non frequenta l’associazione, poi ritorna. “Le chiedo come va e mi risponde che la figlia si è trasferita a Roma per motivi di studio, che ha un’altra fidanzata e torna in vacanza con lei. Capisco che l’allontanamento è servito ad allentare la tensione, a far si che le cose vengano  affrontate una per  volta. Da qui a metterci la faccia e dirlo ai parenti e ai conoscenti ce ne corre”.   E i ragazzi? Francesca Marceca legge uno dei tanti sos che arrivano in Agedo via mail: “Mi presento, vivo in un paese, ho 16 anni, sono gay e mi sono dichiarato con alcuni amici. I miei sanno tutto e non mi accettano. Voglio sapere se mi date una mano, altrimenti io davvero…”.
Ed ecco alcune lettere:
“I compagni mi hanno fatto bere la loro urina”, “Sono gay e mi sto sposando, aiutatemi”, “Grazie per avermi soccorso”. Sono  alcune frasi delle tante lettere che arrivano all’associazione Agedo Palermo e che possiamo citare “camuffate” per rispettare la privacy di chi le ha scritte. Ne riportiamo qualche stralcio. Di commenti   non ce n’è bisogno, poiché sono parole che urlano.  “Nel paese dove vivo mi insultano e mi offendono, sto morendo dentro, prendo farmaci per stare calma”. “Ho 28 anni, mi sto sposando con una ragazza perché non mi accetto e mi vergogno di dire che mi piacciono i ragazzi, vorrei parlare con qualcuno perché non ce la faccio più”. “Mi hanno cacciata dal lavoro quando hanno scoperto che sono lesbica, nessuno capisce le nostre sofferenze, aiutatemi”. “ Ho sentito parlare della vostra associazione all’ultimo anno di scuola da un professore che ha spiegato bene cosa è l’orientamento sessuale e cosa sono i pregiudizi, anche se i miei compagni non hanno smesso di sfottere e di perseguitarmi. Sono sempre stato preso di mira, sono sempre stato taciturno e i compagni mi hanno fatto passare anni terribili, mio padre non smette di insultarmi e di dirmi “non fare la voce da checca che sei sulla bocca di tutti per strada, mi sei venuto proprio male, forse non sei neanche mio figlio”. Sono cresciuto senza il coraggio di aver un rapporto con nessuno, ho tanta paura che mi immagino privo di desideri, datemi una mano, sono disperato”. “Volevo ringraziarvi per aver creato una associazione così, con le mamme, i papà e anche gli psicologi, ho avuto la fortuna di incontrarvi in un momento in cui avevo davvero bisogno. Ho frequentato la vostra associazione di nascosto dai miei, inventandomi mille sotterfugi, gli incontri sono stati per me ossigeno, soprattutto quelli con lo psicologo. Adesso mi sono trasferita al Nord, e sono decisa a vivere a testa alta la mia vita, e non smetto mai di ringraziare il momento in cui vi ho mandato la mail e le parole che avete scelto per farmi sentire accolta. Vi devo la vita e il coraggio che mi avete fatto ritrovare”.

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