di Rosa Ana De Santis
La puntata di Presa Diretta andata in onda domenica sera, mentre il
paese era chiamato al voto, ha portato nelle case degli italiani il
dramma del femminicidio, finalmente senza sconti di verità, senza
striscioni commemorativi d’apparenza, con una inequivocabile e impietosa
denuncia rivolta alle Istituzioni, alle voragini giudiziarie e alla sub
cultura dell’ omertà. Meccanismi perversi che ad una legislazione
nazionale tutto sommato buona fanno seguire inadempienze a cascata su
più livelli procedurali per lungaggini burocratiche, disorganizzazione,
carenza di mezzi. Un mosaico perverso di omissioni che tante vittime ha
lasciato sole. Una donna uccisa ogni due giorni nel 2012.
Un
lavoro giornalistico puro, nudo e crudo come di rado la tv lascia andare
in onda che fa il paio con le testimonianze di un altro prodotto di
denuncia “Amore Criminale”, fatto soprattutto di “cases history”: la
trasmissione che sul tema della violenza di genere costruisce
soprattutto un approfondimento di tipo emotivo e psicologico pur non
trascurando le pene ridotte, i killer in semilibertà, i processi per
stalking iniziati quando le donne sono state già seppellite da mesi.
Di
questo soprattutto Presa Diretta ha parlato e dei fondi tagliati ai
centri anti violenza e alle case protette, spesso lasciate al
volontariato, alla buona volontà, alla fatica di campagne di fund
raising quasi porta a porta o a bandi di progetto occasionali.
Il
giornalista conduttore, Riccardo Iacona, compie un viaggio dal Sud al
Nord del Paese e inizia dalla camera da letto in cui la giovanissima
Vanessa Scialfa è stata strangolata a 20 anni dal proprio compagno nel
deserto istituzionale di Enna. Una storia paradigmatica: l’amore
esclusivo e morboso, giorni su giorni trascorsi da prigioniera per
desiderio di possesso e di controllo da parte del proprio fidanzato, una
famiglia che sembra accettare il canone del dominio maschile nella
tolleranza generale che non vede, non sente e non denuncia e che arriva
sempre troppo tardi. Quando le scarpe di tutti i colori, sportive,
eleganti, giovanili o comode diventano non più il vezzo della
femminilità, ma il ritratto di una carneficina: quella di
centotrentasette donne l’anno come dichiara l’ISTAT.
Se
al Sud colpisce l’accettazione diffusa di un canone maschilista delle
relazioni familiari, è però al centro-Nord che si registra la maggior
frequenza di casi di violenza che si scatenano proprio quando le donne
si emancipano, sono autonome e decidono di decidere della propria vita.
E’ una questione che esula dallo stereotipo del machismo latino e che
attiene alla difficoltà pura e semplice di recepire l’emancipazione
delle donne in sé e per sé, senza quelle scappatoie di ordine culturale
che tendono ad edulcorare o anche solo a spiegare il male
addomesticandolo nella conservazione del contesto sociale.
A
tutto questo si unisce la denuncia di un sistema giudiziario che non
riesce a proteggere adeguatamente le donne minacciate che denunciano.
Nonostante l’introduzione del reato di stalking, nel 2009, le lungaggini
e quindi l’incubo della prescrizione e spesso l’impreparazione diffusa a
gestire i casi di violenza di genere da parte degli operatori coinvolti
diventano la trappola in cui finisce anche quella donna che il coraggio
di interrompere la violenza domestica lo ha trovato.
Gli
strumenti effettivi a disposizione delle vittime sono ormai quasi
svuotati del loro concreto potere di protezione e recupero. Il numero
telefonico 1522 è spesso affidato alla dedizione dei volontari che non
ricevono un euro dalle Istituzioni ed è a macchia di leopardo la
distribuzione delle case protette con Regioni, soprattutto nel Sud, che
hanno aree del tutto scoperte e il Molise, per citarne una, che ne è del
tutto priva.
Il viaggio arriva nella Provincia di Bolzano che
aprendosi a modelli europei può vantare, grazie ai soldi della Caritas e
della Provincia, un percorso di eccellenza unico nel Paese che vede gli
uomini, attori di violenza, essere immediatamente inseriti in un
percorso di recupero per decisione del giudice: una prassi che è
obbligatoria per legge in molti paesi europei, ma non da noi. L’unico
modo per evitare recidive e soprattutto un modo per convincerci
definitivamente che la violenza ai danni delle donne è un problema degli
uomini. Non ci sono modelli sociali da prendere a pretesto, o questioni
femminili da sviscerare meglio, ma uomini da curare, da mandare in
carcere, da fermare e da punire.
E’
una scena desolante quella che restituisce l’inchiesta brillante di
Iacona e della sua redazione. Un modo doloroso, ma efficace di ricordare
ai cittadini cosa la politica e il governo di un Paese ha davvero il
potere di fare o di non fare. Cosa significa tagliare fondi quando una
donna chiede aiuto e denuncia il persecutore che la minaccia come
Sabrina Blotti che allo Stato più volte e con dovizia di particolari
aveva chiesto aiuto grazie anche a testimoni terzi che quella minaccia
di morte annunciata dal suo ex l’avevano portata all’attenzione delle
forze dell’ordine. Invano visto che quella giovane madre è rimasta a
terra sotto i colpi di pistola come la povera Stefania Cancelliere
uccisa con un mattarello mentre il suo ex – medico- sconta già i comodi
arresti in una clinica immersa nel verde.
Una denuncia che non ha
risparmiato nessuno quella che è arrivata dalla prima serata di Raidue,
un autentico servizio alla memoria e un invito a considerare la
ribellione non come il martirio spontaneo di una donna disperata, ma
come un impegno della collettività. Una ricostruzione del problema che è
riuscita a spogliare il tema della violenza di genere da sovrastrutture
culturali o presunte tali, consegnando alla responsabilità di ogni
cittadino e delle Istituzioni preposte il dovere della verità.
Di
chi racconta questi drammatici casi e di chi punisce non abbastanza in
tempo e non troppo abbastanza i rei di questo male. E tutto il peso
della viltà di chi non dice chiaramente a tanti italiani maschi che
vivono da padroni nelle ombre delle loro alcove che la legge li chiama
violenti, assassini, molestatori. E che per questo andrebbero o andranno
fermati.
Prima di un altro paio di scarpette rosse.
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