Una voce originale e poco nota quella di Bernard Charbonneau, un pensatore francese vicino alla corrente del «personalismo».
Questo è un passo del suo libro "Une seconde nature" del 1981 che ho trovato in rete.
"Il voto è sempre stato un rito di partecipazione. Soprattutto, lo
diventerà sempre di più, specialmente nei grandi paesi senza referendum
in cui si vota per politici e partiti piuttosto che per una data
politica. L'universo mi supera, ed oggi la società è oggettivizzata
nello Stato: la pace, la guerra, l'economia, le finanze — che mi domina
ogni giorno da un po' più in alto. Ogni giorno il mondo si appesantisce e
si complica, sia che la tecnica lo renda tale, sia che me lo dica la
scienza. Ogni giorno l'avvenimento cade dal cielo, la mia vita sfugge un
po' di più al mio pensiero e al mio potere. Politicamente sono libero,
ma altri hanno stabilito il luogo e la natura del mio lavoro, e si
occupano anche dei miei svaghi. Sceglierò il capo dello Stato, ma sempre
meno il pane che mangio o la casa che abito, perché è la scienza
economica che lo deciderà. Non controllo più il mio destino che è
torrente — produzione, polluzione, informazione, popolazione —
perennemente in piena. Resta la guerra o la pace. Ma non si è mai
convocato il popolo sovrano per votarla.
Che angoscia! Dopo tutto, non ne so nulla e non posso farci nulla.
Per fortuna ogni quattro anni divento di colpo onniscente e onnipotente:
voto. In generale ho soltanto la scelta fra due beni, o due mali. Ma
posso scegliere quello minore; decido fra il rosso e il bianco, se Tizio
o Caio farà la bomba atomica, se è lui o l'altro che verrà ad
insegnarmi la grammatica strutturale... Alla fine, io conto — almeno per
uno; non sono più un individuo, sono il Popolo... Voto perché ci credo;
è un atto essenziale, decisivo. Ed io voto pure — sono un intellettuale
critico — perché non ci credo e tutto ciò non ha alcuna importanza.
Adesso è fatta. Chi vincerà? Quelli a favore o quelli contro, i Blu o i
Verdi? La suspence è al culmine. È finita; ho votato, ho fatto l'amore
con la Francia, ho fatto pipì nell'urna e mi sento meglio. Ho compiuto
il mio dovere e posso pensare ad altro; a guadagnare denaro o alle
vacanze. Ho votato, uff, per un po' sono a posto, ho delegato i miei
poteri.
Più la società evolve, più l'individuo vota; e più si vota, più
questo gesto perde valore. Allora perché il voto? — Per il voto. È un
rito esorcista che rifà d'un mondo — d'una società, d'uno Stato —
l'opera della libertà degli individui. Ma di colpo questa diventa la
cosa della società, dello Stato. Mi integro; non mi sono accontentato di
subirla, l'ho scelta. La festa elettorale è un rito di partecipazione
come la messa: per questo chi rifiuta questa società corazzata in Stato
ha il dovere civico di astenersi. Altrimenti da suo schiavo, divento suo
complice...
Il voto è un rito fondatore. Il giorno in cui la società non ci
crederà più, sarà cambiata. Già la nostra, con i suoi sondaggi
d'opinione, contabilizza più le correnti collettive che le libertà.
Domani non si voterà più. Ma non sarà più a seguito di un voto."
P.S.
Negli anni '30 del Novecento Bernard Charbonneau elaborò un'originale filosofia della natura.
Originale e importante perché vi si collega il tema dello sfruttamento
della natura con quello della libertà. Più cresce il potere di
artificializzare il mondo, più stretto deve essere l'ordine che lo
regola, maggiori i controlli, minore la libertà, più debole la
democrazia. E poiché interesse dell'artificio, cioè della scienza, non è quello di
mettere confini allo sviluppo tecnologico e industriale bensì piuttosto
quello di espandersi, così la ricerca di questi limiti deve essere la
preoccupazione e la responsabilità di ognuno...........
da approfondire....
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