Assistiamo da tempo al rimescolamento del quadro politico,
un rimescolamento che sembra profondo, ma che in realtà è solo superficiale:
che tutto cambi affinché nulla cambi. Nello specifico, che non cambi il vero
punto fondamentale: nel capitalismo viviamo e nel capitalismo dobbiamo
continuare a vivere.
In Parlamento, in televisione e sulla rete ci si scontra
su tutto meno che su questo punto decisivo.
Dentro la gabbia, fioriscono movimenti che buttano l'amo tra
i lavoratori: i "grillini", gli "arancioni", "quelli
che cambiare si può"... e ce ne fosse uno che non ha in tasca una lista di
risposte "pratiche" e "concrete" per risolvere ogni
problema! Tutti lì a spiegare ai capitalisti come dovrebbero fare il loro
mestiere e a sfornare ricette su come uscire dalla crisi, su come avere
maggiore giustizia sociale, su come far funzionare lo Stato, su come far
rispettare la Costituzione e così via sognando...
Il "leitmotiv" sociale è semplicissimo: bisogna
aiutare i più sfortunati (e ci mancherebbe!!) e per farlo basta far pagare le
tasse a tutti, basta sequestrare i beni della mafia, basta eliminare la
corruzione e le tangenti; ogni tanto si sentono anche dei "tassiamo i
pescecani della finanza" o dei "tassiamo i patrimoni" o dei
"tassiamo i redditi sopra a un milione di euro"! Il tutto all'insegna
della concretezza (anche se qualche
dubbio è lecito guardando
la fine che ha fatto in Francia la proposta di Hollande).
Mentre invece il vero dibattito dovrebbe essere questo: questo
sistema economico, politico e sociale è in grado di offrire all'umanità
benessere, pace, cura della salute, sviluppo culturale e intellettuale,
rispetto dell'ambiente?
Anche un cieco vedrebbe che non è così, che stiamo andando,
giorno dopo giorno, nell'inferno della devastazione sociale e ambientale.
E allora, come facciamo a non domandarci quale potrebbe
essere il sistema economico, politico e sociale che possa sostituirlo?
A qualcuno può sembrare un pensiero troppo rivolto al
futuro, poco concreto; in fondo è normale che si combatta per ciò che si desidera
nel presente, soprattutto se il presente fa schifo, e non si pensi tanto a ciò
che sarebbe auspicabile per il futuro. Ma continuare a guardarsi i piedi si finisce
poi per sbattere la testa. Bisogna invece alzare lo sguardo ed affrontare il
futuro cominciando anzitutto a guardare il presente con occhi diversi da quelli
con cui ce lo hanno presentato fino ad oggi.
Una volta i lavoratori lottavano per ottenere, e talvolta
persino ottenevano, miglioramenti in termini di occupazione, pensioni, case,
scuole, salute, diritti sindacali, in altri termini, di reddito.
Oggi cosa ci hanno ridotto a "pretendere"? La
fedina penale pulita come segno distintivo della "buona politica". La
crisi devasta la condizione sociale di milioni di persone, ma noi, le milioni
di persone, che cosa chiediamo? Chiediamo l'incandidabilità dei condannati da
un qualche tribunale che applica leggi approvate da quegli stessi politici
corrotti e incapaci che si vorrebbe non candidare!
È un caso? No, anche questo non è un caso, ma un vero e proprio
depistaggio, un depistaggio dei responsabili e un depistaggio degli obbiettivi:
ci fanno chiedere una merce immateriale, la legalità, che il sistema può
manipolare a proprio piacimento detenendo il monopolio della legge, al posto di
merci materiali: salario, casa, pensioni, scuola, che, anche per effetto della
crisi, il sistema non sarebbe in grado di offrire.
Quella della legalità è la trincea su tutti vorrebbero che
ci attestassimo. Sono convinti che la legge sia uguale per tutti e non è vero.
Probabilmente sono anche convinti che sia giusta e questo è ancora meno vero.
Nel capitalismo la legge è la legge del capitale, la legge del padrone, ed
anche se fosse effettivamente applicata a tutti in modo equo (cosa che non
avviene), difenderebbe, comunque e soprattutto, solo il padrone.
Un aggravamento della crisi economica porterà molte persone
a sviluppare pratiche di illegalità, o quanto meno di "non legalità",
di massa (non pagare le tasse, non pagare il biglietto del treno o del pullman,
rubare nei supermercati o nei campi, fare picchetti contro i crumiri e contro
le imprese, resistere alla repressione della polizia, occupare le case...).
