C'è in realtà molto poco da stupirsi riguardo alla vicenda di
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò accusati di aver
ucciso due pescatori indiani mentre facevano da scorta armata alla
petroliera privata Enrica Lexie. I due fucilieri della Marina Militare
non rientreranno in India dopo il permesso di un mese accordato dalla
Corte Suprema indiana e lo faranno con la benedizione delle Istituzioni.
"La giurisdizione è italiana", ha affermato il ministro non eletto
degli Esteri, Giulio Terzi, con un tweet in cui spiega che il Paese è
disponibile "a trovare soluzioni con l'India in sede internazionale" ma
che, intanto, "i nostri marò restano in Italia".
E così facendo, di concerto con i Ministeri della Difesa e della
Giustizia e in coordinamento con la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, ha dimostrato per l'ennesima volta l'assunto secondo cui, di
fronte alla divisa, la giurisprudenza venga ridotta a mero zerbino sotto
cui nascondere lo sporco.
La vicenda dei due marò, che il 15
febbraio del 2012 scambiarono il peschereccio St. Antony per una barca
di pirati ferendo a morte Ajesh Binki e Valentine Jelastine, aveva da
subito animato il dibattito politico italiano, impegnandolo in tortuose
disquisizioni sulla potestà delle acque, sui limiti delle giurisdizioni e
altre amenità diplomatiche in cui, purtroppo, c'era ben poco di sensato
- in merito Matteo Miavaldi ha redatto un'ottima ricostruzione su Giap e
ChinaFiles.com.
E così come è iniziata - a tarallucci e vino - così probabilmente
finirà la vicenda dei due fucilieri della Marina: scavalcata la
legittimità del Paese in cui si è consumato il delitto, l'Italia
infligge lo stesso torto che altre divise protette hanno inferto a
vittime di “casa nostra”, a Nicola Calipari, ai venti morti del Cermis.
Non ci infatti ancora dato sapere se i due marò continueranno a godere
dello status di “eroi” o se verranno regolarmente processati nei
tribunali nostrani.
La
Farnesina, nella nota diffusa ieri alla stampa, ha motivato il suo no
con “il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi dello
Stato straniero e le regole della Convenzione delle Nazioni Unite sul
Diritto del Mare (UNCLOS) del 1982? dopo aver assecondato per mesi le
autorità indiane - già a Natale infatti la Suprema Corte aveva concesso
una licenza di 15 giorni ai due militari, che è stata rigorosamente
rispettata con il loro ritorno a Kichi il 4 gennaio.
E lo ha
fatto pur sapendo che quei soldati, impiegati di fatto come mercenari
per proteggere un'imbarcazione privata, non possono e non potranno mai
essere riconosciuti in missione militare coperta dall’immunità. Se
questa non è una presa in giro, di sicuro è una figuraccia diplomatica
non da poco. Certamente per l'imperizia giuridica su cui è stata
impiantata.
Certo era - e questo è il vergognoso messaggio che ha
lasciato trapelare ieri Giulio Terzi - che i “nostri ragazzi” non
potevano rimanere bloccati nell'hotel di lusso in cui la Corte Suprema
indiana li aveva confinati. Bisognava liberare i due “eroi”: lo chiedeva
sbraitando la destra e lo voleva l’esercito, che in Latorre e Girone
vede solo due dei suoi uomini prigionieri per colpa di un governo che li
aveva mandati in missione senza la sufficiente copertura legale,
indispensabile all'impunità che contraddistingue la divisa.
Quindi,
in barba agli accordi diplomatici e alle trattative portate avanti da
un anno a questa parte, l'evasione avallata dal dicastero degli Esteri
deve essere sembrata la via più auspicabile o, perlomeno, quella più
facilmente percorribile. D'altronde, si sa, le nostre sono promesse da
marinaio e la bassissima credibilità internazionale italiana ce lo
ricorda ogni santo giorno di austerity che trascorriamo. A conti fatti,
non c'è poi quindi questo abisso tra il maestro di sci Frattini e l'ex
console Terzi di Sant'Agata.
Rimane da capire come reagirà il
Governo indiano alla sonora pernacchia arrivata Roma. Esclusa la
possibilità di accordi confidenziali in grado di salvare capra e cavoli -
difficile che l'India accetti con nonchalance di essere ridicolizzata
dal nostro stivale - dall'Onu una fonte diplomatica indiana dell'ANSA fa
sapere come “i due dovranno affrontare il processo in India, secondo le
leggi indiane”.
Per
ora il dato certo che emerge da questa svolta, oltre al già citato
assecondare le velleità della destra patriottarda, è che la politica
uscente ha avuto un ruolo fondamentale nella scelta dei tempi:
l’insediamento delle Camere previsto per venerdì ha certamente fatto
riflettere sull’opportunità che a prendere una decisione del genere
fosse il governo in carica e, così facendo, Terzi e l'ammiraglio Di
Paola hanno di fatto tolto le castagne dal fuoco al governo (quale?) che
verrà.
In attesa dei prossimi sviluppi, riportiamo la sentenza
che lo scorso 18 gennaio il tribunale di Kollam nella regione del
Kerala, incaricato inizialmente delle indagini, ha emesso nei confronti
dei due fucilieri della Marina. “La Corte suprema ha detto che lo Stato
del Kerala non ha giurisdizione per procedere contro i due marò italiani
ed il governo centrale di New Delhi, dovrà consultarsi col presidente
della Corte suprema e formare una Corte speciale. Ma soprattutto, cosa
che è evidentemente sfuggita a Terzi e al suo staff, chiarisce: “La
Corte ha inoltre deciso che la questione della giurisdizione dovrà
essere considerata dalla Corte speciale, che deciderà se i marò verranno
processati in India o in Italia”.
Una Corte Speciale che non ha
nulla a che fare con quelle di fascista memoria ma che invece è pratica
d'uso comune in India per dirimere casi particolarmente complessi o di
interesse nazionale; negli ultimi anni si è ricorso alla formazione di
diverse Corti speciali per affrontare casi di terrorismo, corruzione,
crimini contro le donne. In India sono viste come garanzia di
autorevolezza e terzietà in un Paese dove la fiducia nelle altre
istituzioni nazionali è ai minimi storici. Le autorità indiane ci
stavano tendendo la mano, ma quando si tratta di divise i panni sporchi
si devono sempre lavare in casa.
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