A proposito
di maschere e mascherate. L’infelice idea di una ditta inglese che ha
proposto sul suo sito di vendite online una maschera da “piccolo
migrante”. Che è come dire ai ragazzini che è solo tutto un gioco.
“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai
molte maschere, poche persone”. Tragico, fulminante Pirandello.
http://www.remocontro.it/2016/02/07/carnevale-gatto-randagio-troppe-maschere-poche/
Come il pharmakon – insegnava Platone – può essere tanto una
medicina che cura quanto un veleno che intossica (e noi oggi
comprendiamo sempre meglio la verità di questo avvertimento), così la
maschera è altrettanto doppia e infida. Ecco adesso, dovunque, a
Carnevale, il rito festoso del mascherarsi e il piacere dello spettacolo
corale dei travestimenti. Per qualche giorno abbiamo la libertà di
sentirci e apparire diversi, belli o mostruosi, umani o extraterrestri,
uno di un’epoca remota o uno di una dimensione fantastica e magari
futura. Festa di bambini, che le scuole opportunamente promuovono, ma
anche festa di adulti che desiderano alterare per un momento la routine
del sempre uguale.
Valenti studiosi e pensatori hanno preso molto sul serio quest’antica
voglia di mascherarsi e hanno spesso tessuto l’elogio del carnevale.
Ogni volta che arriva si dice che è una festa in declino e forse
destinata a estinguersi, tuttavia il carnevale sopravvive ogni volta a
se stesso come se vi si riproducesse qualcosa che non sembra
completamente risucchiato dal consumismo. Questo “quid”, che si mantiene
in modo quasi anacronistico, consiste essenzialmente nel bisogno di
modificare almeno un poco la propria identità quotidiana:
nell’illudersi, nel giocare a essere qualcun altro o almeno a celarsi
allo sguardo identificante di tutti i giorni, coprendosi il viso con una
mascherina. Dietro all’innocente carnevale sta dunque una questione di
enorme importanza: appunto l’esigenza di sfuggire all’omologazione,
almeno di manifestare pubblicamente tale esigenza in maniera simbolica,
parziale, residuale, ormai mercatizzata e svuotata quanto si vuole,
comunque di tentare di farlo.
Ma allora quale sarebbe il veleno della maschera? Esso sta
nell’ambivalenza del nascondersi, nel trionfo di un dispositivo sociale
che, non per qualche giorno bensì per tutto l’anno, procede mascherato e
tende ad assumere false fisionomie. Spesso, assistendo al normale
spettacolo della politica, sembra di osservare un défilé di maschere e
di volti contraffatti, al punto che verrebbe da dire “giù le maschere!”,
“fateci vedere chi siete veramente!”.
La maschera diventa velenosa se si irrigidisce in una finzione:
quando ciò accade, il gioco è finito, non ci si diverte più, o meglio:
il divertimento diventa falso, un trucco per avere consenso, un volto
sorridente e perfino esaltante per persuadere ingannevolmente, cosicché
gli altri non riconoscano chi vuole trascinarli e le sue reali
intenzioni. Quante volte capita che qualcuno scivoli giù dal piedistallo
e si riveli ben diverso da quello che la sua maschera faceva intendere!
È chiaro che quando si ha qualcosa o molto da nascondere conviene
indossare una maschera, e questo vale per tutti. Quando poi si hanno
responsabilità pubbliche, quando si è potenti, questa maschera può
diventare un veleno pericoloso. Si parla di continuo della necessità di
lottare contro l’evasione fiscale: il grande evasore è uno che ha
indossato una formidabile maschera per non essere riconosciuto.
È paradossale che per un verso vorremmo far cadere le maschere
dell’ipocrisia e della truffa, mentre per l’altro verso ciascuno
desidera di poter usare le maschere per avere più libertà ed evadere
dalla propria angusta prigione individuale? Non lo è affatto, sempre che
riusciamo a compiere un esercizio critico sul senso da attribuire alla
maschera, distinguendo la maschera che produce un più di soggettività
dalle maschere che ci bloccano e ci fanno restare immobili dove siamo.
La maschera come gioco – un gioco molto difficile da giocare – che ci
permette di alleggerirci e di imparare a uscire e a rientrare in noi
stessi, dalla maschera che irrigidisce il nostro volto. Nei suoi limiti,
il carnevale potrebbe anche essere un’occasione per farci capire questa
distinzione e fornirci una qualche arma per combattere, o almeno per
individuare le maschere sociali che ci avvelenano l’esistenza, maschere
che introiettiamo anche senza volerlo, momento dopo momento, magari per
scoprire un bel giorno che siamo diventati noi stessi una rigida
maschera vivente.
[Pubblicato su "Il Piccolo", 13 febbraio 2015]
http://autaut.ilsaggiatore.com/2015/02/su-la-maschera/
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