"L'uomo può costruire fuori di sé solo quello che ha innanzitutto
concepito dentro di sé", ammoniva uno studioso. Per costruire un mondo
senza autorità, bisogna prima concepirlo. Non programmarlo,
schematizzarlo o misurarlo. No, solo concepirlo, nel suo duplice
significato: pensarlo è fecondarlo. Ma per concepire un mondo che non
sia un mero riflesso di quello circostante, occorre che la conoscenza
corra sfrenata a saccheggiare gli arsenali della memoria e
dell'immaginazione. La scoperta delle trasgressioni del passato dà
spunti e suggerimenti indispensabili per riuscire ad immaginare e far
immaginare una vita priva di rapporti di potere nel futuro. E viceversa.
Allora, le esperienze del passato e le possibilità del futuro prendono
appuntamento sul campo di battaglia del presente. Ed è qui che si
incontrano il mito e l'utopia.
Per quanto entrambi si muovano sul filo dell'immaginazione, mito e
utopia si collocano su versanti diametralmente opposti. Il mito è uno
sguardo rivolto all’indietro, allude a una felicità perduta, è una
narrazione di fatti mai avvenuti la cui funzione è quella di inventare
un passato leggendario al fine di giustificare gli elementi fondamentali
di un gruppo (spesso altrimenti insostenibili). L'utopia è uno sguardo
rivolto in avanti, intravede una felicità potenziale, è un luogo che non
esiste la cui funzione è quella di evocare un futuro appassionante al
fine di affermare teorie e pratiche conseguenti (spesso altrimenti
insostenibili). Per quanto possa apparire verosimile, il mito ha la
consapevolezza di sguazzare nella finzione. Invece, per quanto possa
apparire inverosimile, l'utopia ha la determinazione di bagnarsi nella
verità. Sia il mito che l'utopia possono essere apprezzati o criticati.
Il primo per il suo fascino o per il suo artificio, la seconda per la
sua innovazione o per la sua illusione.
Continua su finimondo.
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