Involuzione
di un popolo e di una società bloccata in schemi e cliché che nulla hanno
a che vedere con l'essere uomo o donna o famiglia..e basterebbe solo una "cosetta"...il rispetto.
Dalla pagina facebook di Riccardo Lestini.
Oggi veniamo a sapere, dalle colonne dei principali quotidiani, che
palpeggiare sul luogo di lavoro le parti intime di colleghe non consenzienti, non costituisce reato.
A stabilirlo è stata la sentenza del Tribunale di Palermo, che ha
assolto il 65enne Domenico Lipari, impiegato all'Agenzia dell'Entrate,
denunciato da due colleghe per, appunto, palpeggiamenti e molestie.
Assolto non per non aver commesso il fatto (Lipari ha sempre confermato
di aver palpeggiato le due donne), ma proprio perché “il fatto non
costituisce reato”. Motivazione della sentenza: “il gesto è da ritenersi
come inopportuno e immaturo atteggiamento di scherzo”.
No, non ho fatto alcun errore di battitura, è andata proprio così: il Tribunale ha ritenuto un 65enne “immaturo”.
Contemporaneamente, a Latina, una donna di 42anni è stata denunciata dal marito e rinviata a giudizio per “maltrattamenti in famiglia”. Nello
specifico, i maltrattamenti consisterebbero nel fatto che la donna “non
effettuava con regolarità le pulizie di casa” e “non preparava la cena
al marito”. Il processo, in questo caso, deve ancora iniziare, ma dal
rinvio a giudizio veniamo a sapere che una donna può finire in tribunale
– e rischiare una condanna da due a sei anni – se non prepara
manicaretti al consorte e non gli fa trovare ogni giorno la casa linda e
splendente.
Per entrambi i casi, sui social, pioggia di truci commenti di maschi entusiasti.
Per la storia di Palermo, cito in ordine sparso: “e che vuoi che sia
una pacca sul culo”; “poi ste troie vengono a lavorare vestite in un
modo che le palpate te le tirano via dalle mani”; “tutta sta storia per
una tastata di tette”; “la sentenza è giusta: ste donne hanno rotto il
cazzo”. E via dicendo.
Per quella di Latina, sempre in ordine
sparso: “io avrei fatto di peggio, l'avrei ammazzata”; “era ora”; “si
merita quindici anni, sta stronza”. Cito anche due commenti di donne:
“del resto è venuta meno al suo compito”; “il marito ha soltanto voluto
riconoscere un suo diritto sacrosanto”.
Intanto, ci ricorda un bellissimo articolo di Michela Murgia apparso su “Repubblica”,
dall'inizio del 2016 contiamo una vittima ogni tre giorni per
femminicidio. Tra le tante, la donna morta a Catania strangolata dal
marito davanti al figlio di quattro anni, la ragazza incinta di nove
mesi e ridotta in fin di vita dal compagno che le ha dato fuoco, la
donna che è stata decapitata dal marito. Su di loro, il
silenzio.
Per non contare le innumerevoli vittime di stupro, sulle
quali no, non regna il silenzio. Regna al contrario il dubbio. Il dubbio
strisciante, nell'opinione pubblica, che sia colpa loro, delle vittime:
troppo discinte, troppo provocanti. Troppo donne.
Nel primo
pomeriggio di sabato scorso, al Circo Massimo, durante il Family Day, al
momento clou della manifestazione, è salita sul palco la giornalista, scrittrice e blogger Costanza Miriano, autrice del best-seller “Sposati e
sii sottomessa”. Un libro che esorta le donne di tutto il mondo a
riprendere il proprio ruolo naturale, che è quello, appunto, di totale
sottomissione all'uomo: “Rassegnati, ha ragione lui – scrive l'autrice –
obbediscigli, sposalo, fate un figlio, trasferisciti nella sua città,
perdonalo, fate un altro figlio”.
Il libro ha venduto 150mila
copie. Vale a dire lo stesso numero di copie che otteniamo sommando
cinque (cinque!) recenti pubblicazioni che denunciano la violenza sulle
donne, si interrogano sul ruolo delle donne e, soprattutto, denunciano
lo strisciante e incredibile maschilismo che ancora permea la nostra
società: “Ferita a morte” di Serena Dandini, l'antologia “Questo non è
amore” edita da Marsilio, “Regina Nera” di Matteo Strukul, “Sebben che
siamo donne” edita da Derive&Approdi e “Mia per sempre” di Cinzia
Tani.
Dal palco del Family Day, la Miriano ha gridato:
“Riprendiamoci questo ruolo che stiamo dimenticando per emanciparci,
torniamo a essere vere donne capaci di accoglienza, e se lo faremo i
nostri uomini torneranno a essere capaci di grandezza”.
L'hanno
applaudita, entusiasti, due milioni di persone. Un numero imprecisato
l'ha applaudita da casa. Nessuno, a quanto risulta, si è scandalizzato.
Chissà perché l'opinione pubblica insorge contro la “segregazione” e la
“sottomissione” della donna solo quando si parla di Islam.
Forse
sarebbe il caso, noi uomini per primi ma anche molte, moltissime
(troppe) donne, ogni volta che denunciamo il velo, le lapidazioni,
l'orrenda, spietata e inaccettabile condizione in cui l'intero universo
femminile viene tenuto in tantissime aree del mondo, ci ricordassimo di
guardare anche tra le pieghe del nostro amato “mondo libero”.
Un
mondo che, spesso e volentieri, si rivela paritario solo formalmente. Ma
che nella pratica resta ferocemente e spietatamente machista e
maschilista.
E sarebbe il caso di cambiarlo davvero, questo nostro amato “mondo libero”.
Cambiarlo una volta per tutte.
Sono stanco di vergognarmi per essere un uomo.
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