12 novembre 2012

La fame.



Quali sono i motivi dei disordini sociali? La povertà, l'oppressione,  la privazione dei diritti civili, etc. Ma il più grande e più importante di tutti è LA FAME! Semplice e chiaro. Le proteste più violente coincidono con grandi picchi dei prezzi dei generi alimentari.
Uno studio del 2011 metteva appunto in relazione lo scoppio di sanguinose rivolte in tutto il mondo con l'aumentare dei prezzi del cibo. I risultati hanno evidenziato questa relazione: il prezzo del cibo influisce più di ogni altra causa sullo scoppio delle rivolte. 
Il grafico qua sotto riassume bene le evidenze emerse dallo studio: 
 
La linea nera rappresenta l'andamento del prezzo del cibo nel tempo ed è stata elaborata in base ai dati forniti dal cosiddetto indice dei prezzi alimentari della Fao, che segue mensilmente i prezzi di un paniere di 55 prodotti, tra cui cereali, oli, carni, latte, etc.
Le linee rosse verticali invece indicano le date delle rivolte nel mondo. La relazione è evidente: all'aumentare del prezzo del cibo aumenta la probabilità che si verifichi una rivolta. In particolare gli studiosi hanno evidenziato una soglia oltre la quale il rischio di rivolte diffuse diventa tangibile: 210. Quando il prezzo del paniere di beni alimentari primari superò quella cifra nel 2008 fecero seguito una serie di rivolte in tutto il mondo; nel 2010 al superamento della soglia di 220 corrisposero le rivoluzioni della primavera araba. Oggi il prezzo del paniere oscilla pericolosamente attorno alla drammatica soglia e da qualche settimana si è attestato a quota 213. Ma le conseguenze sempre più evidenti dei cambiamenti climatici, unite al sovra consumo, faranno con ogni probabilità salire ulteriormente il livello fino a 240 entro l'agosto del 2013. Sempre secondo le previsioni del gruppo di studiosi, quello che tutto ciò potrebbe causare non è neppure immaginabile. Un'ondata di fame di livelli mai visti porterebbe con sé un'ondata di violenza di pari entità. Le multinazionali del cibo devono esserne consapevoli e già da diversi anni stanno cercando di accaparrarsi i diritti di produzione alimentare in tutto il mondo, scippandoli con la violenza ai contadini. Se prima ciò accadeva solo nelle zone più povere del mondo (si pensi ai "campesinos" di Haiti o alle lotte di Vandana Shiva per preservare le antiche sementi dall'aggressione Ogm di Bayer e Monsanto) adesso l'offensiva ha raggiunto anche la "sviluppata" Europa. Il 12 luglio scorso la Corte di giustizia europea ha confermato il divieto di commercializzare e persino scambiare le sementi che non sono iscritte nel catalogo ufficiale europeo. La sentenza fa riferimento ad una direttiva europea del '98 che di fatto riserva il diritto di commerciare le sementi alle multinazionali. Come? Il meccanismo non è troppo complesso. Perché una semente possa essere commercializzata o scambiata deve essere iscritta nel catalogo ufficiale. Iscriverla costa e tanto. Inoltre il prodotto deve rispettare dei criteri di "Distinzione, Omogeneità e Stabilità", vale a dire che deve garantire "una accresciuta produttività agricola". Risultato? Gli Ogm possono essere iscritti senza problemi al catalogo ufficiali, visto che le multinazionali che li producono non hanno problemi a sganciare il denaro necessario e rispettano alla perfezione i criteri di produttività. Le sementi antiche e tradizionali invece, essendo patrimonio comune di tutti agricoltori ma proprietà esclusiva di nessuno, difficilmente trovano qualcuno disposto ad investire dei soldi per registrarle e dunque finiscono per diventare illegali. Stessa fine per le specie antiche, che alcune associazioni che lottano per la biodiversità cercano di mantenere in vita. Tutto questo significa che se continueranno i cambiamenti climatici e lo sfruttamento degli speculatori, il mondo sarà sempre più irrequieto.
Nella corsa a favorire le multinazionali a scapito dell'agricoltura tradizionale il governo "dei poteri forti" guidato da Monti non può che essere in prima fila. L'esecutivo si è scagliato contro una legge della regione Calabria che intendeva tutelare i prodotti a chilometro zero. La legge in questione è la numero 22 dell’11 giugno 2012 recante "Norme per orientare e sostenere il consumo di prodotti agricoli anche a chilometri zero". "Ostacola la libera circolazione delle merci, è in contrasto con i principi comunitari" hanno tuonato dal governo. Il provvedimento è stato etichettato come una legge quasi autarchica che avvantaggia i prodotti regionali rispetto a quelli extra-regionali, in netta contrapposizione al principio di libera circolazione delle merci. A dire l'ultima parola sulla questione sarà la Corte Costituzionale che dovrà chiarire se la Regione Calabria è andata oltre le sue competenze legiferando in materia. Resta comunque il tentativo del governo, in linea con le strategie dell'Unione europea, di aprire il campo agli investimenti dei grandi gruppi multinazionali e spazzar via i produttori locali, attenti custodi della biodiversità.
La strategia di certo non è nuova, ma è tanto più pericolosa quanto più si avvicina ad elementi che stanno alla base della vita sul pianeta.
Le multinazionali che gestiscono le sementi si stanno preparando, mettendo in cassaforte la loro esclusiva di commercializzare e scambiare i semi. E il governo italiano dà loro una mano, mettendo al bando i prodotti a chilometro zero. Le multinazionali, vere e proprie "istituzioni dominanti della società contemporanea" (per citare il documentario The Corporation) si stanno pian piano appropriando degli aspetti più elementari della nostra vita: il cibo, l'acqua, persino il codice della vita stessa attraverso la mappatura "privatizzata" del genoma umano. Se allo scoppiare delle rivolte predette per l'agosto 2013 (e qui non c’entrano i Maya e nemmeno Nostradamus) buona parte della produzione di cibo a livello mondiale sarà gestito da un manipolo di enormi società globali, bè, sappiamo già chi avrà il coltello dalla parte del manico. 


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