La più grande creatrice di delitti è la miseria. Vi è la
miseria assoluta del morente di fame e la miseria relativa, ma non meno
terribile nelle sue letali conseguenze, dello spostato maschio o
femmina, che non trova né modo né possibilità di soddisfare a bisogni
fisici e psichici altrettanto necessari quanto il pane quotidiano. La
miseria oltre che essere causa diretta di delitti lo è anche
indirettamente. Tutte le ribellioni, individuali o collettive, trovano il
loro movente nella miseria.
Vi è una
categoria di persone che soffrono delle sofferenze altrui. Costoro da
alcuni chiamati martiri, da altri delinquenti volgari, derivano pure i
loro atti dalla miseria. La deficenza o la mancanza assoluta del
sentimento di solidarietà umana genera la miseria. L'incoscienza dei
popoli, dominati da sentimenti religiosi di rassegnazione ad uno stato
economico che non è naturale, la mantiene, come in determinate pasture
gelatinose si mantengono i microbi. La coscienza del diritto alla
esistenza nei miserabili è latente ma compressa prima di tutto dalle
religioni (tutte uguali) e poi dalla forza brutale. Qualche scatto
collettivo, qualche scoppio di folgore individuale, poi la
rassegnazione, il dolore, la morte.
Se
veramente la parola delitto avesse un significato
scientifico-positivo, nessun delitto sarebbe maggiore di quello che la
società compie col lasciare sussistere la miseria.
Ma
anche la società è vittima inconscia dei fattori che la costituiscono.
Il sole dell'avvenire non è ancora spuntato sull'orizzonte dove
solamente qualche tenuissimo barlume d'aurora appare, e noi non possiamo
pretendere che i suoi raggi benefici già riscaldino il cuore
dell'umanità.
Quando l'umanità
avrà imparato dalla scienza che l'individuo è intimamente connesso con
la collettività umana e che la sventura di un essere trova la sua eco in
tutti gli altri esseri e si propaga come le onde sonore nell'aria, fino
agli estremi limiti della società, allora troverà modo di riparare alla
miseria dei suoi singoli. Ma bisogna distruggere le religioni! Ecco il
grido di guerra della nuova umanità, ecco l'uscita, che non ha
intravveduto il grande umanitario Leone Tolstoj, ma anche Emilio Zola ha
presentito. Solamente sulle rovine di tutte le religioni s'innalzerà la
statua della "verità".
Le religioni ingannano ricchi e poveri.
I
ricchi, in nome della religione, compiono il loro dovere con la carità.
Con la carità essi in buona fede credono di rispondere al sentimento di
solidarietà umana che germoglia nel loro cuore, e non comprendono di
battere strada falsa. La carità si perde fra una miriade di parassiti e
non giunge al bisogno se non per avvilirlo.
I
poveri, fiduciosi in una vita futura che è menzogna, accettano
l'elemosina e protraggono la loro miserabile condizione fino alla morte.
Intanto gli intermediari della carità vivono agiatamente alle spalle dei ricchi e dei poveri e non lavorano.
Il
misero, cui non arriva l'elemosina del ricco, che estenuato di forze,
sente grado a grado avvicinarsi la morte morale e la morte
fisica, talvolta trova il coraggio di allungare la mano per afferrare la
salute.
Quest'atto eminentemente sociale
perché toglie alla disperazione un essere che è pur parte della società
umana, è dalle leggi penali considerato un delitto. La reclusione
accoglie il disgraziato per restituirlo più tardi ancor più povero e
forse ancor più ribelle alla ingiustizia che lo opprime.
Ed
è da codesti esseri che la macchina del diritto penale è specialmente
alimentata, è sopra codeste vittime infelici che cala, nel silenzio della
notte, la ferrea e pesante porta della reclusione.
Ma l'opinione pubblica è stanca di simili infamie sociali. Un fatto solo luminosamente lo dimostra.
Un
giudice francese, il Magnaud, ha qualche volta violato la legge per
rendere veramente giustizia all'infelice. Ebbene, quell'uomo si ebbe il
plauso di tutti! Che significa questo plauso unanime ad un giudice che
viola la legge?
