L’unica vera memoria rispettosa è il pretendere giustizia, lo
svelare i meccanismi del Potere, con nomi, cognomi, trame, denunciando e
mai tacendo. Peppino non è un santo per laici altari, è un fuoco che
deve arderci dentro.
"Credo che questo sia un momento in cui si debba ascoltare e cercare di capire le realtà, poi arriverà il tempo della parola".
Queste parole sono state pronunciate il 4 Maggio dal neoministro Bray a
L’Aquila, in occasione della marcia degli "storici dell’arte". Bray si
riferiva a se stesso, al suo essere da troppo poco tempo ministro. Ma
nell’ascoltarlo è impossibile non ricordare che quelle parole, in questi
lunghissimi, vergognosi per tanti versi, anni sono stati imposti come
clave ai cittadini e alle cittadine aquilane. Il 6 Aprile e i giorni
successivi non erano "il tempo della parola", era il momento del dolore.
Non era "il tempo della parola" nelle settimane successive, bisognava
rimboccarsi le maniche per l’emergenza. Non era "il tempo della parola"
nei mesi successivi, c’era il G8(volevamo fare brutta figura davanti
alla roboante "comunità internazionale"?). Non era "il tempo della
parola" ancora dopo, si disturbavano B&B che lavoravano per noi...
Nel frattempo non era "il tempo della parola" neanche per le mafie, le
cricche, gli affaristi di ogni risma. Loro lavoravano nel silenzio,
allestivano i loro lauti banchetti. Ma gli aquilani e le aquilane
dovevano rimanere in silenzio. Ma ciò non accadde per tutti. Perché
qualcuno non rispettò mai la consegna del silenzio, non aspettò mai un
"tempo della parola" che se fosse stato per le classi del Potere non
sarebbe mai dovuto arrivare. Qualcuno parlò, urlò, alzò la voce e
denunciò tutto quello che poteva. Esattamente come, nella Cinisi di
qualche decennio fa, Peppino Impastato. Peppino non rispettò mai la
consegna del silenzio, non si esercitò mai nella genuflessione
supplicante e complice di fronte alle mafie e ai potentati di mafiopoli.
Risuonarono fino all’ultimo dai microfoni di Radio Aut i nomi,
sbeffeggiati e additati, di Tano Seduto e dei suoi complici a Mafiopoli.
Il 9 Maggio è l’anniversario dell’assassinio di Peppino Impastato, un
assassinio commissionato da Tano Seduto e dalle mafie di Cinisi, ben
coperto da apparati istituzionali e di Stato che tentarono in tutti i
modi di infangarlo e silenziarne la voce. Peppino fu assassinato lo
stesso giorno in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro. E quindi
il 9 Maggio è diventato soprattutto il giorno di quest’ultimo delitto,
portando Peppino in una sorta di "secondo piano". Il 9 Maggio di ogni
anno cerimonie e parate ricordano Aldo Moro e "le vittime del
terrorismo". A Peppino così viene risparmiato, almeno in parte, il
peggiore degli oltraggi e delle offese al suo impegno e al suo ricordo:
la retorica vuota e buona solo per sfilare di cerimonie pompose e piene
di belle parole. Diminuito, ma non eliminato. Perché, come accade con
ogni persona assassinata dalla mafia, ogni uomo o donna che la sua vita
ha sacrificato agli ideali e alle lotte più nobili e umane, la trappola
scatta sempre: la creazione di laici santini da sommergere di discorsi
pomposi, almeno una volta l’anno. E poi tornare alla vita di sempre. E’
la negazione e l’oltraggio di chi è morto e dell’antimafia, quella vera,
quotidiana, pulsante e viva. Peppino Impastato non è un santino, non è
un bel ragazzo da ricordare per agghindare la propria coscienza.
L’esempio di Peppino, le sue denunce, sono fuoco vivo che deve ardere in
noi. La commemorazione di Peppino, il rispetto del suo sacrificio la
fanno a L’Aquila coloro che non sono rimasti in silenzio ma hanno
denunciato, svelando nomi, cognomi, trame e intrighi. La commemorazione
di Peppino, non un giorno solo, ma tutto l’anno, è compiuta da chi sta
combattendo contro il MUOS a Niscemi, battendosi contro la
colonizzazione militare della propria terra.
