Escono i compensi annuali dei super manager.
Sergio Marchionne sette milioni e mezzo senza i benefit, che potrebbero assommare a ben quindici milioni aggiuntivi.
Oltre cinque milioni e mezzo a Luca Cordero di Montezemolo.
Undici milioni a Giovanni Perissinotto, ex Generali.
Pier Giorgio Peluso, figlio della ministra Cancellieri, ex di Fonsai e ora Telecom, cinque milioni.
Antonio Vinci, ex del Monte dei Paschi, quattro milioni e mezzo.
Franco Bernabè, Telecom, tre milioni.
Enrico Cucchiaini, Intesa San Paolo, tre milioni.
Potremmo andare avanti un bel po’ nell’elenco dei guadagni pasquali
dei top manager italiani, mentre la maggioranza dei loro concittadini
deve tagliare anche le uova di cioccolato e la gita fuori porta.
Questo è il socialismo dei ricchi. Non c’è mercato o crisi che
contino. Quelle sono regole che riguardano gli operai e tutti i poveri.
Per i ricchi e la loro casta privilegiata di bravi fattori del
capitale, i guadagni sono indipendenti dall’andamento dell’economia.
In questi anni di crisi i manager delle cento maggiori aziende del
nostro paese hanno visto aumentare le loro entrate del trenta per cento
mediamente. Mentre il PIL del paese calava del sette per cento. I premi
di risultato e produttività ci sono solo per gli sfruttati.
Bertold Brecht scriveva che è molto meglio fondare una banca che rapinarla.
Certo di fronte a questo scandalo legittimato da sua maestà il
mercato, le giuste indignazioni contro le ruberie da ladri di polli
della casta politica suonano stranamente. Appaiono quasi un depistaggio
rispetto ad ingiustizie più grandi e purtroppo sinora accettate.
La democrazia italiana ricomincerà a vivere solo quando lo scandalo
popolare colpirà tutte le caste in proporzione al loro peso reale e ai
danni effettivi che hanno procurato. Compresa ovviamente la casta
intoccabile dei super manager.
Fonte: Micromega
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