Non
deve stupire affatto se, in Italia, la notizia relativa l’approvazione
del TWO PACK non abbia trovato il giusto risalto, e ciò per un motivo
tanto ovvio quanto inquietante. In effetti, da lì a poco, si
sarebbero celebrate le elezioni politiche nazionali e, stando al
serpeggiare di sentimenti contrari alle politiche europee, annunciare
nel clou della campagna elettorale l’approvazione del TWO PACK, sarebbe
stato elemento di maggiore destabilizzazione del consenso elettorale,
proprio in quei partiti a connotazione fortemente europeista. Ma
questo è il livello dell’informazione italiana con il quale ci dobbiamo
confrontare, e non possiamo che prenderne atto e trarre le dovute
considerazioni.
Ad
ogni buon conto, ritornando al tema che ci occupa, avrete ben compreso
che qualche settimana fa è stato trovato l’accordo tra Parlamento
Europeo, Consiglio e Commissione Europea sull’istituto del TWO PACK -successivamente approvato dal Parlamento Europeo nei giorni scorsi- che mira ad introdurre nuove misure sul controllo e sulla sorveglianza dei bilanci nazionali.
In buona sostanza si tratta di un pacchetto normativo composto da due
regolamenti volti a rafforzare il coordinamento delle politiche fiscali
dei paesi dell’Eurozona. Invero, il primo recepisce misure speciali per
il monitoraggio e la valutazione delle politiche economiche degli Stati
alle prese con deficit eccessivi. Mentre il secondo tende a fissare i
criteri d’intervento verso quegli Stati in difficoltà finanziaria.
In particolare, queste nuove misure, obbligheranno
i singoli governi nazionali a presentare alla Commissione Europea,
entro il 15 ottobre di ciascun anno e prima dell’approvazione da parte
dei singoli parlamenti nazionali, le rispettive manovre di finanza
pubblica al fine di consentire di verificare il rispetto degli impegni
presi con le autorità europee nei primi sei mesi dell’anno (il così
detto semestre europeo). In caso di mancato o carente rispetto degli
accordi sottoscritti, la commissione europea potrà chiederne la
modifica, seppur in assenza di diritto di veto. Nel caso in cui il
paese dovesse disattendere le raccomandazioni, oltre a subire azioni
legali, potrà incorrere in procedure per deficit eccessivo e nel caso
anche in sanzioni economiche.
Inoltre, sempre la Commissione Europea (organo autoreferenziale privo di qualsiasi investitura democratica) potrà
mettere sotto stretta sorveglianza i Paesi “minacciati da difficoltà
finanziarie”, obbligando governi a colmare e redimere le cause
strutturali, sottoponendo il proprio operato a controlli trimestrali
stringenti da parte di una taskforce dedicata. E qui, la mente tende subito ad evocare quanto è accaduto in Grecia in questi 3 anni, ma non solo.
Riassumendo, potremmo agevolmente affermare che il
Two Pack costituisce un'ulteriore cessione di pezzi di sovranità
nazionale verso strutture non elette ed autoreferenziali, in assenza di
qualsiasi criterio solidaristico, di mutualità e senza alcuna
contropartita.
Il TWO PACK, insieme al FISCAL COMPACT e al MES approvati appena un anno fa e al trattato di Lisbona, costituiscono (al momento) i principali strumenti di compressione della sovranità dei singoli stati,
in nome della realizzazione di procedure di convergenze di politiche
fiscali ed economiche dei paesi dell’Eurozona, secondo gli eurocrati,
propedeutiche a colmare le divergenze strutturali delle varie economie
europee.
Il
FISCAL COMPACT, ad esempio, impone agli Stati appartenenti all’Eurozona
il raggiungimento del c.d. pareggio di bilancio, connotando tale
pareggio non oltre un disavanzo strutturale del -0,5%, depurato dagli
effetti determinati di eventuali recessioni. Inoltre, il F.C., impone
agli stati la riduzione dell’indebitamento di almeno 1/20 all’anno, per
la parte eccedente il 60% del rapporto debito/pil, fino a convergere al
livello previsto dal trattato di Maastricht, individuato, appunto, al
60%.
Tanto
per offrirvi una banale idea dell’impatto che il Fiscal Compact
potrebbe avere sulla nostra economia già alle prese con una profonda
recessione, posto che il PIL è di circa 1500 miliardi di euro, se ne
deduce che il limite massimo di indebitamento consentito dal trattato di
Maastricht, allo stato attuale, sia di 900 miliardi (il 60% di 1500), e
che l’Italia, avrebbe un eccesso di indebitamente di oltre 1100
miliardi da sanare entro i prossimi 20 anni. Quindi, circa 50
miliardi all’anno, in assenza di una crescita significativa del Pil tale
da avvicinare il rapporto debito Pil al 60% indicato nei trattati. Come,
vi chiederete? O aumentando il proprio PIL tale da ridurre il rapporto
debito/Pil che tenderebbe a convergere verso quel 60% indicato, oppure
ridurre l’indebitamento, ossia rimborsando il debito pubblico.
Arrivando al MES, meglio noto come fondo salva stati, altro non è che uno strumento attraverso il quale gli
stati in difficoltà possono richiedere aiuti finanziari, cedendo, in
cambio, sovranità nazionale ad organismi del tutto estranei a qualsiasi
investitura democratica.
In
un contesto come quello appena enunciato accade che i governi alle
prese con la necessità di finanziare i debiti pubblici e al contempo
ridurli entro parametri stabiliti dai trattati, in assenza di crescita
economica che appare del tutto irrealizzabile negli obiettivi
prefissati, dovranno verosimilmente invocare gli interventi di
sostegno del fondo salva stati, cedendo sovranità nazionale ad un gruppo
di oligarchi al soldo dei banchieri di mezzo mondo.
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