Carlo Vulpio nel suo libro "La città delle nuvole" scrisse che a Taranto "Un
giorno, però qualcuno ha cominciato a guardare il cielo con una
maggiore curiosità, poi con un più forte sospetto, infine con rabbia. Le
nuvole non erano mai state tutte uguali come sembravano adesso, ecco
qual era la novità sotto il sole di Taranto. Perché dentro quelle nuvole
di cui nessuno si era mai accorto, o che nessuno aveva mai voluto
vedere, si annidava un nemico che fa paura solo a nominarlo". Ecco,
chi ha guardato il cielo, la propria terra ferita e ha dato parola alla
rabbia, all’indignazione, chi ha nomiato il "nemico che fa paura" è
Peppino Impastato oggi, ne rispetta il ricordo e ne prosegue il cammino.
Esattamente come i giornalisti e le giornaliste che non faranno mai
carriera perché con coraggio quotidianamente realizzano denunce e
inchieste sui poteri forti e le piovre di ogni parte d’Italia.
L’Associazione Antimafie Rita Atria in questi anni non si è mai
accontentata di piangere Rita, Peppino o altri. Senza retorica e
ambiguità abbiamo alzato la nostra voce, ci siamo schierati con i
"Testimoni di Giustizia", pretendiamo giustizia per Sandro Marcucci e
tutte le persone assassinate nella strage di Ustica. Crediamo che la
commemor-azione sia l’unica che rispetta e rende degni del ricordo di
persone come Peppino Impastato. Intitolare una strada con i soldi di chi
inquina e avvelena un territorio (e non sappiamo se definire più
sporchi i loro soldi o la monnezza delle loro industrie) non è
commemorare, è disprezzare con un’offesa indegna e indecente. Non si può
un giorno piangere Agnese Borsellino e il giorno dopo esaltare il
ricordo di Giulio Andreotti, non si possono celebrare cerimonie per le
vittime di Ustica e di Piazza della Loggia un giorno e gli altri
contribuire a non rendergli giustizia e verità, non si possono
commemorare Pio La Torre e Peppino Impastato e poi accettare,
condividere, tacere davanti alle violenze fasciste e allo sdoganamento
di chi le compie, o ingannare, tentare di mettere a tacere, reprimere
(in prima persona o da complici) l’opposizione al MUOS(una delle più
grandi battaglie di Pio La Torre fu quella contro i missili a Comiso).
Sull’homepage del sito dell’Associazione Antimafie Rita Atria compare
la fotografia di Peppino ed una sua frase tra le più celebri. "Se si
insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro
la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi
sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni
speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine
alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come
erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così,
pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che
bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne
non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre
vivi la curiosità e lo stupore". Non l’abbiamo messa perché Peppino
era un bel ragazzo, o per commuoverci davanti ad una "bella poesia".
L’abbiamo messa perché quelle parole sono anche nostre, quelle parole ci
infiammano il cuore, ci fanno vibrare le corde più intense della
coscienza, ci indicano una direzione ben precisa. Peppino le pronunciò
mentre lottava contro la realizzazione della terza pista dell’aeroporto
di Palermo insieme ad i contadini a cui erano stati espropriati i campi.
Quelle parole sintetizzano la profondità dell’animo di Peppino,
l’intensità della sua lotta. La bellezza contro la rassegnazione è una
lotta che impegna tutti noi, sono parole che non vanno declamate ad una
parata per risciacquare le coscienze. Vale in Sicilia, in Campania, nel
Lazio, in Lombardia o nel nostro Abruzzo. Perché la bellezza da
difendere è anche quella dei nostri romantici lidi, delle nostre coste
baciate dal sole e impreziosite delle gemme più splendenti e colorate
della natura. E’ la bellezza da difendere dalla speculazione edilizia,
dalla deriva petrolifera, da impatti ambientali devastanti. E’ la
rassegnazione da combattere davanti al clientelismo che ha forgiato, e
domina, la mentalità di larga parte della Regione. La bellezza contro la
rassegnazione impone di guardarsi intorno, di non voltarsi dall’altra
parte davanti agli scempi e alle devastazioni del nostro territorio, è
l’obbligo civile di fare nomi, cognomi, trame, intrighi, affari,
complicità delle clientele, delle cricche e delle mafie. Perché, se
vogliamo commemorare Peppino Impastato non dobbiamo farlo solo un
giorno, ma tutto l’anno. Con la poesia dei fatti e non la retorica
dell’ambiguità e dell’ipocrisia. Peppino Impastato siamo noi, nessuno si
senta escluso
Alessio Di FlorioAss. Antimafie Rita AtriaPeaceLink Abruzzo
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