“Dedicato
a tutti
quelli che avevano vent’anni nel 1977. E che ora ne hanno diciotto”
scriveva, anzi disegnava l'incomparabile amico Andrea Pazienza
(scomparso il 16 giugno 1988).
C’è un ragazzo di nome
Oscar nativo della provincia di Mantova che ha fatto suo questo motto: “ Gli esseri
umani hanno paura di essere umani”.
Quanto
ci manca Pier Paolo Pasolini perché “L’Italia sta marcendo in un
benessere
che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione,
conformismo: prostrarsi in qualche modo a contribuire a questa
marcescenza è,
ora, il fascismo”. Questo grande poeta - assassinato barbaramente
perché aveva capito troppe cose sul sistema di potere - aveva compreso
il senso deleterio della mutazione antropologica in atto, si esprimeva
così già nel 1962.
Nella stagione del
disamore ogni giorno va in scena l’asservimento totale e lo scannamento
generalizzato che tracima anche su internet. A quanto pare in Italia i servi - ottusi e
obbedienti - aumentano a dismisura.
La storia è scritta dai vincitori, ma la verità si è sempre mostrata in tre fasi. La prima è quella di essere derisa e non creduta possibile. La seconda è quella della tentata demolizione delle sue basi, o più semplicemente cercare di renderla inoffensiva ed ostacolarla con qualunque mezzo a disposizione. La terza ed ultima fase - sicuramente più faticosa e lontana nel tempo - è quella di essere accettata unicamente perché reale e partecipe di tutti noi.
La censura non è altro
che il modo concreto per il discorso dell’ordine di travestire, escludere,
eludere o negare quei contenuti che rischierebbero di mettere in pericolo la
sua legittimità, le sue certezze, il suo potere.
Il negazionismo spesso veicolato da soggetti rigorosamente anonimi, comunque allo sbando mentale sul web, è una
filiazione demenziale dell’assunto iniziale.
Secondo il giornalista
Giuseppe D’Avanzo venuto a mancare improvvisamente all’affetto dei suoi cari,
ma sempre vivo con il suo lucido esempio in questo mestiere disgraziato: “ Un’inchiesta giornalistica è la paziente
fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e
nella loro durezza. Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro
nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica”.
Allora per dirla con
Enzo Biagi: “Alla fine il reato più grave diventa quello di chi racconta certe
cose, anziché di chi le fa. La colpa non è dello specchio, ma di chi ci sta
davanti”.
Marshall Mc Luhan ha
scritto: “Solo i piccoli segreti vanno protetti. Per quelli grandi sarà sempre
sufficiente l’incredulità della gente”.
Dario Fo ha scavato a fondo:
“Fermare la diffusione del sapere è uno strumento di controllo per il potere
perché conoscere è sapere leggere, interpretare, verificare di persona e non
fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa dubitare. Soprattutto del
potere. Di ogni potere”.
Robert Kennedy ha
detto: “Pochi sono grandi abbastanza da poter cambiare il corso della storia.
Ma ciascuno di noi può cambiare una piccola parte delle cose, e con la somma di
tutte quelle azioni verrà scritta la storia di questa generazione”.
John F. Kennedy ha chiosato: “Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le
conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o pressioni.
Questa è la base di tutta la moralità umana”.
Perché un mondo nuovo
nasce da una rivoluzione interiore. “A che serve essere vivi se non si ha il
coraggio di lottare?” si chiedeva il
giornalista Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia nel sepolto 1984.
Mi hanno insegnato a vivere
come se dovessi morire subito e a pensare come se non dovessi morire mai.
Un'dea di giustizia e di libertà. Il sapere e la bellezza possono salvare l’umanità dolente.
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