19 febbraio 2013

Saper "vedere" per essere noi stessi.

di Gianni Tirelli.
A chi sa vedere, o meglio, chi ancora miracolosamente conserva intatta una tale capacità, tutto appare chiaro e inopinabile. Chi sa vedere, non ha bisogno di parole, spiegazioni, promesse o prove, per capire chi ha di fronte a sè! Chi sa vedere, riesce a leggere nei gesti, nei tratti, nelle espressioni, sa decifrare l’indole di ogni uomo da una semplice smorfia, dal tono della sua voce, dal suo silenzio e, da un breve sorriso, capire il suo animo e le intenzioni. Chi sa vedere, riesce a interpretare i segnali del presente che provengono dal mondo, per comprenderne gli effetti sul futuro, confortando così le sue speranze o, al contrario, prevenendone il peggio, modificando i suoi comportamenti e scelte. E tutto questo non rientra nella sfera della profezia o della veggenza, ma di una speciale competenza che l’uomo aveva ricevuto in dote al momento della sua venuta al mondo, e in virtù della quale accreditava la sua sopravvivenza.
Questa tecnica primitiva, primordiale, connaturata all’origine (oggi estinta per sempre tranne le retoriche eccezioni del caso), permetteva all’individuo di avere un quadro esauriente e chiaro dell’altro, delle sue intenzioni e, di conseguenza, aggiornare i suoi comportamenti e scelte, per accordarli a suo vantaggio e alla sopravvivenza della comunità, forte di uno spirito congenito di autoconservazione.
Oggi (diversamente da un passato remoto), l’affidabilità del singolo, si estrare da un ragionamento logico e razionale, da una particolare forza e strategia di convincimento, da una garanzia, dalle credenziali, in virtù di un testimone, di un giuramento, di una fedina penale; presentarsi e farsi riconoscere, dunque, sulla base di un curriculum, di un’informazione tecnica e professionale, che sia a garanzia delle nostre competenze e presunte potenzialità.

Tutto ciò che fa di noi, una persona, che sia il soma, l’aspetto morfologico, la gestualità, l’odore, il tono di voce, ecc, ecc, altro non è che l’espressione più evidente dei veri noi stessi; la somatizzazione del nostro io più nascosto, perché non c’è nulla di più profondo di ciò che appare in superfice.
Dall’alba della rivoluzione industriale a oggi, quell’arco di tempo dentro il quale si è consumata quella metamorfosi degenerativa che ha tradotto l’uomo intuitivo in supporto omologato e funzionale alle logiche del Sistema, si sono perse, fino ad estinguersi, tutte quelle funzioni sensoriali abilitate al discernimento e alla percezione, atrofizzandone così i loro processi vitali.
La vista, l’udito, l’olfatto, Il gusto, Il tatto, strutture fisiche presenti nei corpi degli esseri viventi e del regno animale, hanno subito, nel corso di questo secolo, un rattrappimento radicale degli scopi a cui erano destinate all’origine, essendo venute meno le condizioni naturali, deputate a ricevere informazioni dal mondo circostante. Un Sistema Mondo, che si è alimentato ed e cresciuto, in forza di quell’opera nefasta di contraffazione, manipolazione e profanazione, volta ad uniformare le scelte individuali dentro un’unica ragione, omologando le coscienze e annullando così ogni personalismo, stimolo, e giudizio critico.
“Saper vedere”, significa essere liberi da ogni giudizio esterno e pregiudizio, dogma e ideologia, ingerenza e interferenza che si frapponga ad una valutazione imparziale delle varie circostanze temporali.

Esistono individui che trascendono ogni simpatia, ogni sentimento di fiducia e di rassicurazione, causa di un sudiciume morale e spirituale che inevitabilmente, vuoi o non vuoi, ha modellato i loro tratti in un ghigno perverso, in una gestualità goffa e maligna, in un tono di voce senza anima, senza passione, monocorde come una campana a lutto.
La capacità di riconoscerli ed evitarli, sta proprio in quel “SAPER VEDERE” (diverso dal guardare), che è la risultante, il prolungamento, della conoscenza che noi abbiamo di noi stessi.
Spesso, quel tormento esistenziale che si esprime nelle più varie forme e patologie, è il risultato della frustrazione derivante dall’incapacità di individuare se stessi; il proprio Io e le nostre autentiche necessità. Il condizionamento delle società moderne sugli individui, che si attua dentro quell’opera di appiattimento dei bisogni, e sulla mercificazione dell’effimero, è schiacciante, e altera la nostra capacità di un giudizio critico e volontà decisionale.
Nella sua essenza, la vita, così com’è concepita dalla cultura attuale, è standardizzata, svuotata di ogni significato autentico, causa di ciò l’indottrinamento liberista. Tornare alle origini, significa conoscere se stessi, avere uno scopo ben preciso, essere tutt’uno con la natura, coltivare i propri talenti, liberarci finalmente dal superfluo, seguire il proprio istinto e l’intuizione. Questa è la chiave, se volgiamo tornare a essere liberi e vedenti.
I veri “Noi Stessi”, sono di un’altra sostanza, invisibile a qualsiasi microscopio atomico, ma ben visibile al cuore cosciente di che sa vedere oltre l’apparente e il razionale.

Come potremo dunque essere “noi stessi”, quando tutto ciò che ci circonda è lo stesso per tutti? Cosa c’è di veramente nostro in questa società, in questo mondo? Come possiamo definirci liberi, autentici, quando ogni nostra scelta è sistematicamente filtrata dal tarlo del dubbio e della paura? E come sapremo vedere, quando l’oscurità avvolge il nostro cuore?

Grazie a Simone.
Fonte

2 commenti:

  1. Gianni Tirelli è fenomenale, come romanziere sarebbe sublime. Mi dispiace dirglielo, lo deluderò, ma uno come lui, con la sua capacità espressiva, con le sue doti cognitive, con le sue conclusioni... se tornassimo all'origine, quella cosa meravigliosa che lui descrive, lui non "esisterebbe"! Mi dispiace, ma non accetto di tornare indietro, voglio stare meglio, non peggio, come si stava mille anni fa, basta usare la testa, come fa lui, ma senza andare fuori strada.... come invece gli succede, trascinato da un estremismo ... ingenuo.

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    1. Ma tornare alle origini non vuol dire tornare a mille anni fa! Vuol dire semplicemente riappopriarsi di ciò che abbiamo perso, che non sono certo le caverne, ma la capacità di essere noi stessi, nel modo più naturale possibile.

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