Sta girando su un blog la trama di un remake dal titolo Full Monti. La
trama la conoscono tutti: Mario M e Mario D, due europeisti, si
ingegnano per trovare degli espedienti per tirare avanti. Provano tra
l’altro ad abbassare i salari, disintegrare i diritti dei lavoratori e
le pensioni, prosciugare i redditi più bassi per continuare la politica
delle aggressioni militari all’estero, salvaguardando i privilegi della
Chiesa e dell’oligarchia finanziaria, senza accorgersi che tutto è stato
già fatto. Ma quando Mario M rischia di perdere il lavoro poiché è in arretrato con
le riforme “ce lo chiede l’Europa”, pensa ad una soluzione un po’
drastica per tirarsi fuori da quel problema, e distrarre i cittadini che
cominciano a protestare massicciamente.
Ispirato da un gruppo di europeisti professionisti che si esibiscono in
Italia, ha l’idea di dar vita ad uno spettacolo pro-euro coinvolgendoli
tutti (Bersani, Vendola, Casini, Cgil, Berlusconi ecc.). Lo spettacolo
sarà un successo.
Non è mia intenzione fare della facile ironia su chi crede che le
prossime elezioni politiche siano un’occasione per fermare l’attacco che
il governo porta alle condizioni di vita del proletariato e dei ceti
popolari. La situazione è talmente tragica che l’ironia può persino
sembrare offensiva per chi non ha la prospettiva di un lavoro, di un
reddito, di una vecchiaia serena.
Sono molti, nonostante l’aumento dell’astensionismo, quelli che
continuano a credere che, comunque, anche il voto dia il suo piccolo
contributo a cambiare qualcosa, e sono molti, anche fra quelli con cui
abbiamo condiviso le lotte contro le scelte di guerra, di miseria e di
repressione del governo, a credere che il 24 e 25 febbraio, giorni delle
prossime elezioni politiche, sia una scadenza importante anche per i
movimenti di lotta.
Le delusioni di questi ultimi anni non hanno evidentemente insegnato
nulla, come non ha insegnato nulla la parabola del socialismo
legalitario, con il definitivo tramonto della presenza in parlamento dei
partiti di ispirazione marxista: l’evoluzione parallela dei partiti
socialdemocratici e di quelli che hanno usurpato il nome di comunista
dovrebbero aver dimostrato che la lotta di emancipazione del
proletariato si può svolgere solo al di fuori e contro le istituzioni
statali, che ogni “lunga marcia” all’interno delle istituzioni termina
con la subordinazione agli interessi della borghesia. Allo stesso modo
dovrebbe aver insegnato qualcosa il fatto che la borghesia, di fronte ad
una minaccia reale od immaginaria al suo capitale, non ha esitato a
cacciare a calci nel sedere quanti credevano di poter attuare il
socialismo pacificamente, dai banchi del parlamento. E li ha cacciati
con al violenza fascista o con quella dell’esercito, anche se i
socialisti legalitari disponevano della metà più uno dei voti!
Ma tant’è, la storia insegna solo che la storia non insegna niente a
nessuno, così che ancora una volta ci troviamo a combattere questo tarlo
elettorale, che mina le impalcature gettate per costruire, attraverso
l’autogestione delle lotte, l’autogestione della società.
Ebbene, una obiezione sottile è quella che sostiene che qualcuno degli
eletti in Parlamento tornerà comodo per la lotta contro la TAV e le
vertenze sindacali; quindi tanto vale votarli. In realtà la questione
non si pone in termini così semplici.
Innanzi tutto, ancora una volta, torna utile uno sguardo al passato:
anche in anni recenti, ci sono stati eletti che si sono adoperati per
questa o quel problema sollevato dai movimenti di lotta. Ma, o al di
fuori del Parlamento c’era un movimento di lotta che faceva sentire la
propria voce, che faceva capire al Governo e alla maggioranza che lo
sosteneva che i cittadini sarebbero stati capaci di prendersi da soli
quello che il Parlamento era indeciso a concedere, e allora anche i
parlamentari di maggioranza hanno ceduto; oppure i cittadini si sono
affidati completamente ai meccanismi istituzionali, e allora la
maggioranza ha fatto orecchie da mercante. Un esempio clamoroso della
protervia delle istituzioni, quando non sono incalzate da un movimento
deciso, radicato, antiistituzionale, è dato dai referendum sull’acqua
pubblica. E non si contano poi le volte che dai parlamentari è venuto
solo l’appello ad avere fiducia nelle istituzioni, ad isolare i
“violenti”, e così via.
Allora, riepilogando, per ottenere dei risultati è necessario costruire
un movimento radicato, basato sull’autogestione e che usa lo strumento
dell’azione diretta, solo sotto la minaccia di un movimento di questo
tipo i parlamentari di opposizione potranno fare qualcosa di più che
semplice tappezzeria. Ora, dobbiamo chiederci se, nella prospettiva
della costruzione di un movimento di questo tipo, è utile o meno la
partecipazione alle elezioni.
In queste settimane centinaia e centinaia di militanti, che abbiamo
visto nelle lotte sindacali, nelle mobilitazioni ambientaliste o
pacifiste, sono stati impegnati nelle complesse trattative per la
formazione di cartelli elettorali, per l’elaborazione delle liste, per
la definizione dei programmi. Il risultato è che la possibilità per ogni
lista di entrare in Parlamento è inversamente proporzionale alla sua
rappresentatività dei movimenti: cioè quanto più le liste cercano di
esprimere i contenuti dei movimenti di massa, l’opposizione sociale alla
politica dei governi che si sono succeduti in questi anni, tanto meno
hanno possibilità di far eleggere qualche candidato. Ogni militante
sincero che, pieno di buona volontà, abbia partecipato a qualcuna di
queste riunioni dovrà ammettere di aver dovuto rinunciare, in tutto o in
parte, a quello per cui ha lottato in questi anni.
Una volta definito il programma, c’è da definire le liste, c’è la lotta
fra i vari gruppi, le varie correnti, i singoli candidati per spuntare
un posto migliore: sono elementi di polemica, di divisione che si
ripercuoteranno pesantemente sui movimenti di lotta.
La tattica elettorale, fin dal primo momento, porta con sé la rinuncia
agli obiettivi condivisi e la divisione al nostro interno.
Per chi si batte per l’unità e l’autonomia dei movimenti di lotta, per
l’autorganizzazione e l’azione diretta, non resta altra scelta che
l’opposizione alla tattica elettorale, che si esprime
nell’astensionismo.
Bene ha fatto il movimento No TAV a diffidare ancora una volta chi
vorrebbe strumentalizzare il movimento per la propria campagna
elettorale.
Il popolo fa paura ai governanti quando si batte fuori e contro
istituzioni, fuori e contro il parlamento, fuori e contro il governo, ma
quando accetta la farsa del “popolo sovrano” fa la fine dei re del
carnevale: viene portato in giro con una corona di cartapesta in testa
per un giorno, e gabbato tutto l’anno! E proprio questo spera di
ottenere Monti con le elezioni anticipate. Sta a noi non cadere nella
trappola.
Tiziano Antonelli
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