Nell’Atene di Pericle non c’erano vie di mezzo o eri schiavo o eri
cittadino. Nella Germania dell’era Merkel la “schiavitù di cittadinanza”
è la ricetta con la quale il governo tedesco è riuscito a ridurre la
disoccupazione, garantendo lauti guadagni agli imprenditori tedeschi,
sgravati dall’impegno di versare contributi.
Come funziona?
In Germania chi non ha un’occupazione riceve intorno ai trecento euro al
mese. Se gli viene proposto un lavoro per venti ore settimanali a 450
euro al mese – senza obbligo per il padrone di versare tasse – ha due
possibilità ugualmente sgradevoli. Se rifiuta perde buona parte
dell’assegno di cittadinanza, se accetta si lega mani e piedi ad una
condizione di super sfruttamento non contrattabile e senza prospettive
di pensione.
Schiavo e cittadino insieme. Un infelice ma ben riuscito ossimoro politico.
Nel 2008 la disoccupazione in Germania era superiore a quella italiana,
oggi le parti si sono invertite, ma il numero di ore lavorate in realtà
non è cambiato.
Per uno dei tanti paradossi di cui è capace un capitalismo sotto oculata
e tenera tutela statale la Germania è riuscita a realizzare un
obiettivo che, in altri tempi, è stato molto caro al movimento dei
lavoratori: che tutti lavorino meno, che tutti lavorino. Peccato che la
ricetta tedesca non comporti una seconda – fondamentale – parte: la
parità di salario nonostante la riduzione di orario. In parole povere,
un sia pur lieve, trasferimento di reddito dai padroni ai lavoratori.
Questa ricetta made in Deutchland piace anche al sottosegretario all’economia Stefano Fassina.
Il vice ministro, dopo le polemiche dei giorni scorsi con il Movimento
cinque stelle sulle proposte della compagine grillina in materia di
reddito minimo o reddito di cittadinanza, questa mattina ha annunciato
l’apertura di un tavolo di confronto con i partiti che hanno avanzato
proposte in parlamento.
Fassina, in un’intervista al Manifesto, sostiene in modo esplicito che
“per una forza progressista la cittadinanza passa attraverso il
lavoro.”L’obiettivo è un lavoro di cittadinanza da promuovere anche
attraverso misure sul reddito ma finalizzate al miglioramento
dell’occupazione qualificata per coloro che sono nelle condizioni
fisiche di lavorare”.
In realtà anche la proposta del M5S contiene un riferimento all’obbligo
di fare “lavori utili”, che ha un sapore agre sia per la natura
impositiva della norma sia per la nozione stessa di “lavoro utile”.
Il solco appare tracciato. Se SEL e M5S troveranno un accordo con il PD,
la possibilità che anche da noi venga introdotta la schiavitù di
cittadinanza appare molto concreta. In un primo tempo in forma
sperimentale nelle grandi città, poi, chi sa, dappertutto.
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