14 novembre 2015

Capita a volte, sfogliando i giornali, di soffermarsi su un titolo e di non essere certi di aver letto bene.

E’ il caso della notizia pubblicata ieri da molti quotidiani: Picchia la moglie per 24 anni. Il giudice: "Non c’è colpa". E fa ancor di più strabuzzare gli occhi il sottotitolo. "La donna di fatto ha tollerato la condotta del marito". 
In estrema sintesi e massima semplificazione: è accaduto che una donna, per il solo fatto di aver tollerato, sopportato, subito in silenzio le violenze del marito per quasi un quarto di secolo, violenze riconosciute dai giudici del Tribunale di Genova, non abbia diritto ad un pizzico di giustizia. Anzi, da vittima questa donna si è trasformata quasi in colpevole: la sua colpa è quella di aver aspettato troppo a mettere fine all’incubo, è rimasta troppo in silenzio. Dunque, stando all’interpretazione del Tribunale, nei fatti ha assecondato il comportamento del gentil consorte, a cui dunque non verranno addebitate le colpe della separazione. Alla donna non resterà nulla: ricomincerà a cinquant’anni la sua nuova vita con un bagaglio di sofferenze sulle spalle, che nessuno potrà cancellare, un plico di referti del pronto soccorso accumulati negli anni e nemmeno un indennizzo per quanto subito per gran parte della sua vita. Se avesse parlato prima, se avesse deciso prima di mettere fine a quel matrimonio sbagliato, se avesse spezzato prima quella catena, allora sì, forse il marito avrebbe pagato qualcosa per la sua condotta. I giudici, in questo caso, non hanno minimamente pensato che forse la pressione sociale può alimentare "il senso del dovere" di una donna che ha provato a tenere in piedi la famiglia a tutti i costi. Forse ha avuto paura di lasciare comunque quello che rappresentava una sicurezza. Forse bisognava tener conto delle difficoltà psicologiche di chi deve ammettere di essersi sbagliata legando la sua vita a quella di un uomo non all’altezza. 
Già, troppi forse per mettercisi a pensare.
Sempre di ieri l'altra notizia similare: Picchia la moglie e la costringe a 7 aborti, allontanato da casa.
Dalle indagini della procura di Trani è emerso che la donna, quasi 10 anni fa, aveva provato a denunciare le violenze subite. Il marito, però, l’aveva costretta a ritirare la denuncia, con la minaccia di darle fuoco, insieme alle figlie e all’abitazione. Nelle scorse settimane la donna, dopo l’ennesima aggressione da parte del marito, ha riportato fratture e gravi ferite, tali da costringerla a ricorrere alle cure dei medici del pronto soccorso. Per questi fatti l’uomo è indagato per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate. Ma direi che può stare relativamente tranquillo, perché ora ha il precedente fornitogli dal Tribunale di Genova. Dieci anni sono un bel po’ di tempo, dopotutto. Se a questa tizia è bastata la minaccia del suo picchiatore abituale per ritirare la denuncia significa che la cosa le va bene, no?
Fatemi capire: un reato cessa di essere tale se la vittima lo subisce per lungo tempo? Picchiare un altro essere umano e procurargli lesioni è sbagliato ed è un crimine, che la vittima abbia sopportato o meno, che abbia urlato o no, che abbia denunciato o no. E’ vergognoso e assurdo che certe sentenze vengano emesse con tale leggerezza e con così tanto biasimo per le vittime. 
Ci sono troppe cose che rivelano l’insopportabile condizione cui ancora oggi sono costrette le donne, oltre ad evidenziare come talvolta la legge rischi pericolosamente di perdere il cuore del problema. 
Resta l’amarezza, lo stupore e soprattutto la rabbia. E resta l’urgenza italiana di dare alle vittime di violenza tutto il supporto necessario per trovare la forza di denunciare immediatamente ogni abuso

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