Come si può pensare davvero di poter risolvere i problemi sociali e le
conseguenze che ne derivano con la "legalità" (nello stesso modo in
cui si pensava di risolvere i problemi posti dall'immigrazione con la
"sicurezza")?
C’è anche un’altra cosa molto di moda: il “venire dal nulla” come segno distintivo del non essere stati compromessi con nessuno. Ma
in realtà le persone vengono sempre da qualche parte (anche quando fanno di
tutto per farlo dimenticare) e, soprattutto, stanno sempre da qualche parte,
nel senso che sono di parte. E il “nuovo che avanza” è pura illusione demagogica.
Cosa vuol dire essere “nuovi”? Che ogni anno si sforna un nuovo prodotto come
si fa con le scarpe e i telefonini? Noi non siamo e non possiamo essere nuovi,
perché portiamo dentro di noi tutto il tempo che proviene dalle rivolte degli
schiavi antichi e moderni, dalle lotte dei popoli contro il colonialismo e
l'imperialismo, dalla resistenza dei lavoratori di tutto il mondo contro lo
sfruttamento, dalle rivoluzioni sociali per conquistare il mondo nuovo. Portiamo
il peso degli anni che abbiamo trascorso a difendere ogni trincea, a combattere
ogni ingiustizia, mentre altri si preparavano ad essere nuovi sedendo dal lato
dell'ingiustizia. È questo “vecchio” che ci deve spingere verso le idee, quelle
sì, che sappiano prefigurare il nuovo, il non ancora esistente, tra le maglie
dell'ancora esistente.
E quelle idee non ci sono.
In questa fase di tramonto dello scenario capitalistico
globale, in questo riformismo senza riforme, pieno solo di vuota retorica,
incapace di realizzare alcun risultato concreto, tutto preso dalla propria
vacua declamazione (vogliamo, vogliamo, vogliamo!!!), nessuno accenna a qualcos’altro,
nessuno pensa ad un’alternativa che possa condurci fuori dalla catastrofe sulla
strada del superamento di ciò che conduce alla catastrofe.
Tutti parlano della quiete dopo la tempesta, di quello che
si potrà tornare ad avere una volta superata la crisi.
Possibile che non si arrivi a capire che, anche se la crisi
venisse "superata", noi ci ritroveremo molto più poveri e molto meno
liberi di prima?
Possibile che nessuno si renda conto che siamo dentro una
gabbia e questo sistema ci tiene rinchiusi in essa alternando digiuno e
abbondanza come fossero noccioline e pane secco all’ora dei pasti? E il
problema di chi sta dentro alla gabbia non è quello di stare meglio o peggio,
il problema è come uscirne!
Non c’è bisogno di trovare modi per far funzionare il
capitalismo, bisogna solo farlo smettere di funzionare perché è proprio il
capitalismo il problema che abbiamo di fronte ogni giorno negli uffici o nelle
fabbriche, a Pomigliano o in Val di Susa, nelle "cooperative" o
all'Ilva, a Fukushima o a Falluja..., il problema che distrugge la nostra vita
oggi e, con la devastazione della natura, la vita dei nostri figli domani.
E per impedire che la devastazione sociale ed ambientale
vada avanti indisturbata, ci vogliono proposte autenticamente alternative, non
prospettive miracolose colluse al sistema. Ci vuole determinazione a costruire
assieme un luogo entro cui ciascuno possa offrire il proprio contributo
affinché nessuna energia, neppure la più piccola, debba andare dispersa.
Per essere più "in" di questi tempi potrei
dire che questa proposta "proviene dal basso". Ma non è vero: è una
proposta che proviene dall'alto, dall'altissimo: è una proposta che proviene
dalla più grande delle ambizioni, dall'ambizione di trasformarci e di
contribuire alla trasformazione del mondo in cui viviamo, senza arrenderci
all'esistente. Perché una cosa deve essere ben chiara: saremo anche
"ingenui", "sognatori" e "utopisti", ma un mondo
nel quale i comici guadagnano milioni di euro per raccontare due barzellette o
le veline ne prendono centinaia di migliaia per sgambettare sul
tavolo, mentre milioni di lavoratori, precari, pensionati si sbattono ogni
giorno per sbarcare il lunario con pochi euro, costretti ad accettare mille
umiliazioni e tanti morti, feriti e ammalati per lavoro... non è certo il mondo
che vogliamo.
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