Isabella
Viola è morta, qualche giorno fa, da sola, nelle turbolente viscere di
Roma. Il suo cuore è stato spezzato da una vita difficile. Dovevano
essere dieci righe in cronaca (giovane donna colpita da malore muore su una banchina della metro) ,quelle che
si leggono di mattina distratti dal dilemma del cappuccino (con o senza
schiuma?), e invece la sua si è trasformata in una morte che parla
all’Italia.
Racconta di un popolo intero, una moltitudine ignota e
ignorata. Di loro sanno poco i dotti professori di economia, gli
accigliati ministri-tecnici sempre pronti a giudicare “gli italiani”. Per loro non c’è mai posto nelle poltroncine dei talk-show che al
massimo, quando vogliono parlare della “gente”, la fanno raccontare da
chi non prende una scassatissima metro da secoli .
Sono uomini e donne,
bianchi, gialli e neri, che si svegliano all’alba per raggiungere posti di lavoro tenuti stretti coi denti, che guadagnano quattro soldi e lottano con
mezzi di trasporto affollati, puzzolenti. E' una umanità che tira tardi
fino a sera lavorando e si porta il panino da casa per risparmiare.
Isabella era una di loro, non sapeva niente di spread, di Europa, di luci in
fondo al tunnel. No, Isabella sapeva solo che a 34 anni doveva
conquistarsi la vita a morsi, lo faceva per lei, per il marito, bravo
muratore ma disoccupato, e per i suoi quattro figli da crescere. Ogni
mattina sveglia presto, la colazione da preparare per i bambini,
il pranzo da avviare, una rassettata veloce alla casa e poi la corsa alla metro per poi tornare a sera, distrutta. Settecento euro di affitto, quattro figli da mandare a scuola, il conto
dei pochi soldi del suo lavoro e dei lavoretti che di tanto in tanto il
marito strappava a qualche cantiere. Ogni sera: questo per le bollette,
quest’altro per l’affitto, tanto per mangiare, il bambino vorrebbe quel
giocattolo, non possiamo.
Una sconfitta continua , quotidiana. Che ti
mangia il cuore.
No, non è una storia da dieci righe in
cronaca, è una storia dell’Italia di oggi.
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