08 giugno 2016

Libertà, pensiero e responsabilità.

Di Emilia de Rienzo.

Si fa presto a pensare di voler essere persone libere. La libertà è sicuramente la premessa essenziale perché la nostra esistenza possa dispiegarsi e realizzarsi, la libertà è elemento fondante di ogni democrazia che voglia essere davvero tale.
Ma la libertà può diventare un contenitore vuoto dentro cui si può mettere di tutto e in questi ultimi anni abbiamo visto lo scempio che hanno fatto di questo grandissimo valore conquistato a duro prezzo da chi è vissuto prima di noi. Oggi sta a noi comprendere cosa vuole dire davvero per noi essere persone libere.
Mi faccio guidare dal pensiero di Hanna Arendt che dopo aver vissuto il tempo del nazismo e dell’olocausto ha riflettuto molto sul significato di questa parola.
Secondo la Arendt per diventare cittadini veramente liberi bisogna imparare l’arte del pensiero, arte che sembra non interessare più a molti o quanto meno si dà per scontata di averla. E scontata non è.
Basti pensare a come i nostri discorsi sono intessuti di luoghi comuni, di frasi fatte, che molto spesso sono ancorate a ideologie già preconfezionate che non lasciano spazio a critiche e revisioni.Di questo bisogna prendere coscienza. Viviamo in un certo momento storico, in un certo tipo di società, di famiglia, di ceto sociale... Tutti siamo oggetto dei messaggi mediatici, e siamo immersi dentro il mormorio continuo della gente...

In realtà quello che ci spaventa è la complessità dei problemi, quella problematicità che rende più difficile trovare risposte certe e per sempre. Siamo alla ricerca di “ricette”, di esperti che ci dicano cosa fare, come comportarci,  tendiamo a delegare la soluzione dei problemi di fronte a cui in modo quotidiano ci troviamo di fronte. 

Il più delle volte agiamo senza interrogarci sul senso che vogliamo dare al nostro agire, venendo meno a quella responsabilità che dovremmo sempre avere presente di fronte ad una decisione da prendere che richiede consapevolezza e attenzione.
Agiamo sotto la spinta di quello che fanno gli altri, di quello che ci viene richiesto, della moda del momento e così via.  La libertà ci fa paura. Così scriveva Erich Fromm:
L'uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni e le decisioni comportano rischi. Se invece si sottomette a un'autorità, allora può sperare che l'autorità gli dica quello che è giusto fare, e ciò vale tanto più se c'è un'unica autorità – come è spesso il caso – che decide per tutta la società cosa è utile e cosa invece è nocivo.
Secondo Hanna Arendt la libertà di pensiero, l’evitare di interrogarsi di fronte a ciò che accade ci impedisce di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato perché, secondo la filosofa:
Il pensare è quell'attività che produce precisi effetti morali, trasformando chi pensa in qualcuno, in una persona o personalità.
L’interrogazione che dovrebbe accompagnarci è quella di come dare forma a un modo di vivere che sia degno di questo nome per noi e per gli altri, è pensare a costruire un mondo, il nostro mondo, a misura di uomo, di qualsiasi uomo o donna. Questo vuol dire mettersi in cammino sapendo che non si potrà mai arrivare a trovare criteri certi e indiscutibili nella ricerca di ciò che è giusto, ma che proprio per questo dobbiamo esercitarci, metterci alla prova e continuamente in gioco.
Un criterio guida fondamentale è che nessuno può pensare al posto mio, nessuno  può pensare al posto degli altri. Bisogna cioè opporsi alla tendenza di alcuni a pensare e a decidere per altri cosa è meglio per loro. Questo vuol dire sminuire l'altro, non averne rispetto. L’altro, qualunque sia il grado di intelligenza o di elaborazione del pensiero, è sempre competente su se stesso e su ciò che lo riguarda. Se non è in grado di pensieri razionali elaborati, è però in grado di comunicare ciò che gli fa bene o male, ciò che gli piace o no. Ma su questo meriterebbe aprire un altro capitolo. 

In sintesi è importante prendere pienamente coscienza che per essere liberi bisogna assumersi la responsabilità della scelta e del rischio che si corre sempre quando si devono prendere decisioni sul da farsi in una situazione particolare, nelle relazioni con gli altri e con il mondo.
E ci accorgiamo che pensare e riflettere su questioni scottanti in cui i più la pensano in un modo che non condividiamo, può risultare difficile, difficile è fare scelte controtendenza, come avveniva per esempio "in tempi bui", come li chiama la Arendt, o come su questioni che allarmano la'opinione pubblica: i profughi, gli emigranti e la diversità in genere. 

E’ più facile esercitare il nostro pensiero critico su questioni che non ci toccano direttamente o si manifestano lontano da noi, piuttosto che nel nostro piccolo quotidiano. Certe scelte possono creare momenti di solitudine, di isolamento quando non di rottura. Ma è proprio con queste scelte che possiamo fare la differenza. Possiamo per lo meno tentare di indicare percorsi diversi, mettere sul tavolo domande su cui aiutare anche altri a riflettere, prendere posizione, quando si operano da parte degli altri scelte discriminanti e non rispettose dell’altro.
Solo l’individuo che saprà pensare e giudicare in modo critico un evento, senza appoggiarsi come ad una ringhiera a criteri generali e riconosciuti a prescindere come validi, senza crearsi alibi, senza staccarsi dalla realtà, e senza abituarsi subito ai nuovi criteri di giudizio usandoli come unico metro, saprà comprendere il mondo e cambiare la sua direzione. Sarà capace di difendersi quando l’umanità proverà ad avviarsi verso altri atti di violenza nei confronti di sé stesso, così come sono stati i totalitarismi, che, attenzione, non sono finiti: hanno solo cambiato forma.
Anche nei tempi più oscuri abbiamo il diritto di attenderci una qualche illuminazione. Ed è molto probabile che essa arriverà non tanto da teorie o da concetti, quanto dalla luce incerta, vacillante, spesso fioca che alcuni uomini e donne, nel corso della loro vita e del loro lavoro, avranno acceso in ogni genere di circostanze, diffondendola sull’arco di tempo che fu loro concesso di trascorrere sulla terra. 
Hanna Arendt 

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