17 febbraio 2017

Ho ascoltato il discorso della madre del ragazzo che si è suicidato a Lavagna e, devo dire la verità, non mi è piaciuto. Rispetto per il suo dolore, ma mi sarei aspettata qualcos'altro. Quella era una predica, non sembrava affatto sconvolta dal fatto che il suo gesto di chiamare la guardia di Finanza a fare la perquisizione in casa potesse aver provocato nel ragazzo un turbamento tale da decidere di fare quel che ha fatto. Questo dubbio imponeva perlomeno il silenzio, nel quale arrovellarsi per i sensi di colpa. Lei voleva toglierseli quei sensi di colpa, giustificando il suo gesto pubblicamente come "dovere" e facendo una specie di "predica" ai giovani sbandati che, impegnati con i cellulari, non si guardano negli occhi.
Ma nemmeno lei ha guardato suo figlio negli occhi, nemmeno lei ha "comunicato" con suo figlio.
Non voglio dire altro, non so niente del suicida e non voglio giudicare oltre una madre che subisce una tale sconfitta. Si sbaglia nella vita, si fanno errori gravi e irreparabili come questo e si sa che il mestiere di genitore è fra i più difficili. Esprimo solo la mia perplessità di fronte alla grottesca imperfezione di uno schierarsi insistente dalla parte di ciò che viene imposto come dovere.
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