Ho visto una scena in piscina ieri che ha fermato il mondo.
Ha fermato il mio mondo e, per me, tutto il resto del mondo. In piscina vengono
anche i disabili, fisici e mentali. Ci sono gli accompagnatori, o più raramente
i familiari che li portano. Le carrozzine, l’argano per calarli in acqua, ecc.
Nella piscina dove vado io c’è un corridoio in piastrelle azzurre che porta
dagli spogliatoi alle vasche, e che fa un angolo retto vicino ai bagni. Lo si
percorre per forza, ma il segmento più lungo è quello che parte dagli
spogliatoi, così chi si spoglia davanti agli armadietti lo vede tutto.
Ieri ero appena arrivato, non c’era quasi nessuno, molto
silenzio, ma quel silenzio che comunque fa rimbombo in piscina, non so se mi
capite. Ero in piedi davanti a un armadietto e mi ero appena tolto la felpa,
quando noto un ragazzo su una carrozzina fermo a metà del corridoio, come
parcheggiato lì, da solo, rasente alla parete destra. Era in costume ed era non
solo fisicamente disabile, braccia e gambe distorte, ma anche mentalmente
disabile, lo sguardo non lasciava dubbi. Era fermo lì, leggermente ricurvo in
avanti coi gomiti appoggiati ai braccioli.
Io ho continuato a spogliarmi, di tanto in tanto lo
intravvedevo con la coda dell’occhio, poi non ho potuto non notare che la sua
testa si era piegata ancor di più, non tanto, un poco, e dava dei piccoli
sobbalzi. In un attimo mi è apparso chiaro, piangeva. Ma piano. Piano.
Piangeva. Il mondo ha smesso di girare per me.
Non c’era nessuno, un corridoio di venti metri di piastrelle
blu e quel ragazzo solo lì, che piangeva, da solo. Io immobile in pantaloni e
torso nudo a fissarlo. Gli sono entrato dentro, tutto, in lui, nel suo pianto
di solitudine. E non ho mai, mai nella mia vita toccato così tanta solitudine.
Non
c’è nulla di più solo, di più abbandonato, di una mente
schiacciata dall’impossibilità di elaborare ma che sente dolore.
Di una mente e di un’anima soffocate dall’impossibilità di muoversi, di
fare
qualcosa per darsi sollievo, e che cedono alla disperazione. Tutto
quell’essere
stava così male da dover piangere, e io mi sono chiesto dove poteva
quell’anima
trovare aiuto, sollievo, soccorso in quei momenti della vita, così da
solo. Mi
sono chiesto quante volte gli sarà capitato di piangere così totalmente
solo. Ho sentito un'incontenibile pietà per quel ragazzo. E lì mi è
tornata in mente la favola dei libri del catechismo, con le
illustrazioni dove il derelitto abbandonato da tutti piange, ma ignaro
che dal
cielo la mano di Gesù lo sta avvolgendo. Gesù lo ama. “Gli umili erediteranno la Terra”. E io so che non è vero, che non
c’era uno straccio di nessuno ad amare dal cielo quel ragazzo piantato a metà di
un corridoio di piastrelle, non c’è mai stato né ci sarà. E’ così orribilmente
crudele. Lo è dall’inizio dei tempi, con l’aggiunta disperante che nessuno di
noi mai capisce che l’unica mano di Gesù capace di dare salvezza è quella che
creiamo noi, qui sulla nostra materiale Terra, quando sappiamo amare e
consolare, e che se noi non lo faremo non ci sarà nessun Dio a farlo al posto
nostro, né qui né dopo.
Lo dico ai pochissimi di voi che forse capiranno: tutto il
mio lavoro vorrebbe arrivare a quel mondo migliore dove ci sia più tempo e
benessere per darci di più gli uni agli altri sempre, che nessuno sia solo, lasciato,
povero, torturato, angosciato, mai, mai a piangere da solo, anzi, che tutti i
mezzi siano per lui.
Di fronte a una solitudine come quella che ho visto ieri il
mondo mi si ferma. Diventa meno di niente, tutto il nostro fare e dire e dare
importanza a questo e quello. Niente. Non conta più niente. Finché ci sarà una
solitudine così, null’altro conterà niente per me.
Grazie Paolo Rossi Barnard, mi hai regalato un momento raro di commozione e coscienza.
RispondiEliminaConcordo con te Mariella. Raro trovare persone così sensibili e che vanno a scavre nel profondo, e Barnard è uno di quelli, senza contare il suo attivismo come giornalista, un vero giornalista che ha fatto del suo mestiere una missione e che proprio per questo è diventato scomodo tanto da non trovare testate che pubblichino le sue denunce.
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