Ma l'uomo non vive di solo pane. Il soddisfacimento di altri bisogni spinge talora il fragile essere al delitto.
L'opinione
pubblica vuole che determinate persone, appartenenti a determinate
funzioni abbiano a vivere con un certo decoro, in una certa agiatezza.Il
pane non manca, ma la veste nera è sdruscita, i bimbi crescono, hanno
bisogno di maggior nutrimento, di vestiti, di libri; la moglie fa il
broncio se è costretta a mostrarsi alle amiche con l'abito non più di
moda, senza il più modesto ornamento...La tentazione lancia i viscidi
tentacoli ed avvinghia il povero impiegatuccio...Dalli al ladro! Gridano
poi i vittoriosi, ed il vinto seduto sul banco degli imputati, col capo
chino fra le mani, fiancheggiato da due gendarmi, pensa alla famiglia
piombata nella disperazione, ed inerte, istupidito, ascolta ma non
comprende le chiacchiere dell'accusatore e del difensore. Non è più un
uomo, mille volte meglio per lui la morte.
Spesso
il vinto è un uomo d'ingegno e di studio. Un mio conoscente, giovane
distinto, appassionato per lo studio delle matematiche, dovette, dopo aver
frequentato per un anno l'università, troncare gli studi per assoluta
mancanza di mezzi di sussistenza. Si accorò talmente il povero giovane
che morì di dolore. Il vinto in questo caso fu fortunato!
Tanti
altri al suo posto, esacerbati, avviliti, imbestialiti, si danno al vizio
nel modo più abbietto. Cercano consolazione e distrazione
nell'alcool, nel gioco, nel bordello e finiscono in prigione. Così la
società umana prima crea i delinquenti poi li condanna!
Tutte
le ribellioni individuali o collettive, tutte trovano il loro movente
nella miseria, oppure nelle ingiustizie che la collettività compie contro
i singoli individui! La riabilitazione, ho già detto, non esiste, ed
allora il fuoriuscito, l'uomo che non è più e non può più essere
l'associato della collettività, il colpito dalle leggi o si rassegna
alla vita del delinquente e dal miserabile o si erge come epico
monumento a vendicatore.
Un giorno mi
trovai col procuratore del re e con un magistrato al capezzale di un
testimone in una corsia dell'ospedale di Mantova.
In
un letto vicino stava coricata una bambina pietosamente assistita da
due suore. Curiosità mi spinse a domandare.”Che ha quella piccina?” “E'
una povera pellagrosa” mi rispose una suora, e con lo sguardo mi accennò
alle braccia scoperte dell'ammalata. Erano tumefatte e gonfie, e le
manine nerastre e squamose...
Un
sentimento di profondo dolore sconvolse in quel momento l'animo mio, e
rivolgendomi al procuratore del re: ”Ecco", gli dissi, "dove si ispirano coloro
che voi chiamate assassini”. Che uno spettacolo simile od anche e non di
rado, più doloroso e costante, si presenti a qualche individuo dotato di
esuberante sentimento altruista, e la dolcezza e la bontà e l'altruismo
per un fenomeno psichico evidentissimo si trasformerà in odio, in furore
contro coloro che egli crede esser causa principale di tanta vergogna. E
la società vorrà dessa punire questi infelici che per un sentimento di
esagerato altruismo trasportati dalla passione si erigono a giustizieri e
vendicatori della miseria? O non vorrà piuttosto prima provvedere acché
alle già tante cause d'infelicità umana altre non se n'aggiungano
volute e create dalla malvagità della costituzione sociale?
E'
o non è la pellagra una malattia che nasce dalla miseria? E' o non è la
miseria una piaga sociale voluta dagli uomini d'ordine che lottano per
conservare lo stato attuale basato sull'ingiustizia e sul privilegio?
http://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/molinari/il_tramonto_del_diritto_penale/pdf/molinari_il_tramonto_del_diritto_penale.pdf
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