Il testo citato, che potete leggere integralmente qui, è
del 1500 o giù di lì. Scritto da Etienne de
La Boétie, ha in sé il fascino sottile di tutti quei libri che vengono
intruppati sotto l’etichetta di “classici”. Sono buoni per tutte le stagioni,
per ogni età dell’uomo, per tutte quelle situazioni che incessantemente si
ripetono nella storia che sembra incapace di insegnare qualcosa agli uomini che
ignari l’attraversano senza acquisire un briciolo di consapevolezza da quello
che il passato gli ha rovesciato addosso.
Tutta la divagazione parte da quella che sembra proprio una
domanda retorica.
Si chiede l’autore:
“Com’è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha forza se non quella che essi gli danno? Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli forniste?”
Si può notare subito quindi che sul banco degli imputati non
c’è il tiranno ma tutti quelli che a diverso grado sono, consapevolmente o non,
suoi complici.
“Se due, se tre, se quattro cedono a uno solo è cosa strana, ma comunque possibile… Ma se cento, se mille sopportano uno solo, non si dirà forse che non vogliono, e non già che non possono affrontarlo, e che non è per viltà quanto per abiezione e mancanza di dignità?”
In fin dei conti il tiranno è uno, mentre gli asserviti sono
milioni e allora non può essere una questione di paura. Certo, chi si presenta
come tiranno è molto più risoluto dei molti che lo dovrebbero soverchiare, ma
non può essere solo un mero rapporto di forza fisica il motivo del suo dominio.
È il castello che lo sorregge che gli dà la forza.
Risiede nella servitù volontaria il piedistallo che gli permette
di dominare incontrastato.
È quindi sul consenso di molti che fonda la sua potenza.
Il tiranno costruisce intorno a sé, meglio dire sotto di sé,
una piramide di solidarietà perversa che gli permette di avere non due ma
milioni di occhi che gli permettono di invadere tutti gli spazi. Di avere non
due ma milioni di braccia pronte ad agire ed eventualmente reprimere le
minoranze lunatiche che ipotizzano ribellioni. Gli strumenti per creare questa
piramide di consenso e connivenze sono vecchi come il cucco ma sempre micidiali.
Prebende, titoli onorifici, guadagni facili, poteri distribuiti con saggezza
perversa e che garantiscono una forza inimmaginabile per uno solo e che sono il
privilegio di chi sceglie di far parte di questo meccanismo che si fa sempre
più pervasivo.
“Insomma grazie a favori o vantaggi, a guadagni o imbrogli che si realizzano con i tiranni, alla fin fine quelli cui la tirannide sembra vantaggiosa quasi equivalgono a quelli che preferirebbero la libertà”.
“coloro che sono rosi da sfrenata ambizione e da non comune avidità, si raccolgono attorno a lui e lo sostengono per avere parte al bottino e comportarsi a loro volta da tirannelli sotto il grande tiranno”.
Come non leggere negli ultimi avvenimenti convulsi della
nostra patria storia un’attualizzazione di quanto scritto cinquecento anni fa? Certo
non è facile riconoscere in Monti il tiranno classico. Ma se si pensa alla sua
presa di potere, coincidente con lo svuotamento terminale degli ultimi vagiti
politici dei nostri partiti. Se si pensa ai beneficiati dal tiranno, che oltre
a non incidere, se non marginalmente e strumentalmente, sui loro privilegi, ne
rinsalda altri offrendo allo strapotere di banche, finanzieri, imprenditori,
politici fiancheggiatori, boiardi statali e dirigenti ministeriali nuove forme
di prebende (non ultima quella di scaricare tutto l’onere della crisi sulle
tasche esangui di coloro che a vario titolo non sono inseriti nel circolo vizioso
della connivenza al tiranno).
Anche gli strumenti sono analoghi e tra questi l’ultimo e
più subdolo: quello del ricatto. Una volta dettata (stravolta?) la verità, che
ci vuole o consenzienti o condannati al baratro, al default, alla Grecia, la
condizione capestro è quella di seguire muti il volere del tiranno o farsi
corresponsabili del disastro.
Il ricatto potenziato dalla riprovazione sociale per i dissenzienti,
visti come degli immorali, è un’arma letale.
Se si pensa a tutto questo, non si può che ravvisarne
analogie con quanto indicato da de La Boétie che, tuttavia, non propone alcuna
ricetta per il cambiamento del potere, ciò che gli sta a cuore è la
presentazione in tutta la sua ampiezza e profondità di una situazione
paradossale ma resa tuttavia quasi ovvia della vita di ogni uomo:
l’accettazione spontanea della subordinazione. Il “Discorso sulla servitù
volontaria” è più una condanna dei servi che dei tiranni; De La Boétie sostiene
che i tiranni detengono il potere in quanto sono i sudditi a concederglielo.
E allora, ce l’abbiamo, noi, la soluzione? Come si fa a smettere
di essere servi, a delegittimare il potere?
SVEGLIA!!! Grazie Gianna
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