06 giugno 2016

Mito e utopia.

"L'uomo può costruire fuori di sé solo quello che ha innanzitutto concepito dentro di sé", ammoniva uno studioso. Per costruire un mondo senza autorità, bisogna prima concepirlo. Non programmarlo, schematizzarlo o misurarlo. No, solo concepirlo, nel suo duplice significato: pensarlo è fecondarlo. Ma per concepire un mondo che non sia un mero riflesso di quello circostante, occorre che la conoscenza corra sfrenata a saccheggiare gli arsenali della memoria e dell'immaginazione. La scoperta delle trasgressioni del passato dà spunti e suggerimenti indispensabili per riuscire ad immaginare e far immaginare una vita priva di rapporti di potere nel futuro. E viceversa. Allora, le esperienze del passato e le possibilità del futuro prendono appuntamento sul campo di battaglia del presente. Ed è qui che si incontrano il mito e l'utopia.
Per quanto entrambi si muovano sul filo dell'immaginazione, mito e utopia si collocano su versanti diametralmente opposti. Il mito è uno sguardo rivolto all’indietro, allude a una felicità perduta, è una narrazione di fatti mai avvenuti la cui funzione è quella di inventare un passato leggendario al fine di giustificare gli elementi fondamentali di un gruppo (spesso altrimenti insostenibili). L'utopia è uno sguardo rivolto in avanti, intravede una felicità potenziale, è un luogo che non esiste la cui funzione è quella di evocare un futuro appassionante al fine di affermare teorie e pratiche conseguenti (spesso altrimenti insostenibili). Per quanto possa apparire verosimile, il mito ha la consapevolezza di sguazzare nella finzione. Invece, per quanto possa apparire inverosimile, l'utopia ha la determinazione di bagnarsi nella verità. Sia il mito che l'utopia possono essere apprezzati o criticati. Il primo per il suo fascino o per il suo artificio, la seconda per la sua innovazione o per la sua illusione.
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